Gli emigrati italiani in Francia avevano sempre dovuto subire il

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SECONDA GUERRA MONDIALE
i volontari italiani di Francia
SECONDA GUERRA MONDIALE
i volontari italiani di Francia
E i «macaronì»
divennero Marò
Gli emigrati italiani in Francia avevano sempre dovuto subire il
razzismo dei «cugini». Ma con lo scoppio della Seconda guerra mondiale
il rapporto fra la comunità italiana e francese toccò il suo punto più
basso. Fra vessazioni d’ogni genere, dopo l’8 settembre un pugno di
giovani decise di arruolarsi giurando fedeltà alla Repubblica Sociale
di Andrea Vezzà
S
ono circa un milione
gli italiani presenti
sul territorio francese
agli albori del secondo conflitto mondiale, arrivati a seguito di
un costante flusso migratorio consolidato tra il XIX e il XX secolo e
accelerato dopo l’affermazione del
Fascismo con i fuoriusciti politici.
In ragione delle affinità etniche
e culturali, gli italiani suscitano
presso i francesi giudizi modesti,
sicuramente migliori di quelli riservati ad altri immigrati quali
russi, polacchi o ebrei, ma solo
coloro che si avvicinano allo stereotipo locale vengono in qualche
modo tollerati, mentre agli altri è
semplicemente riservato l’epiteto
di macaronì. Una discriminazione che colpisce tutti, dall’operaio
Amos Calcinelli (giunto a piedi
con il padre antifascista nella periferia parigina dalla provincia emiliana, che ricorda: «Chi ha vissuto
in Francia negli anni del dopoguerra, cioè tra il 1920 e il 1939, sa
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STORIA IN RETE 36
con quale disprezzo erano trattati
gli italiani. Se ogni residente italiano in questi anni dovesse scrivere la sua intera e veridica storia,
svelerebbe le sofferenze morali e le
umiliazioni peggiori che un uomo
possa sopportare») allo studente Carlo Alfredo Panzarasa, nato
nella capitale francese da una ricca
famiglia emigrata dalla provincia
lombarda agli inizi del secolo, che
aggiunge: «La società francese non
si mostrava certo accogliente nel
confronto degli italiani. Certo, faceva loro comodo il nostro lavoro
poco pagato, ma rimanevamo pur
sempre degli stranieri verso i quali erano riservati i pregiudizi della
società. Allora a scuola facevamo
comunella con gli esuli russi e gli
ebrei e giù botte con i francesi».
Anche dal punto di vista politico
non si fanno sottili distinzioni. I
fascisti vengono messi a tacere ed
emarginati, ma agli antifascisti
non è certo riservato un trattamento migliore, persistendo nei
francesi la paura di ritrovarsi in
casa masse scomposte controllate
da Roma o Mosca. Un pregiudizio
a priori ben descritto dall’operaio
Stefano Zarini, nato a Nancy da
padre lombardo e madre francese,
che ricorda: «Ognuno di noi, giovani italiani di Francia, dovette,
negli anni prima della guerra, ed
ancora più difficilmente durante la
guerra, inventare astuzie infinite
per cercare di inserirsi nel tessuto
sociale. Tutti parlavamo francese
alla perfezione, senza il minimo
accento che ci potesse fare individuare come stranieri. Non avevamo la pelle nera o gialla. Eravamo
vestiti come gli altri. Qualcuno di
noi aveva persino gli occhi azzurri. Ma la differenza c’era. Quando,
ogni sei mesi, dovevi far rinnovare
il titolo di soggiorno, era d’obbligo presentarsi in questura. Accoglienza simpatica, prime domande con la faccia da bonaccione,
poi, nel sentire il tuo cognome...
silenzio di morte: “Sei italiano?”.
“Oui, monsieur”. Lo sguardo ora
Settembre 2014
I volontari italiani di
Francia davanti a un
baraccamento a Canejan
Settembre 2014
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