La via per accelerare i processi biologici ENZIMI Sono delle proteine altamente specializzare con attività catalitica, accelerano le reazioni chimiche rimanendo inalterati al termine della reazione stessa. La loro struttura, come quella delle proteine, è molto complessa e caratterizzata da una ben precisa configurazione tridimensionale con ripiegamenti, rientranze e sporgenze. Il sito attivo dell’enzima è un regione (estremamente piccola della molecola) a forma di fessura o di tasca che istaura legami con il substrato. E’ costituito da pochi residui di amminoacidi con una configurazione spaziale ben definita, complementare a quella del substrato con cui interagisce. Per l’interazione enzima substrato è stato suggerito il modello chiave serratura: La maggior parte degli enzimi portano nella loro molecola una parte non proteica. In questo caso l’enzima intero prende il nome di oloenzima, la componente proteica di apoenzima, la non proteica di gruppo prostetico Se il gruppo prostetico è facilmente dissociabile dall’apoenzima esso prende il nome di coenzima. La nomenclatura e la classificazione degli enzimi si basa sul tipo di reazione catalizzata, si hanno così 6 classi di enzimi: All’interno delle classi gli enzimi vengono generalmente classificati in base al nome del substrato specifico DIFFERENZE TRA ENZIMI E CATALIZZATORI INORGANICI Gli enzimi si distinguono dai comuni catalizzatori inorganici per le seguenti significative caratteristiche: Peso molecolare Specificità Potere catalitico A differenza dei catalizzatori della chimica inorganica che sono composti molto semplici spesso anche semplici atomi, gli enzimi sono molecole proteiche e, pertanto, espressione dei geni. Sono caratterizzati da un peso molecolare molto alto e da una configurazione tridimensionale piuttosto complessa, articolata nelle quattro strutture proprie delle proteine. Diversamente dai catalizzatori inorganici che molto spesso si comportano da pas-partout e catalizzano numerose reazioni anche molto diverse tra loro, gli enzimi sono altamente specifici sia verso il substrato sul quale agiscono, sia verso il tipo di reazione che catalizzano. La maggior parte di enzimi agisce su di un unico substrato o su un numero molto limitato di composti. Gli enzimi accelerano le reazioni almeno di un milione di volte. ENERGIA DI ATTIVAZIONE Perché una reazione chimica possa avvenire, si devono rompere i legami preesistenti e si devono eventualmente formare nuovi legami. Consideriamo una popolazione di molecole R-X che devono reagire per formare il prodotto R+ X-. Affinché una reazione chimica avvenga è necessario: • le molecole si urtino • urto efficace, nel senso che le molecole che si urtano devono avere un contenuto energetico tale da permettere loro di formare il complesso attivato (R+--- X -) ad alto contenuto energetico e bassa stabilità. Il livello energetico a cui è localizzato il complesso attivato si chiama stato di transizione. La differenza di energia tra i reagenti e lo stato di transizione viene detta energia di attivazione (Ea). Ea rappresenta quindi una barriera energetica che i reagenti devono superare per trasformarsi nei prodotti. Il tutto può essere simpaticamente rappresentato come un sasso (reagente) che per arrivare a valle (prodotto) deve superare la montagna (Ea) Maggiore è il numero di molecole R-X capaci di formare, nell’unità di tempo, il complesso attivato maggiore sarà la velocità di reazione. La velocità di reazione è definita come la quantità di sostanza consumata o prodotta nell’unità di tempo: v = dc/dT Una reazione chimica può essere accelerata aumentando la temperatura. Infatti aumentando la T aumenta l’energia cinetica delle particelle aumenta il numero degli urti efficaci tra le molecole un maggior numero di particelle, nell’unità di tempo, formerà il complesso attivato. CATALISI ENZIMATICA Un altro modo per accelerare una reazione è quello di aggiungere un enzima (E). E