EDS_2013-14_Modulo I_Lo sviluppo tra filosofia ed economia

Etica dello sviluppo
a.a. 2013/2014
Ecologia dello sviluppo
per uno sviluppo turistico
sostenibile*
*Breve delucidazione del titolo
Con le slides che seguono si intende “aprire” ad una
dimensione ecologica1 l’idea dominante di sviluppo,
di matrice prevalentemente economica.
Il risultato che si vuole ottenere è quello di una
contestualizzazione ambientale della concezione di
sviluppo, che consenta di meglio armonizzarla sia
con la sostenibiltà ambientale in senso oggettivoscientifico, cioè biologico-naturalistico, che con il
livello soggettivo etico-antropologico dello sviluppo.
Ecologia
1
L'ecologia (dal greco: οίκος, oikos, "casa" o anche
"ambiente"; e λόγος, logos, "discorso" o “studio”) è la
disciplina che studia l'ecosfera, ossia la porzione della
Terra in cui è presente la vita in aggregati sistemici
detti "ecosistemi", le cui caratteristiche sono
determinate dall'interazione degli organismi tra loro e
con l’ambiente circostante o porzioni dell'ecosfera
stessa.
Urie Bronfenbrenner ha elaborato una teoria ecologica
dello sviluppo umano nel volume: Ecologia dello
sviluppo umano, tr. it., Il Mulino, Bologna 2002.
1
INDICE
. MODULO I
Lo sviluppo tra filosofia ed economia
- Appendice I :
a)Politiche per la cooperazione allo sviluppo
b) Lavoro e formazioni quali fattori di sviluppo
. MODULO II
L’allarme-sviluppo nella filosofia del XX sec. (F. Nietzsche, E.
Husserl, M. Weber)
. MODULO III
Ripresa del fattore antropologico dello sviluppo (M. Scheler, R.
Spaemann, M. Tomasello, A.-T. Tymieniecka)
MODULO I
Lo sviluppo
tra filosofia ed economia
Ristrettezza storico-disciplinare
della nozione di sviluppo corrente
Come la parola “sviluppo”
compare solo nelle lingue moderne
(développement, Entwicklung, development,desarrollo)
al pari delle parole “lavoro” e “formazione”,
relative ai principali fattori di sviluppo,
e alle politiche per lo sviluppo (cfr.: Appendice I),
così il tema dello “sviluppo” è oggi considerato
di appannaggio prevalente dell’economia,
che non di rado tenta anche di requisirlo
nel proprio ambito disciplinare.
Origine moderna dell’idea di sviluppo
Va riconosciuto, d’altro canto, che l’idea di sviluppo, come
oggi noi la utilizziamo, affonda le sue radici proprio nella
riflessione economica:
Fu a partire da essa che tale idea divenne socio-politicamente
rilevante, nel XVIII sec., quando si cominciò a pensare
all’arricchimento delle nazioni in termini di dinamiche
lavorative e di scambio, attuabili in vista di una «crescita»
(growth), di un «perfezionamento» (improvement), di un
«progresso» (progress).
Ovvero: quando si cominciò a pensare che sullo sviluppo
“naturale”, l’azione dell’uomo poteva produrre incremento e
potenziamento “artificiali” (=dovuti all’arte e all’opera dell’uomo
e non alla spontaneità della natura)
Archeologia dell’idea di sviluppo (1)
Sia pure ripresa nel solo senso dello sviluppo
economico, rientrava così nella cultura dell’Occidente,
ancora tutta improntata al meccanicismo* della fisica dei
grandi corpi celesti inanimati, appena un secolo prima
costituitasi come sapere-guida (cfr.: H. Jonas), l’idea
antica dello sviluppo come genesi, cioè come formazione
evolutiva dei viventi, governata, nel passaggio dallo stadio
iniziale a quello finale, dalla identità del germe iniziale (p.
es.: la genesi del seme di frumento conduce
immancabilmente alla spiga di frumento).
* Cercare su Wikipedia!
