Accumulazione di capitale e crescita.

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Sistemi Economici Comparati
Anno accademico 2013-2014
Prof.sa Renata Targetti Lenti
Terzo gruppo di domande: lo sviluppo
comparato di Cina, India e Corea del Sud.
Lezione riassuntiva 18/12/2014
Cina e India
Il confronto tra due grandi paesi come Cina e India è funzionale a
meglio comprendere i fattori specifici che hanno caratterizzato il
sentiero di sviluppo di ciascuno di essi. Si sostiene a tale
proposito che Cina e India “si svilupperanno autonomamente
secondo linee mutually reinforcing e non conflittuali”.
Cina ed India continueranno a uniformarsi a modelli distinti, ma
sfrutteranno al meglio le rispettive eccellenze.
Le differenze nei rispettivi percorsi di crescita sono da attribuirsi
alle specifiche condizioni iniziali ed al congiunto operare non
solo di fattori economici, ma anche politici e sociali.
Il progressivo inserimento di India e Cina, nell’economia globale
ha seguito le tappe dei rispettivi processi di riforma con
significative differenze nelle traiettorie e nei ritmi di apertura
verso l’estero.
In entrambi i paesi il ruolo dello Stato e delle imprese pubbliche
si è rivelato determinante per l’avvio del processo di crescita..
La crescita cinese, ma anche quella indiana, è stata inizialmente
sostenuta da una robusta accumulazione di capitale, nel settore
pubblico dell’economia, e dalla corrispondente, sistematica
compressione dei consumi.
In entrambi i paesi l’assetto macroeconomico e le politiche
governative hanno prima frenato e poi favorito la crescita.
Gli interventi di politica economica dei primi decenni hanno
modellato la struttura produttiva, segnando profondamente i ritmi
e le modalità della successiva transizione.
La Cina da economia socialista pianificata e centralizzata si è
gradualmente trasformata negli ultimi tre decenni fino a diventare
un’ “economia socialista di mercato”
L’India è, dall’indipendenza, una democrazia pluripartitica con un
marcato decentramento federale. E’ diventata un’economia mista.
realizzando un “mix” tra piano e mercato.
In entrambi i paesi le diverse fasi dello sviluppo sono state
contrassegnate da significativi mutamenti politici e dall’emergere
di personalità come Deng Xiaoping e Jiao Zeming in Cina, come
Nehru, i Gandhi e più recentemente Manmohan Singh in India.
Le radici e le caratteristiche del processo di sviluppo vanno
ricercate in tempi lontani:
In Cina negli anni del “grande balzo in avanti” nascono e si
sviluppano specificità e squilibri che caratterizzeranno la struttura
economica cinese per l’avvenire.
In India risale a Nehru, subito dopo l’indipendenza, la decisione
di promuovere un modello di pianificazione centralizzata basato
sull’intervento dello Stato come regolatore del sistema
economico e come “proprietario” delle risorse produttive..
In Cina un disinterested government ha creato attraverso
ad un graduale processo riformatore, le condizioni di
una crescita sostenuta e per la trasformazione da
un’economia pianificata ad una di mercato.
Al “socialismo confuciano” della nuova Cina si
contrappone in India la “democrazia diffusa”,
contraddistinta da un’ampia autonomia regionale e da
un modello di “organizzazione sociale guidata dal
basso”.
In India il processo di liberalizzazione a partire
dall’inizio degli anni 90 ha stimolato un processo di
modernizzazione
del
paese
attraverso
l’industrializzazione.
In due decenni la Cina è passata dalla condizione di paese semiindustrializzato a quella di paese industrializzato, da economia
fortemente centralizzata è diventata un’economia gradualmente
più decentrata.
Da paese ad economia socialista e sostanzialmente chiuso alle
relazioni commerciali esterne la Cina è diventata un’economia
pienamente integrata nei circuiti commerciali globali
Prima dell’avvio del processo riformatore, la Cina era
un’economia socialista pianificata dal centro.
Oggi la Cina è un’economia del triplo mix:
i) una complessa miscela di piano e di mercato,
ii) di proprietà pubblica e privata. Permangono molto stretti gli
intrecci tra imprese private e settore pubblico, in particolare
per quanto riguarda l’accesso alle fonti di finanziamento.
iii) di decisioni economiche centralizzate e decentrate, definita
dalle stesse autorità cinesi una “economia socialista di
mercato”.
La crescita è stata sostenuta da un elevato processo di
accumulazione del capitale favorito dall’elevato tasso di
risparmio interno e da una sistematica compressione dei consumi.
Il crescente flusso di esportazioni ha consentito al paese di
accumulare ingenti riserve e di favorire un rapido processo di
industrializzazione.
