Il problema della natura umana

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Erica Cosentino
Università di Roma “Tor Vergata”
a.a. 2010/11
Titolo del corso:
Mente, linguaggio ed evoluzione
Testi d’esame:
1. Chomsky, N. (1991), Linguaggio e problemi della
conoscenza, Il Mulino, Bologna.
2. Pinker, S. e Bloom, P. (2010), Linguaggio naturale e
selezione darwiniana, Armando Editore, Roma. Oppure:
Pinker, S. (1997), L’istinto del linguaggio, Mondadori,
Milano.
Il problema della natura umana
«Questo contesto presenta due aspetti: la
tradizione della filosofia occidentale e della
psicologia, che si sono occupate della
comprensione della natura essenziale degli
esseri umani, e il tentativo della scienza
contemporanea di affrontare le domande
tradizionali alla luce di ciò che sappiamo o
possiamo sperare di conoscere riguardo
agli organismi viventi e riguardo al cervello»
Chomsky, 1988, trad. it. p. 3
Linguaggio e natura umana
«Di fatto, lo studio del linguaggio è centrale in
entrambi i tipi di ricerca (…). Ci sono varie
ragioni per le quali il linguaggio ha avuto e
continuerà ad avere un significato particolare
per lo studio della natura umana. Una ragione è
che il linguaggio sembra veramente essere una
proprietà unica della specie umana nella sua
essenza e comune alla nostra dotazione
biologica, che presenta variazioni minime tra gli
esseri umani a parte alcune patologie
particolarmente gravi. Inoltre, il linguaggio entra
in modo cruciale nel pensiero, nelle azioni e
nelle relazioni sociali. Infine il linguaggio è
relativamente accessibile allo studio»
Chomsky, 1988, trad. it. p. 4
Due domande sulla natura umana
1. Che cos’è la natura umana?
2. Come riconosciamo gli esseri umani?
«Non si è ancora mai osservato che una bestia sia giunta a tal grado di
perfezione da utilizzare un vero linguaggio, cioè da indicare con la voce o
con segni qualche cosa che potesse riferirsi al solo pensiero e non
all’istinto naturale. La parola, infatti, è l’unico segno certo del pensiero
nascosto nel corpo e di essa si servono tutti gli uomini, anche i più stupidi
e i più insensati, persino quelli che son privi della lingua e dell’organo della
voce, ma non le bestie: essa dunque può essere assunta come la vera
differenza tra gli uomini e i bruti»
Cartesio, Lettera DXXXVII a Henry More, 5 febbraio 1649; trad. it.in Cartesio,
Segno e linguaggio, a cura di C. Stancati, Roma, Editori Riuniti, p. 183.
Darwin VII
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Cosa rende gli esseri umani ciò che sono?
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Papua Nuova Guinea
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Medioevo
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La dissoluzione della natura umana (1)
Natura umana e diversità culturale
«Ho veduto tutti i paesi e gli uomini cambiare; e così, dopo molti
cambiamenti di giudizio nei confronti della vera giustizia, mi sono convinto
che la nostra natura non è se non continuo mutamento, e da allora non ho
più mutato». Pascal, 1669 [1962, p. 132]
«Ho una gran paura che questa natura [la natura umana] sia anch’essa un
primo costume, così come il costume è una seconda natura… Il costume è
la nostra natura» (ibid., p. 116)
Se si guardava all’umanità da questo punto di vista – dal punto di vista
dell’infinità varietà delle forme di vita – poteva sembrare che la mera
identità biologica della specie, l’essere Homo sapiens sapiens, non
implicasse poi granché: a quanto pareva, quell’identità biologica non
vincolava né i nostri concetti né le nostre credenze, non determinava come
erano fatte le nostre famiglie (là dove c’erano famiglie), le nostre religioni
(dove esistevano religioni), i nostri sistemi educativi (per chi ne aveva uno),
i nostri costumi sessuali, nulla di ciò che si era abituati a considerare
propriamente umano.
La dissoluzione della natura umana (2)
Dissociazione tra biologia e cultura
Foucault (1966, Le parole e le cose): «L’uomo è un’invenzione
recente» (p. 398).
«Quel che voleva dire era che l’uomo come oggetto di studio delle
scienze umane era nato da poco più di centocinquant’anni: l’uomo che
non soltanto “vive, parla e produce” (tutte cose che gli uomini fanno
da ben più di un secolo e mezzo), ma si rappresenta la sua vita, il suo
lavoro e il suo linguaggio. L’uomo che è oggetto delle scienze umane,
e di cui Foucault dice che è un’invenzione recente, è un produttore di
cultura; le scienze umane nascono nel momento in cui la produzione di
cultura – l’elaborazione, la fruizione e lo scambio di rappresentazioni di
sé – sequestra l’identità dell’uomo, e l’uomo culturale si dissocia
dall’uomo biologico» (Marconi, 2001, p. 124)
L’uomo di cui parlano le scienze umane non si dà mai nel modo
d’essere di un funzionamento biologico […] esso inizia là dove
cessa, non l’azione o gli effetti, ma l’essere proprio di questo
funzionamento (Foucault, 1966, p. 363)
La dissoluzione della natura umana (3)
«Se l’uomo è essenzialmente un produttore di cultura, ciò
che egli è finisce per dipendere dalla cultura che
produce; se non ci sono oggetti naturali ma solo oggetti
culturali, anche l’uomo è un oggetto culturale, nient’altro
che la più brillante delle sue invenzioni; e anzi non un
oggetto culturale, ma una miriade di oggetti culturali,
tanti quanti sono i progetti di umanità elaborati dalle
singole culture e all’interno di ciascuna di esse. Quindi la
natura umana per un verso si moltiplica nelle forme di
vita umana caratteristiche delle diverse culture, e per
altro verso si svuota di contenuto, diventando una tabula
rasa su cui disegnare ipotesi di umanità che hanno lo
statuto di personaggi letterari»
Il paradigma dell’incompletezza e
la dissociazione tra uomo e animali
Da un punto di vista morfologico – a differenza di tutti i
mammiferi superiori – l’uomo è determinato in linea
fondamentale da una serie di carenze […] Manca in lui il
rivestimento pilifero, e pertanto la protezione naturale dalle
intemperie; egli è privo di organismi difensivi naturali, ma
anche di una struttura somatica atta alla fuga […] manca di
istinti autentici e durante […] l’intera infanzia ha necessità di
protezione per un tempo incomparabilmente protratto. In altre
parole in condizioni naturali, originarie, trovandosi, lui
terricolo, in mezzo ad animali valentissimi nella fuga e ai
predatori più pericolosi, l’uomo sarebbe già da gran tempo
eliminato dalla faccia della terra.
