Capitolo 3 La struttura dell'atomo Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.1 La doppia natura della radiazione elettromagnetica 3.2 Gli spettri atomici dimostrano che gli elettroni possiedono energie quantizzate 3.3 Il modello atomico di Bohr interpreta lo spettro dell’idrogeno 3.4 La crisi della meccanica classica porta al modello atomico a orbitali, o quanto ondulatorio 3.5 Lo spin dell’elettrone influenzala distribuzione degli elettroni negli orbitali 3.6 Dove l’elettrone passa il suo tempo Compact discs and DVDs are possible because information recorded on them can be read by tiny light sources called lasers. The laser emits highly monochromatic light (light of a single color), which is reflected from the surface of the CD or DVD, producing a flickering beam containing the information that’s ultimately translated into sound and/ or picture. The light from a laser is produced by electrons undergoing energy changes within atoms. Such energy changes are related to the electronic structure of atoms,which is the principal topic of this chapter. 3.1 LA DOPPIA NATURA DELLA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA ►LA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA PUÒ ESSERE DESCRITTA COME UN’ONDA L’energia coinvolta nelle reazioni chimiche è fondamentalmente energia termica ma, in chimica, assume una notevole importanza anche un altro tipo di energia: l’energia elettromagnetica, comunemente detta energia luminosa. Questa forma di energia si propaga nello spazio a una velocità straordinariamente elevata per mezzo di onde elettromagnetiche che prendono origine da una carica elettrica oscillante. Quanto più ampia è l’oscillazione della carica, tanto maggiore è l’ampiezza dell’onda. L’ampiezza determina l’intensità o luminosità della radiazione. ■ 3.1 illustra Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.1 LA DOPPIA NATURA DELLA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA ►LA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA PUÒ ESSERE DESCRITTA COME UN’ONDA Quanto più ampia è l’oscillazione della carica, tanto maggiore è l’ampiezza dell’onda. L’ampiezza determina l’intensità o luminosità della radiazione. Il numero di cicli compiuti in un secondo è detto frequenza della radiazione elettromagnetica, rappresentata dal simbolo ν (la lettera greca ni). L’unità SI di frequenza si chiama hertz (Hz) (1 Hz 1 s-1). La distanza tra due massimi (o due minimi) consecutivi prende il nome di lunghezza d’onda della radiazione ed è rappresentata dal simbolo λ (la lettera greca lambda). c Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.1 LA DOPPIA NATURA DELLA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA ►LA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA PUÒ ESSERE DESCRITTA COME UN’ONDA Poiché la lunghezza d’onda è una distanza, questa viene espressa con l’unità di lunghezza (il metro). Moltiplicando la lunghezza d’onda per la frequenza, otteniamo la velocità dell’onda. La velocità della radiazione elettromagnetica nel vuoto è costante ed è nota come velocità della luce. Approssimandone il valore a tre cifre significative, questa corrisponde a 3,00 108 m/s (o m s-1); il simbolo che rappresenta questa importante costante fisica è c: c Copyright © 2012 Zanichelli editore Possiamo quindi descrivere una relazione di fondamentale importanza che lega ν a λ . Questa relazione ci suggerisce che le due grandezze sono inversamente proporzionali e che la costante di proporzionalità è c, la velocità della luce. 3.1 LA DOPPIA NATURA DELLA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA ►LO SPETTRO ELETTROMAGNETICO RAGGRUPPA E ORDINA LE RADIAZIONI La radiazione elettromagnetica comprende un ampio intervallo di frequenze e di lunghezze d’onda, lo spettro elettromagnetico. Ogni parte dello spettro ha un nome di uso comune. c Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.1 LA DOPPIA NATURA DELLA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA ►LO SPETTRO ELETTROMAGNETICO RAGGRUPPA E ORDINA LE RADIAZIONI L’occhio umano riesce a percepire solo una banda molto ristretta di lunghezze d’onda, in un intervallo compreso fra circa 400 nm e circa 700 nm. Questa banda è lo spettro visibile e comprende tutti i colori dell’iride, dal violetto al rosso. La luce bianca è un insieme di tutti questi colori, combinati in quantità approssimativamente uguali. Quando un fascio di luce bianca attraversa un prisma, le frequenze si separano