La frattura dell'anca La frattura dell'anca è una lesione grave che si verifica soprattutto nelle persone anziane e che in genere interessa la parte prossimale del femore (collo femorale). Gli esiti delle cure sono molto variabili. Molti soggetti guariscono con una ripresa rapida e ottimale delle proprie funzionalità. Per altri, invece, la frattura significa la perdita della mobilità e, talvolta, l’impossibilità a vivere a casa propria. I rischi di frattura di femore possono essere suddivisi in 2 gruppi: quelli che determinano cambiamenti nella densità ossea (osteoporosi) e quelli che aumentano il rischio di caduta nell’anziano. Tuttavia ci sono alcuni fattori come l’immobilità che agiscono su entrambi questi aspetti. Secondo uno studio statunitense i 4 fattori di rischio di frattura dell’anca più rilevanti per le donne sono: - precedente frattura da trauma, dopo i 50 anni; - storia materna di frattura dell’anca; - fumo; - indice di massa corporea basso Per prevenire le fratture nella persona anziana è fondamentale: - ridurre il rischio di caduta; - prevenire l’osteoporosi. Per ridurre il rischio di caduta occorre identificare i fattori di rischio e mettere in atto programmi di interventi multifattoriali (per esempio utilizzare scarpe comode e chiuse, mantenere la stanza in ordine in modo da non inciampare, evitare di camminare in luoghi non ben illuminati o su terreni sdrucciolevoli). La prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi prevedono misure non farmacologiche e farmacologiche. Gli interventi non farmacologici sono: - l’esercizio fisico, che deve essere incoraggiato per mantenere una buona tonicità muscolare e una corretta coordinazione dei movimenti e che va consigliato fin dall’adolescenza e mantenuto nel tempo; - un’adeguata esposizione al sole per favorire la produzione di vitamina D, anche se occorre notare che alle nostre latitudini l’esposizione al sole è naturalmente sufficiente; - una dieta con assunzione di calcio. La prevenzione dell’osteoporosi con i farmaci è controversa. Si raccomanda invece di seguire una dieta ricca di calcio (per esempio assumendo regolarmente latte a colazione) evitare l'eccessiva magrezza e nello stesso tempo il sovrappeso. E' utile infine eseguire regolarmente attività fisica moderata (per esempio piscina). Nella gestione del paziente con frattura dell’anca sono coinvolti più professionisti. Il trasporto in ospedale del paziente deve avvenire tempestivamente. L'infermiere che è a bordo del mezzo di soccorso deve fare una prima valutazione dell'incidente e delle condizioni del paziente (controllo delle vie aeree e della colonna vertebrale, controllo del respiro, circolazione, incapacità funzionale, esposizione del ferito e protezione ambientale). La prima regola è fare un'attenta valutazione dello scenario prima di intervenire e compiere qualunque manovra. L'immobilizzazione normalmente è la terapia adottata in attesa dell'intervento chirurgico perché aiuta a ripristinare il riallineamento del femore fratturato, a limitare i danni interni e ad alleviare il dolore. L’intervento chirurgico è il trattamento di routine per la gestione delle fratture dell’anca consente di mobilizzare precocemente il paziente e riduce il rischio che una frattura composta si scomponga con il trascorrere del tempo. L’intervento chirurgico va effettuato prima possibile. Riducendo il periodo di immobilità preoperatoria si limita l’insorgenza di patologie da allettamento, la perdita di autonomia e delle capacità cognitive. La riabilitazione va pianificata al momento del ricovero in ospedale. E’ importante tracciare un piano di trattamento che accerti la motivazione del ricovero, definisca gli obiettivi e gli interventi riabilitativi. La riabilitazione mira al recupero dell’equilibrio e dello schema motorio del camminare, al fine di riacquistare l’autonomia nelle attività della vita quotidiana. Segue un percorso graduale che prevede 2 momenti: - riacquistare la capacità di fare piccoli cambiamenti posturali in autonomia o con minimo aiuto; - riuscire a camminare con doppio appoggio controllando adeguatamente il carico sull’arto operato. ARTROPROTESI D’ANCA La sintomatologia