Accessi venosi centrali breve, medio e lungo termine

Assistenza alla persona portatrice di
catetere venoso centrale
Docente:
Dott.ssa : Suor Filomena Nuzzo
ANNO ACCADEMICO - 2014/2015
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CHE COS’E’ UN CVC ?
E’ una sonda di materiale
biocompatibile
che introdotta attraverso in un
distretto venoso ad alto flusso,
consente l’infusione di fluidi e farmaci
in condizioni di maggiore sicurezza.
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Accessi venosi centrali breve, medio e lungo
termine:
classificazione e caratteristiche tecniche
La diffusione degli accessi venosi centrali a medio e
lungo termine è legata storicamente alla necessità
crescente di poter effettuare terapie complesse e per
lungo tempo anche in pazienti non ospedalizzati –
ospedalizzati ad intermittenza - avendo la garanzia di un
accesso venoso stabile e sicuro.
Fino a qualche decennio fa, la terapia endovenosa veniva
effettuata solo in ambito ospedaliero, mediante accessi
venosi periferici (aghi cannule) inserite in vene degli arti
superiori o inferiori.
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Negli anni 60 è andata sviluppandosi la consapevolezza
dei limiti di questi accessi venosi e ci si rese conto che:
1. era un accesso instabile e di breve durata;
2. comportava un rapido esaurimento delle vene
disponibili;
3. era una via di accesso con limiti alla somministrazione
di determinati farmaci lesivi dell’endotelio (es.
chemioterapici).
Lo sviluppo di nuove tecnologie nell’ambito del cateterismo
intravascolare ha reso più sicura la pratica dell’incannulazione venosa
centrale, facendola diventare routine in ambito ospedaliero.
Per l’accesso venoso centrale, furono utilizzati vari metodi e vari
materiali.
Le vie di accesso dei cateteri venosi centrali più utilizzate furono la
v. giugulare interna o succlavia, ma anche vene periferiche come la
v. basilica o cefalica al gomito, o la safena in età pediatrica.
Sicuramente la veni puntura periferica consentiva una inserzione
senza rischi (pnx) ma si dimostrò svantaggiosa per l’alta percentuale
di malposizioni, oppure la frequente insorgenza di tromboflebiti ;
inoltre essendo i cateteri molto lunghi offrivano una alta resistenza al
flusso per cui la via di accesso venoso di elezione divenne la
v. giugulare interna o la v. succlavia oppure la v. femorale in casi
particolari (2a scelta).
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Negli anni . 80 l’ evoluzione delle metodologie di cura ha
portato ad una grande diffusione dell’ uso clinico degli
accessi venosi a lungo termine.
Ma prima del 1988 questi nuovi cateteri erano presidi
complessi e poco conosciuti, associati a molte
problematiche tecniche e cliniche che ciascun operatore
risolveva in modo personale o da autodidatta, viste
anche le scarse possibilità di confronto fra operatori e la
poca bibliografia disponibile in letteratura.
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L’ esigenza in campo oncologico e nella nutrizione parenterale
era di avere a disposizione cateteri che dessero la massima
garanzia di:
a) stabilità dell ‘accesso venoso,
b) possibilità di uso discontinuo,
c) durata illimitata,
d) protezione da complicanze infettive e trombotiche,
e) massima biocompatibilità.
L’ importanza dei nuovi cateteri venosi, che più correttamente
potremmo definire come “sistemi di accesso venoso a
breve, medio e lungo termine” rispetto ai cateteri venosi
centrali utilizzati in ambito ospedaliero, sta soprattutto nella
possibilità di un loro uso discontinuo.
È questo il vero spartiacque tra gli accessi venosi periferici e i cvc
a breve termine, utilizzati nel paziente ospedalizzato, dove tutte le
infusioni devono essere fatte in modo continuo, e i sistemi centrali
a medio e lungo termine utilizzabili in modo discontinuo, anche a
domicilio o ambulatorialmente.
E’ proprio per le loro caratteristiche intrinseche questa nuova
generazione di cateteri ha trovato indicazioni soprattutto in:
1. Onco-ematologia per:
a) pazienti sottoposti a trattamenti chemioterapici ambulatoriali,
b) pazienti periodicamente ospedalizzati per chemio o radioterapia,
c) pazienti terminali, a domicilio, con necessità di una via venosa
per terapia di supporto, nutrizione parenterale parziale o totale o
per terapia antalgica o cure palliative.