Archeologia dello sviluppo (2)
Gli Antichi avevano osservato, infatti, che nella natura si
attuavano spontaneamente mutamenti qualitativi e processuali
di tipo organico.
Gli Antichi avevano perciò acquisito che nelle trasformazioni
evolutive dei viventi è l’identità della forma germinale
iniziale a mantenersi immutata dallo stadio iniziale a quello
finale, garantendo la continuità identitaria dell’organismo in
tutte le sue fasi evolutive come è esemplificato dalla sequenza
naturale attraverso la quale dal seme di una pianta determinata si
passa al fiore e poi al frutto, che contiene i semi per la nuova
germinazione (cfr.: G. F. W. Hegel).
Né era per gli Antichi pensabile di valicare tali limiti nella genesi
dei viventi.
Archeologia dell’idea di sviluppo (3)
Questa fu l’idea di sviluppo di Aristotele, filosofo del IV sec. a. C.,
come ha sottolineato lo storico della filosofia ottocentesco,Wilhelm
Windelband, il quale intitola: «Sistema dello sviluppo», il capitolo
dedicato ad Aristotele della sua Storia della filosofia.
In Metaphysica, IX, 8, Aristotele aveva dato una rappresentazione
finalistico-genetica del movimento evolutivo naturale, sintetizzabile
nella dottrina della superiorità dell’essere in atto sull’essere in
potenza.
Tale dottrina comportava che ogni movimento di genesi naturale
andasse inteso come di “attuazione” dello stadio maturo o finale del
vivente in evoluzione, i cui caratteri si trovavano naturalmente
iscritti nel suo stato iniziale, tramite l’opera generativa dei “genitori”
e così dettavano la via e i limiti dello sviluppo attuativo.
Archeologia dell’idea di sviluppo (4)
E’ nel XVIII sec. che, complici la crisi della metafisica e
dell’atteggiamento contemplativo antico e medievale, ad
essa proprio, e il diffondersi della sensibilità naturalisticoevoluzionistica, si assiste a una curiosa integrazione della
rappresentazione antica dello sviluppo, che lo intendeva
come semplice genesi, ovvero maturazione di ciò che
c’era nello stato germinale e nulla più.
Ora, infatti, sullo sviluppo come genesi naturale, codificato
da Aristotele, si applica, a potenziarlo illimitatamente e ad
orientarlo in senso antropologicamente positivo, l’attività
“morale” dell’uomo.
L’economia politica
al posto della metafisica (1)
Già in Jean Bodin e negli economisti del mercantilismo* si poteva
trovare una valorizzazione dell’azione economica umana per lo
sviluppo.
Solo nel XVIII sec. però i Fisiocratici,* raccolti intorno al
Quesnay,* espliciteranno l’idea secondo la quale nei fenomeni
economici viene in luce un “ordine naturale” non deterministico,
ma anzi affidato nel suo compimento all’umana iniziativa: esso
può infatti essere conosciuto e perseguito con efficacia dagli uomini,
che possono istituire appropriate regole per il comportamento delle
società umane e instaurarvi un adeguato ordre positif.**
**P. P. Mercier De La Riviere, L’ordre naturel et essentiel des sociétés politiques,
P. Genthner, Paris 1910, p. 355.
* Cercare su Wikipedia!
L’economia politica al posto
della metafisica (2)
Si può perciò elaborare, secondo Dupont De Nemours* una
“scienza dell’ordine naturale” come quella illustrata dal Tableau
Economique di Quesnay (1758) o recepita dalle Refléxions sur la
formation et la distribution des richesses di Turgot (1776) .*
Se è vero, infatti, che gli uomini non possono penetrare nei
disegni dell’Essere Supremo né comprendere per quali fini Egli
ha istituito le regole immutabili che presiedono alla formazione e
conservazione della sua opera, è nondimeno verificabile che:
* Cercare su Wikipedia!