(Gehlen, 1940, trad. it., p. 60)
L’uomo è abissalmente distante dall’animale perché privo di quel
connotato tipico dell’animale che è l’istinto (Galimberti, 1999, p. 35)
Per effetto di questa carenza, l’uomo, per vivere, è costretto a costruire
quel complesso di artifici, o tecniche, capaci di supplire all’insufficienza
di quei codici naturali che, per gli animali, sono gli istinti (ibid., p. 89)
La dissoluzione della natura umana (4)
«Conclusione (…): la varietà delle lingue
testimonia l’indipendenza del linguaggio dalla
biologia; ma una lingua è il cuore di una cultura e il
veicolo – se non l’essenza – di una forma di
pensiero; dunque ciò che nell’uomo è naturale (nel
senso biologico del termine) non determina ciò
che nell’uomo è propriamente umano, il suo
pensiero e la sua cultura. L’espressione “natura
umana” diventa quasi un ossimoro: ciò che è
propriamente umano non è naturale»
(Marconi, 2000, p. 128)
La dissoluzione della natura umana (5)
La mente esteriorizzata
Relativismo culturale e determinismo linguistico
Chomsky: teoria degli universali
Comportamentismo (il ruolo dell’esperienza e la plasticità
degli organismi)
Chomsky: innatismo e modularità
Ipotesi Sapir-Whorf
Determinismo linguistico
(I pensieri delle persone sono determinati dalle categorie
della loro lingua)
Relativismo culturale
(Lingue diverse determinano pensieri diversi)
Da Scienza e linguistica (Whorf, 1956)
Il bersaglio polemico è la “logica naturale”: l’idea che esista
un pensiero puro (fondamento della razionalità)
indipendente dalle forme della sua espressione (la lingua è
un modo di esprimere qualcosa che viene prima e che è
dato autonomamente).
Relativismo culturale e
determinismo linguistico
Cultura “A”
Cultura “B”
Ipotesi Sapir-Whorf
«Il sistema linguistico di sfondo (in altre parole la grammatica) di
ciascuna lingua non è soltanto uno strumento di riproduzione per
esprimere idee, ma esso stesso dà forma alle idee, è il programma e
la guida dell’attività mentale dell’individuo, dell’analisi delle sue
impressioni, della sintesi degli oggetti mentali di cui si occupa. (…).
Analizziamo la natura secondo linee tracciate dalle nostre lingue. Le
categorie e i tipi che isoliamo dal mondo dei fenomeni non vengono
scoperti perché colpiscono ogni osservatore; ma, al contrario, il
mondo si presenta come un flusso caleidoscopico di impressioni che
deve essere organizzato dalle nostre menti, il che vuol dire che deve
essere organizzato in larga misura dal sistema linguistico delle nostre
menti.»
(Whorf, 1956, trad. it. pp. 169-70).
Linguaggio, pensiero, realtà
La suddivisione dello spettro elettromagnetico dipende da
universali percettivi o è il prodotto di una struttura arbitraria
imposta dalle lingue?
Vedere e pensare (1)
Vedere e pensare (2)
Cubi impossibili
L’indefinita plasticità dell’uomo
Il comportamentismo
«Datemi una dozzina di bambini di sana e robusta costituzione, e un ambiente
organizzato secondo i miei specifici principi, e vi garantisco che, prendendo
ciascuno di loro a caso, sarò in grado di farne lo specialista che desidero, sia
esso un medico, un avvocato, un artista, un capoufficio vendite, e, perché no,
anche un mendicante o un ladro. Il tutto senza tener conto dei suoi talenti,
inclinazioni, attitudini, abilità, preferenze e della razza dei suoi antenati»
(Watson, Behaviorism, 1925, pp. 107-08)
Fondato sul presupposto della riducibilità dei termini mentali al
comportamento manifesto (e sulla riducibilità di quest'ultimo allo
schema stimolo-risposta), esso fornisce il criterio cui i ricercatori devono
attenersi nelle loro indagini: l'analisi esclusiva dei comportamenti
osservabili e verificabili intersoggettivamente
S = Sete carenza di
liquidi nel corpo
R = movimento
verso una sorgente
Quanto è importante lo stimolo percettivo?
Il completamento amodale
Il ruolo dei processi di elaborazione interna
dello stimolo esterno
La percezione va sempre oltre
l’informazione data
Eşref Armağan, cieco congenito, (a) disegna il numero
corretto di facce del cubo rispetto al punto di vista ed
elimina le linee nascoste per effetto dell’occlusione delle
facce in primo piano, (b) rispetta il “punto di fuga” tipico
della prospettiva
a
b
Lo stimolo percettivo non è poi così importante…
La questione di Molyneux
«Immaginiamo un uomo nato cieco, ora adulto, al quale si
è insegnato per mezzo del suo tatto a distinguere fra un
cubo e una sfera dello stesso metallo e pressappoco
della stessa grandezza, in modo che sia in grado,
sentendo l’uno e l’altro, di dire qual è il cubo e qual è la
sfera. Supponiamo ora di mettere il cubo e la sfera su un
tavolo, e che al cieco sia data la vista: si domanda se,
mediante la vista e prima di toccarli, egli saprebbe ora
distinguerli e dire qual è il cubo e qual è la sfera?»
(Locke, Saggio sull’intelletto umano, 1694, trad. it. p. 181)
La Questione di Molyneux: risposte
La risposta di Molyneux, fatta propria da Locke, è negativa: «No, perché,
sebbene egli abbia appreso dall'esperienza la maniera in cui un globo o
un cubo agiscono sul suo tatto, non ha tuttavia appreso dall'esperienza
che ciò che agisce sul suo tatto in una data maniera deve agire sulla sua
vista in una data maniera; non sa che l'angolo sporgente del cubo, che
premeva in modo disuguale sulla sua mano, apparirà al suo occhio così
com'è nel cubo» (ivi).
