Lo sviluppo della riflessione dogmatica sul Cristo • Con la stesura dell’ultimo testo del NT si chiude la fase costitutiva della rivelazione • Inizia la fase interpretativa: il tempo della Chiesa • La rivelazione progredisce non quanto ai contenuti ma quanto alla comprensione dei contenuti Contesti culturali della Chiesa nascente • il rigido monoteismo giudaico per il quale era • • • inconcepibile una distinzione personale in Dio la cultura ellenistica con il politeismo pagano e le sue dottrine filosofiche le polemiche insorgenti fra le diverse scuole teologiche le nascenti eresie che negavano ora la vera divinità ora la vera umanità ora l’intera realtà stessa di Gesù Cristo Tappe della riflessione dei Concili sul Cristo • Confronto con i diversi negatori della divinità del Cristo: Concilio di Nicea (325). • Negatori della piena umanità di Gesù riaffermata e difesa dal primo concilio di Costantinopoli (381). • Corretta relazione fra umanità e divinità di Gesù:concilio di Calcedonia del 451. La tematizzazione della divinità di Gesù fino al Concilio di Nicea (325) • Un primo tentativo, insufficiente si ha con il subordinazionismo: il Figlio (dio) viene • • subordinato al Padre (il Dio). (ebioniti) Modalismo trinitario di Sabellio: le tre persone modi di rivelazione e non modi di sussistenza: tre maschere in cui si rivela l’unico ed indifferenziato Dio Adozionisti: la Parola di Dio scende su Gesù, come sui profeti, per cui tra i profeti dell’Antico Testamento e Gesù di Nazaret c’è solo una differenza di grado. Ario (256-336) • Parte dalla Bibbia per elaborare la sua teologia, ma l’approccio alla Scrittura deriva da una pre-comprensione filosofica medio-platonica • La dottrina medioplatonica interpreta “il Padre” della rivelazione neotestamentaria a partire dalla concezione platonica dell’Uno e della Diade. Il principio d’identità (Uno) e il principio d’alterità (Diade) sono per Platone il principio formale e il principio materiale da cui scaturiscono tutte le altre idee • ll principio di tutto è l’unità. Dove infatti vi è una differenziazione, un’alterità, è anche una decadenza pertanto solo la perfezione dell’unità si addice al Dio sommo • Di qui la figura del “Dio di secondo grado”: intermediario tra Dio e il mondo materiale in vista della sua creazione ha lo scopo di risparmiare al Dio trascendente il contatto degradante con il mondo. Un Dio inferiore, essendo solo divino e non anche “vero Dio” • Ario sostituisce l’Unum con “il Dio” biblico, rimanendo • • • però in piedi tutta la precomprensione medio-platonica Accade perciò di conseguenza che il Figlio non è vero Dio. A livello ontologico (cioè a livello dell’essere) il Figlio appartiene infatti all’ordine del creato e questo perché solo l’unità è propria di Dio. Il Figlio assume il ruolo della prima e perfetta creatura: il mediatore tra la monade paterna e il mondo come il demiurgo del Timeo di Platone. Il Figlio è posto al di sopra delle altre creature, in quanto creatura prima e perfetta, ma appartiene pur sempre all’ordine creaturale • L’idea che Ario aveva di Dio era fin troppo • • spirituale, al di là di tutto il creato; infatti, ogni differenziazione in Dio implica una diminuzione in Dio: l’unica differenza era solo da Dio (creatio extra deum) e non in Dio Il procedere da Dio significa sempre essere creato da Dio: anche il Figlio è creato Pur essendo “generato” il Figlio un tempo non era e dunque è negata la preesistenza del Verbo • La ragione ultima della negazione della divinità e della preesistenza del Verbo è data dalla negazione della “consustanzialità”. • Affermare una differenza in Dio, significa per Ario dividere Dio: per evitare di dividere Dio, bisogna negare che il Figlio sia della stessa sostanza di Dio e dunque dev’essere di un’altra sostanza Il Concilio di Nicea (325) • Il Simbolo di Nicea • «Crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili ed invisibili. Ed in un solo Signore, Gesù Cristo, figlio di Dio, generato, unigenito, dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre, mediante il quale sono state fatte tutte le cose, sia quelle che sono in cielo, che quelle che sono sulla terra. Per noi uomini e per la nostra salvezza egli discese dal cielo, si è incarnato, si è fatto uomo, ha sofferto e risorse il terzo giorno, salì nei cieli, verrà per giudicare i vivi e i morti. Crediamo nello Spirito Santo. Ma quelli che dicono: vi fu un tempo in cui egli non esisteva; e: prima che nascesse non era; e che non nacque da ciò che esisteva, o da un’altra ipostasi o sostanza che il Padre, o che affermano che il Figlio di Dio possa cambiare o mutare, questi la chiesa cattolica e apostolica li condanna» • Nel Concilio di Nicea l’unità intradivina è data da Dio Padre esattamente come nel Nuovo Testamento l’unico