Le radici di un modello di “via finanziaria allo sviluppo”, vanno
ricercate in tempi lontani:
i) l’elevato tasso di investimenti e di accumulazione a scapito dei
consumi,
ii) la ridotta quota delle spesa pubblica dedicata ad interventi di
natura sociale,
Delineate le prime due fasi delle riforme che hanno
caratterizzato il sistema economico cinese.
L’evoluzione e la trasformazione del sistema economico può
essere considerata il portato del succedersi dei mutamenti politici.
Il primo ventennio del dopoguerra, tra il 1953 ed il 1978, è stato
caratterizzato da una sorta di rivoluzione permanente improntata
all’ideologia marxista.
Gli anni 60 sono stati dominati dalla leadership di Mao che è
culminata nella cosiddetta “rivoluzione culturale”.
Grazie al “Grande Balzo in Avanti” si era ottenuto un livello di
risparmio adeguato sacrificando i salari industriali, i consumi e
gli investimenti in agricoltura.
A partire dal 1978, su impulso di Deng Xiaoping iniziava quel
complesso itinerario, durato più di un trentennio, che ha condotto
la Cina dal dopo Mao al XVIII Congresso nel 2012 (figura 7).
I due nuovi principi guida diventarono “riforme e apertura”.
Il processo riformatore venne favorito da una vasta adesione da
parte della popolazione all’obiettivo della crescita.
Nel 1978 iniziava una prima fase di riforme con l’abbandono
progressivo del sistema pianificato.
Si dava, innanzitutto, il via a misure per una radicale
trasformazione della Cina rurale smantellando gradualmente le
comuni popolari a favore di un sistema semiprivato e familiare di
gestione della terra. Alle famiglie veniva concesso in usufrutto
l’appezzamento di terreno da coltivare
Veniva introdotta una nuova tipologia di imprese collettive, la
“township and village enterprises” (TVEs) controllate dal potere
pubblico, ma a livello locale.
A partire dal 1984 inizia la seconda fase con le progressive
riforme del settore industriale e dell’economia urbana. Vennero
introdotti meccanismi di mercato all’interno dell’economia
pianificata.
Con la liberalizzazione dei prezzi e dei salari aumentò
l’autonomia delle singole imprese, grazie anche alla possibilità di
trattenere i profitti all’interno dell’impresa.
La terza fase delle riforme nel sistema economico e politico
cinese.
In una terza fase è stato avviato anche il processo di
privatizzazione delle grandi industrie e la costruzione di quelle
istituzioni (di natura giuridica, sociale ed amministrativa) che
dovevano essere funzionali all’espansione di un’economia di
libero mercato.
Il diritto ha acquistato una posizione centrale all’interno del
sistema economico e sociale della Cina, sia pure limitato alla
sfera commerciale, ed ancora subordinato alle decisioni di natura
politica. La sfera privata, in tutti i suoi aspetti, dal diritto di
proprietà, alla regolamentazione dei contratti, delle professioni e
dell’impresa è stata al centro delle riforme.
Di grande rilevanza è stato l’impegno legislativo e lo sforzo di
armonizzazione del diritto cinese alla legislazione internazionale
(norme per la concorrenza, per i diritti sulla proprietà
intellettuale, leggi sugli investimenti esteri) e per garantire
l’uniformità delle regole e della loro applicazione in tutto il paese
(“occidentalizzazione delle regole”)
Lo sviluppo e la trasformazione dell’economia cinese è stata
accompagnata da una trasformazione “silenziosa” del Partito
Comunista Cinese (PCC). L’apparato amministrativo cinese è
stato oggetto di ricorrenti riforme. La sua efficienza, tuttavia,
resta subordinata in larga misura ad obiettivi di natura politica, e
cioè alla necessità del PCC di riaffermare la propria legittimità a
governare.
Il PCC, pur mantenendo saldo il potere e pur continuando a
esercitare una funzione decisionale incontrastata soprattutto nelle
imprese pubbliche, ha dato prova di adattabilità. E’
progressivamente aumentato il peso politico dei poteri locali,
soprattutto delle province e delle città che sono cresciute più
rapidamente.
Alle imprese controllate dal governo centrale, attraverso i diversi
ministeri, si affiancano quelle di proprietà delle province e delle
municipalità, particolarmente sensibili, nel definire i propri assi
strategici di crescita, alle esigenze di sviluppo regionale e locale.
La politica della “porta aperta”
Nel 1979 venne approvata una legge che autorizzava gli
investimenti esteri (politica della “porta aperta”).
Nel 1984 le Zes sono state estese ad un’area costiera
molto più vasta il cui epicentro era Shangai. Questo
processo di apertura verso l’esterno si è tradotto:
i)in una rapida integrazione della Cina nel mercato
mondiale
ii) in una progressiva adesione alle principali
Organizzazioni Economiche Internazionali. E’ del 1980
l’adesione della Repubblica Popolare Cinese (RPC) alla
Banca Mondiale ed al Fondo Monetario Internazionale.
