Lucio Gentilini

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Lucio Gentilini
LA GUERRA FRANCESE DEL VIETNAM
Premessa
Il 16 febbraio 1993 veniva inaugurato il memoriale del Fréjus nella cui necropoli la
Francia raccoglieva i resti dei suoi caduti in Indocina per onorarli e sottrarli all’oblio:
effettivamente la guerra combattuta dai Francesi in quella penisola lontana 12mila
km. era (ed è ancora) una guerra dimenticata - e ciò per molti motivi.
Innanzitutto, la sua prosecuzione da parte degli U.S.A. è stata enormemente più
sentita e seguita in ogni particolare: essa ha suscitato echi tali nel mondo – nella
lunga e drammatica fase della decolonizzazione, nello scontro Est-Ovest, nella
coscienza della gioventù prima statunitense poi occidentale, nell’immaginario
culturale ed ideologico mondiale – da oscurare ciò che l’aveva preceduta e le aveva
dato il via. Se si parla di guerra del Vietnam si pensa a quella degli americani,
segnalata e cantata da tanti libri, saggi, studi, film e telefilm, con tutti i suoi profondi
strascichi non solo nella devastata e martoriata Penisola ma anche negli stessi Stati
Uniti che ne uscirono sconfitti e profondamente traumatizzati.
In secondo luogo i Francesi stessi non sentirono né compresero quella guerra
nemmeno quando veniva combattuta (diversamente da quel che sarà, subito dopo, per
quella d’Algeria), non la percepirono mai come nazionale e, una volta finita, la
dimenticarono subito (come si fa coi brutti ricordi).
Eppure quel conflitto fu altamente drammatico e sanguinoso: basti pensare che se sul
famosissimo ‘Vietnam Veterans Memorial’ di Washington sono scolpiti i nomi degli
oltre 55mila caduti americani, sul ‘Mur du souvenir’ del Fréjus di nomi ce ne sono
più di 93mila (e la popolazione francese è poco più di 1/6 di quella statunitense) e che
1.600mila combattenti francesi si succedettero in Indocina, col 40% di tutti gli
ufficiali e l’80% di tutti i sottufficiali.
La guerra francese del Vietnam fu una guerra anticoloniale, una delle prime in cui Est
e Ovest si scontrarono (in contemporanea con la guerra di Corea), una di quelle in cui
la guerriglia diede grande prova della sua efficacia contro gli eserciti tradizionali: in
una parola, fu uno dei primi conflitti che mostrarono in modo inequivocabile che lo
scenario mondiale era cambiato e che l’Occidente aveva finito di farla da padrone nei
cinque continenti.
Essa merita dunque di essere presa in grande considerazione, ma per comprenderne il
significato compiuto è altresì necessario ripercorrere anche tutte le tappe della storia
della disgraziata avventura francese in quel Paese dall’altra parte del Pianeta.
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La penetrazione europea in Indocina
Quando gli Europei entrarono in contatto con il popolo vietnamita, questo occupava
le valli del Fiume Rosso e del Fiume Nero a nord (il Tonchino), la lunga fascia
costiera centrale (l’Annam) ed avevano ormai completato la loro annessione della
regione del delta del Mekong a sud (la Cocincina) – fino al XVII cambogiana ed
abitata dall’etnia cham.
Dal XV secolo l’Imperatore del Vietnam aveva fatto atto di sottomissione
all’Imperatore della Cina che lo considerava un tributario, ma era più di quattro secoli
che in realtà il Paese si era reso autonomo, fin dalla fine della dinastia Tang: i Ming,
insomma, dovevano accontentarsi di questo riconoscimento poco più che formale.
I primi europei a toccare le coste del Paese erano stati i Portoghesi alla fine del XVI
secolo e questi avevano trovato che, mentre il commercio estero era interamente nelle
mani di cinesi e giapponesi che formavano vere e proprie comunità indipendenti, due
famiglie, i Trinh ed i Nguyen, si dividevano il nord ed il sud del Paese.
Parallela al commercio, l’influenza europea si fece sentire anche sul piano religioso: i
Gesuiti, che già all’inizio del XVII avevano ormai ottenuto risultati davvero
promettenti in Cocincina, nel 1625 allargarono la loro azione anche nel Tonchino.
Nonostante le resistenze fossero forti, come anche le persecuzioni (più al nord che al
sud) con massacri di indigeni cristianizzati, chiese incendiate e missionari
imprigionati, tuttavia lo erano anche i progressi: significativo il quoc-ngu, il sistema
di trascrizione tratto dal portoghese della lingua vietnamita in caratteri latini ancor
oggi in uso: una delle prime opere in tale lingua fu il catechismo cattolico stampato a
Roma già verso la metà del secolo (!).
Fu sulla scia dell’impegno missionario che i Francesi, fondata la Société des Missions
Etrangères, cominciarono la loro penetrazione nella Penisola e le società missionarie
litigarono tanto violentemente fra loro – si erano intanto aggiunti anche gli spagnoli
– che nel 1738 papa Clemente XII dovette inviare una commissione d’inchiesta che
divise il territorio fra gesuiti (nord) e francesi (sud).
Mentre Inglesi ed Olandesi non poterono che fare comparse sporadiche, e comunque
non oltre il XVII secolo, il Paese comunque rimaneva diviso fra le due famiglie anche
se l’Imperatore riconosciuto ufficialmente dalla Cina era quello del nord; i Nguyen
tuttavia, oltre che lottare con alterne vicende per il controllo e il dominio della
Cambogia contro il Siam, non cessavano di farlo anche per il trono.
Fu con l’inserirsi in questa lotta – lunghissima, confusa e piena di colpi di scena - che
i Francesi riuscirono a iniziare veramente il loro cammino per la conquista coloniale
del Vietnam.
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La colonizzazione del Vietnam
Il grande missionario- guerriero Pierre-Joseph-Georges Pigneau, nato nel 1741 e solo
ventiquattrenne mandato in Cocincina, aveva dovuto fronteggiare tutte le difficoltà
che i missionari trovavano in quelle terre così lontane ed infide - dalle persecuzioni
dei signori locali alle scorrerie dei pirati - ma era stato proprio durante una di queste
peripezie che aveva incontrato il principe (ed aspirante Imperatore) Nguyen Anh,
sconfitto dalla rivolta dei fratelli Tay-son ed in fuga.
Questo incontro, probabilmente avvenuto intorno al 1777, fu di fondamentale
importanza perché, mentre la complicatissima lotta continuava con alterne vicende, in
mezzo a continui colpi di scena e a confusi interventi degli Stati limitrofi, nel 1783 il
principe chiese a Pigneau (divenuto frattanto vescovo) di adoperarsi per un intervento
della Francia in suo favore.
Era la strada classica del colonialismo: prima i missionari, gli esploratori, i
commercianti; poi il coinvolgimento nelle dispute locali, l’intervento a favore di una
delle parti in lotta; infine, con il successivo controllo del vincitore, la conquista e
l’assoggettamento.