Dio in cui si crede è il Padre. Il Figlio non è semplicemente Dio, ma Dio vero: il Figlio non è dunque un dio inferiore • La generazione non implica una diminuzione ontologica ma una differenziazione intradivina. Per precisare e specificare meglio che la generazione in Dio non comporta una diminuzione d’essere, si distingue l’essere generato dall’essere fatto. • Il Simbolo si conclude con la condanna di alcune espressioni ariane che negano la preesistenza del Verbo e lo fa inserendo nel credo una parola che avrebbe poi agitato e turbato tutta la Chiesa del IV secolo: il Figlio “omousios”, della stessa sostanza del Padre. • Il Concilio di Nicea innanzitutto affermò la divinità di Gesù Cristo a partire • • • da Dio-Padre: di Gesù Cristo si confessa che è “consustanziale al Padre” A Nicea emerge anche un modo nuovo di concepire la “sostanza” (ousia), come differenziata e relazionale; la sostanza divina non viene più pensata in maniera statica e immutabile, ma dinamica e capace di relazionarsi ad extra (fuori di sé) perché è intesa ora come relazione in sé (ad intra) e questo essere relazione in sé diventa il fondamento della possibilità di una relazione reale tra Dio e l’altro da sé, cioè la creazione Negando la consustanzialità, l’arianesimo ha di fatto negato il mistero dell’incarnazione, rifiutando una relazione essenziale tra Dio e uomo. Per gli ariani affermare che il Logos abbia assunto la carne significa ritenere che il Logos sia stato soggetto a mutamento e sia divenuto altro da sé. Per evitare questo, è necessario relegare il Logos alla sfera del creato. Il passaggio successivo, una volta guadagnata la piena realtà divina del Cristo, contro Ario, sarà dapprima stabilire come debba essere pensata la sua umanità, quindi tematizzare la relazione tra l’umano e il divino. La Cristologia del Logos-sarx e la cristologia del Logos-anthropos Apollinare, vescovo di Laodicea (metà IV sec.) parlò di un’unione fisica o naturale tra Logos e carne. Egli muove dal quadro della psicologia aristotelica secondo la quale nell’uomo tra anima e corpo sussiste una relazione trascendentale del tipo forma sussistente e materia Seppur ciò che esiste è il sinolo, cioè il composto formamateria, l’anima costituisce nel composto il principio energetico e organizzatore del corpo. • Tra Dio e uomo sussiste una relazione essenziale • Per far questo Apollinare deve però privare l’uomo (anthropos) dell’anima intellettiva (psyche) • Il logos prende il posto dell’anima nel composto umano, dunque il Cristo è privo di anima. • Anima : Corpo = Logos : Gesù • Non c’è l’assunzione di un uomo perfetto (anima e corpo), ma l’assunzione di un uomo imperfetto, costituito di sola sarx (corpo) • Perché l’uomo sia salvato, è necessario che • l’uomo non venga assunto tutto quanto intero Ci troviamo di fronte non tanto ad un vere homo, ma ad una sorta di “uomo celeste”: né pienamente uomo, né Dio (solo), ma una mescolanza di Dio e di uomo • La critica di Atanasio e il principio: quod non est assumptum non est sanatum Poiché la carne è stata salvata, il Logos deve aver assunto la carne e quindi il Verbo è divenuto uomo, piuttosto che solo essere venuto in un uomo La scuola antiochena: Logos-anthropos • Teodoro di Mopsuestia (m. 428) • Il Figlio di Dio ha assunto non solo la carne • • umana ma un uomo composto di anima e corpo. Infatti: Se Cristo ha avuto e sofferto bisogni materiali (fame, sete) allora vuol dire che le funzioni vitali erano compiute da un’anima umana. Inoltre: Poiché i peccati procedono dall’anima doveva essere assunta l’anima umana salvando la quale era possibile salvare anche il corpo • In sintesi: • La scuola alessandrina parte dall’unità del Verbo per • affermare poi la distinzione delle due nature Il rischio: non distinguere nettamente le due nature e cadere in una confusione • La scuola antiochena parte dalla distinzione della nature • per affermarne poi l’unità Il rischio: non riuscire ad unificare sostanzialmente le due nature distinte e cadere nella separazione fra natura umana e divina Nestorio e Cirillo • Nestorio: Patriarca di Costantinopoli (428) • La disputa sul titolo theotokos (Madre di Dio) • Nestorio preferisce il titolo Christotokos (Madre • • di Cristo) Nestorio non vuole negare la divinità di Gesù Cristo, ma precisare che Maria non ha generato il Cristo nella sua divinità, ma solamente nella sua umanità. Maria è Madre di Cristo secondo la carne e non secondo la divinità, • Per Cirillo di Alessandria in Gesù Cristo c’è una • sola realtà (unus) formata dalle due nature (ex duabus naturis) e non si può dividere dopo l’unione ipostatica l’unità tra natura umana e natura divina Per Nestorio la distinzione delle due nature sussiste anche dopo l’unione ipostatica (in duabus naturis). Nestorio parla quindi