Leibniz può essere considerato come il sostenitore della risposta
positiva al problema: nei Nouveaux essais sur l'entendement
humain (1765) egli sostenne la sostanziale identità delle idee di
cubo e di sfera nel cieco e nel vedente. Per giustificare il fatto che i
ciechi nati possano apprendere la geometria, dobbiamo, secondo
Leibniz, fare riferimento ai principi della ragione comuni a tutti gli
uomini. Soltanto per loro mezzo, infatti, essi riescono a discernere
le figure: «nella sfera non vi sono punti che si differenziano, tutto
essendovi unito e senza angoli, mentre nel cubo vi sono otto punti
distinti da tutti gli altri. Se non vi fosse questo mezzo per
discernere le figure, un cieco non potrebbe apprendere i rudimenti
della geometria mediante il tatto» (Leibniz 1765; tr. it. p. 130)
La critica alla tabula rasa:
le idee innate
Fisica ingenua
Video biological motion
Fisica ingenua
Giovanni Buridano: XIV secolo formula la teoria dell’impetus «Il motore,
muovendo il mobile, gli imprime un impeto e una certa virtù motrice di quel
mobile nella direzione della quale il motore lo muoveva, sia verso l’alto sia
verso il basso, sia lateralmente, sia in cerchio». Gli studenti esaminati
condividevano alcuni punti di questa impostazione. Essi pensavano che
occorresse l’azione continua di una forza per mantenere un oggetto in moto, e
pensavano che il venir meno di quella forza facesse rallentare l’oggetto, con o
senza il concorso degli attriti» (Bozzi, 1990, p. 33).
Fisica ingenua
Baillargeon et al., 1985, Object permanence in five-month-old infants, Cognition, 20, pp. 191-208.
Legge del contatto
Ball (1973), Spelke, Woodwaed,
Philips (1993)
Fase di abituazione
Fase test
Recupero attentivo
Fase di abituazione
Il principio di
coesione
Fase test
Recupero attentivo
*con bambini di quattro mesi
Fisica ingenua
Il principio di continuità
FASE DI ABITUAZIONE
La pallina cade sulla piattaforma
del piano. Dopo un breve periodo
di osservazione, i bambini perdono
interesse.
FASE TEST
Aggiungiamo una piattaforma. Quando la
pallina cade e resta sulla piattaforma, i
bambini non mostrano stupore.
RECUPERO ATTENTIVO
la pallina cade tra la prima e la seconda
piattaforma. I bambini mostrano maggiore
interesse quando osservano un evento
impossibile.
Il principio di continuità
FASE DI ABITUAZIONE
La palla rotola fino alla parete.
FASE TEST
La palla arresta il suo moto davanti all’ostacolo.
I bambini osservano la scena annoiandosi.
RECUPERO ATTENTIVO
La palla rotola e attraversa l’ostacolo. I bambini
trascorrono molto tempo ad osservare uno scenario
impossibile.
La critica alla tabula rasa:
le idee innate
Psicologia ingenua
Video Heider & Simmel (1944)
Psicologia ingenua
Heider & Simmel
(1944)

Un uomo ha programmato di
incontrare una ragazza, ma la
ragazza arriva con un altro. Il
primo uomo dice al secondo
di andarsene, il secondo dice
al primo di andarsene ma lui
scuote la testa. Allora i due
uomini vengono alle mani e la
ragazza comincia ad avviarsi
verso la stanza per
allontanarsi dalla strada ed
esita, ma infine entra. A
quanto sembra, lei non vuole
stare con il primo uomo.
Si vede un grande triangolo
pieno che entra in un
rettangolo. Entra ed esce da
questo rettangolo e ogni
volta l’angolo e metà di uno
dei lati del rettangolo
formano un’apertura. Poi
compaiono sulla scena un
altro triangolo più piccolo e
un cerchio. Il cerchio entra
nel rettangolo mentre il
triangolo più grande è dentro
al rettangolo (...). (BaronCohen, 1995, trad. it. pp. 5152).
Psicologia ingenua (2)
Quel che è importante per decidere se vale la pena
di difendere la psicologia del senso comune, è se di
fatto se ne può fare a meno. E qui la situazione è
assolutamente chiara. Non abbiamo la minima idea
di come poter spiegare noi stessi a noi stessi, salvo
che in un vocabolario che è saturo di psicologia
delle credenze/desideri. Si è tentati di passare agli
argomenti trascendentali: quel che Kant disse a
Hume degli oggetti fisici vale, mutatis mutandis, per
gli atteggiamenti proposizionali; non possiamo
sbarazzarcene, perché non sappiano come farlo
(Fodor, 1987, trad. it. p. 34).
La rappresentazione dello spazio
Tolman: comportamentismo
o mappa cognitiva
P1
A
P
Esempio: la navigazione nello spazio delle
formiche del deserto
Le rappresentazioni spaziali delle formiche
sono vere e proprie mappe mentali
Illusione di Müller-Lyer
La stanza di Ames
La grammatica della visione
Le leggi della forma: vicinanza, eguaglianza, “forma chiusa”, forma buona,
moto comune, esperienza
G. Kanizsa: La grammatica del vedere (1980), Vedere e Pensare (1991)
La critica alla tabula rasa: Leibniz
Questa tabula rasa di cui si parla tanto non è, a mio
avviso, che una finzione che la natura non tollera, fondata
nelle nozioni incomplete dei filosofi come il vuoto, gli
atomi e la quiete (…), o come la materia prima che si
concepisce senza nessuna forma. (…) Per non dire che
coloro che parlano tanto di questa tabula rasa, non
saprebbero indicare ciò che le rimane dopo averle tolto le
idee (…). Mi si risponderà forse che questa tabula rasa dei
filosofi vuol dire che l’anima non ha naturalmente e
originariamente che delle facoltà nude. Ma le facoltà senza
qualche atto, in una parola le pure potenze degli scolastici,
non sono altro che finzioni che la natura non conosce e
che non si ottengono che facendo delle astrazioni. Poiché
dove si potrebbe mai trovare nel mondo una facoltà che si
fermi alla sola potenza senza esercitare alcun atto?
Il comportamentismo
L’apprendimento del linguaggio
Così come per i movimenti, anche per il linguaggio dobbiamo
elementi fondamentali non appresi: i suoni vocalici non appresi
che il bambino produce dal momento della nascita in poi. «a»,
«u», «uah».
L’apprendimento del linguaggio utilizzando il condizionamento tra
la presentazione di un biberon a un bambino di 5 mesi e lo stimolo
sonoro “da” proferito insieme alla presentazione visiva del biberon
al bambino. La procedura ripetuta più volte ha dato esito positivo:
dopo un ciclo di condizionamento, il bambino diceva “dada” alla
vista del biberon senza che la parola-stimolo veniva pronunciata
dagli sperimentatori.
Il comportamentismo
L’apprendimento del linguaggio
E’ chiaro ora che le abitudini verbali vengono costruite nello
stesso modo delle abitudini manuali. Ricorderete che quando
una serie di risposte (abitudini manuali) è organizzata attorno ad
una serie di oggetti, possiamo attivare l’intera serie di risposte
senza che sia presente la serie originaria di oggetti (ESEMPIO
DELLA MUSICA SUONATA CON LO SPARTITO DAVANTI E POI
SENZA SPARTITO). Ora sapete come spiegare questo
fenomeno,
sapete
infatti
che
la
prima
risposta
muscolare che effettuerete, il primo tasto che pigerete per
iniziare la melodia, diventa il sostituto dello stimolo visivo della
seconda
nota.
