Dallo Sviluppo economico allo Sviluppo umano. Le principali

Sistemi Economici Comparati
Anno accademico 2013-2014
Prof.sa Renata Targetti Lenti
Secondo gruppo di domande. I modelli.
Lezione riassuntiva 18/12/2014
I principali modelli di sviluppo
Negli anni 60 il dibattito tra economisti keynesiani e neoclassici
si concentra sui diversi meccanismi per far avvicinare il tasso di
crescita naturale Gn (che garantisse la piena occupazione della
popolazione) e quello garantito Gw, che corrisponde
all’eguaglianza tra domanda ed offerta ottenuta sfruttando la
capacità produttiva resa possibile dall’accumulazione di capitale.
Per i keynesiani il tasso di crescita è determinato congiuntamente
dal livello di risparmio e dalla produttività del capitale. Il
meccanismo per garantire una crescita bilanciata e di piena
occupazione è da ricercarsi in una modifica della distribuzione
funzionale dei redditi.
Per i neoclassici il tasso di crescita è determinato dal rapporto
capitale e lavoro date le tecnologie produttive.
Modello di Harrod Domar
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Y = f(K,L) Produzione a coefficienti fissi
s = S(Y)/Y propensione al risparmio
v = K/Y = dK/dY rapporto capitale prodotto
dY = dK /v
dK=I = v dY
Ricordando che S = I la condizione d’equilibrio diventa
s Yt-1 = v dY  dY/Yt-1 = s/v =Gw
Il tasso di crescita garantito Gw sarà tanto più elevato quanto più alta la
propensione al risparmio v e quanto più basso il valore capitale-prodotto.
In questo modello l’unico fattore che conta è il capitale ed il progresso
tecnico che facendo aumentare la produttività riduce v.
Questo modello è stato utilizzato anche a scopo di pianificazione fissando
come obiettivo da raggiungere Gw
Modello neoclassico di Solow
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Il modello si basa su una funzione di produzione neoclassica standard,
Y/L = f(K/L), che si può riscrivere come y = f(k),
che è la curva arancione sul grafico.
L’output per lavoratore è una funzione del capitale per lavoratore.
La funzione di produzione presuppone rendimenti decrescenti del capitale in questo
modello, come indicato dalla pendenza della funzione di produzione.
Indichiamo con:
n = tasso di crescita della popolazione
d = deprezzamento del capitale
k = capitale per lavoratore
y = output/reddito per lavoratore
L = forza lavoro
s = tasso di risparmio.
La variazione del capitale per lavoratore può essere determinata da tre variabili:
Investimento (risparmio) per lavoratore
Crescita della popolazione, ove la popolazione in aumento farà diminuire il livello
di capitale per lavoratore.
Deprezzamento: lo stock di capitale diminuisce nel tempo poiché si svaluta.
Il modello di Lewis
Un gruppo di modelli individua nel mutamento strutturale e cioè
nel peso dei diversi settori produttivi il fattore che caratterizza le
diverse fasi di un processo di crescita dal sottosviluppo allo
sviluppo. Il modello più noto è quello che spiega il passaggio da
un’economia prevalentemente agricola ad una caratterizzata dal
settore manifatturiero.
Il modello di Lewis a due settori ha radici classiche. E’ sviluppato
per spiegare il decollo industriale nei PVS e cioè il passaggio da
un’economia di sussistenza in una caratterizzata dall’esistenza di
un settore industriale (trasformazione strutturale, mutamenti
qualitativi). Si basa sui rapporti tra produttività del lavoro nel
settore industriale e ed il salario di sussistenza del settore
agricolo. Bassi salari consentono la formazione dei profitti e
l’accumulazione nel settore manifatturiero.
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Per ogni A ≥ B, il prodotto marginale del lavoro in agricoltura è nullo. Questo significa che se
l’occupazione diminuisce da A a B il prodotto totale rimane immutato. In La = A, il prodotto
medio w è maggiore del prodotto marginale. Il compenso dei lavoratori, in questo caso, è pari
non al prodotto marginale, ma al prodotto medio e cioè ad un valore pari al salario di
sussistenza .