dolorosa e invalidante all’osservazione del medico di famiglia e dello specialista ortopedico portano, dopo accertamenti radiografici, alla diagnosi di coxartrosi, coxartrosi in anca displasica, coxartrosi in esiti traumatici, coxartrite, necrosi cefalica, coxartrosi in necrosi cefalica, ecc. I consigli di cura sono in relazione alla gravità dei disturbi, rilievi radiografici e obiettivi, inizio dei disturbi, altre patologie associate, biotipo e abitudini di vita del paziente: molto efficaci sono le terapie farmacologiche, qualche risultato si può ottenere con le cure fisioterapiche, efficaci possono essere i consigli di natura comportamentale e di correzione di situazioni recuperabili; spesso sono necessari controlli periodici per seguire l’evoluzione della patologia, l’efficacia della terapia e la progressione dei rilievi clinici e radiografici. L’intervento di artroprotesi è motivato da grave alterazione anatomica e funzionale dell’articolazione che non risente positivamente di tutte le cure consigliate e ripetute più volte; con tale atto chirurgico l’intera articolazione, irreparabilmente danneggiata, viene sostituita con l’articolazione artificiale; l’obiettivo da perseguire è una articolazione indolente, ampiamente mobile, stabile, duratura e priva di inconvenienti; l’intervento è sempre ben tollerato, l’ospedalizzazione breve, il recupero deambulatorio precoce, la convalescenza e la riabilitazione limitate a poche settimane; l’autonomia è molto ampia con ripristino di molte potenzialità per una normale attività lavorativa e vita di relazione. . La ricerca scientifica e la costante evoluzione dei materiali e delle tecniche costruttive ci permette oggi di disporre di numerose tipologie artroprotesiche adattabili a tutte le condizioni patologiche e nel rispetto dei fondamentali requisiti di: biocompatibilità con perfetta tolleranza, integrazione con il tessuto osseo, lunga durata e resistenza alle sollecitazioni, trascurabile attrito, accesso chirurgico sempre meno invasivo L’artroprotesi è composta dallo stelo femorale, dalla testa e dal cotile; esistono modelli cementati (interfaccia di collante acrilico tra osso e protesi per le persone anziane) e modelli non cementati, impianti per i reinterventi, per gravi displasie e per pazienti giovani; ambiziosi obiettivi sono stati ultimamente raggiunti dagli accoppiamenti di materiali ideali tra la testa e il cotile, da protesi che consentono di asportare una minima parte di tessuto osseo, da protesi ad alta stabilità e ampia motilità e da protesi impiantabili con un minimo accesso chirurgico. Artroprotesi sostituzione totale dell’articolazione Come per ogni altro intervento chirurgico, in considerazione delle innumerevoli varianti e peculiarità del singolo individuo, i pazienti debbono essere debitamente informati della possibile insorgenza di complicanze e di inconvenienti che sono comunque ad incidenza molto bassa e che sono principalmente rappresentati da: rischio anestesiologico generico e post operatorio (maggiore in relazione a patologie sistemiche più o meno gravi), tromboflebite, infezioni, mobilizzazioni precoci o tardive della protesi, lievi dismetrie, dolore di coscia, periprotesiche. lussazione della protesi e fratture Tra tutte le complicanze le rare infezioni costituiscono il problema maggiore con necessità di altri interventi ad esito incerto; i reinterventi per mobilizzazioni ed usura non sono frequenti e garantiscono un buon risultato. Il rischio di ogni possibile complicanza è affrontato da adeguata attività di prevenzione specifica: antibiotica, antitrombotica, pianificazione e studio pre operatorio, scelta della tipologia protesica, rigorosa tecnica chirurgica, autotrasfusione, recupero ematico intra e post operatorio, trattamento di posizione, riabilitazione, informazione, ecc. PRIMA DELL’INTERVENTO -Preparazione all’intervento Esami di laboratorio, elettrocardiogramma ed eventuale visita cardiologia, radiografie del torace, radiografie di dettaglio dell’anca da operare, visita pneumologica e diabetologica se richiesto, altri eventuali esami (ecodoppler venoso arti inferiori ed arterioso del collo, altro) e visita