Gli
stimoli
muscolari
(cinestetici)
fungono ora da stimoli visivi e l’intero processo si evolve con
regolarità come prima» (p. 228)
ORDINE SERIALE DEL COMPORTAMENTO
«Ora, la stessa cosa si verifica nel comportamento
linguistico. Supponete di leggere dal vostro libretto (…)
la frase «Ora-mi-metto-giù-a-dormire». La vista di «ora»
produce la risposta consistente nel dire «ora», la vista di
«mi» produce la risposta consistente nel dire «mi»
(risposta 2), e così via per tutta la serie. Presto la
semplice risposta consistente nel dire «ora» diventa lo
stimolo motorio (cinestetico) per dire «mi». Ecco
spiegato perché possiamo estraniarci dal mondo degli
stimoli e parlare di immagini e di suoni che hanno luogo
in posti distanti o di cose che si sono verificate anni fa.
Una parola detta casualmente da un passante, una
domanda posta da un amico o anche un’immagine o un
suono attorno a voi possono attivare questa vecchia
organizzazione verbale» (p. 228)
La critica di Chomsky al comportamentismo
La teoria della povertà dello stimolo
Il riferimento alla competenza grammaticale trova nella «povertà dello stimolo» il suo punto di
forza. Nella recensione a Verbal Behavior di Skinner, Chomsky (1959) sostiene che un’analisi
in termini di «stimolo», «risposta» e «rinforzo» è insufficiente a dar conto di ciò che
caratterizza il linguaggio in modo specifico. Rifacendosi al noto articolo di Lashley (1951), The
Problem of Serial Order in Behavior, egli sottolinea l’impossibilità di apprendere la produzione
fonetica di una parola a partire dalla sequenza dei suoni effettivamente ascoltata: a causa dei
diversi tempi di attivazione dei muscoli dell’apparato fonatorio è impossibile infatti stabilire una
relazione univoca tra suono e articolazione. Un caso più interessante ai nostri fini è quello
della struttura sintattica:
«La composizione e la produzione di un enunciato non si risolve
semplicemente nel mettere in fila una sequenza di risposte sotto il controllo
di una stimolazione esterna e di un’associazione intraverbale [poiché]
l’organizzazione sintattica di un enunciato non è qualcosa che si trova
rappresentata in modo semplice e diretto nella struttura fisica dell’enunciato
stesso» (Chomsky, 1959, trad. it. p. 62).
La sintassi (il costituente centrale della competenza grammaticale) è un sistema troppo
complesso per poter essere derivato dall’esperienza. Non è dunque possibile parlare di
apprendimento del linguaggio.
La critica all’ordine seriale del comportamento
Contro la concezione associazionista del comportamento, secondo cui ogni elemento
della serie fornisce l’eccitamento dell’elemento successivo, Lashley (1951) prende in
esame la questione della produzione della parola.
Il pronunciare la parola inglese “right”, ad esempio, «consiste dapprima in
una retroazione ed elevazione della lingua, nell’espirazione di aria e
nell’attivazione
delle
corde
vocali;
in
un
secondo
tempo
nell’abbassamento della lingua e della mandibola; in un terzo tempo
elevazione della lingua fino a toccare la rima dentale, arresto della
vocalizzazione e forzata espirazione di aria con depressione della lingua e
della mandibola. Questi movimenti non hanno alcun ordine intrinseco di
associazione».
La stessa mancanza di una valenza temporale intrinseca degli elementi si ritrova anche
ai successivi livelli di combinazione (quello delle parole in frasi, ad esempio):
«In base a queste considerazioni, è certo che ogni teoria che attribuisce la forma
grammaticale al diretto legame associativo delle parole della frase trascura il
carattere essenziale della parola. I singoli elementi della serie temporale non
hanno in sé una “valenza" temporale nelle loro connessioni associative con altri
elementi. L’ordine è imposto da qualche altro fattore. Questo vale non solo per il
linguaggio, ma per tutti i movimenti fini o successioni di movimenti fini». (Lashley,
1951, trad. it. p. 122)
La critica all’ordine seriale del comportamento
Lenneberg, I fondamenti biologici del linguaggio, 1967
«La complessità di questo meccanismo di regolazione può forse essere resa
più evidente se lo paragoniamo a una grossa centrale di controllo del
movimento di treni» (p. 23).
«Secondo la teoria della catena associativa i movimenti dei singoli treni
sono i segnali per il movimento di altri treni. Secondo la teoria del
meccanismo centrale né i singoli treni né i loro movimenti hanno, di per
sé, influenza sui movimenti di altri treni che li seguono nel tempo; è la
tabella oraria delle partenze che regola l’insieme delle varie attività. I
singoli treni e le loro corse possono essere parte di più programmi
indipendenti. Secondo la prima teoria il macchinista di un treno B
incomincia a muoversi dopo che ha visto arrivare il treno A. Secondo
l’altra teoria, invece, il macchinista B può non utilizzare affatto
l’informazione che gli viene da A dato che questa può essere parte di
un programma differente in cui B non segue A; egli deve necessariamente
ricevere i segnali dal regolatore centrale»
(Lenneberg, trad. it. p. 24).
Serialità e struttura
Principio di dipendenza dalla
struttura
Il principio della dipendenza dalla struttura (2)
Secondo tale principio la conoscenza del linguaggio si basa sulle relazioni strutturali
che sussistono all’interno della frase e non sulla sequenza degli elementi che la
costituiscono. Pur non essendo implicato da alcuna necessità logica, il principio di
dipendenza dalla struttura si presenta come un vero e proprio universale linguistico:
«tutte le operazioni formali conosciute della grammatica inglese, o di
qualunque altro linguaggio sono operazioni dipendenti dalla struttura.
Questo è un esempio molto semplice di un principio invariante del
linguaggio, ciò che potrebbe essere chiamato principio linguistico
formale universale o principio della grammatica universale. Dati questi
fatti, è naturale postulare che l’idea delle operazioni dipendenti dalla
struttura faccia parte dell’innato schematismo applicato dalla mente ai
dati dell’esperienza» (Chomsky, 1971, trad. it. p. 41).
Che il principio di dipendenza dalla struttura venga considerato come una condizione
dell’esperienza linguistica (come un presupposto di tale esperienza) depone in
favore del suo innatismo.