L’economia politica al posto della metafisica (3)
“se esaminiamo queste regole con attenzione si nota almeno che le
cause fisiche degli svantaggi fisici sono esse stesse le cause dei
vantaggi fisici, che la pioggia che disturba il viaggiatore, rende
fertile le terre; e se si procede ad un calcolo, liberi da ogni
prevenzione, si vedrà che queste cause producono infinitamente
più bene che male, e che esse sono istituite per il bene; che il male
che esse causano incidentalmente risulta necessariamente
dall’essenza stessa delle proprietà mediante le quali operano il
bene […] Il bene fisico e il male fisico, il bene morale e il male
morale hanno dunque evidentemente la loro origine nelle leggi
naturali […] L’uomo dotato di intelligenza ha la prerogativa di
poterle contemplare e conoscere per trarne il più grande vantaggio
possibile, senza essere refrattario a queste leggi e a queste regole
sovrane”.
(F. Quesnay, Le droit naturel, in: François Quesnais et la physiocratie,
INED, Paris 1958, p. 729 e ss.).
L’economia politica al posto
della metafisica (4)
Dunque, pur rimanendo nell’ignoranza dei fini ultimi verso i
quali la divina sapienza orienta il corso cosmico e storico, gli
uomini possono elaborare ed esprimere una logica di ottimalità
da imprimere alla vita, una volta che i comportamenti rivolti a
procurarsi i beni per la sussistenza si sviluppano in conformità alle
leggi naturali e morali volute da Dio e a partire da esse.
E’ chiaro che la concezione naturalistico-genetica antica dello
sviluppo è considerata ormai vetusta e obsoleta, oltre che superata
in quanto inadeguata a rispondere alle nuove esigenze sociopolitiche di arricchimento degli stati nazionali, appena consolidati.
L’economia politica al posto della metafisica (5)
Tuttavia, si ritiene inutile e superfluo applicarsi a re-impostare il
quadro metafisico o di senso, a fronte dei successi pratici di sviluppo
che si conseguono, semplicemente promuovendo la cultura e l’azione
economica.
Nella vita – sembrano ragionare i Fisiocratici e gli uomini del
XVIII sec. - bisogna operare come nel caso di un terreno incolto:
esso è di per sé privo di valore, ed è quindi inutile soffermarvisi con
il pensiero.
Opportunamente trattato, invece, il terreno agricolo sviluppa
valore e diventa interessante per il pensiero economico, che studia
come esso possa sempre più consentire al proprietario terriero di
guadagnare un utile netto, formarsi un capitale e produrre investimenti
finanziari, trainanti per l’intera comunità produttiva, che non a caso
per i Fisiocratici si regge sulla classe dei proprietari terrieri.
L’economia politica al posto della
metafisica (6)
Ciò che venne del tutto sottostimato in tale apertura di
entusiasmanti scenari di trasformazione, dai quali gli uomini
concreti potevano ragionevolmente attendersi effettivi e
generalizzati miglioramenti della vita, è il fatto che, alla loro
origine, c’era comunque un nuovo modo di essere che si faceva
strada nell’essere, guadagnando un primo piano che fino ad allora
non aveva mai avuto.
La nuova scienza economico-politica e la conseguente
promozione dello sviluppo in termini di delineazione delle vie di
incremento della ricchezza delle nazioni, che essa comportava,
presupponeva, infatti, l’avvenimento di una vera e propria
innovazione metafisica.
L’evento metafisico
all’origine dello sviluppo moderno
L’evento metafisico che ha spianato la via ad un’idea profondamente
rinnovata di sviluppo e che resta misterioso quanto alla sua causa, è
stato, secondo Max Scheler,* l’emergere di una “nuova volontà di
potenza e di lavoro, rivolta alla natura, di una nuova società
nascente” (Conoscenza e lavoro, tr. it. di L. Allodi, Angeli, Milano
1997, p. 101).