Ancora una volta il copione venne puntigliosamente seguito: Pigneau si recò a
Parigi e qui, ricevuto da Luigi XVI, sottopose il suo progetto per un intervento a
favore di Nguyen-Anh che fu approvato, tanto che il 28 novembre 1787 lo stesso
Pigneau, a nome del giovane principe (!), sottoscrisse un trattato di alleanza fra
Cocincina e Francia in base al quale quest’ultima assicurava uomini e navi in cambio
di porti e territori litoranei.
Era fatta: con l’aiuto francese e lo stesso Pigneau primo ministro (!) Nguyen-Anh
sconfisse tutti i suoi nemici; il 1 giugno 1802 a Huè – la capitale - si proclamò
Imperatore del Vietnam col nome di Gia-Long e, dopo che il 22 luglio dello stesso
anno Hanoi venne espugnata, nel 1803 l’Imperatore cinese Kia-k’ing lo investì della
carica stabilendo un tributo ogni due anni ed un atto di omaggio ogni quattro.
Il successo era completo dato che, oltretutto, la Cambogia aveva intanto perso per
sempre la Cocincina.
Tuttavia, dopo la morte di Gia-Long (nel 1820) il successore Minh-Mang ne
capovolse la politica: ammiratore della civiltà cinese e seguace di stretta osservanza
del confucianesimo, il nuovo imperatore riprese le persecuzioni del cristianesimo,
chiuse i canali commerciali del Paese con la Francia e interruppe ogni rapporto
ufficiale con Parigi.
In realtà, questo nuovo corso, fatto di aperta ostilità e di rifiuto per i “barbari venuti
dal mare” (così erano definiti gli Europei), si inseriva nel più vasto scenario della
reazione cinese all’Occidente ed ai commercianti europei (soprattutto inglesi): oltre a
sentirsi turbato dall’invadenza europea, il Celeste Impero non poi era interessato agli
scambi con l’Europa anche perché quest’ultima non aveva merci che potessero
attrarre i cinesi e compensarne le importazioni – tanto che dovette ricorrere all’oppio.
La presunzione dei Bianchi urtava in modo insopportabile il complicato sistema fatto
di regole formali, armonia e senso del dovere dei Cinesi; la pretesa di superiorità
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degli Occidentali offendeva la sensibilità di una antichissima e raffinatissima civiltà
che si era sempre sentita autosufficiente ed in equilibrio fra Cielo e Terra; i
missionari erano visti sempre più come degli intrusi che con le loro arroganti pretese
snaturavano e violavano un sistema di credenze e di comportamenti bimillenario sul
quale riposava l’intera loro civiltà.
L’Oriente non aveva alcun bisogno dell’Occidente e lo sopportava sempre meno.
Ma questa reazione, questo tentativo di riaffermazione del proprio mondo, erano
votati al fallimento.
L’ascesa al trono di Thieu-Tri alla morte del padre Minh-Mang nel gennaio 1841
coincise proprio con l’insediamento degli Inglesi a Hong Kong al termine della
prima “guerra dell’oppio” mentre il successivo trattato di Nanchino (29 agosto
1842) segnava l’inizio del calvario cinese nelle mani delle Potenze occidentali.
In Estremo Oriente la situazione era cambiata, ma Thieu-Tri non lo capì (e come
avrebbe potuto?): ormai la Francia non era più disposta a tollerare il suo aumento
della persecuzione religiosa e la sua politica di chiusura commerciale.
Fu comunque con suo figlio Tu-Duc (1848-1883), ancora più impegnato del padre
nello sbarrare la porta agli Europei e nel perseguitare i cristiani, che la situazione
precipitò: dopo che gli Inglesi, domata in India la rivolta dei sepoys (1857-58),
avevano inserito direttamente l’immenso Paese nel loro Impero; che Inglesi e
Francesi nella seconda “guerra dell’oppio” col trattato di Tientsin (1858) avevano
ottenuto tutto quello che avevano voluto dalla Cina; e che, non ancora paghi, avevano
continuato la guerra contro di essa (distruggendo, fra l’altro, l’incantevole Palazzo
d’Estate) fino al gennaio 1861; subito i Francesi (già coadiuvati dagli Spagnoli)
mossero alla volta del Vietnam vincendo facilmente.
Nel 1862 il trattato di Saigon cedeva alla Francia la Cocincina orientale, un
enorme indennizzo, porti e libertà di commercio e di culto per i cattolici.
Napoleone III, ormai saldo al potere ed agendo d’intesa con l’Inghilterra, era deciso
a costruire un Impero in Asia e i tempi erano davvero maturi: nel luglio 1863 il re di
Cambogia Norodom, stretto fra Siam e Vietnam, accettò la protezione della Francia,
ma quattro anni più tardi proprio quest’ultima si accordò col Siam spartendosi il
Paese secondo il solito copione colonialista.
Eppure, la conquista della Cocincina si rivelò una delusione: essa non aveva
interessato tanto per se stessa, ma come via d’accesso e di comunicazione con gli
sterminati mercati cinesi dello Yunnan ed in questo senso i Francesi avevano puntato
sul Mekong (di cui non sapevano quasi niente) così come gli Inglesi avevano
occupato il delta dell’Irrawaddy: ebbene, il Mekong da questo punto di vista era
assolutamente inutile perché non portava da nessuna parte e la ricerca di una via
d’accesso alla Cina centrale si spostava allora a nord, sul Fiume Rosso (Song-Koi),
nel Tonchino.
Un’ altra caratteristica del colonialismo si ripeteva: la necessità di allargare
sempre più l’area della conquista per le esigenze interne della conquista stessa
che non riusciva a fermarsi e richiedeva sempre nuovi adeguamenti e sviluppi.
E fu la volta del Tonchino.
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Qui la situazione era particolarmente complicata: dopo la rivolta in Cina dei T’ai
P’ing (1850-1864), bande di ribelli erano entrate nella regione del Tonchino
abbandonandosi al banditismo ed alla razzia; Tu-Duc aveva invocato l’intervento del
viceré cinese di Canton, ma le truppe inviate da quest’ultimo si erano date anch’esse
alla rapina ed al saccheggio.
I Francesi chiamavano tutte queste bande ‘Bandiere Nere’ ed in questo caos
avventurieri francesi si erano insediati nel Tonchino in aperta violazione delle
clausole del trattato di Saigon: intanto, però, Napoleone III era caduto e la Terza
Repubblica non poteva avallare un atto tanto illegittimo. Il plenipotenziario Philastre
il 15 marzo 1874 stipulò quindi un secondo trattato di Saigon che garantiva lo
sgombero dei Francesi dal Tonchino, l’annullamento dell’indennizzo
precedentemente stabilito, inoltre navi, armi e istruttori francesi a Tu-Duc in cambio
del riconoscimento definitivo sulla Cocincina, di porti e diritto di navigazione - e di
scali in tre porti (fra cui Hanoi) - sul Fiume Rosso fino allo Yunnan.