si lega alle molecole R-X per formare il complesso attivato (E-R+---X-) il cui stato di transizione è più basso rispetto a quello della reazione non catalizzata. Così alcune molecole di R-X che prima non erano in grado di reagire, adesso legandosi a E entrano nello stato di transizione (più basso) per formare i prodotti. Gli Enzimi catalizzano tutte le reazioni che avvengono nell’ambiente cellulare dove le condizioni di temperatura e concentrazione esistenti comporterebbero tempi di reazione molto lunghi. Come si misura la velocità di una reazione catalizzata La velocità di reazione è definita come la quantità di sostanza consumata o prodotta nell’unità di tempo. Un altro modo per esprimere la velocità di una reazione catalizzata è il numero di turnover. Esso indica il numero di molecole di substrato che reagiscono con una sola molecola di enzima nell’unità di tempo. La velocità di reazione cambia da enzima ad enzima ed è caratteristica di ognuno di essi. Concentrazione [P] [S] vo Andamento nel tempo di una reazione enzimatica misurata come comparsa del prodotto (P) o scomparsa del substrato (S). La linea tratteggiata tangente alla curva rappresenta la velocità iniziale v0 Tempo All’inizio quando è praticamente presente tutto il substrato la velocità segue un andamento rettilineo (v0), a mano a mano che il substrato viene consumato la velocità rallenta fino a raggiungere un plateau quando tutto il substrato è stato convertito in prodotto. La velocità di una reazione catalizzata è influenzata dai seguenti fattori Concentrazione del substrato Concentrazione dell’enzima Temperatura pH Inibitori CONCENTRAZIONE DEL SUBSTRATO A parità di altre condizioni (temperatura, concentrazione di enzima, pH, ecc.) riportando in grafico la concentrazione di substrato in funzione della v0 si ottiene una curva iperbolica. Si osserva che, nel primo tratto della curva (rettilineo) la v0 è direttamente proporzionale alla concentrazione di substrato (aumentando la concentrazione di S aumenta proporzionalmente il numero di molecole che formano il complesso ES). Una volta raggiunta una certa concentrazione di S la v0 cresce più lentamente fino a raggiungere un valore massimo quando tutto l’enzima è saturato dal substrato e pur continuando ad aumentare la concentrazione di S la v0 rimane costante (Vmax). E’ possibile risalire alla velocità di una reazione enzimatica dall’equazione v0= Vmax [S] / [S] + Km proposta dai due studiosi Michaelis e Menten. Nell’equazione, v è la velocità di reazione, Vmax la velocità massima, [S] la concentrazione del substrato e Km è la costante di Michaelis-Menten. Km corrisponde alla concentrazione di S alla quale la velocità è = Vmax/2 Equazione di Michaelis-Menten Vmax [S] v0 = Km + [S] A basse concentrazioni di substrato, quando [S] è molto più piccola di Km e quindi trascurabile, si ha v0 = Vmax [S] / Km cioè, la velocità è direttamente proporzionale alla concentrazione del substrato. Ad alte concentrazioni di substrato, quando [S] è molto più grande di Km, Km diventa trascurabile e si ha v0 = Vmax, cioè, la velocità è la massima, indipendentemente dalla concentrazione del substrato. I valori di Km variano moltissimo da enzima ad enzima ed esprimono l’affinità che l’enzima ha per il substrato. Osservando la posizione di Km sul grafico velocità contro concentrazione di substrato, si può notare che se Km è bassa, in ogni istante è necessaria una bassa concentrazione di substrato per saturare metà delle molecole di enzima e questo è segno di alta affinità dell’enzima per il substrato, mentre se Km è alta, occorre una più alta concentrazione di substrato per saturare metà delle molecole di enzima in ogni istante e questo vuol dire che l’enzima presenta bassa affinità per il substrato. Il valore di Km è indipendente dalla concentrazione dell'enzima e dalla concentrazione del substrato. Per un calcolo più accurato della Vmax e della Km è opportuno trasformare matematicamente l’equazione di Michealis-Menten facendo il reciproco di entrambi i lati dell’equazione Vmax [S] v0 = Km + [S] ………… 1 v0 = KM 1 Vmax [S] + 1 Vmax Si ottiene il grafico dei doppi reciproci (o grafico di Lineweaver-Burk) mediante il quale la curva iperbolica viene convertita in una retta CONCENTRAZIONE DELL’ENZIMA Km è indipendente dalla concentrazione dell’enzima v0 La velocità iniziale v0 di una reazione enzimatica è direttamente proporzionale alla concentrazione dell’enzima. 