Questa fase culminava con la piena integrazione della
Cina nell’economia internazionale e con l’adesione
all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO)
nel 2001.
E’ progressivamente aumentata la competitività delle
imprese cinesi grazie anche all’afflusso di investimenti
diretti esteri (Ide) ed al miglioramento delle
competenze.
I più importanti investitori diretti in Cina sono
Giappone, Corea, Stati Uniti e Taiwan. Anche gli
investimenti cinesi all’estero hanno assunto un valore
significativo, stimolati dalla cosiddetta politica go
global. Si dirigono prevalentemente verso Hong Kong,
Stati Uniti, Europa e più recentemente America Latina
ed Africa.
Queste delocalizzazioni hanno sostanzialmente due
obiettivi: investire in settori che producono fonti
energetiche oppure per mantenere mercati di sbocco
contrastando le crescenti tendenze protezionistiche.
I fattori negativi che condizioneranno lo sviluppo cinese.
In Cina uno dei principali problemi, oggi, consiste nel conciliare
lo sviluppo con la sostenibilità sociale e ambientale.
Nonostante e probabilmente a causa del rapido processo di
crescita, permangono forti squilibri di natura economica, politica
e sociale.
Sono aumentate le disuguaglianze di ogni tipo, nelle condizioni
delle diverse categorie di lavoratori (tra popolazione urbana e
rurale, tra occupati e disoccupati, tra classe media e classe
operaia), nella redditività dei diversi settori e/o aree territoriali,
nelle relazioni tra Stato e mercato, nella relazione tra sviluppo e
collocazione del paese a livello internazionale con riferimento in
particolare alle variabili di natura macroeconomica.
Le differenze regionali espresse in Pil a prezzi correnti sono da 1
a 9.
E’ crescente pure il disagio nelle zone rurali per il modo in cui
vengono urbanizzate le zone agricole a favore di nuovi
insediamenti produttivi e residenziali ed assegnate le rendite
derivanti dal processo di urbanizzazione.
Il rapido processo di industrializzazione ha finito con il produrre
esternalità negative di varia natura come l’inquinamento
ambientale.
La Cina è la prima fonte di emissioni di diossido di carbonio al
mondo (25% del totale).
L’inquinamento e la scarsità di risorse energetiche sono il vincolo
maggiore per la sostenibilità della crescita, sebbene la scoperta di
estesi giacimenti di gas naturale di rocce scistose bituminose
(shale gas) possa in parte ridurre l’impatto della scarsità di fonti
energetiche.
La riduzione della congestione e dell’inquinamento insieme
all’eliminazione della povertà ed alla riduzione delle
diseguaglianze sociali sono i principali obiettivi indicati da Xi
Jinping (attuale presidente della Repubblica Popolare Cinese in
carica dal marzo 2013) per il prossimo futuro.
Caratteristiche dell’economia indiana
L’India è un’economia mista, con una forte presenza
pubblica nel settore industriale ed in quello creditizio.
Ancora oggi il governo, sia federale che statale, svolge
un ruolo significativo tanto di regolazione quanto di
gestione diretta delle numerose imprese pubbliche.
Lo Stato è andato progressivamente assumendo un ruolo
preponderante, quando non esclusivo, in settori rilevanti
dell’economia indiana (si parla a questo proposito di
Commanding Height).
Grandi conglomerati privati, in genere a controllo
familiare, coesistono con un elevato numero di microimprese, molte delle quali operanti nel settore informale
dell’economia.
Democrazia e sviluppo in India
In India il sistema democratico, fortemente decentrato, ha
rappresentato un freno al processo di accumulazione.
Le divisioni in caste, etnie ed il dualismo regionale e tra settore
formale e informale hanno ostacolato la pur rapida
trasformazione dell’economia.
Tasso di risparmio e tasso di investimento sono stati
sistematicamente inferiori a quelli cinesi. Gli investimenti esteri
in India sono stati considerati per molti anni un potenziale
ostacolo allo sviluppo del sistema economico.
La carenza di infrastrutture adeguate continua a rappresentare un
ostacolo per lo sviluppo indiano.
Il settore manifatturiero occupa un peso tuttora modesto (pari al
14,4% del PIL nel 2011 contro il 29,6% della Cina) mentre più
consistente, e in qualche misura anomalo per un paese emergente,
è il peso del settore terziario (54,4% nel 2010).
Il modello indiano di sviluppo
Il periodo tra il 1947 ed il 1980 è stato definito come
quello della “creazione del modello indiano di
sviluppo”. Risale a Nehru la decisione di promuovere
un modello di pianificazione centralizzata basato sull’
intervento dello Stato.
Il riferimento teorico per la stesura del piano era stato
un gruppo di economisti di orientamento comunista
guidato da Mhalanobis.