Ma Tu-Duc interpretò tutto questo come debolezza e appena i Francesi
abbandonarono il Tonchino riprese le persecuzioni dei cristiani; peggio ancora, la
definitiva repressione della rivolta Panthay nello Yunnan moltiplicò le orde di
profughi – Bandiere Nere, Rosse, Gialle – e ciò rese impraticabile la navigazione sul
Fiume Rosso appena riconosciuta. Tu Duc sperava che il banditismo allontanasse la
Francia (e che la Cina l’avrebbe poi aiutato a reprimerlo), ma questa invece agì con
decisione: il generale Rivière conquistò Hanoi nel 1882 e, dato che ormai l’alleanza
di Tu Duc con le Bandiere Nere era palese, il 18 agosto un attacco navale francese
violentissimo mosse contro la capitale Hué. Tu Duc era morto ed al successore HiepHoa non restò che riconoscere il protettorato francese su tutto il Vietnam.
Le proteste della Cina vennero ignorate e la repressione dei resistenti fu inesorabile:
ciò significò la guerra (non dichiarata) con la Cina che si trascinò con alterne, confuse
e drammatiche vicende (che coinvolsero anche bande di partigiani e la Cambogia):
nemmeno un secondo trattato di Tientsin (9 giugno 1885) che (così come
l’Inghilterra aveva fatto con la Birmania) tolse definitivamente il Paese alla Cina in
cambio delle Pescadores e di Formosa risolse la situazione che si concluse solo dieci
anni dopo, nel 1895, con la ‘pacificazione’ del Tonchino e la nascita dell’Union
Indochinoise (Vietnam, Laos e Cambogia), nuova e definitiva colonia francese.
Tutte le dinamiche dell’espansione coloniale erano state rispettate: le concessioni
erano sempre aumentate finchè opporsi ai colonizzatori – ormai troppo radicati
e forti sul territorio – non era stato più possibile e questi poterono gettare la
maschera ed impadronirsi di tutto quel che volevano, cioè del Paese intero.
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Il Vietnam colonia francese
I Francesi organizzarono la loro nuova colonia secondo il solito modello napoleonico.
Il Governatore generale dell’Indocina, a capo di una rigida gerarchia amministrativa,
era pur sempre sottoposto al Ministero delle Colonie, mentre la maggior parte della
legislazione relativa all’Indocina era emanata dal Parlamento francese.
Tecnicamente solo la Cocincina era una colonia in quanto Tonchino, Annam, Laos e
Cambogia erano rimasti protettorati: i rispettivi sovrani erano presenti con le loro
corti, ma il potere reale era nelle mani dei résidents supérieurs mentre i compiti
amministrativi erano svolti da personale locale, giudicato sufficientemente
‘assimilato’ e sotto direzione e supervisione francese.
Come in tanti regimi coloniali, anche in Vietnam i Francesi – tassando
pesantemente i contribuenti indocinesi - costruirono tutta una rete di infrastrutture
(porti, città, vie di comunicazione, ferrovie, ponti) e di ammodernamenti volti al
sempre più razionale potenziamento delle risorse economiche del Paese: fu così che,
per es., nel 1898 prese il via la costruzione di una articolata rete ferroviaria, a volte
all’avanguardia per arditezza e tecnologia (come nel caso della linea che porta allo
Yunnan salendo da 0 a 2025 metri s.l.m.). Secondo la propaganda e l’ideologia
colonialista (ancor oggi spesso sostenuta) ciò era un bene, un aiuto ad un popolo che
così avrebbe potuto svilupparsi e procedere sempre più spedito sulla strada del
progresso e del miglioramento.
In realtà, ovviamente, tutto ciò era una necessità del regime coloniale stesso, nato e
voluto per poter sottoporre a sfruttamento ottimale le riserve e le possibilità del
Vietnam a vantaggio degli interessi francesi: il prelievo fiscale e la spoliazione
delle popolazioni locali necessarie allo sforzo di ammodernamento erano tutte a
vantaggio della Potenza occupante.
Come dice Panikkar (pag. 232) “la Francia, e con lei tutte le potenze occidentali, fu
convinta che il dominio europeo in Asia non sarebbe finito mai”, ed era proprio così,
basta considerare l’architettura e l’urbanistica di Hanoi che, completamente copiate
da quelle di Parigi, coi suoi boulevards, Opèra, mansarde, tetti grigi, hotel di ville e
quant’altro, testimoniano in modo impressionante ed inequivocabile la totale fiducia
francese nella propria cultura e civiltà, la convinzione di essere inesorabilmente
superiori ed insostituibili.
Tuttavia, ancora una volta secondo il classico modello coloniale, furono le scuole
bilingui, le influenze portate proprio dai colonizzatori, quelli che, dei 100mila giovani
spediti sui campi di battaglia europei durante la prima guerra mondiale (saranno
30mila nella seconda), tornarono a casa, ad attizzare il nazionalismo vietnamita.
Ecco allora la inevitabile comparsa di un’altra triste caratteristica dei regimi
coloniali, la repressione poliziesca, la delazione, la persecuzione, l’incarcerazione e
la condanna a morte di oppositori e patrioti. Eloquente monumento di questa
situazione è la gigantesca ghigliottina che ancor oggi sorge di fronte al Museo
dell’esercito in Ho Chi Minh Ville (ex Saigon) mentre un vasto pannello pieno di
fotografie ricorda nomi e volti dei giustiziati. Pesante censura, discriminazione
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razziale, bassi salari, abolizione dei diritti più elementari dello stato di diritto (era
vietata qualsiasi attività politica, sindacale, ogni diritto di associazione e riunione)
erano norma e corollario della condizione di sottomissione di un intero popolo.
La situazione era tipica, una vera contraddizione degna della dialettica hegeliana: il
colonizzatore (tesi) non può che insegnare al colonizzato (antitesi) la propria civiltà
in base alla quale il secondo si ribellerà al primo: più il colonizzatore colonizza, più
insegna (non può non insegnare!) al colonizzato che colonizzare è sbagliato ed
ingiusto perché contraddittorio coi suoi stessi principi
Oltretutto, i vietnamiti, il 75% della popolazione indocinese (quest’ultima circa 25
milioni nel 1945), avevano una tradizione millenaria di nazionalismo e senso di
superiorità rispetto agli altri popoli indocinesi e, aggiungiamo, durante la prima
guerra mondiale per mantenere la situazione tranquilla e sotto controllo la Francia era
stata costretta a fare grandi promesse che non era disposta a mantenere.