5 Unità enzimatica: quantità di enzima capace di trasformare una mmole di S in 1 minuto a 25 °C nelle condizioni ottimali del saggio. È quindi possibile misurare l’attività di un enzima (cioè la sua concentrazione espressa come unità per volume o per g di peso fresco o secco) mediante una misura della Vo ed in particolare della Vmax. Tali misure si effettuano utilizzando una concentrazione saturante di substrato ( 5 volte la Km quando la vo=Vmax) e monitorando la reazione nei primi minuti, quando tutto il substrato è praticamente disponibile. TEMPERATURA La velocità delle reazioni enzimatiche varia col crescere della temperatura secondo il grafico a campana riportato. Si può osservare che, inizialmente, la velocità cresce al crescere della temperatura, raggiunge un massimo in corrispondenza di una certa temperatura definita ottimale, si riduce, in seguito, per effetto della denaturazione dell’enzima. pH Come la variazione della temperatura, in modo un poco più complesso, anche la variazione del pH influenza la velocità delle reazioni enzimatiche. Anche in questo caso, la curva presenta un andamento a campana e l’attività enzimatica manifesta un massimo in corrispondenza di un valore definito pH ottimale legato alla natura del substrato. Inibitori In molti casi, molecole specifiche o ioni possono competere con le molecole di substrato nel legarsi con l’enzima ed inibire l’attività dell’enzima. L’inibizione può essere irreversibile e reversibile. IRREVERSIBILE E’ irreversibile quando l’inibitore si va a legare al sito catalitico dell’enzima con un legame molto forte, impedendo l’accesso del substrato. I+E Ki EI inattivo Un esempio di inibizione irreversibile è dato dall’azione dei gas nervini che bloccano l’azione dell’enzima acetilcolinesterasi, un enzima che ha un ruolo importantissimo nella trasmissione degli impulsi nervosi. REVERSIBILE L’inibizione reversibile può essere competitiva, quando gli inibitori sono, da un punto di vista chimico, molto simili alle molecole di substrato e si legano agli stessi siti attivi, e non competitiva, quando gli inibitori si legano a siti dell’enzima diversi da quelli che legano il substrato e, pertanto, possono legarsi sia all’enzima che al complesso ES. COMPETITIVA L’inibitore possiede una struttura molto simile a quella del substrato la similitudine porta il substrato e l’inibitore a competere per lo stesso sito attivo dell’enzima. L’esito della competizione dipende dalla concentrazione delle due molecole che si contendono il sito attivo Può essere completamente rimossa aumentando notevolmente la concentrazione di substrato NON COMPETITIVA L’inibitore si lega all’enzima in una zona diversa da quella del sito attivo dando luogo al complesso EI inattivo. Il legame dell’inibitore deforma la conformazione spaziale dell’enzima ed il suo sito catalitico pur potendosi legare al substrato risulta inattivo. E’ possibile distinguere la inibizione competitiva da quella non competitiva 1/Vmax 1/Vmax In presenza di inibitore per ottenere la stessa velocità di reazione che in sua assenza, è necessario aumentare la concentrazione di substrato. La Vmax rimane invariata (infatti a concentrazione elevata di substrato tutta l’inibizione viene rimossa) mentre la Km aumenta 1/Km diminuisce. A qualsiasi concentrazione di substrato la velocità di reazione in presenza di inibitore è sempre minore che in sua assenza. Quindi la Vmax diminuisce 1/Vmax aumenta, mentre la Km