In altre parole, dal seno della totalità ontologica che fino ad allora
l’aveva ospitato e che egli si era limitato a “teorizzare”/contemplare,
l’uomo si fa ora avanti quale essere che non solo vuole conoscere
ciò che è, come l’antico sapiente metafisico, ma che vuole anche
produrre ciò che desidera, piegando la conoscenza all’intento
pratico di operare trasformazioni del reale che incrementino lo
sviluppo naturale in senso antropologicamente soddisfacente.
* Cercare su Wikipedia!
L’economia politica al posto della
metafisica (7)
Degli effetti positivi del nuovo corso spirituale si ebbe ampia
consapevolezza nel XVIII sec. e di essi si volle godere
pienamente.
Sul principio che vi avrebbe sovrainteso, invece, si preferì
non indagare, forse per evitare di sottrarre energie alla pratica
stessa dello sviluppo, così brillantemente avviatasi, una volta
abbandonata la priorità metafisica.
Solo molto più tardi, nel XX sec., e per causa di forza
maggiore, con l’affermarsi del pensiero della crisi e poi di quello
post-metafisico, anche la novità metafisica all’origine
dell’economicismo moderno comincerà ad essere posta a tema.
L’economia politica al posto della
metafisica (8)
Proprio un atteggiamento tutto teso alla pratica dello sviluppo
e ultimamente incurante di come mai tale pratica sia
“improvvisamente” divenuta agibile, sembra segnalare il ricorso da
parte di Adam Smith alla metafora della “mano invisibile”.
In tale metafora si esprime una sorta di “newtonianesimo*
morale”** che, semplicemente dichiarando conforme alla natura,
ovvero razionale e morale, l’esigenza di conseguire l’utilità
economica, conferiva legittimità alle imprese e alle riflessioni più
ardite volte a moltiplicare e diffondere la ricchezza.
** U. Meoli, Lineamenti di storia delle idee economiche, UTET, Torino 1991, p.
162.
* Cercare su Wikipedia!
L’economia politica al posto
della metafisica (9)
Si prospetta così, in Adam Smith, una situazione paradossale:
da un lato, egli attribuisce la formazione e l’incremento della
ricchezza delle nazioni al fattore umano, in particolare al lavoro
e all’avvento della sua configurazione industriale di divisione,
più produttiva ma anche più disumanizzante;
dall’altro, egli confida per il successo ultimo dello sviluppo, così
indotto, nell’opera armonizzatrice di una “mano invisibile” e
ignota (mercato e organizzazione del lavoro), che fa
provvidenzialmente volgere a vantaggio di tutti quanto è mera
espressione dell’interesse individuale.
L’economia politica al posto
della metafisica (10)
Fin dall’origine smithiana emerge, dunque, nella concezione
moderna dello sviluppo, una frizione irrisolta tra il fattore
umano, industrioso e creativo ma ultimamente inadeguato a
padroneggiare l’essere, e un fattore extra-umano, come il
mercato o l’organizzazione del lavoro, su cui, nello stesso
tempo, appoggiarsi.
Thomas Robert Malthus (1766-1834)*
Tale frizione tra fattore umano (soggettivo) e fattore naturale
(oggettivo) è segnalata anche da T. R. Malthus nel suo saggio:
An Essay on the Principle of Population (1798)
CHAPTER XVI.
Probable error of Dr. Adam Smith in representing every increase of
the revenue or stock of a society as an increase in the funds for the
maintenance of labour-Instances where an increase of wealth can
have no tendency to better the condition of the labouring poorEngland has increased in riches without a proportional increase in
the funds for the maintenance of labour-[…]
* Cercare su Wikipedia!
T. R. Malthus (1)
Thomas Robert Malthus vedeva il conseguimento della
ricchezza delle nazioni non come una marcia inarrestabile
dal meno al più, ma come una marcia di avvicinamento
all’inevitabile catastrofe, determinata dal principio di
popolazione, in base al quale ogni aumento del salario
reale si traduceva in un aumento di popolazione.