Il problema di Platone
«Come mai gli esseri umani, il cui contatto con
il mondo è così breve, personale e limitato,
sono in grado di avere una conoscenza così
ampia come di fatto hanno?» (p. 5)
«Una variante moderna sarebbe che certi aspetti
della nostra conoscenza e della nostra
comprensione sono innati, cioè parte del nostro
patrimonio biologico, geneticamente determinato
esattamente come quegli elementi della nostra
natura comune che fanno sì che ci crescano le
braccia e le gambe e non le ali» (p. 6)
La critica di Chomsky al comportamentismo
La povertà dello stimolo
Esiste uno scarto considerevole tra l’input e l’output del
processo di acquisizione del linguaggio; il sovrappiù di
informazione contenuto nell’output è fornito dal
parlante/ascoltatore attraverso un’elaborazione
interna che ha modificato l’input.
Un esempio di argomento della povertà dello stimolo:
la formazione delle interrogative
(1) The man is tall
Is the man tall?
(2a) The man who is tall is in the room
(2b) *Is the man who tall is in the room?
(2c) Is the man who is tall in the room?
Creolizzazione
«Comunque venga infine valutata questa spiegazione, il
punto essenziale per la nostra visione d’insieme è che i
bambini ascoltano il pidgin come fosse una lingua
pienamente strutturata – cioè, impongono
un’organizzazione ai dati forniti dall’ambiente
circostante, e si tratta di un’organizzazione che va ben
oltre quella effettivamente presente nelle espressioni
verbali degli adulti dai quali essi apprendono. Ciò
rappresenta una confutazione decisiva dell’idea secondo
cui i bambini apprendono imitando quel che sentono dire
e ‘assorbendo’ (in qualche modo) il linguaggio
dall’ambiente. Dunque, abbiamo trovato un’altra solida
conferma dell’argomento a favore della conoscenza
innata – in base al quale, il bambino contribuisce
attivamente, grazie a potenti risorse interne,
all’apprendimento del linguaggio.»
(Jackendoff, 1993, trad. it. pp. 188-89)
La grammatica universale
«Secondo la dottrina centrale della linguistica cartesiana, i
caratteri generali della struttura grammaticale sono comuni a
tutte le lingue e riflettono certe proprietà fondamentali dello
spirito. (...) Tali condizioni universali non vengono imparate;
esse forniscono piuttosto i principi organizzativi che rendono
possibile l’apprendimento del linguaggio e che devono
esistere se i dati devono condurre alla conoscenza.
Attribuendo tali principi allo spirito, quale proprietà innata,
diventa possibile spiegare il fatto del tutto ovvio che il parlante
di una lingua conosce molte cose che non ha imparato»
(Chomsky, 1966, LC, trad. it. p. 97).
Pinker: il linguaggio è un istinto
«Il linguaggio non è un artefatto culturale che impariamo
così come impariamo a leggere l’ora o a capire come
funziona il governo federale. Il linguaggio è invece un
pezzo a sé del corredo biologico del nostro cervello. Il
linguaggio è un’abilità complessa specializzata, che si
sviluppa spontaneamente nel bambino senza sforzo
conscio o istruzione formale, che viene usato senza la
coscienza della sua struttura logica, che è
qualitativamente lo stesso in ogni individuo e che è
distinto da capacità più generali come l’elaborare
informazioni o il comportarsi in modo intelligente. (…).
Pensare al linguaggio come a un istinto ne capovolge
l’immagine tradizionale, in particolare quella tramandata
dal canone delle scienze umane e sociali. Il linguaggio
non è un’invenzione culturale più di quanto lo sia la
posizione eretta» (1994, trad. it. p. 11).
La facoltà del linguaggio
DATI
FACOLTÀ DEL
LINGUAGGIO
LINGUA
ESPRESSIONI
STRUTTURATE
Ciò che fa di un uomo un uomo
Vaucanson, Parigi 1738
Cosa rifare per rifare l’uomo?
Cartesio:
la differenza qualitativa tra umani e non umani
«Se vi fossero macchine di questa specie, con gli organi e la forma esteriore
di una scimmia o di qualche altro animale senza ragione, non avremmo
alcun mezzo per riconoscere che esse non fossero in tutto della stessa
natura di quegli animali; mentre al contrario, se ve ne fossero di
rassomiglianti ai nostri corpi e capaci d’imitare le nostre azioni il più che
possibile, avremmo sempre due mezzi certissimi per riconoscere che esse
non sarebbero con ciò dei veri uomini. Il primo è che mai potrebbero usar
parole o altri segni che le compongono, come noi facciamo per dichiarare
agli altri i nostri pensieri. (...) Il secondo mezzo è che, anche se esse
facessero molte cose altrettanto bene o forse meglio di alcuno di noi,
sbaglierebbero infallibilmente in alcune altre, lasciando così scoprire che
esse non agiscono per conoscenza ma per disposizione dei loro organi.
Infatti, mentre la ragione è uno strumento universale che può servire in
qualunque occasione, quegli organi invece hanno bisogno di una
particolare disposizione per ogni azione particolare. Ora, da questi due
stessi mezzi si può egualmente conoscere la differenza che passa tra gli
uomini e le bestie; infatti è una cosa assai notevole che non vi sono uomini,
per quanto ebeti e stupidi – che non siano capaci di comporre insieme
diverse parole e di formare un discorso col quale possono far comprendere
i loro pensieri; e al contrario non v’è altro animale, per quanto perfetto e
felicemente dotato, che faccia lo stesso.» (Descartes, Discorso, pp. 98-101).
Cartesio:
la differenza qualitativa tra umani e non umani
«Non si è ancora mai osservato che una bestia sia
giunta a tal grado di perfezione da utilizzare un vero
linguaggio, cioè da indicare con la voce o con segni
qualche cosa che potesse riferirsi al solo pensiero e
non all’istinto naturale. La parola, infatti, è l’unico
segno certo del pensiero nascosto nel corpo e di essa si
servono tutti gli uomini, anche i più stupidi e i più
insensati, persino quelli che son privi della lingua e
dell’organo della voce, ma non le bestie: essa dunque
può essere assunta come la vera differenza tra gli
uomini e i bruti» (Lettera DXXXVII a Henry More, 5
febbraio 1649; trad. it. p. 183).
Il ritorno della natura umana: la differenza
qualitativa
«Per quanto ne sappiamo, il possesso del linguaggio umano è
connesso con un tipo specifico di organizzazione mentale e non
semplicemente con un grado superiore di intelligenza. Sembra
inconsistente la concezione che il linguaggio umano è semplicemente
un caso più complesso di qualcosa che deve essere reperito altrove
nel mondo animale. Ciò pone un problema per il biologo, poiché se le
cose stanno così, questo è un esempio di vera e propria “emergenza”
– cioè, l’apparizione di un fenomeno qualitativamente differente a uno
stadio specifico di complessità di organizzazione. Il riconoscimento di
questo fatto, sebbene formulato in termini completamente diversi, ha
motivato gran parte degli studi classici sul linguaggio condotti da
coloro il cui interesse primario era la natura dello spirito. E mi sembra
che oggi non ci sia un modo migliore o più promettente di esplorare le
proprietà essenziali distintive dell’intelligenza umana, se non
attraverso la ricerca particolareggiata sulla struttura di questo
processo tipicamente umano» (Chomsky, 1972, trad. it. p. 212).