Gli orientamenti di policy riflettevano, invece, in larga
misura i principi gandhiani.
Morigeratezza nei comportamenti di consumo come
ricerca di un migliore equilibrio tra uomo e natura.
La pianificazione centralizzata, analogamente a quanto
accaduto in Cina, aveva annullato ogni sorta di
incentivo, riducendo di conseguenza la produttività e la
competitività del sistema.
I prezzi interni erano molto più elevati di quelli
internazionali, mentre il sistema delle licenze aveva dato
luogo al formarsi di posizioni di rendita.
Tali politiche ebbero come effetto tassi di crescita
dell’economia di modesta entità.
Si è così consolidato il potere oligopolistico delle
imprese statali e dei grandi conglomerati privati.
Gli anni ’80. La seconda fase del processo di sviluppo.
Il periodo compreso tra l’inizio degli anni ’80 ed il 1990
è stato caratterizzato da un più accentuato
decentramento dei processi decisionali e dalla
promozione delle privatizzazioni e delle esportazioni.
Grazie al deprezzamento del tasso di cambio reale e alla
riduzione delle tariffe, le esportazioni di prodotti sia
manifatturieri sia agricoli sono aumentate in misura
significativa consentendo di importare beni capitali e
tecnologie più avanzate.
Il regime delle licenze è stato reso più flessibile sebbene
in modo selettivo (Hindu rate of reforms).
Hindu rate of growth
Nel corso degli anni ‘80 la crescita indiana ha registrato, per la
prima volta, un’accelerazione.
E’ stata in larga misura determinata da politiche di bilancio
espansive che, unitamente all’aumento dei sussidi, avevano
contribuito ad accrescere il disavanzo del settore pubblico.
Il fabbisogno di quest’ultimo era stato in parte finanziato
“monetizzandolo”, e cioè collocando titoli del debito pubblico
presso la Banca Centrale.
L’accumulo dei disavanzi si era tradotto in un aumento del debito
pubblico con conseguenze significative in termini di elevati tassi
di inflazione, necessità di ricorrere al credito estero per il
finanziamento degli investimenti, aumento del debito estero.
Il processo di liberalizzazione che ha caratterizzato il sistema
economico e indiano negli anni 90.
Le riforme economiche varate nel 1991 e i positivi
effetti dell’ accresciuta integrazione del paese nel
sistema internazionale hanno favorito la valorizzazione
delle sue potenzialità, così da determinare, in due
decenni, un aumento del PIL di quasi quattro volte.
Fu Narasimha Rao, divenuto il nono primo ministro
indiano, dopo l'assassinio di Rajiv Gandhi, ad avviare,
con il supporto del ministro delle Finanze Manmohan
Singh, un intenso processo di riforme economiche in
senso capitalistico.
Il tasso di crescita del PIL è aumentato
progressivamente attestandosi attorno al 6,2% in
media all’anno nel periodo 1991-2001, per
passare successivamente all’8% nel periodo
2001-2011 e ridursi progressivamente al 6% nel
2011.
La ripresa è stata particolarmente significativa
nei settori industriale e dei servizi nonché nella
domanda di beni di consumo.
Caratteristiche del sistema produttivo
Le politiche industriali attuate nel tempo sono all’origine di un
sistema produttivo marcatamente dualistico dal punto di vista
delle tecniche impiegate e tra imprese private e pubbliche,
imprese di grande o di piccola dimensione, imprese industriali o
agricole.
Le produzioni di beni di base, intermedi e di consumo (fra questi
ultimi il tessile, specie cotoniero, è tra i più antichi e importanti)
coesistono, e si sono sviluppate a ritmi comparabili.
Nel settore pubblico le imprese erano e sono tuttora
prevalentemente di grandi dimensioni e utilizzano tecnologie a
elevata intensità di capitale.
Il processo di privatizzazione ha trovato corrispondenza nello
sviluppo di alcune grandi imprese a proprietà familiare. La
piccola e media industria, tuttavia, mantiene un ruolo di rilievo.
Il peso del settore manifatturiero è ancora
relativamente contenuto rispetto al terziario.
L’espansione del terziario avanzato è stata più
rapida della norma, per un paese emergente.
Numerosi sono i fattori determinanti di queste e
di altre anomalie:
i) regime delle licenze adottato nel primo
periodo della pianificazione;
ii) rigidità del mercato del lavoro
iii) nonché alla carenza di infrastrutture
L’ elevato peso di un settore terziario avanzato viene ricondotta
alle caratteristiche del sistema formativo indiano, una singolarità
per un paese emergente. La spesa in higher education è
relativamente più elevata di quella in primary education.
L’offerta di lavoratori ad elevata qualificazione ha determinato la
nascita di imprese caratterizzate da tecnologie avanzate e
particolarmente competitive in alcuni settori come le
biotecnologie l’industria elettronica ed il terziario avanzato.