Ralph Waldo Emerson lo criticò così:
“Malthus, affermando che le bocche si moltiplicano
geometricamente e il cibo solo aritmeticamente, dimenticò
che la mente umana è anch’essa un fattore nell’economia
politica e che i crescenti bisogni della società sarebbero
stati soddisfatti da un crescente potere d’invenzione”
Rimandi
Le
slides
che
seguono
rappresentano i termini dei
contenuti nelle slides precedenti.
(24-30)
rimandi
Tali rimandi si raggiungono direttamente
dalla forma <Presentazione>
H. Jonas: dal vivo al morto
«…la riflessione primitiva […] la metafisica in forma di mito
e di religione […] cerca di risolvere la contraddizione
fondamentale, per cui tutto è vita e tutta la vita è mortale. Essa
accetta la sfida radicale e per salvare la totalità delle cose nega la
morte […] l’essere è solo comprensibile, solo reale in quanto vita;
e la presagita costanza dell’essere può essere intesa unicamente
come costanza della vita, oltre la morte. […] Il pensiero moderno,
che inizia con il Rinascimento, si trova nella situazione teoretica
esattamente opposta: ciò che è naturale e comprensibile è la morte,
problematica è la vita. […] Quel che, allo stadio dell’animismo,
non era stato nemmeno scoperto ha invaso nel frattempo la totalità
della realtà. L’universo tremendamente ingrandito della moderna
cosmologia è un campo di masse inanimate e di forze senza meta,
i cui processi si svolgono a seconda della loro distribuzione
quantitativa nello spazio in base a leggi di invarianza» (p. 17).*
*H. Jonas, Organismo e libertà. Verso una biologia filosofica, tr.
it. di A. Patrucco Becchi, Einaudi, Torino, 1999.
G. W. F. Hegel
«Il fatto è che l’opinione (Meinung), scorgendo nella diversità
unicamente la contraddizione, è incapace di concepire la diversità fra
sistemi filosofici come sviluppo progressivo della verità (die
fortschreitende Entwicklung der Wahrheit). La gemma scompare quando
sboccia il fiore, e si potrebbe dire che ne viene confutata (widerlegt
wird); allo stesso modo, quando sorge il frutto, il fiore viene per così
dire, denunciato come una falsa esistenza (wird für eine falsche Dasein
erklärt) della pianta, e il frutto subentra (tritt) al posto del fiore come sua
verità. Ora queste forme non sono semplicemente differenti l’una
dall’altra, ma l’una soppianta l’altra in quanto sono reciprocamente
incompatibili. Nello stesso tempo però, la loro natura fluida le rende
momenti dell’unità organica, in cui non solo non entrano in contrasto, ma
sono necessarie l’una quanto l’altra; e soltanto questa pari necessità
costituisce la vita del Tutto (macht erst das Leben des Ganzen aus)».
*G.F.W. Hegel, Fenomenologia dello Spirito, tr. it. di V. Cicero, Rusconi,
Milano, 1995, pp. 50-51.
Aristotele
Metaphysica, l. IX (Θ), 8, 1049b 4-12:
«…risulta evidente che l’atto è anteriore alla potenza
(πρότερον ενέργεια δυνάμεώς εστιν) […] non solamente della
potenza nel significato, sopra precisato, di principio di
mutamento (αρχή μεταβλήτική) in altro o nella cosa stessa in
quanto altro, ma, in generale di ogni principio di movimento o di
inerzia (πάσης αρχής κινητικής ή στατικής). Infatti anche la
natura (φύσις ) appartiene allo stesso genere cui appartiene la
potenza, perché anch’essa è principio di movimento, ma non in
altro, bensì nella cosa stessa in quanto tale. Ora di ogni potenza
intesa a questo modo l’atto è anteriore 1) secondo la nozione; 2)
secondo la sostanza; 3)invece secondo il tempo l’atto a) in un
senso è anteriore e b) in un altro senso non è anteriore».