Fig. 3
Limiti del modello di Lewis
Condizioni per il funzionamento del modello
1) I profitti devono essere effettivamente investiti nel
settore manifatturiero
2) Il progresso tecnico non deve essere risparmiatore di
lavoro
3) I salari devono essere vincolati alle sussistenze nel
settore agricolo
L’accettazione del modello ha condizionato le politiche
della World Bank promuovendo investimenti
nell’industrializzazione e trascurando i miglioramenti
nel settore agricolo.
Rapporto della “Commission on Growth and Development”
In sintesi il principale fattore di sviluppo considerato nei modelli della scuola
classica e keynesiana (Harrod-Domar), sono il capitale fisico e il progresso
tecnico che determina il rapporto capitale prodotto v. Nel modello neoclassico,
invece, entra esplicitamente la popolazione, e dunque anche il capitale umano.
La recente esperienza di alcuni paesi che hanno sperimentato un processo di
rapido sviluppo consente di evidenziare altri fattori che favoriscono il decollo e
la crescita. Questa esperienza è stata analizzata dal Rapporto della
“Commission on Growth and Development” pubblicato nel 2008. Questo
documento è importante in quanto sintetizza il dibattito più recente
sull’economia dello sviluppo.
Il Growth Report analizza l’esperienza di tredici Paesi che, a partire dal 1950 e
per almeno 25 anni sono cresciuti al ritmo del 7% all'anno, al fine di
evidenziare i fattori che hanno contribuito alla rapida crescita di quei paesi. Le
economie prese in considerazione sono Botswana; Brasile; China; Hong KongCina; Indonesia; Giappone; Corea del Sud; Malaysia; Malta; Oman;
Singapore; Taiwan-Cina; Tailandia. Altri due Paesi che potrebbero appartenere
a questo gruppo in un futuro prossimo sono India e Vietnam.
I fattori che sono stati ritenuti alla base del successo di questi
paesi sono:
1)La globalizzazione e la capacità di sfruttarne le potenzialità
(allargamento dei mercati, della domanda, importazione di valori
sociali e culturali oltre che di innovazioni tecnologiche,
conoscenze). Sviluppo trainato dalle esportazioni.
2) la stabilità macroeconomica, bassa inflazione ed equilibrio
nelle variabili macro. La stabilità è importante per la crescita;
3) elevati tassi di risparmio e investimento che favoriscono
l’accumulazione di capitale e la creazione di infrastrutture;
4) promozione della libertà di mercato come meccanismo di
allocazione delle risorse. Tutti i paesi hanno favorito le
ristrutturazioni produttive ed hanno accettato il cambiamento in
una logica di tipo schumpeteriano e cioè in un processo di
competizione dinamica. Un processo di innovazione per imitare i
paesi industrializzati è considerato fondamentale;
5) l’esistenza di governi stabili, autorevoli e credibili e che hanno
favorito il mutamento con un’azione riformatrice. Richiedere una
compressione dei consumi per favorire il risparmio e
l’accumulazione richiede una leadership forte. Se da una parte lo
Stato non deve interferire eccessivamente con l’attività privata,
dall’altra deve assicurare le condizioni perché un processo di
sviluppo possa essere avviato.
In fast-growing Asia, public investment in infrastructure accounts
for 5–7 percent of GDP or more. In China, Thailand, and
Vietnam, total infrastructure investment exceeds 7 percent of
GDP.
6) Politiche per includere ed assicurare eguaglianza di
opportunità;
Il ruolo dello Stato nel processo di
investimento
Una parte dell'investimento complessivo di un'economia è
costituita da investimenti pubblici:
a) lo Stato in virtù di varie circostanze storiche si sostituisce al
capitalista privato,
b) investimenti in attività indirettamente produttive, ossia
prevalentemente in infrastrutture che offrono beni e servizi,
pubblici o meritori. E’ importante il ruolo delle economie
esterne.
Se da una parte lo Stato non deve interferire eccessivamente
con l’attività privata, dall’altra deve assicurare le condizioni
perché un processo di sviluppo possa essere avviato.
Dalla diseguaglianza alla crescita
Le relazioni tra crescita e disuguaglianza nella distribuzione
personale dei redditi possono essere analizzate proprio dalla
disuguaglianza alla crescita.
Secondo una recente interpretazione vi è una relazione tra
diseguaglianza e crescita.
Un livello intermedio di diseguaglianza (con un Gini compreso
tra 0,25 e 0,40) può costituire un incentivo al lavoro e dunque
favorire la crescita.