Nel 1925 il governo francese designò così come Imperatore Bao Dai,
occidentalizzato e riformatore, sul quale riponeva la speranza dell’accettazione della
propria presenza e del proprio dominio, ma poi, nel 1933, ne rifiutò il programma di
riforme.
Fu così che, sempre secondo il classico modello coloniale, la situazione precipitò: i
Francesi respingevano le proposte dei moderati; sorsero allora (o presero forza)
movimenti rivoluzionari - nel 1930 l’Associazione della gioventù rivoluzionaria
vietnamita, fondata cinque anni prima, si trasformò nel Partito Comunista d’Indocina
che, guidato da Nguyen Ai Quoc (Nguyen il patriota) poi chiamato Ho Chi Minh
(“Volontà che illumina”), assunse la guida della lotta per l’indipendenza nazionale,
per il momento suo obiettivo prioritario e per il quale era disposto ad allearsi con
chiunque; cominciarono scontri e attentati; la polizia si scatenò; la lotta si intensificò
e gli spazi di manovra si restrinsero sempre più. I nazionalisti erano divisi al loro
interno fra comunisti e non, e per parte sua il Partito Comunista, clandestino in un
Paese in subbuglio, nonostante i Vietnamiti fossero profondamente attaccati alla
proprietà ed alla famiglia patriarcale, resisteva a tutti i tentativi di distruzione: era
l’intransigenza dei Francesi ad impedire soluzioni mediate e pacifiche.
In un clima instabile e di grande conflittualità la situazione si aggravò ulteriormente
con lo scoppio della seconda guerra mondiale.
Il Vietnam colonia occupata
Il 3 settembre 1939, in seguito all’attacco tedesco alla Polonia, Francia e Inghilterra
dichiararono guerra alla Germania: il secondo conflitto mondiale – che, nonostante il
Giappone (e gli U.S.A.) il 5 settembre proclamassero la loro neutralità, da anni era in
pieno svolgimento in Asia - iniziava così anche in Europa.
In Asia infatti il Giappone aveva iniziato da tempo la sua politica di aggressione:
a) il 18 settembre 1931 aveva occupato la Manciuria strappandola alla Cina e
trasformandola nello stato-fantoccio del Manchukuo l’anno seguente;
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b) nel novembre 1936 aveva aderito al Patto Antikomintern in funzione antisovietica;
c) il 7 luglio 1937 aveva dato inizio all’invasione della Cina: l’inevitabile guerra con
l’U.R.S.S. – pur iniziata - venne comunque subito bloccata in seguito alla Conferenza
di Monaco (settembre – ottobre 1938) che preoccupò grandemente Stalin sul fronte
europeo e convinse il Giappone della debolezza di Francia e Inghilterra
convogliandone così le mire verso i possedimenti asiatici di queste ultime;
d) intensificò quindi subito l’offensiva verso il sud-est asiatico e
e) per non coinvolgere l’U.R.S.S., nella primavera del 1939 rifiutò di trasformare il
patto Antikomintern in vera e propria alleanza militare.
Il 10 maggio 1940 Hitler in Europa pose fine alla ‘drole de guerre’ e invase la Francia
che crollò miseramente: già il 22 giugno il nuovo Primo Ministro, il vecchio
Maresciallo Pétain, firmava l’armistizio che cedeva alle enormi richieste tedesche ma
conservava circa due terzi del territorio nazionale, la Francia centromeridionale, che,
con capitale Vichy, rimaneva ‘indipendente’ (in realtà si trattava di un regime
sottomesso e collaborazionista) e manteneva il possesso della flotta e dell’Impero
coloniale d’oltremare.
La situazione dell’Indocina risultò così davvero particolare: il regime di Vichy sottoposto ai Tedeschi – concesse:
a) il 13 giugno 1940 libero transito attraverso il Tonchino alle truppe giapponesi;
b) il 19 giugno 1940 la chiusura del confine cino-vietnamita ed il controllo
giapponese della linea ferroviaria per lo Yunnan;
c) nel luglio 1940 l’accordo Darlan – Kato autorizzò un considerevole aumento delle
truppe nipponiche autorizzate a penetrare in Indocina;
d) il 30 agosto 1940 ai Giapponesi l’uso di porti, aeroporti e città indocinesi;
e) il 22 settembre 1940 l’occupazione del Vietnam settentrionale fino ad Hanoi;
f) in seguito anche alcune province di Laos e Cambogia finchè, dopo che nell’aprile
1941 il Giappone aveva firmato il Patto di non-aggressione con l’U.R.S.S.,
g) il 24 luglio 1941 le truppe nipponiche occuparono tutta l’Indocina in base ad
un accordo globale di “difesa comune dell’Indocina francese”;
h) infine, il 27 settembre il Giappone accettò di trasformare il Patto Antikomintern in
Patto Tripartito, vera alleanza militare con l’Asse.
L’Indocina serviva allora come base per gli attacchi a Singapore e alle Indie Olandesi
ed effettivamente le truppe nipponiche stavano conseguendo sbalorditivi successi in
tutto il Sud-est asiatico ove, mentre passavano di vittoria in vittoria e di occupazione
in occupazione, cercavano di fomentare rivolte nazionalistiche anti-occidentali
secondo la politica de “l’Asia agli asiatici” - e fu per questo che nel maggio 1942
l’aviazione americana, partita dalla Cina, bombardò Hanoi.
In realtà il progetto giapponese di “grande Asia” (dalla Manciuria alla Guinea) era
ben diverso: il Sud-est asiatico andava strutturato secondo una scala gerarchica che
partiva da territori “coloniali” veri e propri per passare a quelli “autonomi” ma
controllati e infine agli “alleati” (fra cui l’Indocina). Si trattava di organizzare un
sistema di economie integrate in una “sfera della coprosperità” che ripudiasse ed
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abolisse per sempre il periodo dello sfruttamento coloniale europeo ed in questo
senso i Giapponesi cercarono di coinvolgere i movimenti nazionalisti in uno sforzo
comune, ma invano: le orribili modalità della loro occupazione e la loro incapacità –
ed impossibilità, dati i mezzi a disposizione – di sviluppare in un qualche modo le
potenzialità economiche dell’immensa area da loro occupata alienarono loro qualsiasi
simpatia che non fosse interessata o strumentale.
Per tacere, ovviamente, della guerra che dopo i primi iniziali spettacolari successi
volgeva al peggio anche perché i Giapponesi avevano proceduto spingendosi troppo
avanti, senza disporre delle risorse adeguate e senza aver organizzato le necessarie
misure difensive.
E così, più il Giappone passava di sconfitta in sconfitta, più ricorreva alla
mobilitazione totale delle risorse materiali e umane, sue e delle popolazioni soggette,
e più aumentava la resistenza al suo dominio ed al suo sfruttamento.