formando lo spettro visibile. L’assorbimento della radiazione elettromagnetica è particolarmente utile per il riconoscimento delle sostanze. c Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.1 LA DOPPIA NATURA DELLA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA ►LA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA PUÒ ESSERE DESCRITTA COME UN FASCIO DI FOTONI Nel 1900, il fisico tedesco Max Planck (1858-1947) propose che la radiazione elettromagnetica fosse costituita da fasci di minuscoli «pacchetti» o quanti di energia, che più tardi vennero chiamati fotoni. Ciascun fotone viaggia alla velocità della luce. Albert Einstein (1879-1955) confermò successivamente il suggerimento di Planck: l’energia di un fotone è proporzionale alla frequenza della radiazione elettromagnetica e non alla sua intensità o luminosità (legge di Planck), come si era creduto fino a quel momento: c Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.1 LA DOPPIA NATURA DELLA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA ►LA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA PUÒ ESSERE DESCRITTA COME UN FASCIO DI FOTONI Copyright © 2012 Zanichelli editore h è una costante di proporzionalità chiamata costante di Planck. L’equazione due significati fisici estremamente importanti. Per prima cosa essa ci dice che l’energia della radiazione non si trasferisce mediante un flusso continuo ma sotto forma di «pacchetti» distinti. Questo aspetto implica che l’emissione o l’assorbimento di tale energia può essere possibile soltanto secondo multipli interi di quella trasportata dal singolo fotone e non secondo sue frazioni. Inoltre, la legge di Planck collega fra loro le due descrizioni della radiazione elettromagnetica: la parte sinistra dell’equazione si riferisce a una proprietà delle particelle (l’energia del fotone) mentre la destra esprime una proprietà delle onde (la frequenza). c 3.1 LA DOPPIA NATURA DELLA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA ►LA RADIAZIONE ELETTROMAGNETICA PUÒ ESSERE DESCRITTA COME UN FASCIO DI FOTONI Copyright © 2012 Zanichelli editore La teoria dei quanti riunisce le due interpretazioni, consentendo di utilizzare l’una o l’altra per descrivere i risultati sperimentali. La scoperta di Planck ed Einstein fu veramente sorprendente. Per un evento che richiede energia e dipende dall’assorbimento di luce, come la fotosintesi delle piante verdi, è importante la frequenza della luce e non la sua intensità. Ciò si spiega quando consideriamo la luce come un fascio di fotoni: una «frequenza elevata» corrisponde a una maggiore energia dei fotoni, mentre un’intensità più alta implica un maggior numero di fotoni. L’idea che la radiazione elettromagnetica possa essere rappresentata, allo stesso tempo, come un fascio di fotoni e come un’onda è il fondamento della teoria dei quanti (dualismo ondaparticella). c 3.2 GLI SPETTRI ATOMICI DIMOSTRANO CHE GLI ELETTRONI POSSIEDONO ENERGIE QUANTIZZATE Lo spettro visibile, è chiamato spettro continuo perché contiene luce di tutti i colori. Si forma quando la luce emessa dal Sole, o da qualsiasi altro oggetto solido o liquido che sia stato riscaldato a temperatura molto alta, viene separata da un prisma di vetro e proiettata su uno schermo. Un tipo diverso di spettro è prodotto dalla luce emessa da un gas rarefatto, come l’idrogeno, quando viene attraversato da una scarica elettrica o portato all’incandescenza. Quando un sottile fascio di questa luce attraversa un prisma non si ottiene uno spettro continuo ma discontinuo, o spettro a righe, nel quale si osservano soltanto alcuni colori, distribuiti in una serie di righe colorate e distinte che prende il nome di spettro atomico o spettro di emissione. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.2 GLI SPETTRI ATOMICI DIMOSTRANO CHE GLI ELETTRONI POSSIEDONO ENERGIE QUANTIZZATE La prima spiegazione quantitativa degli spettri atomici si deve allo studio dello spettro dell’idrogeno, l’elemento più semplice con un solo elettrone. Lo spettro atomico dell’idrogeno è costituito da diverse serie di righe, una delle quali è nella regione visibile dello spettro elettromagnetico. Un’altra serie di righe si trova nell’ultravioletto, mentre le restanti stanno nell’infrarosso. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.2 GLI SPETTRI ATOMICI DIMOSTRANO CHE GLI ELETTRONI POSSIEDONO ENERGIE QUANTIZZATE Nel 1885, Johann Jakob Balmer formulò un’equazione in grado di descrivere le lunghezze d’onda delle righe presenti nella regione visibile dello spettro dell’idrogeno. La relazione fu successivamente rielaborata nell’equazione di Rydberg, un’equazione empirica di validità generale che consentì di calcolare le lunghezze d’onda di tutte le righe dello spettro dell’idrogeno. Nella formula λ è la lunghezza d’onda, RH è una costante (109 678 cm-1), e n1 e n2 sono variabili che possono assumere valori interi compresi tra 1 e 3. L’unico vincolo dell’equazione è che n2 deve essere maggiore di n1. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.3 IL MODELLO ATOMICO DI BOHR INTERPRETA LO SPETTRO DELL’IDROGENO ►L’ENERGIA DEGLI ELETTRONI È QUANTIZZATA Il primo modello teorico dell’atomo di idrogeno in grado di interpretare l’equazione di Rydberg fu proposto nel 1913 da Niels Bohr (1885-1962), un fisico danese. Nel suo modello, Bohr immaginò che l’elettrone si muovesse intorno al nucleo seguendo traiettorie fisse, o orbite, come un pianeta che ruota intorno al Sole. Infrangendo le leggi della fisica classica e affidandosi invece alle nuove conoscenze introdotte dalla meccanica quantistica di Planck, Bohr elaborò un’equazione che descriveva l’energia di un elettrone in un atomo; il modello fissava le dimensioni delle orbite e l’energia dell’elettrone di una data orbita. c Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.3 IL MODELLO ATOMICO DI BOHR INTERPRETA LO SPETTRO DELL’IDROGENO ►L’EQUAZIONE DI BOHR GIUSTIFICA LE RIGHE SPETTRALI DELL’IDROGENO Copyright © 2012 Zanichelli editore Esiste una semplice relazione tra la frequenza della luce e la sua energia: E = hν. Poiché gli atomi eccitati emettono luce di frequenze ben definite, al loro interno devono avvenire solo variazioni di energia altrettanto definite. Nello spettro dell’idrogeno, per esempio, esiste una riga rossa che ha una lunghezza d’onda di 656,4 nm e una frequenza di 4,567 x 1014 Hz. Quindi, tutte le volte che un atomo di idrogeno emette luce rossa, la frequenza della radiazione è sempre pari a 4,567x1014 Hz e l’energia dell’atomo diminuisce esattamente di 3,026 x 10-19 J per ciascun fotone, né più né meno. Gli spettri atomici indicano pertanto che, quando un atomo eccitato libera energia, la quantità liberata non assume valori qualsiasi; ciò è vero anche quando l’atomo assorbe energia. 3.3 IL MODELLO ATOMICO DI BOHR INTERPRETA LO SPETTRO DELL’IDROGENO ►L’EQUAZIONE DI BOHR GIUSTIFICA LE RIGHE SPETTRALI DELL’IDROGENO In un atomo l’elettrone può assumere solo alcuni valori di energia specifici e non altri. Possiamo affermare che l’elettrone è vincolato ad alcuni livelli energetici e che l’energia dell’elettrone è quantizzata. L’elettrone può assumere soltanto energie corrispondenti ai vari livelli energetici. c Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.3 IL MODELLO ATOMICO DI BOHR INTERPRETA LO SPETTRO DELL’IDROGENO ►L’EQUAZIONE DI BOHR GIUSTIFICA LE RIGHE SPETTRALI DELL’IDROGENO Copyright © 2012 Zanichelli editore Adesso siamo in grado di spiegare come prendono origine le righe spettrali. Quando l’atomo assorbe energia, un elettrone passa da un livello a bassa energia a uno di energia più alta; quando l’elettrone ritorna allo stato di partenza, l’energia corrispondente alla differenza fra i due livelli viene emessa come fotone. Dato che sono possibili soltanto determinati salti energetici, nello spettro di emissione compaiono solo alcune frequenze specifiche. Da quanto si deduce dagli spettri atomici, l’esistenza di livelli energetici specifici costituisce la base di tutte le teorie sulla struttura elettronica. c 3.3 IL MODELLO ATOMICO DI BOHR INTERPRETA LO SPETTRO DELL’IDROGENO ►L’EQUAZIONE DI BOHR GIUSTIFICA LE RIGHE SPETTRALI DELL’IDROGENO Oltre ad alcune costanti fisiche, come la massa dell’elettrone, la sua carica e la costante di Planck, l’equazione di Bohr comprendeva anche un numero intero n che egli chiamò numero quantico e che può assumere tutti i valori interi da 1 a + ∞. Ciascuna orbita può essere identificata in funzione del suo valore di n. In particolare, il raggio in picometri (1 pm = 10-12 m) di ogni orbita si può calcolare dalla relazione: c Copyright © 2012 Zanichelli editore mentre l’energia associata a ogni orbita si ricava dalla seguente relazione: dove E è l’energia dell’elettrone, b una costante il cui valore è 2,18 10-18 J e n è il numero quantico 3.3 IL MODELLO ATOMICO DI BOHR INTERPRETA LO SPETTRO DELL’IDROGENO ►L’EQUAZIONE DI BOHR GIUSTIFICA