rimane costante. Biosensori Dr. Giulia Volpe Prof. Giuseppe Palleschi Dipartimento Scienze e Tecnologie Chimiche Università di Roma Tor Vergata La chimica può essere divisa in 5 grandi aree Chimica analitica Chimica biologica Chimica fisica Chimica inorganica Chimica organica Chimica analitica: Sviluppo di nuovi metodi di analisi Un’area della chimica analitica è la sensoristica: un suo specifico settore è lo sviluppo ed applicazione di sensori chimici, biosensori ed immunosensori per applicazioni nel settore clinico, alimentare ed ambientale. Biosensore Strumento analitico in cui è presente un elemento biologico strettamente connesso o integrato con un trasduttore di segnale. Il materiale biologico è rappresentato da uno o piu’ enzimi, anticorpi, batteri, cellule, tessuti viventi animali o vegetali che interagiscono con il substrato che si vuole determinare e sono responsabili della specificità del sensore. L’interazione del materiale biologico con l’analita da determinare genera un segnale che può essere di tipo elettrochimico potenziometrici amperometrici luminoso (biosensori ottici) calorico (biosensori termici) variazione di massa (biosensori piezoelettrici) Analyte Biological component Transducer Electronics Biosensori elettrochimici Offrono le migliori garanzie per le applicazioni analitiche in termini di sensibilità, riproducibilità e selettività. Sono relativamente facili da assemblare. Possono essere inseriti in celle a flusso per effettuare misure in continuo at-line, on-line o in-line. I tempi di risposta sono dell’ordine di qualche minuto. Possono essere miniaturizzati e costruiti monouso a prezzi estremamente convenienti. come sistemi Principio di funzionamento di biosensori elettrochimici Un biosensore elettrochimico è costituito da: • trasduttore di segnale elettrochimico; • sistema biologico di vario genere. L’affidabilità di questi biosensori deriva da: materiale biologico (enzima, anticorpo etc.) specifico per la specie che si vuole misurare, elettrodo selettivo per il prodotto elettroattivo. Applicabilità in matrici “sporche” dove altri metodi di analisi richiedono lunghi e complicati trattamenti del campione. Biosensori elettrochimici • biosensori potenziometrici che elettrodi a gas e ionoselettivi (ISE); utilizzano biosensori amperometrici basati su elettrodi di platino, oro, grafite, carbone, etc. SENSORI POTENZIOMETRICI ISE Un ISE è costituito da 2 elettrodi di riferimento posti ai due lati di un’opportuna membrana che separa la soluzione contenente lo ione da analizzare da una soluzione interna di riferimento contenente lo stesso ione a concentrazione costante. Ciascun lato della membrana interagisce selettivamente con lo ione (lo scambio più massiccio avviene sul lato della membrana rivolto verso la soluzione più concentrata) e si genera ai due lati della membrana una differenza di potenziale misurata mediante i due elettrodi di riferimento collegati ad un potenziometro. Es.: Elettrodo a vetro per misura del pH Elettrodi potenziometrici In una misura potenziometrica, la relazione che intercorre tra il potenziale misurato e la concentrazione dell’analita in esame è di tipo logaritmico eq. di Nerst E = K + (RT/nF) Log ai E =differenza di potenziale, K =costante di cella, R =costante dei gas T =temperatura assoluta, n =numero di cariche, F =costante di Faraday ai =attività dello ione Esistono elettrodi ISE per K+, Ca2+, NH4+, NO3-, Na+, I- etc. che trovano ampia applicazione nel settore ambientale La misura analitica di questi sensori è compresa nell’intervallo di concentrazione 10-5 – 10-1 mol/L Alcuni elettrodi iono-selettivi (ISE) a membrana come l’elettrodo per la misura del pH, possono essere accoppiati con enzimi (biosensori potenziometrici) capaci di generare o consumare lo ione a cui l’elettrodo è sensibile. Sensori amperometrici Una misura amperometrica consiste nel rilevare una corrente che passa tra due elettrodi (uno di lavoro e