La presenza del lavoro qualificato in alcune industrie è
particolarmente significativa. In un contesto caratterizzato da una
severa normativa antimonopolistica, da elevata protezione
tariffaria e da sussidi alle imprese pubbliche, l’offerta di
lavoratori qualificati ha determinato la nascita di imprese
particolarmente competitive nel terziario avanzato.
Il processo d’integrazione internazionale del sistema indiano
In talune produzioni l’India è considerata già oggi un’alternativa
significativa alla Cina, anche in ragione dei livelli retributivi più
contenuti del lavoro non qualificato, sebbene in tutto o in parte
compensati, a seconda dei settori, da una più bassa produttività
del lavoro.
Il confronto deve tuttavia essere effettuato tenendo conto anche di
fattori ulteriori, che possono condizionare l’attrattività del paese,
in positivo o in negativo.
Fattori sicuramente positivi sono la disponibilità di lavoro
qualificato, utilizzabile in modo complementare a quello non
qualificato, e l’esistenza di un terziario avanzato che potrebbe
fornire importanti servizi alle imprese europee (e in particolare
italiane).
I prodotti industriali e informatici indiani hanno ormai raggiunto
standard qualitativi del tutto comparabili a quelli occidentali, con
un elevato contenuto di valore aggiunto, innovazione e design.
Corea del Sud
13° paese al mondo in termini di PIL totale
quarto posto in Asia dopo il Giappone, la Cina e l'India
possiede un elevato livello tecnologico in vari comparti del
settore industriale e terziario
industria cantieristica, i grandi chaebols (Samsung, LG, Hyundai,
ecc ..)
industrie elettroniche e siderurgiche
l’industria edilizia opera in Medio Oriente e in molte altre parti
del mondo
Università e laboratori di ricerca hanno prodotto un crescente
numero di scienziati ed ingegneri di elevata competenza
gode di uno dei più alti standard di vita nel mondo
la speranza di vita è superiore a quello degli Stati Uniti.
Le radici del successo di questo paese sono state individuate in
una combinazione di eventi storici e di appropriate politiche.
Gran parte della storia della penisola coreana e della cultura del
paese è stata influenzata dai cinesi e dai giapponesi. Buddismo,
Taoismo e Confucianesimo
Nel dopoguerra la penisola coreana era stata liberata dal dominio
giapponese (1910-1945), ma era stata divisa in due parti.
Entrambi erano paesi molto poveri, prevalentemente agricoli.
Nel giugno 1950, la Corea del Nord invase il Sud, una lunga e
sanguinosa guerra ebbe inizio. Nel 1953, alla fine della guerra
l'economia della Corea del Sud era in condizioni disperate. Il PIL
pro capite era simile a quello dei paesi dell’Africa sub-sahariana.
Fino alla metà degli anni '70 la Corea del Nord si trovava in
condizioni migliori rispetto al Sud, disponendo di abbondanti
risorse naturali, di alcune attività industriali pesanti e di
infrastrutture relativamente migliori.
Anche se la Corea del Nord è stato fortemente assistita
dall’Unione Sovietica, lo è stata meno della Corea del Sud aiutata
da parte degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti mantengono ancora un
loro contingente di soldati molto consistente.
Il reddito pro-capite della Corea del Nord è, oggi, meno del 5% di
quello della Corea del Sud
I nordcoreani vengono considerati dal governo del sud come la
principale minaccia alla stabilità della penisola.
La pericolosità di tale situazione è concreta, anche a causa del
possesso di armi nucleari da parte dei nordcoreani.
A causa del flusso migratorio dal Nord al Sud la popolazione
sudcoreana crebbe velocemente fino ad arrivare ai quasi 50
milioni di abitanti di oggi. La densità della popolazione è una
delle più alte del mondo. Più dell’80% della popolazione
sudcoreana vive nelle aree urbane, come Seoul e Busan.
Il tasso di crescita demografica è particolarmente basso e
tendente allo zero. L’aspettativa di vita, invece, è tra le più alte al
mondo. L’11,5% della popolazione totale ha più di 65 anni
Il numero di immigrati presenti nel paese rimane ancora modesto
anche a causa della forte omogeneità etnica e culturale del paese.
L’emigrazione è invece un fenomeno ben conosciuto,
sviluppatosi soprattutto durante il periodo della colonizzazione
nipponica (1910-45). I paesi maggiormente interessati
dall’emigrazione sudcoreana sono stati la Cina, gli Stati Uniti, il
Giappone e le ex repubbliche sovietiche.
La Corea del Sud è una repubblica presidenziale.
Il presidente è il capo dello stato, oltre che comandante in capo
delle forze armate.
Il primo ministro viene nominato dal presidente della repubblica
e ‘approvato’ dal parlamento (l’Assemblea nazionale).