LE RIGHE SPETTRALI DELL’IDROGENO A causa del segno negativo dell’equazione precedente, il valore più basso (più negativo) di energia si ha quando n =1, che corrisponde alla prima orbita di Bohr. Lo stato energetico più basso di un atomo è anche il più stabile ed è chiamato stato fondamentale. Nel caso dell’idrogeno, lo stato fondamentale è quello in cui il suo elettrone possiede n =1. c Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.3 IL MODELLO ATOMICO DI BOHR INTERPRETA LO SPETTRO DELL’IDROGENO ►I SALTI ELETTRONICI DA UN’ORBITA ALL’ALTRA COMPORTANO SCAMBI DI ENERGIA Quando un atomo di idrogeno assorbe energia, come in un tubo a scarica di gas, l’elettrone passa dall’orbita con n= 1 a un’orbita più esterna, con n= 2 o n = 3 o ancora maggiore. Le orbite più lontane dal nucleo sono meno stabili delle orbite più interne e l’elettrone tende a tornare rapidamente nell’orbita a più bassa energia; quando ciò accade l’energia viene emessa sotto forma di radiazione elettromagnetica c Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.3 IL MODELLO ATOMICO DI BOHR INTERPRETA LO SPETTRO DELL’IDROGENO ► IL MODELLO DI BOHR SI DIMOSTRA INADEGUATO PER GLI ALTRI ELEMENTI Copyright © 2012 Zanichelli editore Il modello atomico di Bohr fu allo stesso tempo un successo e un fallimento. Ebbe pieno successo nel prevedere la frequenza delle righe dello spettro dell’idrogeno, spiegando l’equazione di Rydberg. D’altra parte, la teoria non riuscì a dare una spiegazione quantitativa agli spettri degli atomi contenenti più di un elettrone. Con il tempo si comprese che il modello di Bohr non era corretto e che sarebbe stato necessario elaborare un altro modello atomico. Il concetto di numero quantico e l’introduzione dei livelli di energia quantizzati rappresentarono comunque un notevole progresso rispetto al passato. Gli studi di Bohr per sviluppare una teoria sulla struttura elettronica erano destinati a fallire sin dall’inizio perché le leggi della fisica classica note a quel tempo non potevano essere applicate a particelle così piccole come l’elettrone. c 3.4 LA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA PORTA AL MODELLO ATOMICO A ORBITALI, O QUANTO-ONDULATORIO Gli elettroni all’interno degli atomi non si comportano come particelle solide ma come onde. Questa intuizione fu proposta per la prima volta nel 1924 da un giovane studente francese, Louis de Broglie. Abbiamo visto che le onde sono caratterizzate da lunghezza d’onda e frequenza. Lo stesso vale per le onde associate alla materia. De Broglie suggerì che la lunghezza d’onda di un’onda associata a un corpo in movimento, detta onda di materia, fosse espressa dall’equazione: Copyright © 2012 Zanichelli editore Dove λ è la lunghezza d'onda, h la costante di Plank e mv è la quantità di moto 3.4 LA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA PORTA AL MODELLO ATOMICO A ORBITALI, O QUANTO-ONDULATORIO L’idea che una particella di materia si comporti come un’onda è difficile da comprendere. Nell’equazione di de Broglie la massa compare al denominatore; ciò significa che, quanto maggiore è la massa del corpo, tanto più piccola è la lunghezza dell’onda. Per i corpi macroscopici, i massimi delle onde associate alla materia sono così ravvicinati che le proprietà dell’onda passano inosservate e non possono essere misurate sperimentalmente; al contrario, le particelle minuscole, con massa ridottissima, hanno lunghezze d’onda maggiori e le loro proprietà ondulatorie assumono un ruolo importante per spiegarne il comportamento complessivo. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.4 LA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA PORTA AL MODELLO ATOMICO A ORBITALI, O QUANTO-ONDULATORIO Le proprietà ondulatorie della materia possono essere dimostrate osservando un fenomeno abbastanza comune. Per esempio, le gocce di pioggia che cadono in uno specchio d’acqua formano delle onde a partire dai punti in cui esse toccano l’acqua. Quando due serie di onde si incrociano, vi sono alcuni punti in cui le onde sono in fase, cioè i massimi di un’onda coincidono con i massimi dell’altra: in questi punti le ampiezze delle onde si sommano. In altri punti, le onde sono fuori fase: i massimi di un’onda coincidono con i minimi dell’altra e le ampiezze delle due onde si annullano reciprocamente. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.4 LA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA PORTA AL MODELLO ATOMICO A ORBITALI, O QUANTO-ONDULATORIO Il rafforzamento e l’annullamento delle ampiezze delle onde sono dovuti, rispettivamente, a interferenze costruttive e distruttive, secondo un fenomeno che si chiama diffrazione. Quando le onde attraversano una coppia di fenditure ravvicinate, si osserva che la diffrazione crea caratteristiche frange di interferenza. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.4 LA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA PORTA AL MODELLO ATOMICO A ORBITALI, O QUANTO-ONDULATORIO Le frange di interferenza più comunemente osservabili sono i colori iridescenti che splendono sulla superficie di un compact disc. La diffrazione è un fenomeno che può essere spiegato soltanto in considerazione delle proprietà delle onde e abbiamo già visto come si verifichi per le onde di uno specchio d’acqua e per quelle luminose. Si possono condurre esperimenti per dimostrare che anche gli elettroni, i protoni e i neutroni subiscono la diffrazione, a conferma della loro natura ondulatoria. La diffrazione elettronica è, in effetti, il principio su cui si basa la microscopia elettronica. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.4 LA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA PORTA AL MODELLO ATOMICO A ORBITALI, O QUANTO-ONDULATORIO ► GLI ELETTRONI NEGLI ATOMI POSSIEDONO ENERGIE QUANTIZZATE PERCHÉ SI COMPORTANO COME ONDE STAZIONARIE Copyright © 2012 Zanichelli editore Con l’interpretazione dualistica dell’elettrone, che si avvale delle conoscenze della meccanica ondulatoria, oltre che della meccanica quantistica, l’elettrone è visualizzato non come una particella situata in un punto dell’atomo, ma come se la sua massa e la sua carica elettrica fossero distribuite in un’onda stazionaria che circonda il nucleo. L’onda elettronica è chiamata funzione d’onda ed è di norma rappresentata dal simbolo ψ (la lettera greca psi). Nel 1926, Erwin Schrödinger (1887-1961), un fisico austriaco, fu il primo a utilizzare con successo il concetto di natura ondulatoria della materia per spiegare la struttura elettronica dell’atomo. Schrödinger sviluppò un’equazione le cui soluzioni fornivano le funzioni d’onda e lo stato energetico degli elettroni contenuti negli atomi. Le funzioni d’onda relative agli elettroni atomici sono dette orbitali. c 3.4 LA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA PORTA AL MODELLO ATOMICO A ORBITALI, O QUANTO-ONDULATORIO ► GLI ORBITALI SONO DESCRITTI DA TRE NUMERI QUANTICI Come le caratteristiche di un’onda stazionaria possono essere ricondotte a un solo numero intero, così la meccanica ondulatoria consente di definire le onde elettroniche nelle tre dimensioni (orbitali) mediante un insieme di tre numeri interi detti numeri quantici: n, l, e ml. La classificazione degli orbitali secondo i numeri quantici rende più semplice la discussione sulla loro energia. c Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.4 LA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA PORTA AL MODELLO ATOMICO A ORBITALI, O QUANTO-ONDULATORIO ► IL NUMERO QUANTICO PRINCIPALE, n Copyright © 2012 Zanichelli editore Il numero quantico n è detto numero quantico principale. Tutti gli orbitali che hanno lo stesso valore di n appartengono allo stesso livello (o strato). Il valore di n può assumere i valori interi da 1 a ∞; il livello con n =1 è chiamato primo livello, quello con n = 2 secondo livello, e così via. A volte i vari livelli sono indicati con lettere maiuscole, iniziando (per convenzione) da K per il primo livello (n =1), L per il secondo (n= 2) e così via. Il numero quantico principale serve a determinare le dimensioni dell’onda elettronica, cioè quanto essa si estende intorno al nucleo dell’atomo. Quanto maggiore è il valore di n, tanto più grande è la distanza media dell’elettrone dal nucleo. Il numero quantico principale è correlato anche all’energia dell’orbitale: le energie degli orbitali crescono all’aumentare di n. Il numero n compare anche nell’equazione di Rydberg e nelle formule di Bohr. c 3.4 LA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA PORTA AL MODELLO ATOMICO A ORBITALI, O QUANTO-ONDULATORIO ► IL NUMERO QUANTICO SECONDARIO, l Copyright © 2012 Zanichelli editore Il numero quantico secondario, l, divide i livelli elettronici in gruppi di orbitali, detti sottolivelli. Il valore di n determina i possibili valori di l. Per un certo valore di n, l può assumere valori da 0 a n -1: l= 0, 1, 2, …, n -1. Così, per