l’altro di riferimento) ai quali è stata applicata una differenza di potenziale costante; i due elettrodi immersi in una soluzione costituiscono una cella elettrochimica. Se in soluzione è presente una specie elettroattiva, si misurerà un passaggio di corrente dovuto alla riduzione o ossidazione della specie stessa all’elettrodo di lavoro opportunamente polarizzato ad un prefissato valore di potenziale. La variazione di corrente è linearmente correlata alla variazione di concentrazione della specie da misurare. I sensori amperometri di piu’ largo impiego sono: elettrodo ad ossigeno, elettrodo ad acqua ossigenata, elettrodi basati su mediatori, elettrodi a NADH. Sono comunemente accoppiati ad enzimi capaci di generare o consumare le specie elettroattive. Elettrodo ad ossigeno Un comune elettrodo ad ossigeno è l’elettrodo di Clark: catodo (elettrodo di lavoro) di platino o d’oro, anodo (elettrodo di riferimento) di Ag/AgCl, separati da una resina epossidica isolata. I due elettrodi sono fissati in un supporto di plastica contenente una soluzione elettrolitica. Il tutto è separato dalla soluzione esterna, in cui verrà addizionato il campione da misurare, da una membrana gas permeabile (membrana di teflon). L’elettrodo di lavoro è mantenuto ad un potenziale di circa -700 mV rispetto all’elettrodo d’argento ed è posto in intimo contatto con la membrana a gas al fine di ottenere una risposta rapida. In queste condizioni si registra una variazione di corrente dovuta alla riduzione dell’ossigeno al catodo secondo la seguente reazione: Pt= catodo O2 + 4H++ 4e- 2 H2O mentre all’anodo Ag/AgCl 4Ag + 4Cl- 4AgCl + 4e- Elettrodo ad ossigeno Il sensore ad O2 può essere accoppiato con un grande numero di enzimi ossidasi immobilizzati su opportune membrane polimeriche che vengono sovrapposte alla membrana di teflon. Come esempio riportiamo il classico sensore sviluppato da Clark e Lyons nel 1962 con l’enzima glucosio ossidasi che catalizza la seguente reazione in due passaggi: Glucosio + Enzina-FAD + H2O acido gluconico + Enzima-FADH2 Enzima-FADH2 + O2 H2O2 + Enzima-FAD La corrente dovuta alla riduzione dell’ossigeno al catodo diminuisce all’aumentare della concetrazione di glucosio in soluzione. Se l’analita da misurare non è substrato di un’ossidasi è possibile utilizzare, in alcuni casi, una sequenza enzimatica che, partendo dall’analita, generi un composto che è substrato di una ossidasi. Rappresentazione schematica di un biosensore ad O2 Sensore ad H2O2 La stessa reazione catalizzata dalla glucosio ossidasi può essere utilizzata per la determinazione del glucosio monitorando la produzione di H2O2 con un sensore specifico per quest’ultima specie. Questo sensore amperometrico ha la stessa configurazione di quello ad ossigeno, in questo caso però la polarità è invertita, + 650 mV, e l’elettrodo di lavoro di platino funziona da anodo, mentre l’elettrodo di riferimento di Ag/AgCl funziona da catodo. La reazione di ossidazione dell’acqua ossigenata all’anodo è la seguente: H2O2 O2 +2H+ +2eLa membrana gas permeabile dell’elettrodo ad O2 viene sostituita con una membrana di acetato di cellulosa che impedisce il passaggio di composti con peso molecolare superiore a 100-150 dalton che potrebbero essere elettroattivi o potrebbero avvelenare gli elettrodi. L’enzima è immobilizzato e tenuto il piu’ vicino possibile all’elettrodo di lavoro, quindi l’H2O2 che si produce dalla reazione enzimatica diffonde attraverso la barriera di acetato di cellulosa, raggiunge l’elettrodo di lavoro e produce un aumento di corrente che è direttamente proporzionale alla concentrazione dell’analita da analizzare. BIOSENSORI ELETTROCHIMICI AMPEROMETRICI O-ring Membrana enzimatica Elettrodo di Supporto lavoro di Pt Membrana di policarbonato Membrana di acetato di cellulosa Elettrodo di riferimento (Ag/AgCl) Sensori basati su mediatori Sensori amperometrici indipendenti dall’O2 utilizzano composti a basso peso molecolare