di un’unità dalle due nature e unità delle/nelle due nature Cirillo Patriarca di Alessandria (m. 444) • Esponente della scuola alessandrina è uno strenuo difensore della formula “l’unica natura del Verbo di Dio si è incarnata” • E’ importante tener presente che Cirillo usa in maniera interscambiabile i due termini “natura” ed “ipostasi” (persona) • Con “unica natura” Cirillo intende una “sostanza individuale esistente” (ipostasi) Il Concilio di Efeso (431) • Le tre lettere di Cirillo a Nestorio • La definizione di Maria Theotokos (Madre di Dio) e non solo Christotokos • La presa di posizione di Giovanni Patriarca di Antiochia contro il Concilio di Efeso • La riconciliazione tra Alessandria e Antiochia: il Decreto di Unione (433) Il Decreto di Unione (433) • Si ribadisce: • La Theotokos • L’unità di due nature e l’unità senza confusione • • del soggetto La distinzione tra gli idiomata (proprietà) della natura umana e divina La formula “consustanziale al Padre secondo la divinità e consustanziale a noi secondo l’umanità” • L’inasprimento dei rappresentanti più “estremisti” della scuola alessandrina • Il monofisismo di Eutiche • La condanna nel Sinodo di Costantinopoli (448) che ribadisce: • “Noi confessiamo che Cristo è di due nature dopo l’incarnazione, in una sola ipostasi ed una persona “ La lettera del Papa Leone Magno a Flaviano Patriarca di Costantinopoli • Il medesimo e unico Verbo generato da tutta • • • l’eternità dal Padre eterno è nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria nella natura umana Ciascuna delle due nature viene conservata nelle sue proprie caratteristiche duplici le proprietà dell’una e dell’altra natura ma unicità della persona Uno solo e medesimo Cristo che è Dio e uomo, duplice nella natura, unico nella persona Il Concilio di Calcedonia (451) • Il Simbolo di Calcedonia: I Parte • «(1) Seguendo, quindi, i santi Padri, (4) all’unanimità noi • • • • • • • • • • • insegniamo a confessare (2) un solo e medesimo Figlio: (3) il signore nostro Gesù Cristo, (5) perfetto nella sua divinità (6) e perfetto nella sua umanità, (7) vero Dio e vero uomo, (8) [composto] di anima razionale e del corpo, (9) consustanziale al Padre per la divinità, (10) e consustanziale a noi per l’umanità, (11) simile in tutto a noi, fuorché nel peccato, (12) generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, (13) e in questi ultimi tempi (14) per noi e per la nostra salvezza (15) da Maria vergine e madre di Dio, secondo l’umanità, Simbolo di Calcedonia: II parte • • • • • • • • • • • • • (16) uno e medesimo Cristo signore unigenito; (17) da riconoscersi in due nature, (18) senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione, (19) non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, (20) ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, (21) e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi; (22) Egli non è diviso o separato in due persone, (23) ma è un unico e medesimo Figlio, unigenito, (24) Dio, verbo e signore Gesù Cristo, (25) come prima i profeti (26) e poi lo stesso Gesù Cristo ci hanno insegnato di lui, (27) e come ci ha trasmesso il simbolo dei padri Concilio di Calcedonia (451) • Del Cristo si predica: • - la perfezione della sua divinità e della sua umanità • • • (vv. 5-6); - la verità del suo essere “Dio” e del suo essere “uomo composto di anima razionale e di corpo” (vv. 78); - la sua doppia consustanzialità, sia col Padre secondo la divinità, sia con noi secondo l’umanità per cui Cristo “è in tutto simile a noi fuorché nel peccato” (cf Eb 4,15), v. 11; - la sua doppia nascita, in quanto generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità e nato nella storia da Maria Vergine secondo l’umanità (vv. 13, 15) • L’affermazione centrale di Calcedonia è presente al v.18: le due • • • • nature sono unite ipostaticamente «senza confusione, senza mutamento, senza divisione e senza separazione» In questa formulazione conciliare il mistero dell’unione ipostatica viene proposta al negativo: si afferma come non deve essere pensata l’unione I quattro avverbi indicano distinzione (e non mescolanza o cambiamento) e unione (e non divisione o separazione) delle nature, o meglio la loro unione nella distinzione non essendo stata eliminata la differenza delle nature per l’unione, ma piuttosto essendo stato salvaguardato ciò che è proprio di entrambe le nature (vv. 19-20) nell’unità e unicità di un’unica ipostasi, cioè un’unica persona (v. 21). • In conclusione: Il Concilio di Calcedonia ha esplicitato le affermazioni relative all’unità e dualità in Cristo facendo della persona il principio dell’unità, e delle nature il principio della distinzione La chiave espressiva del mistero cristologico è nelle parole “unica persona o ipostasi in due nature”