Linguistica cartesiana
CREATIVITA’
«In breve, dunque, l’uomo ha una capacità specifica della
specie, un tipo unico di organizzazione intellettiva, che
non può essere né attribuita a organi periferici né
correlata con l’intelligenza in generale, e che si manifesta
in quello che può essere chiamato l’ “aspetto creativo” del
comune uso linguistico, la cui proprietà consiste
nell’illimitatezza dell’ambito e nell’indipendenza da stimoli.
Così, Descartes sostiene che il linguaggio può essere
usato per la libera espressione del pensiero e per
rispondere adeguatamente in qualsiasi nuovo contesto e
che non è determinato da nessuna associazione fissa tra
gli enunciati e gli stimoli esterni o gli stati fisiologici»
(LC, p. 47).
Il problema di Cartesio
Il problema di come il linguaggio viene usato
nel modo creativo usuale. Si noti che non mi sto
occupando in questo caso di quell’uso del
linguaggio che possiede un vero valore estetico,
che si potrebbe chiamare vera creatività (…).
Ciò che ho in mente è piuttosto qualcosa di più
terreno: l’uso del linguaggio nella vita di tutti i
giorni, con le sue proprietà distintive di novità,
libertà dal controllo dagli stimoli esterni e dagli
stati interiori, coerenza e consonanza con le
situazioni e la sua capacità di evocare pensieri
appropriati in colui che ascolta.
(1988, tr. it. p. 117)
Il problema di Cartesio (2)
Il problema consiste nel fatto che una “macchina” viene
costretta ad agire in una certa maniera entro certe condizioni
ambientali e con i suoi componenti disposti in un certo modo,
mentre un essere umano è solo “incitato e disposto” a
comportarsi in questo modo. Gli esseri umani fanno spesso, o
forse sempre, ciò che vengono incitati o disposti a fare, ma
ciascuno di noi sa, sulla base dell’introspezione, di avere
un’ampia scelta nel farlo (…). La differenza tra essere costretti
ed essere semplicemente incitati e disposti è cruciale (1988, tr.
it. pp. 118-119).
Noi non possediamo ancora un modo per affrontare ciò che risulta
essere un fatto, addirittura un fatto ovvio: le nostre azioni sono
libere e non determinate nel senso che non dobbiamo
necessariamente compiere ciò che siamo “incitati e disposti” a fare;
e se facciamo ciò che siamo incitati e disposti a fare cionondimeno
entra in gioco un elemento di libera scelta (1988, tr. it., p. 125).
Eliminare la libertà
Benjamin Libet
L’intenzione cosciente emerge 350 msec dopo la
comparsa del potenziale di preparazione.
L’azione cosciente inizia a livello neurale come
conseguenza dell’attività neurale, non come sua
causa.
Dualismo cartesiano
La differenza qualitativa della natura umana
Non esiste qualcosa come la “mente di un animale” perché gli
animali sono puramente delle macchine, soggetti a spiegazione
meccanica. Non è possibile in questa concezione che esista una
mente umana distinta da altri tipi di mente o menti umane
costituite in modo differente. Una creatura o è umana o non lo
è; non ci sono “gradi di umanità”, non ci sono variazioni di
sostanza tra gli esseri umani a parte gli aspetti fisici
superficiali (1988, tr. it. p. 119).
Il problema di Cartesio (3)
Cartesio: soluzione metafisica alla creatività del linguaggio
Chomsky: soluzione in riferimento ai limiti intrinseci della
mente umana
Supponiamo che gli esseri umani siano parte del mondo naturale.
Essi hanno chiaramente la capacità di risolvere certi problemi.
Segue allora che non hanno la capacità di risolvere altri problemi
che sarebbero o troppo difficili da maneggiare nelle esistenti
limitazioni di tempo, memoria e così via oppure vanno
letteralmente al di là del dominio della loro intelligenza in modo
intrinseco. La mente umana non può essere nei termini di Cartesio
uno “strumento universale che può servire in tutti i casi”. Questa è
una fortuna, perché se fosse un tal strumento universale,
servirebbe egualmente male in tutti i casi. Non potremmo affrontare
alcun problema con successo (1988, tr. it. p. 127).
Il problema di Cartesio (4)
Ritorniamo ancora al problema di Cartesio. Una ragione possibile
per la mancanza di successo nel risolverlo o anche nel
presentare delle idee sensate in merito ad esso è che non si
trova nei limiti delle capacità intellettuali umane: il problema o è
“troppo difficile”, data la natura delle nostre capacità, o
sorpassa del tutto i loro limiti. C’è ragione di sospettare che le
cose stiano così anche se non sappiamo abbastanza
sull’intelligenza umana o sulle proprietà del problema per
essere sicuri (1988, tr. it. p. 129).
Lo stesso vale per le arti. Un lavoro di vero valore estetico segue dei canoni
e dei principi che sono solo in parte soggetti a scelta umana; in parte essi
riflettono la nostra fondamentale natura. Il risultato è che noi possiamo
provare emozioni profonde – piacere, dolore, eccitazione e così via – in
relazione a certi lavori creativi anche se il modo e il motivo rimangono
ampiamente ignoti. Però, sono proprio le capacità della mente che aprono
queste possibilità che ne escludono delle altre, alcune per sempre. I limiti
della creatività artistica dovrebbero essere, ancora una volta, motivo di gioia
non di dispiacere dal momento che seguono dal fatto che esiste un ricco
dominio di esperienza estetica cui noi abbiamo accesso. (pp. 129-30.)
Natura umana: limiti e implicazioni
Lo stesso vale per i giudizi morali. Quale sia la loro base noi non lo sappiamo
ma possiamo difficilmente dubitare che essi siano radicati nella natura
dell’uomo. […]
Una persona realmente onesta cercherà sempre di scoprire le forme di
oppressione, di gerarchia, dominio ed autorità che infrangono i diritti umani
fondamentali. Una volta che se ne sono superati alcuni, se ne possono
rivelare altri che prima non entravano a far parte della nostra attenzione
consapevole. Arriviamo allora ad una migliore comprensione di chi e di cosa
siamo noi nel profondo della nostra natura e di chi e cosa dovremmo essere
nella nostra vita reale (1988, tr. it. p. 130-1).