detti mediatori che trasportano elettroni dal centro di ossidoriduzione degli enzimi alla superficie dell’elettrodo. Tornando alla reazione catalizzata dalla glucosio ossidasi la riossidazione del FADH2 viene effettuata dal mediatore secondo la reazione: Enzima-FADH2 + Med ox Enzima-FAD + Med rid + 2 H+ il mediatore ridotto si riossida all’elettrodo di lavoro: Med rid Med ox + 2eLa riossidazione del mediatore genera un segnale di corrente che viene registrata da uno strumento connesso agli elettrodi. Nel caso del ferrocene il potenziale al quale avviene l’ossidazione è <500 mV (vs.Ag/AgCl); tale potenziale è sufficientemente piccolo da evitare significative interferenze da parte di composti elettroattivi che possono essere presenti nel campione. Il mediatore si sostituisce all’O2 in soluzione, e questo, vista la scarsa solubilità dell’ossigeno in acqua, determina un’espansione dell’intervallo di linearità della risposta. Elettrodi a NAD(P)H Un’altra classe di sensori amperometrici è rappresentata dagli elettrodi a NAD(P)H. Tali molecole sono coinvolte in molte reazioni che utilizzano enzimi deidrogenasi. Questi cofattori enzimatici in presenza dell’enzima e del substrato passano dalla forma ossidata NAD(P)+ alla forma ridotta NAD(P)H che viene riossidata: direttamente alla superficie dell’elettrodo di lavoro; interagisce con un mediatore secondo lo schema sottoriportato Substrato Enzima + NAD(P)+ Med.(red) Prodotto Enzima + NAD(P)H Med.(ox) e- IMMOBILIZZAZIONE DEI SISTEMI BIOLOGICI L’immobilizzazione dei sistemi biologici, che ne permette il riutilizzo, può essere di due tipi: fisica, se la proteina è trattenuta fisicamente al supporto; chimica, se tra supporto e proteina si formano veri e propri legami covalenti. L’immobilizzazione fisica comprende le tecniche di intrappolamento in gel (di natura polisaccaridica), incapsulamento, adsorbimento su un supporto insolubile con formazione di legami ionici, polari, legami idrogeno. PROCEDURE DI ANALISI CON SENSORI AMPEROMETRICI Analisi in batch Le analisi vengono effettuate ponendo il biosensore in un’opportuna soluzione tampone posta in una cella, eventualmente termostata, sotto agitazione magnetica per consentire una diffusione costante ed omogenea del substrato verso il biosensore. Il sensore è collegato con un voltamperometro che applica una ddp ai due elettrodi e la misura di corrente viene registrata con un registratore. Quando la corrente di fondo raggiunge un valore stabile aliquote di campione o di soluzioni standard sono addizionate al tampone di misura dove interagiscono con il sistema biologico generando variazioni di corrente che sono correlate alla concentrazione di analita. Schema di sistema in batch Registratore Elettrodo Amperometro Becker Ancoretta Agitatore magnetico Sistema in flusso Il biosensore è inserito in una cella elettrochimica di flusso costituita da due o tre elettrodi. La cella elettrochimica è collegata ad una pompa peristaltica che trasporta tampone ad un’opportuna velocità di flusso. La velocità di flusso influenza l’intensità del segnale, il tempo di risposta ed il rumore di fondo dovuto a variazioni di pressione nella cella. Il flusso ottimale corrisponde compromesso tra questi parametri. a condizioni di Quando la corrente di fondo raggiunge un valore stabile soluzioni standard di analita o di campione preparate nello stesso tampone vengono trasferite alla cella generando variazioni di corrente. Schema di sistema in flusso Schema di sistema FIA In un sistema di analisi FIA (flow injection analysis) una valvola (Rheodyne) viene connessa in serie con un sistema a flusso. Quando la corrente iniziale raggiunge lo stato stazionario, si inietta attraverso la valvola la soluzione di standard o di campione e si registra la variazione di corrente. FLOW INJECTION ANALYSIS (FIA) Pompa Peristaltica Tampone di lavoro Loop Valvola d’iniezione Registratore Scarico Cella Elettrochimica Amperometro