anestesiologica. Da tali valutazioni viene certificata l’idoneità all’intervento con il grado di rischio che il paziente deve conoscere; possono essere prescritte terapie farmacologiche e cambiate quelle già in atto per ridurre ulteriormente il rischio; i pazienti possono essere rivalutati a distanza. Se non controindicato vengono predisposti depositi di sangue che il paziente lascia per infusioni intra e post operatorie; tali procedure vengono eseguite nel servizio trasfusionale; possono essere eseguiti da uno a tre prelievi, di circa 250 cc l’uno, una volta ogni dieci giorni circa, preceduti da esami di laboratorio che attestino il ripristino dei normali valori di emocromo; stati di anemia, cardiopatie ischemiche e altre condizioni patologiche sconsigliano tale procedura che non è assoluta e vincolante per l’intervento; eventuali stati di anemia durante e dopo l’intervento saranno corretti con il recupero ematico intra e post operatorio o con eventuali trasfusioni da donatori. Assistenza Riabilitativa E’ importante che il paziente conosca le tappe fondamentali della riabilitazione, prenda dimestichezza con il mobilizzatore motorizzato a letto, il carrello deambulatore, i due bastoni ad appoggio antibrachiale, Il programma riabilitativo è condizionato da molti fattori, in particolare: - dalle condizioni generali di salute del paziente (la presenza di comorbilità può aggravare la situazione);dalle abilità cognitive e dalla presenza di demenza; - dall’autonomia funzionale prima del trauma; - dalle caratteristiche della frattura e il tipo di intervento. I pazienti devono essere mobilizzati entro le prime 24 ore dall’intervento dopo controllo radiologico. La mobilizzazione precoce è fondamentale per prevenire la comparsa della sindrome da immobilizzazione e per ripristinare il livello tono-trofico precedente il trauma prevenendo l’insorgenza di rigidità articolare. Una moderata abduzione garantisce il sollievo dal dolore durante la mobilizzazione, qualsiasi sia la sintesi con la quale è stata corretta la frattura. La mobilizzazione nelle ore successive all’intervento prevede un programma di cambio posturale: posizione supina, posizione seduta con tronco a 90° e posizione sul fianco sano con un cuscino tra gli arti inferiori per mantenere l’abduzione. E’ fondamentale evitare nel primo periodo l’adduzione, la flessione superiore a 90° e l’intrarotazione per prevenire il rischio di lussazione dell’impianto protesico in caso di protesi. OSTEOSINTESI Termine con cui si indica la stabilizzazione di una frattura ossea tramite strumenti (viti, placche, chiodi, fissatori esterni) inseriti chirurgicamente a livello dell'osso fratturato. Per RIDUZIONE DI UNA FRATTURA si intende il ripristino alla forma o alla funzione pre frattura dell'osso. Si parla di RIDUZIONE ANATOMICA quando l'osso fratturato viene ricomposto esattamente come era prima della frattura e di RIDUZIONE FUNZIONALE quando vengono ripristinati l'asse, la rotazione e lunghezza. La riduzione è riservata chiaramente solo alle fratture scomposte in cui l'osso ha perso la sua forma originale e i monconi di frattura sono variamente orientati tra loro. L'osteosintesi miniinvasiva con placca consiste in una riduzione funzionale della frattura, con varie metodiche, e nella sintesi attraverso una placca che viene introdotta attraverso incisioni ridotte. L'osteosintesi miniinvasiva con placca ha lo scopo di ridurre il danno vascolare a livello della frattura e dei tessuti molli. La frattura non viene esposta chirurgicamente. Inoltre viene rispettata maggiormente la parte tegumentaria spesso caso già compromessa dal trauma. E' riservata però solo a taluni tipi di frattura. Materiali utilizzati per l’osteosintesi I materiali di cui sono composti i mezzi di sintesi sono vari. Tradizionalmente si è data la preferenza a materiali metallici dotati di scarsa reattività nell’organismo; l’acciaio inossidabile si è dimostrato ottimo a questo proposito. Il materiale impiegato deve infatti essere tale da non suscitare reazioni infiammatorie nei tessuti con i quali viene in contatto, deve cioè essere dotato di una buona “”tollerabilità biologica””. Inoltre ovviamente deve possedere