Il presidente ha anche il potere di nominare i ministri.
A partire dal 1961 fino al 1987 la Corea è stata controllata dai
militari, che hanno conquistato il potere attraverso un colpo di
stato e lo hanno mantenuto per un quarto di secolo.
Park Chung-hee è stato l’ “uomo forte” della giunta (1961-1979).
Ha introdotto misure contro la corruzione, politiche attive di
pianificazione famigliare, favorito la normalizzazione dei rapporti
con il Giappone. Ha dedicato un forte impegno alla crescita
economica del paese.
Ha rafforzato i poteri dell’‘Economic Planning Board (EPB)
come autorità di collegamento tra le diverse branche
dell’amministrazione pubblica. Ha posto le basi per il successivo
sviluppo industriale.
Nel 1962 la giunta, invece, ha predisposto un piano quinquennale
(1962-66) che prevedeva un massiccio aumento degli
investimenti per sostenere un rapido processo di
industrializzazione sostituendo le importazioni con la produzione
interna. Park venne assassinato nel 1979.
Un’altra giunta militare governò fino al 1987.
Nel 1987 il regime autoritario venne sconfitto e sostituito da un
regime democratico. Il primo presidente del nuovo corso
democratico fu un ex generale Roh Tae-Woo.
Solamente nel 1993 fu eletto in modo democratco Kim YoungSam.
Il successore Kim Dae-Jung è stato uno degli esponenti politici di
maggior rilievo che la Corea del Sud abbia avuto. Ha affrontato
con successo la grave crisi economica e finanziaria del 1997. Ha
cercato di gestire in maniera profondamente diversa rispetto alle
precedenti amministrazioni il rapporto con la Corea del Nord. Nel
2000 ha ottenuto il Premio Nobel per la pace.
Questa politica di distensione ha caratterizzato anche la
successiva amministrazione sudcoreana guidata dal progressista
Roh Moo-hyun
E stata abbandonata da Lee Myung-bak, in carica dal 2008 al
2012, il quale ha deciso di sposare una linea di maggiore
fermezza nei confronti della Corea del Nord.
Nel 2012 è stata eletta per la prima volta una donna Park
Geunhye, leader del partito conservatore (Saenuri), figlia dell’ex
leader della giunta militare Park Chung-hee.
Alcune centinaia di persone all’anno vengono perseguite a causa
della loro reale o presunta ‘simpatia’ nei confronti della Corea del
Nord.
Il problema della divisione tra Nord e Corea del Sud non è ancora
stato del tutto superato.
Il periodo successivo alla guerra di Corea ha rinforzato alcuni
cambiamenti sociali ed economici La rigida divisione in classi
confuciana in cui nobili, studiosi, funzionari governativi e
contadini occupavano una posizione più elevata di quella dei
commercianti e imprenditori, poco a poco scomparve sostituita
dalla “nuova etica confuciana”.
Questi cambiamenti, che si sono tradotti in un aumento del valore
attribuito a classi sociali come quelle degli imprenditori, dei
managers e dei commercianti, sono state cruciali per la
modernizzazione dell'economia e della società coreana.
Nello stesso tempo è rimasto elevato il prestigio ed il valore
dell’istruzione e della burocrazia statale con responsabilità di
governo.
Dal conflitto con la Corea del Nord la Repubblica di Corea
(ROK) uscì devastata.
Il pil pro-capite era pari a circa 82 dollari americani, paragonabile
quindi a quello dei più poveri e arretrati paesi africani e asiatici.
Nel corso degli anni Sessanta il paese fu radicalmente trasformato
grazie al perseguimento, da parte dei regimi militari, di politiche
di crescita, di modernizzazione e e di industrializzazione.
La Corea del Sud è riuscita a passare dai “piedi nudi alla banda
larga” (from barefoot to broadband) grazie al ruolo eccezionale
che la società assegna alla formazione ed alla ricerca a tutti i
livelli con politiche mirate
La Corea ha sperimentato tassi di crescita significativi e da
nazione prevalentemente agricola è andata assumendo
progressivamente la struttura attuale.
A partire dai primi anni '60 il percorso di sviluppo della
Corea del Sud ha cominciato a divergere da quello del
Nord.
Pur uscendo da una guerra civile, priva di risorse
naturali, fortemente dipendente dal sostegno finanziario
degli Stati Uniti, con mercato interno ancora ristretto,
nel periodo 1953-97 la Corea del Sud è cresciuta ad un
tasso medio di circa il 7,8% (Tabella 1).
Ha dovuto superare un periodo drammatico di tensioni politicosociali e due gravi crisi economiche nel 1997-8 e nel 2008-9.
Nel periodo 1997-98 il tasso di crescita è stato negativo.