A differenza di altri territori, la situazione in Indocina era tuttavia particolare perché
qui i Giapponesi per il momento non scacciarono i Francesi né li combatterono
perché erano ‘alleati’ con loro: sicuramente furono gli occupanti nipponici, e non
certamente gli antichi dominatori coloniali, a dettar legge, ma rimane il fatto che,
almeno ufficialmente, i vecchi padroni fecero largo ai nuovi senza andarsene e, anzi,
pensando che si trattasse di un periodo transitorio e passeggero.
I Giapponesi consideravano l’Indocina come una base di lancio verso le altre
conquiste nell’intero Sud-est e i Francesi in fondo aspettavano di essere reinsediati
nei loro privilegi al termine della guerra.
Sotto i Giapponesi il Vietnam, anzi, l’Indocina, non fu dunque un Paese ‘liberato’ o
passato da un signore ad un altro, ma una vera e propria colonia (tale per i Francesi
era e rimaneva) occupata per il periodo della guerra da un regime con cui il
signore coloniale collaborava.
Dalla resistenza contro il Giappone a quella contro la
Francia
Intanto nel maggio 1941 Ho Chi Minh, già scampato alle persecuzioni, dalla Cina
dove si era rifugiato fondò la Lega per l’indipendenza del Vietnam, meglio nota come
Viet Minh, che ben presto divenne la punta di lancia della resistenza in Indocina – e
nella quale (come in passato) erano i Vietnamiti l’unico elemento attivo e
combattente.
Per i seguenti tre anni, tuttavia, il Viet Minh non fu in grado di cogliere significativi
successi anche se, avendo subordinato la lotta di classe alla riconquista
dell’indipendenza nazionale – il decisivo obiettivo primario -, per questo aveva
identificato nei Giapponesi il vero nemico e, conseguentemente, si era legato agli
Alleati: rifornito di armi dall’U.R.S.S., potè guadagnarsi anche il sostegno
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dell’O.S.S. statunitense che non gli fece mancare rifornimenti (ed i suoi medici
quando Ho Chi Minh si ammalò di malaria e dissenteria).
Lo strano stato di coesistenza pacifica e di rapporti cortesi fra l’esercito giapponese
da una parte e l’amministrazione e le forze armate francesi dall’altra fu bruscamente
interrotto il 9 marzo 1945.
I Francesi, che con lo sbarco in Normandia erano passati dalla parte degli
Alleati, ora speravano di collaborare con essi alla cacciata dei Giapponesi, ma in tale
data, quando sentiva ormai di aver perso la guerra e ricorreva sempre più ai mezzi più
estremi, il Giappone gettò la maschera anche in Indocina e con un colpo solo attaccò,
disarmò ed eliminò tutte le strutture militari, politiche ed amministrative francesi e ne
proclamò la fine dello status di colonia proponendo l’alleanza e chiamando a raccolta
tutti i nazionalisti nello sforzo decisivo contro le (ex?) potenze coloniali.
Era ovviamente una mossa disperata – McArthur aveva appena riconquistato le
Filippine - e davvero poco convincente dato il brutale regime di occupazione fino ad
allora esercitato, tuttavia era avvenuto un fatto storico di importanza decisiva:
i colonialisti europei erano stati umiliati e battuti da una potenza asiatica.
Di più, coi Francesi ormai ridotti all’impotenza e i Giapponesi impegnati in ben altri
fronti, il Viet Minh non aveva più veri ostacoli al suo dilagare nel Paese e a stabilire
il suo governo.
Per parte sua, l’imperatore Bao Dai non aveva mai avuto nessuna vera forza e così la
sua proclamazione già l’11 marzo 1945 dell’ indipendenza nazionale ed i suoi sforzi
di ricostituire l’unità di un Paese devastato ed affamato non poterono che avere scarsi
effetti: al momento della capitolazione giapponese fu così il Viet Minh che
organizzò l’insurrezione generale ed in una settimana – dal 19 al 25 agosto 1945 si impadronì dell’intero Paese; il 23 agosto ottenne l’abdicazione di Bao Dai in suo
favore e costituì un governo provvisorio sotto la presidenza di Ho Chi Minh che il 2
settembre 1945 proclamò l’indipendenza del Vietnam, divenuto Repubblica
Democratica (RDVN) con Bao Dai nel ruolo di ‘consigliere supremo’.
Vale la pena riportare i passi salienti della Dichiarazione d’indipendenza letta quel
giorno da un palco sul quale erano presenti anche ufficiali americani mentre loro
aerei sorvolavano i cieli e una banda vietnamita intonava l’inno nazionale americano:
“Tutti gli uomini sono stati creati uguali … Il Creatore ha conferito loro alcuni diritti
inalienabili. Tra questi vi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità.”
Queste parole immortali sono tratte dalla Dichiarazione di indipendenza degli Stati
Uniti d’America nel 1776. In senso lato, tutti i popoli hanno il diritto di vivere, di
essere liberi, di essere felici.
La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della Rivoluzione francese
(1791) ha ugualmente proclamato: “Gli uomini sono nati e rimangono liberi e uguali
nei loro diritti.”
Si tratta di verità incontestabili.
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Per più di ottant’anni tuttavia gli imperialisti francesi, rinnegando i loro principi di
“libertà, uguaglianza, fraternità”, hanno violato la Terra dei nostri avi ed hanno
oppresso i nostri compatrioti. Le loro azioni sono contrarie ad ogni ideale di umanità
e di giustizia …
… La verità è che noi abbiamo strappato la nostra indipendenza dalle mani dei
giapponesi e non da quelle dei francesi. Con la fuga dei francesi, la capitolazione dei
giapponesi e l’abdicazione dell’imperatore Bao-Dai, il nostro popolo ha spezzato le
catene che ci avevano oppressi per quasi cento anni e ha fatto del nostro Vietnam un
paese indipendente. Nello stesso tempo il nostro popolo ha rovesciato il regime
monarchico che aveva governato per decine di secoli e ha fondato la Repubblica.
Per queste ragioni Noi, Membri del Governo Provvisorio, in rappresentanza
dell’intero popolo del Vietnam, dichiariamo che non avremo più alcuna relazione con
la Francia imperialista, che aboliremo tutti i trattati sottoscritti dalla Francia a
proposito del Vietnam, e che aboliremo anche tutti i privilegi usurpati dai francesi
sulla nostra terra.
Tutto il popolo del Vietnam, ispirato dalla stessa volontà, è deciso a combattere fino
in fondo contro ogni tentativo di aggressione da parte degli imperialisti francesi.
Siamo convinti che gli Alleati, che hanno riconosciuto il principio di uguaglianza tra i
popoli alle conferenze di Teheran e di San Francisco, non potranno non riconoscere
l’indipendenza del Vietnam.. Un popolo che si è ostinatamente opposto alla
dominazione francese per più di ottant’anni, un popolo che negli ultimi tempi si è
schierato definitivamente a fianco degli Alleati nella lotta contro il fascismo, è un
popolo che ha il diritto di essere libero, è un popolo che deve essere indipendente.