Livelli più bassi della diseguaglianza possono corrispondere a
ventagli retributivi troppo ridotti e così costituire un disincentivo
alla crescita.
Livelli troppo elevati, invece, soprattutto se attribuibili alle
rendite possono costituire un serio ostacolo allo sviluppo. Si
rimanda a Piketty.
Da altri modelli, in qualche modo riconducibili al ruolo del capitale umano
(crescita endogena) sono stati individuati tre possibili canali di trasmissione:
1) canale "mobilitazione". Diseguaglianza  instabilità  riduzione
investimenti. Una elevata diseguaglianza potrebbe corrispondere ad una
elevata polarizzazione tra gruppi (etnici, religiosi)instabilità e conflitti.
2) canale "elettorale". Diseguaglianza  politiche redistributive  riduzione
crescita. In un sistema democratico avanzato la scelta delle politiche
redistributive, ed in particolare il livello della spesa pubblica, nonché quello
della tassazione sono il risultato della delega che i cittadini attuano mediante il
voto (teorema "dell'elettore mediano"). Quanto più basso è il reddito
dell'elettore mediano rispetto a quello medio, quanto più elevata sarà la sua
aliquota preferita e quindi la quota di spesa pubblica sul prodotto nazionale.
3)canale "istruzione" (indivisibilità). Diseguaglianza  investimenti in
capitale umano  aumento della crescita.
Dalla crescita alla diseguaglianza.
L’ipotesi di Kuznets
Si tratta di verificare la presunta esistenza (individuata da Kuznets) di una
curva ad U rovesciata, e cioè di una relazione prima diretta e poi inversa
tra reddito pro-capite (indicatore sintetico di sviluppo) ed un indice di
diseguaglianza (Fig.1).
In particolare occorre: 1) spiegare se la relazione osservata in molti paesi
debba essere considerata come puramente accidentale od invece
sistematica, 2) quali possono essere i fattori esplicativi di tale relazione.
Il contesto teorico nel quale Kuznets aveva sviluppato la sua analisi era
quello dello sviluppo come modernizzazione, in sintonia con
l'impostazione di Rostow (teoria degli stadi).
Figura 1
L'esistenza di una curva ad U rovesciata tra reddito pro-capite e
l'indice di Gini era attribuita, in una 1° fase del processo di
sviluppo,
essenzialmente
ai
mutamenti
intersettoriali
dell'occupazione, nonché all’ aumento del risparmio delle classi
più ricche, che grazie ad un processo di accumulazione si traduce
in investimenti, redditi da capitale e nuovo risparmio.
In una 2° fase, invece, la diseguaglianza diminuisce a causa dei
seguenti fattori: 1) emergere di una classe media (classe operaia
ed impiegatizia). 2) maggiore importanza dei redditi da lavoro
rispetto a quelli da capitale.
Tre concetti di diseguaglianza globale
Seguendo la classificazione proposta da Milanovic, si può definire la
diseguaglianza globale facendo ricorso a tre concetti distinti cui
corrisponde una diversa misura.
Il primo (Concept 1) fa riferimento alla “diseguaglianza tra paesi”
(Intercountry inequality) e misura i divari nei redditi pro-capite dei diversi
paesi prescindendo dalla diversa numerosità della popolazione.
Il secondo concetto (Concept 2) definito come “diseguaglianza
internazionale” (International inequality) misura la diseguaglianza globale
come divario tra i redditi pro capite dei diversi paesi tenendo conto della
numerosità della popolazione, e dunque ponderando con essa i diversi
valori del reddito medio.
Il terzo concetto (Concept 3) di “diseguaglianza globale” (Global
inequality) misura, infine, la diseguaglianza nella distribuzione dei redditi
fra i cittadini (individui o famiglie) considerati come appartenenti tutti ad
un unico territorio: il mondo.
La cittadinanza spiegherebbe, oggi, circa il 60 per cento della variabilità
dei redditi individuali e/o famigliari. Si tratta di un significativo
mutamento rispetto al passato, quando era la diseguaglianza interna
(within) ai paesi a pesare maggiormente. La diseguaglianza globale si è
modificata passando da una attribuibile prevalentemente alle differenze di
classe, all’interno delle nazioni, ad una attribuibile prevalentemente al
luogo di residenza e dunque ai divari di reddito (between) tra i diversi
paesi.