2. Gastroenterologia per nutrizione parenterale domiciliare (s. da
intestino corto, m. di Chron) o periodicamente ospedalizzati.
3. Pazienti ricoverati in Malattie Infettive o in Dialisi.
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Vene usate per l’inserimento dei C.V.C.
Le vene centrali sono quelle che si trovano nel torace in
continuità diretta con l’atrio destro; queste forniscono la via più
breve per l’inserzione del catetere venoso. Il C. V. C. è un
catetere la cui punta è posizionata nella vena cava superiore,
vena cava inferiore o nell’atrio destro.
Le principali vene scelte per l’accesso venoso centrale sono:
- per tutti i tipi di C.V.C.:
1. vena giugulare interna ed esterna
2. vene succlavie
- per cateteri centrali inseriti perifericamente:
1. vena cefalica e vena basilica
2. occasionalmente vena femorali
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INDICAZIONI
Servono per:
- misurare e monitorare la P.V.C.
- somministrare grosse quantità di liquidi o sangue;
- fornire accesso a lungo termine per trasfusioni di sangue, emoderivati,
N.P.T., terapia antibiotica o citotossica;
- somministrare farmaci dannosi per le vie periferiche (es. potassio
cloruro);
- ripetuti prelievi sanguigni.
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Vena giugulare interna ed esterna
La prima garantisce un buon successo nell’inserimento con una bassa
percentuale di complicazioni. E’ la via d’accesso più corta e diretta. I
problemi che possono verificarsi più frequentemente sono: l’occlusione
del catetere dovuta ai movimenti del capo e la difficoltà a mantenere
intatta la medicazione. La seconda ha come difetto la giunzione con la
succlavia angolata, rendendo più difficile l’incanulamento.
Vene succlavie
Sono in prima scelta per il posizionamento di cateteri a lungo termine
(ad esempio nella N.P.T.). E’ la vena più vicina all’atrio destro e dà un
minor rischio di ostruzione del catetere stesso. Il PNX è la
complicazione più comune nell’utilizzo di questa via insieme al rischio di
trombosi ed infezioni.
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CLASSIFICAZIONE DEI TIPI DI PRESIDIO
VENOSO CENTRALE
ACCESSI VENOSI A BREVE TERMINE
(catetere esterno non tunnellizzato a punta aperta)
ACCESSI VENOSI A MEDIO TERMINE
(cateteri esterni non tunnellizzati a punta aperta o
chiusa)
ACCESSI VENOSI A LUNGO TERMINE
(cateteri esterni tunnellizzati sottocute e sistemi
totalmente impiantabili)
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VALUTAZIONE DEL PAZIENTE (PER SCEGLIERE IL DISPOSITIVO PIU’
ADATTO)
Dopo essersi accertati dei tipi di c.v.c. disponibili nel reparto e loro
caratteristiche, va fatta poi una valutazione del paziente e dei suoi bisogni
clinici e terapeutici:
- durata della permanenza in situ;
- durata della terapia;
- tipo di terapia;
- quantità di lumi necessari;
- conoscenza dei problemi (eventuali interventi chirurgici o disturbi
vascolari) precedenti;
Coinvolgimento del paziente , ( dopo averlo opportunamente informato )
nella scelta del catetere venoso.
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COMPLICANZE ASSOCIATE ALL’INSERZIONE DEI
C. V. C.
La complicanza più frequente in assoluto è il
pneumotorace.
Per questo motivo, dopo l’inserzione, va sempre effettuato un RX
torace di controllo utile anche per verificare l’esatta sede della punta
del catetere. L’infermiere che coadiuva il medico nell’inserzione del
C.V.C.. dovrebbe essere in grado di identificare e prevenire le
complicanze relative al suo posizionamento e alla permanenza in situ.
Queste possono essere: l’infezione, la trombosi, l’occlusione, lo
spostamento, lo stravaso, l’infiltrazione o il danneggiamento.
Le complicanze nell’inserzione possono invece essere: l’emotorace, il
pneumotorace, il tamponamento cardiaco e l’embolia gassosa.
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GESTIONE DEL C. V. C.
Quando ci si prepara all’ incanulamento venoso bisogna
preparare del materiale qui di seguito elencato:
• Soluzione di iodio-povidone.
• Cappello e maschera, guanti e
camice sterili,teli di protezione.
• Fiale di lidocaina, aghi sterili,
siringhe.