È un diritto umano essenziale, radicato nell’”essenza umana”, essere in grado
di elaborare attività produttive e creative sotto il proprio controllo e in solidarietà
con gli altri. Se una persona crea qualche oggetto bello sotto una guida e un
controllo esterni, Humboldt sosteneva, possiamo ammirare ciò che egli fa ma
disprezziamo ciò che egli è – una macchina e non un essere umano nella sua
pienezza. […] Bakunin sostenne che gli esseri umani hanno un “istinto di
libertà” e che un’infrazione di questo tratto essenziale della natura umana è
illegittima (p. 132).
Si potrebbe osservare che ogni forma di impegno nella vita sociale si basa
su assunti circa la natura umana, di solito solamente impliciti (p. 132).
Antidarwinismo
Alcuni problemi hanno ricevuto una spiegazione scientifica soddisfacente, altri no. Il
problema di Cartesio è oltre i limiti della comprensione umana e della capacità degli
scienziati di produrre scienza, ma anche dove c’è convergenza tra tali capacità e verità
riguardo al mondo, tale convergenza è casuale.
Si noti che è un mero frutto della fortuna se la capacità di
produrre scienza, un componente particolare della
dotazione biologica umana, si trova a produrre un
risultato che è conforme, più o meno, alla realtà del
mondo (p. 134)
Charles Sanders Peirce: non si tratta di mera fortuna, ma del
prodotto della evoluzione darwiniana.
Il fatto fondamentale, secondo lui, era che attraverso processi ordinari
di selezione naturale le nostre capacità mentali si sono evolute in modo
tale da essere in grado di trattare con i problemi che sorgono nel
mondo dell’esperienza. Tuttavia questo problema non è cogente (p.
135)
Antidarwinismo (2)
L’esperienza che ha dato forma al corso dell’evoluzione non
offre suggerimenti ai problemi che devono essere affrontati
nelle scienze ed è difficile che la capacità di risolvere questi
problemi abbia costituito un fattore di evoluzione. Noi non
possiamo aggrapparci a questo deus ex machina per spiegare
questa convergenza tra le nostre idee e la verità riguardo al
mondo. Al contrario si tratta di un fortunato accidente il
fatto che esista una tale (parziale) coincidenza, così sembra
(p. 135).
Allo stesso modo, è un fatto puramente casuale che la capacità
umana di parlare produca un risultato che offre delle soluzioni
ad alcuni problemi che sorgono nel mondo dell’esperienza
quali la comunicazione, la condivisione di informazioni, la
cooperazione e così via.
Antidarwinismo (3)
Evoluzione del linguaggio
Possiamo affrontare il problema oggi? Di fatto, si sa poco su
questi temi. La teoria dell’evoluzione spiega molte cose ma ha
poco da dire, per ora, su questioni di questa natura. (…) Nel
caso di sistemi come il linguaggio o le ali non è facile nemmeno
immaginare uno sviluppo della selezione che abbia dato loro
origine. Un’ala rudimentale, per esempio, non è “utile” per il
movimento, anzi è più un impedimento. Perché mai dunque
deve svilupparsi quest’organo negli stadi primitivi
dell’evoluzione? (p. 143)
Gradualismo vs complessità
Dal punto di vista dell’evoluzione il problema del modello
chomskiano è che la GU sembra non ammettere uno
sviluppo attraverso passaggi intermedi di livello più
semplice. È l’argomento usato da sempre dagli
antievoluzionisti: a cosa poteva servire un 5% d’ala o un
5% d’occhio se con un 5% d’ala non si vola e con un 5%
d’occhio non si vede? Allo stesso modo: a cosa può
servire un 5% di GU se con un 5% di GU semplicemente
non si parla? Poiché la GU è un’entità complessa del
tipo tutto-o-nulla, aderire al gradualismo della selezione
naturale significherebbe per Chomsky mettere a
repentaglio il proprio modello del linguaggio.
Complessità ed evoluzione
«Gettate insieme parecchi pezzi di acciaio senza
forma e figura; non si disporranno mai in maniera da
comporre un orologio (...) Delle pietre, della calce e
del legno senza un architetto non eleveranno una
casa. Ma le idee in una mente umana, lo vediamo,
mediante un’economia sconosciuta e inesplicabile si
dispongono in modo da formare il piano di un
orologio o di una casa. L’esperienza prova dunque
che c’è un principio originario di ordine nella mente e
non nella materia». (Hume, Saggi sulla religione
naturale)
William Paley:
“Natural Theology” (1802)
«Supponiamo che attraversando la brughiera io
inciampi in una pietra, e mi si chieda poi come
quella pietra sia arrivata fin lì; potrei rispondere
che, per quanto ne sappia, la pietra sta lì da
sempre, e forse non sarebbe facile cogliere
l’assurdità di questa risposta. Ma supponiamo che
io abbia trovato per terra un orologio, e mi si
chieda come abbia fatto a trovarsi lì. Difficilmente
potrei dare la stessa risposta di prima, e cioè che,
per quanto ne sappia, l’orologio si trova lì da
sempre.»
Complessità ed evoluzione (2)
«Lungi dall’essere una difficoltà insita nel
darwinismo, l’astronomica improbabilità degli
occhi e delle ginocchia, degli enzimi, delle
articolazioni del gomito e di altre meraviglie viventi
è precisamente il problema che qualsiasi teoria
biologica deve risolvere e che soltanto il
darwinismo risolve» (Dawkins, L’orologiaio cieco,
pp. 71-2).
Complessità ed evoluzione (3)
Ecco il punto chiave. La selezione naturale non solo è
un’alternativa scientificamente rispettabile alla creazione
divina: è la sola alternativa che può spiegare l’evoluzione di
un organismo complesso come l’occhio. La ragione per cui la
scelta è così ridotta – Dio o la selezione naturale – è che le
probabilità di ottenere le strutture che hanno le funzioni
dell’occhio mettendo insieme parti di materia sono
estremamente basse. […] Il materiale animale di un occhio
sembra essere stato assemblato con in mente il progetto della
visione – ma in quale mente, se non nella mente di Dio? In
che altro modo il semplice scopo di vedere bene causerebbe
qualcosa che veda bene? Il potere davvero speciale della
selezione naturale è di risolvere il paradosso. Se gli occhi
oggi vedono bene è perché discendono da una lunga
genealogia di antenati che vedevano un pochino meglio dei
loro rivali, cosa che permise loro di riprodursi di più di quei
rivali. I piccoli miglioramenti casuali nella vista furono
trattenuti, combinati e concentrati nei secoli dei secoli, e
generarono occhi sempre migliori (Pinker, 1994, tr. it. p. 353).