La rapida crescita della Corea, stabile per la prima metà degli
anni Novanta, aveva cominciato a evidenziare alcune debolezze
con la crisi economica del 1997-98
un elevato rapporto tra debito e capitale di rischio e un massiccio
ricorso a prestiti esteri di breve termine hanno minato la tenuta
del sistema industriale sudcoreano.
Alla fine del 1997 inseguito alla bancarotta di alcuni tra i
principali gruppi industriali del paese e la fuga degli investitori
stranieri, il paese fu costretto per evitare il fallimento (default) a
fare ricorso all’aiuto del Fondo monetario internazionale, che
erogò alla Corea un prestito di ben 57 miliardi di dollari.
La risoluzione della crisi deve essere attribuita principalmente
alla ristrutturazione operata nel mercato del lavoro e alle misure
introdotte dalla nuova amministrazione, volte ad attrarre
investimenti stranieri.
La crisi poteva dirsi quindi fondamentalmente riassorbita verso
la fine del 1999 e il prestito del Fondo monetario internazionale
estinto di lì a poco.
A partire da quel momento la crescita è stata sostenuta come
dimostra l’aumento del pil di oltre il 9% nel 2000.
Durante la recente crisi finanziaria la recessione è stata
evitata solo grazie a delle tempestive misure di stimolo
dell’economia e al forte consumo di prodotti interni
Il boom economico che aveva caratterizzato il 2010
sembra già aver rallentato nel 2011: il tasso di crescita
del pil è stato solo del 3,6%, mentre il tasso di
disoccupazione si è attestato sul 3,4%.
Nel 1996 la Corea del Sud era entrata a pieno titolo nel club dei
paesi OCSE.
Nel 2010 la Corea del Sud ha assunto la presidenza del G20, il
primo paese non-G8 a ricoprire questo ruolo. La presidenza del
G8 ha permesso alla Corea di lanciare una sorta di "Seoul
Consensus"
La ROK è un paese leader in molti settori moderni come la
robotica, l'elettronica ed il settore automobilistico;
E il paese con il più alto tasso di accessi alla rete internet, leader
nella produzione di semiconduttori e innovatore mondiale
nell’elettronica di consumo.
Tra il 2005 ed il 2010 la spesa totale in ricerca e sviluppo è
aumentata del 10% all'anno
Il divario nei valori del reddito procapite della ROK rispetto ai
paesi OCDE si è drasticamente ridotto nel 2011 rispetto al 1970.
Un fattore importante alla base del processo di sviluppo
sono stati il processo pianificazione a lungo termine,
una politica macroeconomica, ma anche industriale, in
grado di creare le condizioni ottimali perchè le imprese
introducessero le innovazioni.
I fattori che hanno consentito questa crescita sono stati
individuati in: un graduale trasferimento di lavoratori
dal settore agricolo a quello manifatturiero;
introduzione di tecnologie più avanzate grazie al rapido
processo di investimento; elevata spesa in ricerca e
sviluppo ed in istruzione.
La redistribuzione della proprietà delle terre operata con una
legge di riforma agraria all’inizio degli anni '50 ha contribuito a
ridurre le disuguaglianze di reddito e di ricchezza.
Un processo di industrializzazione guidato dallo Stato, negli anni
'60, ha fatto della Repubblica di Corea (ROK), uno dei paesi più
industrializzati del mondo, e ha creato le basi per una società
prospera con alti livelli di libertà economica.
Negli anni '70 il paese ha scelto di seguire un modello di crescita
trainata dalle esportazioni ed ha individuato nei grandi
conglomerati industriali (chaebols), i motori della rapida crescita
economica.
Significativo è stato lo sforzo fatto dai governi che si sono
succedoti nel corso del tempo per favorire l'apertura
dell'economia e per la promozione di un processo di rapida
internazionalizzazione.
L’economia high-tech e innovativa della Corea del Sud ha
prodotto un numero di brevetti superiore a quello della maggior
parte dei paesi industrializzati avanzati.
La Corea del Sud è oggi il più grande costruttore di navi e uno
dei più grandi produttori di acciaio del mondo. E’ il settimo più
grande partner commerciale degli Stati Uniti.
Molte aziende coreane, come Samsung, Hyundai-Kia, LG e SK,
dominano i settori chiave dell'economia globale.
Nonostante la crisi finanziaria globale sviluppatesi a partire dal
2007, la Repubblica di Corea detiene considerevoli riserve in
valuta estera e si prevede possa mantenere un significativo tasso
di crescita economica anche per il futuro.
La Corea del Sud ha firmato numerosi accordi di libero scambio
(Fta) con Cile, India, Singapore, Asean. Se quello lungamente
atteso con gli Stati Uniti non è ancora giunto alla fine del suo
processo, quello con l’Unione Europea (Eu) è stato siglato il 6
ottobre 2010 a Bruxelles, trasformando il rapporto da semplici
relazioni bilaterali a ‘partnership strategica’.