Per queste ragioni Noi, membri del Governo Provvisorio della Repubblica
Democratica del Vietnam, proclamiamo solennemente di fronte al mondo intero: il
Vietnam ha il diritto di essere libero e indipendente ed è di fatto libero e
indipendente. Il popolo tutto del Vietnam è deciso a mobilitare ogni sua forza
spirituale e materiale ed a sacrificare le sue vite e i suoi beni al fine di salvaguardare
il suo diritto alla libertà e all’indipendenza.
(seguono undici firme alla prima di Ho Chi Minh presidente)
Hanoi 2 settembre 1945
E’ quasi incredibile – ma anche estremamente significativo degli umori, delle
impressioni e delle aspettative del tempo – che i comunisti vietnamiti contassero sugli
U.S.A. per essere protetti contro i Francesi (!), che li sentissero amici e vicini dato il
loro anticolonialismo (!) e la miglior garanzia della libertà appena raggiunta dal loro
secolare oppressore. Agli occhi dei Vietnamiti la Francia non solo era stata la
potenza coloniale ed oppressiva, ma era stata anche l’alleata dei Giapponesi e del
nazifascismo: a noi Europei sfugge che all’estero e oltremare la Francia percepita
era quella di Vichy. Gli americani erano stati invece i liberatori. E’ solo tenendo
presente questa situazione che si può comprendere come mai l’O.S.S. di Major Patti
era giubilante ed il presidente Roosevelt fornì persino armi ai Vietnamiti (oltre a
quelle ricevute dai Giapponesi in fuga). Ho Chi Minh credette anche in Truman (cui
scrisse numerose lettere), nell’O.N.U., denunciò il colonialismo francese in quanto
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tale e come collaborazionista dei Giapponesi mentre il suo governo operava per
rimettere in piedi il Paese tanto provato e indiceva le elezioni per il gennaio
successivo.
Ma la realtà era terribilmente diversa da queste generose (ed ingenue) aspettative.
Fin dal 24 marzo 1945 infatti De Gaulle si era pronunciato per una federazione
comprendente Cocincina, Annam, Tonchino, Laos e Cambogia: secondo il suo piano
ognuno dei cinque Paesi avrebbe goduto di autonomia interna mentre alla Francia
sarebbe rimasto il controllo di difesa, moneta, esteri, economia e l’arbitraggio fra di
loro: alla Conferenza di Potsdam (17 luglio – 2 agosto 1945) poi, ancora assenti i
Francesi, i tre ‘grandi’ avevano deciso di dividere il Vietnam in due zone, a nord e a
sud del 16° parallelo (a nord di Huè, dove passa il 17°), la prima destinata
all’occupazione cinese e la seconda a quella britannica.
Finita ormai la guerra, era riemersa subito la mentalità coloniale, con le sue
logiche, i suoi interessi predatori e la sua risoluta negazione dell’uguaglianza dei
popoli e degli uomini: idee e ideali sbandierati contro il nazifascismo venivano
immediatamente e platealmente contraddetti quando si trattava di applicarli ai propri
dominati . Per le potenze vincitrici si doveva semplicemente tornare alla situazione
dell’anteguerra, facendo semmai alcune concessioni che non scalfissero però quegli
stessi interessi che erano stati alla base del colonialismo.
Detto fatto, il 13 settembre 1945 truppe franco-inglesi sbarcarono a Saigon e –
mentre la dirigenza nazionalista si dava alla macchia - permisero ai Francesi di
rioccupare la città ed altri centri (ma non le campagne rimaste in mano
vietnamita); i Cinesi per parte loro occuparono il nord abbandonandosi subito ad un
vero e proprio saccheggio.
Ma i tempi erano cambiati e le terribili vicende della guerra e dell’occupazione
giapponese avevano lasciato il segno: non era più possibile trattare i Vietnamiti come
dei semplici sottomessi perché ormai reagivano, lottavano e resistevano.
Fu così che i Cinesi per primi dovettero gettare la spugna e affidare la zona a loro
assegnata ai nazionalisti antimarxisti: il 28 febbraio 1946 un accordo franco-cinese
portò poi al ritiro delle loro truppe (dopo la partenza di quelle britanniche al sud).
Ai primi di marzo, la Francia concluse un accordo con Ho Chi Minh (che voleva
sganciarsi dalle pressioni cinesi e dalle depredazioni del suo esercito) secondo il
quale la libera Repubblica del Vietnam entrava a far parte di una Federazione
Indocinese e dell’Unione Francese.
Questo accordo è importante perché segnò l’abbandono definitivo dell’influenza
cinese sull’intera Indocina, ma la conseguente conferenza applicativa che si tenne il
mese seguente a Dalat, in Cocincina, rivelò il grosso equivoco perchè i Vietnamiti
pretendevano la completa indipendenza del Paese e i Francesi non erano
intenzionati a concederla, tanto che il 1 giugno 1946 l’ammiraglio d’Angenlieu,
Alto Commissario per l’Indocina, annunciò la creazione della Repubblica autonoma
della Cocincina.
Va dato atto a Ho Chi Minh – il cui movimento, pretendendo di essere l’unico
rappresentante del popolo vietnamita, procedeva all’eliminazione dei movimenti e dei
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politici rivali - di essersi spinto molto avanti nelle sue aperture ai Francesi, ma non
era nella realtà delle cose quel progressivo, pacifico (e concordato con la Francia
stessa!) annullamento del passato coloniale che egli aveva in mente e sul quale
puntava. E’ in questa luce che va colto anche il fallimento della Conferenza di
Fontainebleu che, aperta il 6 luglio 1946, già il 10 settembre si concludeva con una
rottura ormai non più sanabile.
La situazione – decisamente non più gestibile - precipitò: insurrezioni, scontri,
rappresaglie culminarono col bombardamento francese del porto di Haiphong (nel
Tonchino) il 23 novembre 1946 finchè con l’attacco a sorpresa vietnamita delle
guarnigioni francesi nel Tonchino e nell’Annam, il 19 dicembre 1946 la guerra
scoppiò senza più possibilità di mediazione e di accordo.
La particolare guerra anticoloniale del Vietnam
Gli inizi della guerra furono poco felici per i Vietnamiti: il Paese era confuso e
versava in gravi difficoltà; gli U.S.A. e l’O.N.U. stessa (!) non avevano riconosciuto
la validità delle richieste di Ho Chi Minh perché anche il Vietnam si vedesse
riconoscere l’indipendenza nazionale; le truppe francesi erano superiori in tutto a
quelle vietnamite comandate dal generale Vo Nguyen Giap; per cui Ho Chi Minh
dovette assumere un atteggiamento piuttosto conciliante: il 24 marzo 1947 propose
così un’uscita condivisa dalla guerra chiedendo che la Francia seguisse in Vietnam
l’atteggiamento statunitense nelle Filippine e quello dell’Inghilterra in India, ma
ottenne un netto rifiuto anche perché da parte francese si voleva evitare in tutti i modi
di creare un precedente che mettesse in discussione il suo Impero in Nordafrica e in
Madacascar.