Complessità ed evoluzione (4)
Pinker e Bloom (1990):
• La selezione naturale è la sola spiegazione
dell’origine della complessità adattativa;
• Il linguaggio umano mostra un progetto
complesso
per
il
fine
adattativo
della
comunicazione;
• Il linguaggio, dunque, è evoluto per selezione
naturale.
Complessità ed evoluzione (4)
«La totalità delle discussioni in questo libro hanno messo in evidenza
la complessità adattabile dell’istinto linguistico. Esso è composto di
molte parti (...). Queste parti sono realizzate fisicamente in circuiti
nervosi intricati, disegnati da una cascata di eventi genetici
coordinati precisamente nel tempo. Quello che tali circuiti rendono
possibile è un dono straordinario: la capacità di inviare da una testa
all’altra un numero infinito di pensieri precisamente strutturati,
modulando le espirazioni. Il dono è ovviamente utile per la
riproduzione (…). Armeggiate a caso con un circuito nervoso o
improvvisate un apparato vocale e non otterrete un sistema dotato di
queste capacità. L’istinto linguistico, come l’occhio, è un esempio di
ciò che Darwin chiamava «quella perfezione di struttura e coadattamento che giustamente suscita la nostra ammirazione» e che,
come tale, porta il timbro inconfondibile del progettista della natura:
la selezione naturale» (Pinker, 1994, trad. it. p. 354-55).
La mente in una prospettiva evoluzionistica
«Per capire come funziona la mente gli scienziati
cognitivi dovranno individuare i problemi per risolvere i
quali i nostri meccanismi cognitivi e neurali si sono
evoluti» (Cosmides, Tooby,1994, trad. it. 2006, p.10)
«La mente consiste in un insieme di circuiti per
l'elaborazione dell'informazione configurati dalla
selezione naturale per risolvere problemi adattativi
che i nostri antenati cacciatori-raccoglitori hanno
affrontato generazione dopo generazione. Se sappiamo
quali sono stati questi problemi, potremo individuare i
meccanismi in grado di risolverli» (ivi, p.14)
I pennacchi di San Marco
• Approccio naturalista
I pennacchi della cupola centrale della cattedrale di San Marco sono «gli spazi a
forma di triangolo allungato formati dall’intersezione di due archi posti ad angolo
retto, sono dei sottoprodotti architettonici necessari quando una cupola è inserita
su archi tondi (Gould e Lewontin 1979, tr. it. 2006, p. 70)». Gould e Lewontin
hanno utilizzato l’immagine dei pennacchi per indicare come alcune strutture
nascano come un effetto collaterale di altre strutture; in termini biologici, la
metafora serve per indicare che l’adattamento non è l’unica forma attraverso cui si
realizza l’evoluzione.
Adattamento ed exaptation
Gould e Vrba (1982) hanno sostenuto che il termine adattamento è interpretabile
in due modi: come la «genesi storica» delle caratteristiche costruite dalla
selezione naturale per svolgere la funzione che svolgono; come l’«utilità
attuale» di un certo tratto o capacità (le caratteristiche che allo stato presente
aumentano le capacità di sopravvivenza indipendentemente dalla storia della
loro comparsa).
Gould e Vrba (1982, trad. it. pp. 38-9):
«Le piume, nel loro progetto di base, sono exaptation per il volo, ma una
volta che questo nuovo effetto si è aggiunto alla funzione di
termoregolazione come importante fattore di fitness, le piume sono
sottoposte a una serie di adattamenti secondari (alcune volte chiamati
post-adattamenti) per aumentare la loro utilità nel volo (...). La storia
evolutiva di ogni caratteristica complessa comprenderà probabilmente
una miscela sequenziale di adattamenti, exaptation primari e
adattamenti secondari. (...). Ogni struttura cooptata (un exaptation)
probabilmente non comparirà già perfezionata per il suo nuovo effetto.
Essa allora svilupperà adattamenti secondari per il nuovo ruolo».
Il ricorso di Chomsky al concetto di exaptation per sostenere che il
linguaggio non è il prodotto della selezione naturale è infondato
perché tale concetto è perfettamente interpretabile nel progetto
del linguaggio come una forma di adattamento.
Antidarwinismo (4)
Evoluzione del linguaggio
[La facoltà del linguaggio] possiede dei tratti che sono
alquanto inusuali, forse unici nel mondo biologico. In termini
tecnici essa possiede la proprietà di “infinità discreta”. Per
dirlo semplicemente, ogni frase ha un numero fisso di parole:
una, due, tre, quarantasette, novantatré ecc. E non c’è limite
per principio a quante parole possa contenere una frase. Altri
sistemi conosciuti nel mondo animale sono del tutto differenti.
Così il sistema dei richiami delle scimmie è finito; ce ne sono
diciamo quaranta. Il cosiddetto linguaggio delle api, d’altro
canto, è infinito ma non discreto. […] Si tratta semplicemente
di un sistema diverso, su basi interamente differenti.
Chiamarlo “linguaggio” significa semplicemente utilizzare in
modo fuorviante una metafora (Chomsky, 1988, tr. it. p. 145).
Linguaggio, selezione naturale e natura
umana
Dunque il linguaggio differisce in modo radicale
dalla comunicazione animale e artificiale. E
con ciò?
[…] se il linguaggio umano è, come sembra,
unico nel regno animale moderno, le
implicazioni per una spiegazione darwiniana
della sua evoluzione sarebbero le seguenti:
nessuna. Un istinto linguistico posseduto solo
dagli umani moderni non costituisce un
paradosso più di quanto lo costituisca la
proboscide posseduta solo dal moderno
elefante (Pinker, 1994, tr. it. p. 334).
Linguaggio, selezione naturale e natura
umana
Perché gli esseri umani parlanti devono essere considerati
più singolari degli elefanti, dei pinguini, dei castori, dei
cammelli, dei serpenti a sonagli, degli uccelli parlanti,
delle murene che danno la scossa elettrica, degli insetti
che si mimetizzano sulle foglie, delle sequoie giganti,
delle mantidi religiose, dei pipistrelli, o dei pesci di
profondità che hanno una lanterna fuoriuscente dalla
testa? Alcune di queste creature hanno tratti che
possiede solo la loro specie; altre no, a seconda solo del
caso che ha portato all’estinzione i loro parenti. Darwin
ribadiva che tutte le cose viventi sono genealogicamente
imparentate, ma l’evoluzione è discendenza con
modificazione e la selezione naturale ha plasmato la
materia prima dei corpi e dei cervelli in modo da inserirli
in un enorme numero di nicchie differenziate. (Pinker,
1994, tr. it. p. 362)
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