La “mano invisibile” di Adam Smith
"Il prodotto dell'attività produttiva è ciò che essa aggiunge alle cose o ai
materiali su cui viene esercitata. A seconda che questo valore sia grande o
piccolo, i profitti dell'imprenditore saranno grandi o piccoli in proporzione. Ma
è solo per la ricerca del profitto che una persona impiega il suo capitale a
sostegno dell'attività produttiva; ed egli, per questo, cercherà sempre di
impiegarlo a sostegno di quella attività il cui prodotto abbia probabilmente il
massimo valore, che si scambi cioè con la massima quantità di denaro e di
altre merci […] In effetti un individuo non intende, in genere, perseguire
l'interesse pubblico, né è consapevole della misura in cui lo sta perseguendo
[…] Quando orienta la propria attività in modo tale che il suo prodotto sia il
massimo possibile, egli mira solo al suo proprio guadagno ed è condotto da
una mano invisibile, in questo come in altri casi, a perseguire un fine che
non rientra nelle sue intenzioni. Né il fatto che tale fine non rientri sempre
nelle sue intenzioni è sempre un danno per la società. Perseguendo il suo
interesse, egli spesso persegue l'interesse della società in modo molto più
efficace di quando intende effettivamente perseguirlo. Io non ho mai saputo
che sia stato fatto molto bene da coloro che affettano di commerciare per il
bene pubblico"
(A. SMITH, LA RICCHEZZA DELLE NAZIONI", ed. Newton, 1995, p. 391)
La rivoluzione industriale
Nelle vecchie corporazioni artigiane, l'unità occupazionale era il
lavoratore individuale; il suo lavoro era essenzialmente fatto a mano
ed egli, di solito, eseguiva tutte le operazioni necessarie per la
produzione di un singolo oggetto.
L'introduzione delle macchine determinò una situazione del tutto
diversa.
Il processo lavorativo veniva ora frantumato in una serie di
operazioni divise, ciascuna delle quali era eseguita da individui che in
essa si specializzavano.
La descrizione classica della nuova tecnica fu data da Adam
Smith* nel primo capitolo della sua opera Ricerca sopra la natura e
le cause della ricchezza delle nazioni (pubblicata il 9 marzo 1776), in
cui descrive una fabbrica di spilli.
*Per saperne di più cerca su Wikipedia!
Il lavoro nella fabbrica (1)
«Un operaio non addestrato a questa manifattura, che la
divisione del lavoro ha reso un mestiere speciale e che non
conosca l'uso delle macchine che vi si impiegano,
l'invenzione delle quali è stata probabilmente originata dalla
stessa divisione del lavoro, potrà a malapena, applicandosi
al massimo, fabbricare un solo spillo al giorno, e certamente
non ne potrà fabbricare venti. Ma, nel modo in cui si esegue
ora tale fabbricazione, non soltanto essa è un mestiere
speciale, ma si divide in molti rami, la maggior parte dei quali
è analogamente un mestiere speciale. Un uomo tira il filo di
metallo, un altro lo tende, un terzo lo taglia, un quarto lo
appunta, un quinto lo arrotola alla estremità in cui deve farsi
la testa; farne la testa richiede due o tre operazioni distinte,
collocarla è un'operazione speciale, pulire gli spilli è un'altra
e un'altra ancora è disporli dentro la carta;…………………….
Il lavoro nella fabbrica (2)
….e in tal modo l'importante mestiere di fare uno spillo si
divide in circa 18 operazioni distinte, che in alcune fabbriche
sono tutte eseguite da operai distinti, benchè in altre fabbriche
lo stesso uomo ne eseguirà talvolta 2 o 3.
Ho visto una piccola fabbrica di questo genere, che occupava
soltanto 10 uomini e nella quale, di conseguenza, ciascuno di
loro eseguiva 2 o 3 operazioni diverse. Ma sebbene essi
fossero assai poveri, e perciò non disponessero di tutte le
macchine necessarie, pure, quando si impegnavano potevano
fabbricare complessivamente 12 libbre di spille al giorno. Una
libbra contiene oltre 4.000 spilli di media grandezza. Quelle 10
persone potevano dunque fabbricare assieme oltre 48.000
spilli al giorno».