caratteristiche meccaniche tali da permettergli di sopportare senza deformazioni le sollecitazioni di carico alle quali è sottoposto. Recentemente sono stati introdotti materiali nuovi. Per l’osteosintesi si possono anche utilizzare dei materiali riassorbibili, come il filo per le suture chiamato catgut, o degli innesti di tessuto osseo, che di solito vengono prelevati dal paziente stesso da zone facilmente raggiungibili con un piccolo intervento, come la cresta iliaca. Ovviamente questi mezzi non devono essere asportati successivamente, perché vanno incontro a riassorbimento completo. . Scopi dell’osteosintesi Si procede ad un intervento di osteosintesi nei casi in cui l’ortopedico giudica che la morfologia della frattura sia tale da impedire un buon esito dei processi di riparazione naturale; in particolare la sintesi è utile nelle fratture con formazione di diversi monconi molto indipendenti fra di loro, che è difficile riallineare e mantenere allineati per un tempo sufficiente alla produzione di un valido callo osseo. L’osteosintesi inoltre presenta il notevole vantaggio di ricostruire virtualmente e immediatamente la continuità del segmento osseo lesionato, permettendo da subito una prudente applicazione di carico sul focolaio di frattura, senza il pericolo di disallineamento dei monconi; come noto, l’applicazione del carico favorisce notevolmente la rapida formazione ed il consolidamento del callo osseo, e quindi la guarigione anatomica della frattura.Con questo procedimento inoltre si può far muovere quasi subito il paziente, evitando le lunghe degenze immobilizzanti nel letto e riducendo notevolmente i rischi ad esse correlati (tromboflebiti degli arti, peggioramento dell’osteoporosi, etc.). decubiti, broncopolmoniti, TECNICA La frattura può essere ridotta o tramite manovre esterne o tramite la placca, una volta inserita. Normalmente si preferisce ridurre la frattura prima dell'inserimento della placca e mantenere la riduzione con una sorta di fissatore esterno ideato dal gruppo di studio per l'osteosintesi (Fig.1) Si passa quindi a praticare una piccola incisione un po' più in alto rispetto alla frattura e si misura una placca. (Fig.2) La placca viene quindi fatta scivolare sotto i tessuti molli fin sotto la frattura ad una giusta distanza (Fig.3) A questo, dopo un ultimo controllo della riduzione e del posizionamento della placca, vengono inserite le viti previa fresatura dell'osso con appositi cannocchiali avvitati e cannulati (Fig 4) Concluso l'intervento si esegue un controllo radiografico . Il carico, con questa metodica, viene concesso solo parzialmente all'inizio. Con successivi controlli radiografici e clinici si aumenta la concessione del carico fino a guarigione. LE AMPUTAZIONI L’ asportazione chirurgica, traumatica o spontanea di un arto o di parte di esso, oppure della porzione malata di un organo: la chirurgia moderna tende ad evitare questi interventi demolitivi. L’amputazione differisce dalla disarticolazione, nella quale vengono sezionati soltanto i muscoli e i legamenti che sostengono l’articolazione. Scopi dell’amputazione Braccia, gambe, mani, piedi, dita delle mani e dei piedi possono essere amputate. La maggior parte delle amputazioni coinvolgono piccole parti del corpo come un dito, piuttosto che un arto. Circa 65.000 amputazioni vengono eseguite negli Stati Uniti ogni anno. L’amputazione viene eseguita per i seguenti motivi: • per rimuovere il tessuto che non ha più un adeguato apporto di sangue • per rimuovere tumori maligni • a causa di un grave trauma alla parte del corpo. L’apporto di sangue ad un’estremità può essere interrotto causa delle lesioni al vaso sanguigno, indurimento delle arterie, embolia arteriosa, circolazione ridotta come complicazione del diabete mellito, ripetute e gravi infezioni che portano alla cancrena, gravi congelamenti, malattia di Raynaud o malattia di Buerger. Più del 90% delle amputazioni eseguite negli Stati Uniti sono causa di complicazioni circolatorie dovute al diabete. Tra il sessanta e l’ottanta per cento di queste operazioni coinvolgono le gambe o i piedi. Sebbene molti tentativi sono stati compiuti negli Stati Uniti per