Immediata conseguenza: l’abbassamento delle tariffe, la
promozione del commercio e degli investimenti e la creazione di
nuova occupazione sia in Corea che nei 27 paesi dell’Eu. Il
settore manifatturiero dovrebbe essere quello che percepirà i
maggiori benefici.
Invece agricoltura e pesca potrebbero essere danneggiati, a causa
delle aumentate importazioni dall’Europa.
A partire dal 2007 la Corea ha risentito in particolare di quattro
ordini di problemi: l’inflazione, le fluttuazioni valutarie, la
crescente competizione delle economie avanzate e i conflitti
geopolitici.
Negli ultimi anni si sono via via aggravati i problemi derivanti
dall’elevata disoccupazione giovanile e delle disuguaglianze di
reddito.
La spinta educativa e innovativa del paese ha continuato ad
alimentare il motore della crescita.
L'invecchiamento della popolazione, l'aumento della povertà
relativa, la lenta dinamica del settore terziario e la crescente
pressione dei Paesi emergenti in un mondo globalizzato rischiano
di ridurre il vantaggio competitivo della Corea e le opportunità di
lavoro delle giovani generazioni.
Il sistema educativo coreano si colloca al vertice della classifica
mondiale. Le famiglie non esitano a sopportare elevati sacrifici
per investire nel capitale umano dei loro figli e gli insegnanti
sono tra i meglio pagati al mondo.
Università e centri di ricerca ricevono elevate risorse per
facilitare il rientro dei laureati coreani. Una popolazione ben
istruita, dedita al lavoro ha prodotto il miracolo economico della
Corea del Sud. La Corea del Sud ha assegnato un’importanza
notevole all’istruzione, tanto che il tasso di alfabetizzazione ha
ormai raggiunto il 99%.
Un sistema educativo molto efficace ma anche molto esigente ha
enormi costi economici e umani.
Strumentale al processo di rapida trasformazione industriale è
stata anche la burocrazia economica, che ha saputo attuare
politiche di buon livello.
Il modello coreano è stato definito come un Developmental State,
ovvero di uno stato orientato allo sviluppo, dove sono i politici a
governare e controllare gli interessi particolari. I burocrati,
invece, disegnano ed implementano politiche atte a promuovere
lo sviluppo.
Il paese presenta anche alcuni aspetti critici. Nel tempo si sono
verificate due crisi finanziarie, il crollo del modello di sviluppo
fordista, difficoltà a stimolare una rapida crescita della
produttività in diversi settori dei servizi.
Il tasso di crescita economica negli ultimi anni si è ridotto.
Il modello coreano di sviluppo attuale sembra in grado di
produrre investimenti e posti di lavoro all'estero più che in patria.
Si è verificata una riduzione delle piccole e medie imprese, un
impoverimento dell’imprenditorialità dal basso e una riduzione
nel ritmo di nascita di start-up innovative. L'efficienza di un
settore dinamico e competitivo nella produzione manifatturiera ha
come contropartita un settore dei servizi, anche finanziari, non
altrettanto dinamico ed efficiente.
La Corea è oggi un paese ricco, ma non può più crescere
velocemente solo copiando gli altri. Non può rimanere dinamico
con un invecchiamento ed una contrazione della forza lavoro.
Non è possibile diventare creativi con un sistema scolastico che
privilegia l'apprendimento invece della creatività.
Il governo è preoccupato e ha in programma di creare una fair
society e di stimolare un cambiamento di atteggiamento nei
confronti dei titoli di studio in cui il merito conti maggiormente.
Il rigido modello sociale della Corea aggrava i problemi
demografici di invecchiamento della popolazione.
E’ diventato molto difficile conciliare lavoro e cura dei figli. Dal
1960 il tasso di fertilità in Corea è sceso più velocemente rispetto
a qualsiasi altro paese.
La Corea del Sud può contare su modestissime risorse
energetiche interne, configurandosi quindi come uno dei
principali importatori di energia al mondo.
La forte dipendenza della Corea dall’importazione di petrolio ha
condotto alla diversificazione della fornitura tramite l’adozione di
una strategia a breve termine e di una a lungo termine.
La crescente richiesta di energia elettrica viene invece soddisfatta
attraverso una combinazione di energia termica, nucleare e
idroelettrica. Come firmataria del Protocollo di Kyoto la Corea
del Sud si è presa l’impegno di ridurre le emissioni di carbone
dotandosi di 12 nuovi impianti nucleari prima del 2015.
Proprio per ridurre l’inquinamento, e per tentare in qualche modo
a sottrarsi alla dipendenza delle importazioni di petrolio, il
governo sudcoreano ha deciso a metà del 2008 di favorire gli
investimenti in fonti di energia rinnovabile.
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