Se il reddito dipende in larga misura dalla cittadinanza si può affermare
che non esista eguaglianza di opportunità a livello globale e la cittadinanza
è una vera propria rendita che non dipende dallo sforzo individuale. La
figura 1 evidenzia le differenze nella composizione dell’indice di
diseguaglianza di Gini nel 1870 e nel 2000. L’indice è stato scomposto in
due componenti: le quote funzionali di reddito (salari, profitti e rendite) e
l’appartenenza ai diversi paesi (localizzazione).
Piketty
1) La prima parte contiene le principali definizioni che saranno
utilizzate nel testo: capitale, patrimonio, reddito, prodotto. Il
capitale così come inteso da Piketty è in realtà
ricchezza/patrimonio. E’ costituito da capitali industriali e
commerciali, capitali finanziari, capitali immobiliari, incluse le
abitazioni di proprietà, capitali agricoli.
Questo capitale-ricchezza, d’ora innanzi, per semplicità,
indicato solo con il termine capitale, ha sempre generato e
genera un reddito per i suoi proprietari che viene definito tasso
di rendimento.
2) La seconda parte analizza la dinamica del rapporto
capitale/reddito in Europa e in alcuni altri paesi come il
Giappone e gli Stati Uniti.
3) La terza parte discute la struttura della diseguaglianza con
riferimento a: questioni del debito pubblico e del
riscaldamento globale, delle remunerazioni dei dirigenti e dei
fondi sovrani, dello Stato sociale e della progressività fiscale,
del merito e della ricchezza nello spiegare i risultati scolastici e
gli esiti professionali, dell’eredità e delle imposte di
successione.
4) La quarta parte, infine contiene alcune proposte di politica
economica che possono essere sintetizate nella revisione
dell’imposta personale sul reddito per renderla maggiormente
progressiva, l’introduzione di una imposta patrimoniale sui
grandi patrimoni, di un’imposta mondiale sul capitale.
Il modello
L’impostazione del volume è stata definita da alcuni commentatori “classica”,
nel solco di Smith, Ricardo e Marx,
rivolta a spiegare il ruolo
dell’accumulazione di capitale e della distribuzione del reddito sul e nel
processo di crescita dell’economia. Probabilmente, invece, la si può ricondurre
ai modelli della crescita endogena.
Piketty è interessato ad analizzare gli effetti di una crescente diseguaglianza
sulla riduzione del capitale umano, e di conseguenza sulla crescita. Quando la
disuguaglianza diventa molto elevata finisce con il costituire un freno invece
che uno stimolo alla crescita. L’accesso ai gradi più elevati dell’istruzione è
infatti costoso e le categorie più povere, ma oggi anche gran parte della “classe
media”, ne vengono quindi escluse.
Si verifica perciò una riduzione della partecipazione al processo di formazione
del capitale umano da parte di una quota significativa della popolazione.
Il modello di riferimento sintetizza in poche essenziali relazioni fenomeni che
per loro natura sono molto complessi.
La «contraddizione» che contraddistingue il capitalismo
“patrimoniale”, è la diseguaglianza tra tasso annuo di rendimento
del capitale r e il tasso annuo di crescita del prodotto/reddito
nazionale g.
La divergenza r>g implica che il capitale cresca più rapidamente
del prodotto e dei salari e che renda conveniente all’imprenditore
trasformarsi in rentier.
Se r è in misura significativa maggiore di g «i patrimoni ereditati
dal passato si ricapitalizzano più in fretta rispetto all’andamento
del processo di produzione e dei redditi».
E’inevitabile, allora, che la concentrazione del capitale raggiunga
livelli assai elevati, potenzialmente incompatibili con i valori
meritrocatici ed i principi di giustizia sociale che costituiscono il
fondamento delle nostre moderne società democratiche” (Piketty,
2014, p.51).
Nel lungo periodo il rapporto tra capitale e reddito è pari al
rapporto tra il tasso di risparmio ed il tasso di crescita, ovvero
β=s/g. Questa identità è facilmente derivabile dallo sviluppo di
un modello del tipo Harrod-Domar .
Questo significa che in una società stagnante, caratterizzata da un
elevato ammontare dei patrimoni è probabile che il tasso di
risparmio ecceda il saggio di crescita, e dunque il rapporto
capitale reddito β risulti elevato e crescente.