n =1, n - 1 =0 e il solo valore di l permesso è zero. Ciò significa che, quando n =1, esiste solo un sottolivello (livello e sottolivello coincidono). Per n =2, l può essere 0 o 1, poiché il valore più grande di l =n - 1 è 2 -1 =1. Nel livello n = 2 esistono quindi due sottolivelli, uno caratterizzato dai numeri quantici n = 2 e l =0, l’altro da n =2 e l = 1. I sottolivelli sono chiaramente identificati dai valori di l ma, per evitare confusione tra i valori numerici di n e l, il valore di l è preferibilmente espresso con un codice letterale: c 3.4 LA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA PORTA AL MODELLO ATOMICO A ORBITALI, O QUANTO-ONDULATORIO ► IL NUMERO QUANTICO SECONDARIO, l I sottolivelli sono chiaramente identificati dai valori di l ma, per evitare confusione tra i valori numerici di n e l, il valore di l è preferibilmente espresso con un codice letterale: c Copyright © 2012 Zanichelli editore Per designare un particolare sottolivello, si scrive il valore del suo numero quantico principale seguito dalla lettera minuscola corrispondente al numero quantico secondario. Per esempio, il sottolivello con n =2 e l =1 è il sottolivello 2p. 3.4 LA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA PORTA AL MODELLO ATOMICO A ORBITALI, O QUANTO-ONDULATORIO ► IL NUMERO QUANTICO SECONDARIO, l In base alla relazione fra n e l, ogni livello possiede un sottolivello s (1s, 2s, 3s, ecc.); tutti i livelli, eccetto il primo, possiedono un sottolivello p (2p, 3p, 4p, ecc.); tutti, eccetto il primo e il secondo, possiedono un sottolivello d (3d, 4d, ecc.) e così via. c Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.4 LA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA PORTA AL MODELLO ATOMICO A ORBITALI, O QUANTO-ONDULATORIO ► IL NUMERO QUANTICO SECONDARIO, l Il numero quantico secondario determina la forma dell’orbitale, che prenderemo in considerazione più avanti. A parte il caso dell’idrogeno, che possiede un solo elettrone, il valore di l influenza anche l’energia dell’orbitale. Negli atomi con due o più elettroni, i sottolivelli in un dato livello possiedono energie leggermente diverse che aumentano all’aumentare di l. Ciò significa che, in un dato livello, il sottolivello s è quello con l’energia più bassa, seguito dai sottolivelli p, d, f e così via. Per esempio: c Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.4 LA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA PORTA AL MODELLO ATOMICO A ORBITALI, O QUANTO-ONDULATORIO ► IL NUMERO QUANTICO MAGNETICO, ml Il terzo numero quantico è noto come numero quantico magnetico. Esso suddivide i sottolivelli in singoli orbitali e descrive l’orientamento spaziale di un orbitale rispetto agli altri. Come nel caso di l, vi sono limitazioni anche per i valori di ml, che possono variare da +l a -l compreso lo zero. Per l =0, ml può soltanto assumere valore zero. Un sottolivello s è formato quindi da un solo orbitale. Quando l =1, i valori possibili di ml sono +1, 0 e -1. Un sottolivello p è formato quindi da tre orbitali: uno con l =1 e ml =1, un altro con l =1 e ml =0 e l’ultimo con l = 1 e ml =-1. Considerazioni analoghe indicano che un sottolivello d è formato da cinque orbitali e un sottolivello f da sette. Il numero di orbitali di un dato sottolivello è facile da ricordare perché segue una semplice progressione aritmetica.: c l l l Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.4 LA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA PORTA AL MODELLO ATOMICO A ORBITALI, O QUANTO-ONDULATORIO ► IL NUMERO QUANTICO MAGNETICO, ml Le relazioni tra i tre numeri quantici possono essere così riassunte:: c Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.4 LA CRISI DELLA MECCANICA CLASSICA PORTA AL MODELLO ATOMICO A ORBITALI, O QUANTO-ONDULATORIO ► GLI ORBITALI SI DISTRIBUISCONO SECONDO VALORI DI ENERGIA CRESCENTE In generale gli orbitali si distribuiscono secondo valori di energia crescente seguendo queste semplici regole: 1.Tutti gli orbitali di un dato sottolivello possiedono la stessa energia 2.Salendo nella scala dell’energia, la distanza fra livelli successivi diminuisce mentre il numero dei sottolivelli aumenta. Ciò porta alla sovrapposizione dei livelli che possiedono valori diversi di n. Per esempio, il sottolivello 4s ha energia minore del sottolivello 3d, il 5s del 4d e il 6s del 5d. Inoltre, il sottolivello 4f precede il 5d e il 5f precede il 6d.: c Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.5 LO SPIN DELL’ELETTRONE INFLUENZA LA DISTRIBUZIONE DEGLI ELETTRONI NEGLI ORBITALI Un atomo è nel suo stato di massima stabilità (stato fondamentale) quando i suoi elettroni hanno le minori energie possibili. Questo avviene quando gli elettroni «occupano» gli orbitali disponibili a energia più bassa. Ma che cosa determina il modo in cui gli elettroni «riempiono» questi orbitali? Lo spin dell’elettrone è un fattore importante che ne influenza la distribuzione. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.5 LO SPIN DELL’ELETTRONE INFLUENZA LA DISTRIBUZIONE DEGLI ELETTRONI NEGLI ORBITALI Quando un fascio di atomi contenenti un numero dispari di elettroni viene diviso in due parti quando attraversa un campo magnetico disomogeneo. Questo fenomeno può essere spiegato immaginando che l’elettrone ruoti intorno al proprio asse, come una trottola. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.5 LO SPIN DELL’ELETTRONE INFLUENZA LA DISTRIBUZIONE DEGLI ELETTRONI NEGLI ORBITALI La carica elettrica dell’elettrone in movimento genera un debole campo magnetico. Il movimento rotatorio, noto come spin dell’elettrone, può avvenire in due sensi, orario e antiorario, spiegando così la creazione dei due fasci Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.5 LO SPIN DELL’ELETTRONE INFLUENZA LA DISTRIBUZIONE DEGLI ELETTRONI NEGLI ORBITALI Lo spin dell’elettrone è descritto dal quarto numero quantico, chiamato numero quantico di spin, ms, che può assumere due valori: ms = +1/2 o ms = -1/2. A noi non interessano i valori di ms, né il perché questi non siano numeri interi; è, invece, molto importante il fatto che esistano solo due valori di ms. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.5 LO SPIN DELL’ELETTRONE INFLUENZA LA DISTRIBUZIONE DEGLI ELETTRONI NEGLI ORBITALI Nel 1925, il fisico austriaco Wolfgang Pauli (1900-1958) chiarì l’importanza dello spin dell’elettrone nella determinazione della struttura elettronica dell’atomo. Il principio di esclusione di Pauli stabilisce che nello stesso atomo non possono esistere due elettroni che abbiano gli stessi valori dei quattro numeri quantici. Questo principio può essere riassunto nei seguenti punti: 1.ciascun orbitale non può contenere più di due elettroni; 2.gli elettroni che occupano lo stesso orbitale devono avere spin opposto. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.5 LO SPIN DELL’ELETTRONE INFLUENZA LA DISTRIBUZIONE DEGLI ELETTRONI NEGLI ORBITALI Il limite di due elettroni per orbitale dà anche una misura del numero massimo di elettroni presenti nei vari livelli e sottolivelli. Per i sottolivelli abbiamo: Il numero massimo di elettroni in ogni livello è invece: Copyright © 2012 Zanichelli editore In generale, la popolazione massima di elettroni in un livello è pari a 2n2. 3.5 LO SPIN DELL’ELETTRONE INFLUENZA LA DISTRIBUZIONE DEGLI ELETTRONI NEGLI ORBITALI Alcuni atomi hanno elettroni spaiati, cioè non appaiati a elettroni di spin opposto. In essi, gli effetti magnetici non si annullano e gli stessi atomi si comportano come piccoli magneti che possono interagire con un campo magnetico esterno. La debole attrazione verso un magnete di una sostanza con elettroni spaiati è detta paramagnetismo. Le sostanze i cui atomi hanno tutti gli elettroni appaiati, invece, non vengono attratte da un magnete e sono dette diamagnetiche Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.6 DOVE L'ELETTRONE PASSA IL SUO TEMPO Copyright © 2012 Zanichelli editore La descrizione del moto degli elettroni all’interno di un atomo è piuttosto complessa perché queste particelle si comportano anche come onde: non esiste niente di paragonabile nella nostra esperienza quotidiana. La descrizione della posizione dell’elettrone in termini di probabilità statistica si basa su qualcosa di più che una semplice convenzione pratica. Werner Heisenberg, fisico tedesco, dimostrò matematicamente che è impossibile misurare simultaneamente la velocità e la posizione di una particella con assoluta precisione. Per poter misurare la velocità o la posizione di un elettrone, è necessario colpirlo con un’altra particella, per esempio un fotone: la conseguenza è che la stessa misurazione altera la posizione e la velocità dell’elettrone, con il risultato di rendere impossibile la determinazione simultanea delle due grandezze, indipendentemente dall’efficienza del sistema di misura. 