combattere il diabete e le ulcere del piede, il numero di amputazioni derivanti non è diminuito. Precauzioni dell’amputazione Le amputazioni non possono essere eseguite su pazienti con diabete mellito non controllato, insufficienza cardiaca o infezione. I pazienti con disturbi della coagulazione del sangue sono inoltre, non buoni candidati per l’amputazione. Procedura dell’amputazione Prima che un amputazione venga eseguita, un ampio test viene eseguito per determinare il corretto livello dell’amputazione. L’obiettivo del chirurgo è trovare il punto in cui la guarigione possa essere completa amputando la minor quantità dell’arto del paziente. Maggiore è il flusso di sangue presente in una zona e maggiore è la probabilità di guarigione. Questi test sono progettati per misurare il flusso sanguigno attraverso l’arto. Essi vengono eseguiti per aiutare a scegliere il corretto livello di amputazione. LE AMPUTAZIONI Il giorno prima dell’intervento: somministrazione della terapia prescritta prelievo per 4 unità di sangue per disponibilità al centro trasfusionale dieta leggera digiuno dalla mezzanotte Il giorno dell’intervento: Pre-operatorio paziente digiuno H 6:00 parametri vitali e somministrazione di terapia cardiologica ed antiipertensiva personale igiene del paziente tricotomia se richiesta dal chirurgo compilazione check list invio del paziente in sala operatoria con tutta la documentazione clinica Post-operatorio controllo e registrazione dei parametri vitali al rientro dalla sala operatoria e monitoraggio degli stessi controllo della medicazione compilazione check list valutazione e correzione del dolore valutazione della diuresi posizionare in scarico il moncone per ridurre l’edema terapia infusionale se prescritta a cena dieta leggera se il paziente non è stato sottoposto ad anestesia generale Il giorno dopo l’intervento h 6:00 prelievo ematico per emocromo o altri esami emato-chimici solo se richiesto dal chirurgo controllo e registrazione dei parametri vitali igiene del paziente colazione leggera si mobilizza il paziente terapia prescritta dieta libera COMPLICANZE infezione della ferita necessità di altro intervento deiscenza del moncone contratture in flessione nelle amputazioni di gamba insufficienza renale acuta trombosi venosa profonda o embolia polmonare Dopo l’amputazione, il farmaco è prescritto per il dolore ed i pazienti sono trattati con antibiotici per scoraggiare l’infezione. La terapia fisica e la riabilitazione vengono avviati al più presto, di solito entro 48 ore. Studi hanno dimostrato che esiste una relazione positiva tra la riabilitazione precoce e l’effettivo funzionamento del moncone e protesi. La durata del soggiorno in ospedale dipende dalla gravità dell’amputazione e la salute generale dell’amputato, ma varia da alcuni giorni a due settimane. La riabilitazione è un processo lungo e faticoso, soprattutto per gli amputati sopra il ginocchio. Inoltre, la consulenza psicologica è una parte importante della riabilitazione. Molte persone sentono un senso di perdita e di dolore quando perdono una parte del corpo. Altri sono infastiditi dalla sindrome dell’arto fantasma, essi sentono la parte amputata ancora in vigore. Si può anche sentire dolore nell’arto che non esiste. Molti amputati beneficiano di unirsi in gruppi di auto aiuto e meeting con altre persone che sono affette da amputazioni. L’indirizzamento degli aspetti emotivi dovuti all’amputazione accelera spesso il processo della riabilitazione fisica. Rischi dell’amputazione L’amputazione è un intervento chirurgico importante. Tutti i rischi associati sono dovuti alla somministrazione di anestesia, con la possibilità di perdite di sangue e lo sviluppo di coaguli di sangue. L’infezione è di particolare riguardano per gli amputati. Il tasso di infezione nelle amputazioni è del 15%. Se il moncone si infetta, è necessario rimuovere la protesi e talvolta amputare una seconda volta ad un livello superiore. La mancanza di un moncone è un altra importante complicazione per la guarigione. La non guarigione è di solito causata per un inadeguata fornitura di sangue. Il tasso di non guarigione varia dal 5-30% a seconda della struttura.