Se il valore di g è piccolo, in presenza di un tasso di risparmio
mediamente elevato β risulterà elevato. Il peso del capitale
continua ad aumentare perchè il tasso di crescita delle economie è
modesto.
«L’età dell’oro»
Piketty documenta come per circa un trentennio, dalla ricostruzione postbellica fino agli anni settanta, il rapido processo di industrializzazione, insieme
a politiche fiscali e di spesa pubblica progressive, abbiano favorito la
formazione ed il consolidamento della classe «media», il consolidamento della
democrazia ed una elevata crescita in tutti gli Stati occidentali. Questa crescita
sostenuta è stata favorita da alcune precise circostanze come la necessità di
ricostruire la capacità produttiva distrutta dalla guerra nei paesi europei.
Non solo aumentava l’occupazione insieme alla crescita del prodotto
nazionale, ma si andava consolidando la cosidetta classe media costituita da
operai ed impiegati grazie ad una organizzazione del lavoro di tipo fordista.
In questo periodo si verifica, in tutti i paesi europei ed anche negli Stati Uniti
una riduzione della diseguaglianza.
Questa fase, che in una prospettiva storica di lungo periodo deve essere
considerata come “eccezionale”, si inverte a partire dalla fine degli anni 90.
L’“età dell’oro” è stata caratterizzata da una riduzione del peso del capitale
sul reddito nazionale.
Quando il capitale aumenta meno velocemente del reddito non diminuisce
solo il patrimonio, ma anche la quota dei redditi da capitale sul reddito
complessivo. Com’era accaduto durante l’età dell’oro, con la diminuzione
della quota dei redditi da capitale diminuisce anche la diseguaglianza nella
distribuzione personale del reddito.
Se invece il processo di crescita del prodotto netto rallenta a causa di fattori
esogeni (demografici o tecnologici) ed il capitale cresce più rapidamente
del reddito nazionale, i rendimenti del capitale assumono un'importanza
sempre maggiore rispetto ai redditi da lavoro.
La diseguaglianza ricomincia a crescere fino a raggiungere gli elevati livelli
osservati nell’ultimo decennio. Non solo aumenta la diseguaglianza, ma si
innesta un circolo vizioso tra diseguaglianza e crescita. Questo è tanto più
vero quanto più i redditi da capitale sono costituiti da rendite improduttive,
e cioè provenienti da beni ereditati piuttosto che da beni accumulati con il
risparmio originato dai redditi da lavoro.
La dinamica della diseguaglianza
’
L’analisi di Piketty riguarda anche la relazione, troppo spesso
ignorata, tra distribuzione funzionale e personale dei redditi. Il
legame molto stretto tra i due tipi di distribuzione dipende
contemporaneamente dal peso relativo delle quote di reddito
percepite dal lavoro e dal capitale e dal diverso livello di
concentrazione che caratterizza la distribuzione dei due fattori.
I redditi da capitale presentano una concentrazione maggiore, a
causa della trasmissione ereditaria, rispetto a quella dei redditi
da lavoro, e dunque una crescita del loro peso sul totale fa
aumentare il livello della diseguaglianza. Se il reddito dei
percettori più ricchi cresce più velocemente di quanto non
avvenga nelle classi inferiori la disuguaglianza nella
distribuzione personale dei rediti aumenta.
I redditi da lavoro sono, di norma, più equamente distribuiti ad
eccezione dei redditi percepiti da alcune categorie di lavoratori
che solo formalmente sono “dipendenti”, come ad esempio i
“top manager”.
Figura 4
I fattori esplicativi della dinamica della
diseguaglianza within.
Le tradizionali cause di diseguaglianza (concentrazione della proprietà della
terra, accesso diseguale all’istruzione, divario urbano rurale) non sono da
ritenersi sufficienti a spiegarne la crescita. Occorre, invece, individuare altri
fattori come:
Progresso tecnologico.
Liberalizzazione dei mercati dei beni e dei capitali (globalizzazione).
Aumento dell’importanza del settore dei servizi.
Cambiamenti nella struttura istituzionale del mercato del lavoro.
Variazioni negli effetti redistributivi delle politiche pubbliche.
Cambiamenti nella struttura demografica e delle famiglie.
Cambiamenti nelle “norme sociali” verso la diseguaglianza.