Potrebbe sembrare dunque che la guerra fosse tipicamente anticoloniale, ma,
purtroppo, non era così: Ho Chi Minh era comunista e, anche se solo una decina dei
trecento membri dell’Assemblea erano comunisti (la grande maggioranza dei deputati
era nazionalista), i posti chiave del governo erano però nelle loro mani.
Ciò contribuiva a spingere gli U.S.A. di Truman a sostenere la Francia.
Per parte sua la Francia giocò tuttavia tutte le carte tipiche dei regimi coloniali in
difficoltà, cioè cercò l’appoggio di elementi locali al mantenimento di una sua
presenza e di un suo ruolo nel Paese e lo trovò nell’imperatore Bao Dai che ora
cercava di riconquistare il suo trono; questi il 6 dicembre 1947 accettò di essere
reintegrato e da imperatore negoziò con la Francia gli incomprensibili accordi della
baia d’Along (Vietnam indipendente all’interno dell’Union Francaise!?) per poi
rinnegarli il 7 gennaio 1948 finchè l’8 marzo 1949, dopo numerose reticenze, accettò
di presiedere il Vietnam come ‘dominion’ all’interno dell’Union Francaise.
L’ 8 marzo 1949 per i Francesi è la data di svolta della guerra: quel giorno la
‘dichiarazione comune’ Bao Dai – Henri Queuille venne ratificata dagli accordi
Auriol – Bao Dai e segnò la trasformazione della guerra da coloniale in
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anticomunista. Lo scontro per i Francesi mutava completamente e, cessato ed
archiviato il tentativo di restaurazione coloniale, iniziava ora una “sorta di guerra
civile per aiutare la maggioranza nazionalista che voleva l’indipendenza conservando
legami privilegiati con la Francia” contro il comunismo (J.J. Beucler).
Meno di un mese dopo, il 4 aprile, nasceva la N.A.T.O..
I Francesi ora pretendevano di agire più o meno disinteressatamente per una causa –
la difesa della libertà contro il comunismo – finalmente presentabile, ma queste erano
giudicate chiacchere ipocrite da chi fino al giorno prima li aveva visti sfruttatori ed
oppressori, negatori di diritti elementari reclamati a gran voce per sé ma negati agli
altri.
Più in generale la vicenda vietnamita era esemplare nel suo legare la causa
anticomunista agli interessi coloniali e, per converso, nell’identificare il
comunismo con la liberazione dei popoli oppressi: l’Occidente perdeva di
credibilità e di autorità agli occhi di chi lo vedeva combattere – e con quanta
violenza! – contro l’emancipazione dei popoli oppressi mentre il comunismo si
batteva dalla loro parte.
La svolta anticomunista del conflitto in Vietnam, oltretutto, non mutò più di tanto i
rapporti di forza nel Paese dato che era Ho Chi Minh ormai a controllare il Tonchino.
Fu la nascita il 1 ottobre 1949 della Cina popolare che cambiò l’intero scenario
dell’Asia e, in particolare, della guerra in Vietnam.
Il Vietnam crocevia dello scontro mondiale
Per oltre due anni il Viet Minh aveva potuto contare solo su se stesso e la sua
resistenza era stata frutto di uno sforzo autonomo con risorse molto limitate: ora la
vittoria di Mao gli offriva un insperato sostegno: proprio come l’U.R.S.S. aveva
sostenuto in tutti i modi i comunisti cinesi che avevano stabilito le loro basi sui suoi
confini, così ora il Tonchino confinava con un gigante amico. Il 16 gennaio 1950
la Cina riconosceva il governo di Ho Chi Minh come l’unico legittimo del Vietnam e
due settimane dopo, il 30, lo stesso faceva l’U.R.S.S.. La risposta non si fece
attendere e il 6 febbraio Londra e Washington riconoscevano invece il governo di
Bao Dai, con il Laos e la Cambogia ancora sotto la Francia.
La posta in gioco era diventata enorme e la guerra, fino a quel momento limitata,
divenne di portata mondiale perché ormai erano in lotta due mondi – comunista e
capitalista –: le risorse impegnate eccedevano completamente le possibilità
francesi (per tacere di quelle vietnamite) mentre la stessa società vietnamita si
divideva nei due campi avversi.
Il 25 giugno 1950 l’invasione della Corea del Sud da parte del Nord comunista
implicò un ulteriore enorme impegno degli U.S.A., gli unici che potessero reggere lo
scontro planetario ormai pienamente in atto: in tale guerra moriranno più di due
milioni di soldati ma erano le superpotenze che si affrontavano.
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Washington era costretta a sovvenzionare il sicuro perdente, la Francia, di una guerra
anticoloniale; la Francia era pateticamente incapace di sostenere i suoi sogni imperiali
né si rendeva pienamente conto dell’antistoricità dei suoi sforzi; i nazionalisti
vietnamiti giudicavano un governo comunista il male minore; la società francese
avvertiva la guerra condotta dall’altra parte del mondo incomprensibile e lontana; i
politici francesi scaricavano volentieri i pesi, le decisioni e le responsabilità sulle
spalle di americani e militari; … e la guerra continuava e cresceva di intensità.
Nel dicembre 1950 la nomina ad Alto Commissario del generale Jean de Lattre de
Tassigny, nonostante le sue indubbie capacità, non modificò sostanzialmente la
situazione: i Francesi avevano il dominio dei cieli ma sul territorio dovevano restare
asserragliati nelle loro roccaforti; l’esercito nazionale vietnamita sul quale de Lattre
de Tassigny puntava, pur numeroso, era pateticamente inefficiente; nonostante
l’appoggio di Pio XII che nell’autunno 1951 disse allo stesso de Lattre in visita “Voi
fate opera di difesa della civiltà cristiana contro il marxismo. Noi vi aiuteremo per
quanto potremo”; nonostante i circa due milioni di cattolici vietnamiti fossero dalla
parte di Bao Dai (mentre prima la loro posizione non era così netta e vi erano state
anche unità cattoliche Viet Minh comandate da sacerdoti); l’opinione pubblica
francese protestava sempre più accesamente contro una guerra moralmente
ingiustificabile di cui non capiva il senso ma di cui sentiva i costi (il doppio di
quanto ricevuto dal piano Marshall); costi che, oltretutto, per l’80% pagavano ormai
gli U.S.A., anch’essi sempre meno convinti della strategia puramente difensiva
adottata dai Francesi sempre più in difficoltà.
Nessuno credeva più nella vittoria, soprattutto dopo la morte prematura di de Lattre
de Tassigny (nel gennaio 1952) e nonostante in quello stesso anno la N.A.T.O. si
schierasse con la Francia.