3.6 DOVE L'ELETTRONE PASSA IL SUO TEMPO Questo fatto è noto come principio di indeterminazione di Heisenberg. Le limitazioni teoriche appena descritte non riguardano gli oggetti di grandi dimensioni ma solo le particelle minuscole come gli elettroni, impedendoci di conoscerne con esattezza il comportamento in un certo istante e costringendoci, così, a parlarne in termini di probabilità. Questo principio può essere espresso nel seguente modo: Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.6 DOVE L'ELETTRONE PASSA IL SUO TEMPO L’idea di probabilità applicata al comportamento dell’elettrone conduce ad altri due concetti molto importanti e comunemente utilizzati. Secondo il primo, un elettrone si comporta come se fosse distribuito attorno al nucleo in una specie di nube elettronica. La figura mostra un diagramma di densità che illustra come varia la probabilità di trovare un elettrone nello spazio per un orbitale 1s. Dove si ha il maggior numero di punti per unità di volume, l’ampiezza dell’onda è più grande e la probabilità di trovare l’elettrone è maggiore. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.6 DOVE L'ELETTRONE PASSA IL SUO TEMPO L’altro importante concetto che emerge dalla variazione della probabilità elettronica da un punto dello spazio all’altro è quello di densità elettronica, che descrive la quantità di carica elettrica, dovuta all’elettrone, presente in un dato volume. Nelle regioni ad alta probabilità esiste un’elevata concentrazione di carica elettrica (e di massa) e la densità elettronica è grande; nelle regioni a bassa probabilità, la densità elettronica è minore. Quando studiamo la distribuzione della densità elettronica negli orbitali atomici, siamo soprattutto interessati a conoscere tre aspetti: la forma dell’orbitale, le sue dimensioni e il suo orientamento nello spazio rispetto agli altri orbitali. Copyright © 2012 Zanichelli editore La densità elettronica non si annulla in modo netto a una certa distanza dal nucleo ma decresce sempre gradualmente. Così, per definire la forma e le dimensioni di un orbitale, è utile pensare a una superficie immaginaria che comprenda, per esempio, il 90% della densità elettronica dell’orbitale stesso e sulla quale la probabilità di trovare l’elettrone sia ovunque la medesima. 3.6 DOVE L'ELETTRONE PASSA IL SUO TEMPO Per l’orbitale 1s della si osserva che l’allontanamento a una data distanza dal nucleo in una qualsiasi direzione comporta la stessa probabilità di trovare l’elettrone. Ciò significa che tutti i punti di uguale probabilità sono situati sulla superficie di una sfera; possiamo perciò affermare che la forma dell’orbitale 1s è sferica. Tutti gli orbitali s sono sferici e le loro dimensioni aumentano al crescere di n. A cominciare dall’orbitale 2s, vi sono regioni in cui la densità elettronica scende a zero; queste corrispondono ai nodi dell’onda elettronica. Nelle onde elettroniche i nodi sono superfici immaginarie sulle quali la densità elettronica è nulla. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.6 DOVE L'ELETTRONE PASSA IL SUO TEMPO Gli orbitali p diversi dagli orbitali s: la densità elettronica è distribuita simmetricamente in due regioni opposte rispetto al nucleo. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.6 DOVE L'ELETTRONE PASSA IL SUO TEMPO Come abbiamo visto, un sottolivello p è costituito da tre orbitali di uguale energia. La meccanica delle onde ci suggerisce che la massima densità elettronica dei tre orbitali si distribuisce lungo linee orientate perpendicolarmente l’una rispetto all’altra, che corrispondono a un sistema immaginario di coordinate xyz. Per convenienza, gli orbitali p vengono spesso designati in base all’asse che occupano: l’orbitale p concentrato intorno all’asse x è indicato come px, e così via. Anche per gli orbitali p, la grandezza aumenta all’aumentare di n. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.6 DOVE L'ELETTRONE PASSA IL SUO TEMPO La forma degli orbitali d, è più complessa di quella degli orbitali p. Per tale motivo, e poiché esistono cinque orbitali in ogni sottolivello d, questi non sono rappresentati contemporaneamente sugli stessi assi. Copyright © 2012 Zanichelli editore 3.6 DOVE L'ELETTRONE PASSA IL SUO TEMPO Gli orbitali f sono ancora più complessi degli orbitali d. Per ogni sottolivello se ne hanno addirittura 7. Come vedremo, gli orbitali f saranno riempiti tipicamente da elementi delle serie di transizione interna (lantanidi e attinidi). Copyright © 2012 Zanichelli editore