• Medicazione occlusiva sterile,
cerotto e rubinetto.
• Set per vena centrale .
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GESTIONE DEL C.V.C.
Le regole principali nella gestione dei C.V.C. sono:
- prevenzione delle infezioni;
- mantenimento del sistema chiuso;
- mantenimento del sistema pervio;
- prevenzione del danneggiamento del dispositivo;
Il rischio d’infezione è influenzato da diversi fattori tra i quali: le condizioni
cliniche del paziente, la pulizia della cute, il tipo di infusione e il tipo di
medicazione. L’agente disinfettante più efficace è la Clorexidina per la
detersione della cute intorno al sito d’inserzione e per i cambi di
medicazione.
Il sito d’inserzione deve essere controllato regolarmente per prevenire le
infezioni. Segni come iperpiressia improvvisa, indolenzimento del sito o
una medicazione bagnata sono ragioni di ispezione immediata.
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La più comune causa di occlusione del C.V.C. è un
coagulo di sangue ma è sempre importante accertarsene.
Altre cause possono essere anche la formazione di
precipitati o emulsioni di grassi della N. P.T.
(in quest’ultimo caso può essere utile usare alcol etilico o
acido cloridrico per la disostruzione). Se il catetere è
usato per terapie intermittenti va lavato con soluzioni
apposite ad ogni utilizzo. La soluzione eparinata (sodio
cloruro ed eparina) sembra essere la migliore per
mantenere
la
intermittenza..
pervietà
nei
dispositivi
usati
ad
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Se c’è un’occlusione può essere sufficiente un’aspirazione
delicata del coagulo e successivo lavaggio con soluzione
eparinata o fisiologica. Le siringhe che vanno utilizzate sono
dai 10 ml in su perché un diametro minore può produrre
maggiore pressione con conseguente rottura del dispositivo
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In caso di incidente l’infermiere deve clampare immediatamente
il catetere in vicinanza della rottura per prevenire emorragia o
embolia gassosa. La riparazione va eseguita in asepsi.
Il catetere venoso centrale è un dispositivo molto utile per
soddisfare diversi bisogni del paziente; tuttavia la sua inserzione
non è totalmente priva di rischi. E’ competenza dell’infermiere
assicurare la giusta assistenza e prevenire quindi le molteplici
complicazioni associate.
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Nella gestione di pazienti critici, di terapia intensiva, di
oncologia, di ematologia oppure in assistenza domiciliare,
e in ogni caso di tutti quei pazienti il cui approccio
terapeutico è complesso, si rivela estremamente utile
disporre di
VALIDO ACCESSO VENOSO
PROCESSO ASSISTENZIALE E CURATIVO
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In questi pazienti di norma il PROGRAMMA
TERAPEUTICO prevede:
 Polichemioterapia
bassa portata.
 Prelievi
aggressiva, lesiva per i vasi a
ematici multipli.
 Infusione
di fluidi ed elettroliti.
 Trasfusioni
 Nutrizione
di sangue ed emocomponenti.
artificiale (NPT).
 Terapia
antalgica.
 Terapie
palliative.
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RUOLO DELL’INFERMIERE
Gli infermieri hanno un ruolo fondamentale:
 Nella
gestione dell’accesso venoso
centrale .
 Nell’informazione.
 Nell’educazione sanitaria al paziente.
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RUOLO DELL’INFERMIERE
Il paziente lo si dovrà aiutare
ad accettare i cambiamenti
della sua vita futura e
probabilmente per un lungo
periodo … … …
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RUOLO DELL’INFERMIERE
È necessario che gli infermieri siano consapevoli:
del ruolo che rivestono in questo aspetto della
loro professione;
che siano preparati ad agire con competenza;
se non sufficientemente pronti, si sentano
obbligati a cercare formazione e aggiornamento;
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RUOLO DELL’INFERMIERE
Gli obiettivi della formazione e
dell’aggiornamento in questo settore sono:
1.
Ottenere conoscenze e comportamenti uniformi, nella
gestione degli accessi venosi centrali;
2.
Prevenire le complicanze maggiori, meccaniche e
infettive legate alla presenza del sistema;
3.
Elaborare un protocollo scritto, basato sulle evidenze
scientifiche, ma personalizzato per ogni unità operativa,
con il fine di favorire l’autoapprendimento,
l’aggiornamento e l’inserimento dell’infermiere
neo-assunto;
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