Si poteva continuare in questo modo? Evidentemente no e fu così che - mentre
anche nella terribile guerra di Corea si era arrivati alla conclusione che la vittoria era
impossibile e quindi all’armistizio del 27 luglio 1953 (ancor oggi in vigore) – U.S.A.,
Gran Bretagna, Cina, U.R.S.S. e Francia convennero di incontrarsi a Ginevra
nell’aprile 1954 per una Conferenza sull’Estremo Oriente.
Ambedue le parti volevano arrivare a questa Conferenza con una vittoria sul campo
ed effettivamente fu così perché proprio allora le sorti del conflitto furono
irrimediabilmente segnate dalla vittoria vietnamita di Dien Bien Phu, vero punto di
non ritorno della guerra e successo storico della causa anticoloniale.
Dien Bien Phu
Dien Bien Phu è un incrocio stradale nel nord-ovest del Paese, importante passaggio
per le truppe Viet Minh che si rifugiavano nei campi del Laos a ritemprarsi in luoghi
sicuri e fuori dei combattimenti: fu qui che il generale Navarre già nel dicembre 1953
volle concentrare molte delle sue forze allo scopo soprattutto di attrarre i Vietnamiti e
costringerli ad una battaglia campale. Per i Francesi era assolutamente necessario far
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uscire il nemico allo scoperto, spezzare la sua tattica basata sulla guerriglia che era
ormai chiaro i Francesi non erano in grado di stroncare nonostante l’ampiezza dei
mezzi impiegati.
Il piano di Navarre sembrò funzionare allorché Giap accettò la sfida, ma a modo suo:
invece di muovere in un assalto frontale i Vietnamiti circondarono i Francesi a Dien
Bien Phu e cominciarono ad assediarli. Ingenti rinforzi erano stati fatti confluire da
tutto il Vietnam mentre i Cinesi dotarono gli assedianti di armamento antiaereo che
ridusse fortemente la possibilità di rifornimento degli assediati.
La gravità della situazione fu ben presto chiara a Navarre che non potè che chiedere
aiuto, aiuto che non poteva che giungere dai soliti U.S.A., U.S.A. che addirittura
presero in considerazione l’eventualità dell’impiego di bombe atomiche (!).
Il Presidente Eisenhower tuttavia rifiutò di intervenire da solo e, interpellati gli
Alleati occidentali, si sentì dire di attendere i risultati della Conferenza di Ginevra
prima di inserirsi definitivamente in una guerra del genere.
Era finita: il 13 marzo 1954, ormai sicuro della superiorità delle sue forze e della
vittoria, Giap lanciò la sua offensiva che tuttavia durò quasi due mesi finchè le
truppe francesi il 7 maggio 1954 dovettero arrendersi.
I Francesi resistettero fino allo stremo delle loro forze con grande tenacia e valore:
valga come esempio il comandante della loro artiglieria, il colonnello Piroth, che,
sentendosi “completamente disonorato”, si suicidò, ma la guerra, completamente
sbagliata, era persa e il giorno seguente il governo francese annunciò la sua volontà di
ritirarsi dal Vietnam.
La Conferenza di Ginevra…
La battaglia di Dien Bien Phu era stata combattuta mentre la Conferenza di Ginevra
stava proseguendo i suoi lavori e ciò rende ancor più evidente la sua importanza dato
che ambedue le parti volevano assolutamente una grande vittoria da mettere sul
tavolo delle trattative: per lo stesso motivo è chiaro che dopo un fatto d’armi del
genere la Conferenza stessa non poteva che giungere ad una conclusione.
Essa, aperta ufficialmente il 23 aprile 1954, si chiuse così il 21 luglio segnando la
fine del colonialismo francese in Asia. Venne deciso infatti:
a) un armistizio;
b) il ritiro delle truppe francesi dal Vietnam;
c) la divisione provvisoria del Paese lungo il 17° parallelo, col Sud sotto il
governo di Saigon presieduto da Bao Dai e il Nord governato dal Viet Minh;
d) elezioni in tutto il Paese sotto controllo internazionale nel luglio 1956 in vista
anche della riunificazione.
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…e il suo fallimento
Ma non sarebbe stata certamente questa la strada che avrebbe portato alla soluzione
definitiva del problema: mentre Laos e Cambogia si sbarazzarono subito della
presenza francese il Vietnam aveva davanti a sé un calvario che sarebbe durato
ancora più di un ventennio.
La ottusa politica francese mostrava ora tutta la sua miopia nell’aver spinto nelle
braccia dei comunisti tanti nazionalisti non di sinistra e nell’aver screditato
personaggi come Bao Dai, presto rovesciato dal suo ex primo ministro, il cattolico ed
occidentalizzato anticomunista Ngo Dinh Diem che il 23 ottobre 1955, ottenuto il
98% dei consensi al suo colpo di stato, proclamò la fine dell’Impero.
Diem chiese ed ottenne il rimpatrio delle truppe francesi (ultimato il 28 aprile 1956)
ma era privo di vero appoggio nel Paese.
Sarà sostenuto dagli U.S.A., ora pienamente subentrati alla esausta e umiliata Francia
anche in questo settore del Mondo e la tragedia, lungi dal concludersi, andrà
peggiorando sempre più.
Il netto esito della guerra, tanto sangue, tanto dolore e tanta distruzione (il Vietnam
era ridotto in condizioni pietose) non servirono a niente: già nell’autunno dello stesso
1954 la Francia si buttò a capofitto in una nuova – e destinata alla sconfitta – guerra
coloniale in Algeria, mentre in Vietnam Diem, sempre spalleggiato dagli U.S.A.,
annullò la convocazione delle elezioni aprendo le porte ad un altro ventennio di
guerra ancor più drammatico del decennio precedente e destinato ad avere una portata
ed un’eco mondiali.
Ma come fu possibile che nessuno avesse imparato niente?
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Bibliografia
Kavalan M. Panikkar:
“Storia della dominazione europea in Asia“ - Einaudi, Torino 1977
Golden Furber:
“Imperi rivali nei mercati d’Oriente” - Il Mulino, Bologna 1986
Jean Chesneaux:
“L’Asia orientale nell’età dell’imperialismo” - Einaudi, Torino 1975
Giorgio Borsa:
“La nascita del mondo moderno in Asia orientale” - Rizzoli, Milano 1977
“La lunga guerra d’indipendenza del Vietnam” Volume 14 della Biblioteca di Repubblica – 2004
Amédée Thévenet:
“La guerre d’Indochine racontée par ceux qui l’ont vécue – 1945-1954”
France-Empire - Paris 2001
Stanley Karnow :
« Storia della guerra del Vietnam » - Rizzoli, Milano 1985
Articoli e saggi su
Wikipedia
Spartacus Educational
Francesco Cappello
Jean-Claude Pomonti
Massimo L. Salvadori
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