UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI FACOLTA’ DI SCIENZE POLITICHE Laurea Triennale in Amministrazione, Governo e Sviluppo Locale Corso di Diritto Tributario La prescrizione e la decadenza DOCENTE : Prof. Filippo Rau TESINA DI : Anna Maria Boi (matr. n. 20279) Maria Raffaela Serra (matr. 20328) ANNO ACCADEMICO 2007 – 2008 13 C C Cooorrrsssooo dddiii dddiirirriiittttttooo tttrrriiibbbuuutttaaarrriiiooo P P F R Prrrooofff...F Fiiilliliippppppooo R Raaauuu A A Annnnnnooo 222000000777///222000000888 A A M B Annnnnnaaa M Maaarrriiiaaa B Boooiii 222000222777999 M M R S Maaarrriiiaaa R Raaaffffffaaaeeelllaaa S Seeerrrrrraaa 222000333222888 LA PRESCRIZIONE è un modo generale di estinzione dei diritti causato dal trascorrere del tempo e dall'inerzia del titolare. Il trascorrere del tempo determina delle conseguenza di natura giuridica poiché con il passare del tempo diviene difficile provare una determinata situazione giuridica, il ricordo di fatti lontani inevitabilmente diviene confuso, e può anche accadere che si perdano i documenti idonei a render chiara l'esistenza stessa di un diritto. Da solo il trascorrere del tempo però non è sufficiente a giustificare la perdita di un diritto; è infatti vero che sin quando il titolare di un diritto fa uso dei poteri che ad esso sono connessi, dimostra la sua volontà di non abbandonarlo. Se, all'opposto, non ne fa alcun uso, implicitamente dimostra il suo disinteresse che, protrattosi per un tempo più o meno lungo, produrrà come conseguenza la perdita di quella posizione giuridica. Per cui da quanto abbiamo detto possiamo considerare fondamento della prescrizione sia l'inerzia del titolare del diritto sia l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici. Accade, infatti, che nelle singole norme che si occupano della prescrizione spesso rileva l'una o l'altra esigenza, facendoci intendere che entrambe (e non l'una o l'altra come ritiene parte della dottrina) contribuiscono a creare le fondamenta dell'istituto. Non tutti i diritti si prescrivono; ve ne sono infatti alcuni che non si prescrivono a causa della loro natura. Ad esempio, i diritti della personalità che non si prescrivono mai. Diritti non soggetti a prescrizione: 1. tutti i diritti indisponibili quali I diritti della personalità, come il diritto al nome, all'immagine, alla riservatezza; I diritti di stato relativi alle qualità delle persone che indicano la loro posizione nella società; pensiamo lo status di padre, il figlio, di coniuge e così via; I diritti patrimoniali che scaturiscono da rapporti familiari, come il diritto agli alimenti. 2. il diritto di proprietà 3. l'azione volta a far dichiarare la nullità di negozi giuridici C C Cooorrrsssooo dddiii dddiirirriiittttttooo tttrrriiibbbuuutttaaarrriiiooo P P F R Prrrooofff...F Fiiilliliippppppooo R Raaauuu A A Annnnnnooo 222000000777///222000000888 A A M B Annnnnnaaa M Maaarrriiiaaa B Boooiii 222000222777999 M M R S Maaarrriiiaaa R Raaaffffffaaaeeelllaaa S Seeerrrrrraaa 222000333222888 4. le azioni in materia familiare (disconoscimento di paternità, azione di reclamo della legittimità, riconoscimento di paternità o maternità naturale) Da quanto detto quindi per la prescrizione sono necessari due elementi: 1. Il trascorrere del tempo; 2. L'inerzia del titolare del diritto. Il termine di prescrizione ordinario è di dieci anni. Ciò vuol dire che se la legge non dispone diversamente tutti i diritti si prescrivono in questo lasso di tempo. Però, sono previsti termini più brevi o più lunghi rispetto a quello ordinario. I diritti reali su cosa altrui si prescrivono in venti anni. Nel caso di prescrizioni brevi il termine è inferiore a quello ordinario di dieci anni. Se, però, il diritto soggetto a prescrizione breve è accertato con sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrive in dieci anni e non più in cinque. Il legislatore ha chiaramente identificato la prescrizione con l'estinzione. E' da notare però, che alcuni autori ritengono che, nonostante il dettato dell'art. 2934 c.c., non si può parlare di estinzione del diritto, ma di perdita della sua forza. Questi autori ritengono che la prescrizione non provochi l'estinzione basandosi su diverse norme relative proprio alla prescrizione: 1. in primo luogo l’articolo 2940 codice civile secondo cui non è possibile chiedere la ripetizione di quanto è stato spontaneamente pagato per un debito prescritto, 2. ed ancora l'articolo 2938 del codice civile secondo cui la prescrizione non può essere rilevata d'ufficio. Queste due norme non sono compatibili con l'idea che la prescrizione provochi l'estinzione del diritto; se infatti il diritto fosse realmente estinto, si dovrebbe ottenere la ripetizione di quanto si è spontaneamente pagato. In merito poi alla impossibilità da parte del giudice di sollevare d'ufficio l'eccezione di prescrizione, questa può spiegarsi solo considerando che il diritto è ancora esistente; se ciò non fosse il giudice dovrebbe rilevare d'ufficio l'eccezione di prescrizione in quanto rientra nei suoi poteri verificate le situazioni giuridiche attualmente esistenti. Se, quindi, il diritto fosse realmente estinto il giudice non dovrebbe fare altro che prenderne atto; se invece il diritto non è estinto il giudice non potrà agire d'ufficio. Tale potere spetterà solamente alla parte che potrà sollevare la relativa eccezione. PRESCRIZIONI PRESUNTIVE C C Cooorrrsssooo dddiii dddiirirriiittttttooo tttrrriiibbbuuutttaaarrriiiooo P P F R Prrrooofff...F Fiiilliliippppppooo R Raaauuu A A Annnnnnooo 222000000777///222000000888 A A M B Annnnnnaaa M Maaarrriiiaaa B Boooiii 222000222777999 M M R S Maaarrriiiaaa R Raaaffffffaaaeeelllaaa S Seeerrrrrraaa 222000333222888 Sono previste in particolari casi dove il pagamento di un debito avviene, di solito, senza che il debitore provveda a farsi rilasciare una quietanza. In queste ipotesi, passato un breve lasso di tempo si presume che il debito sia stato già soddisfatto e quindi il diritto estinto. Come si vede dalla definizione, non si tratta di vere e proprie prescrizioni, ma di "presunzioni di estinzione di diritti", regolate dal codice civile agli articoli 2954 e seguenti. Si tratta di ipotesi " minori ", cioè di casi relativi a diritti patrimoniali di tenue entità; si fa riferimento, infatti, alle somme dovute agli osti ed agli albergatori per il vitto ed l'alloggio, alla retribuzione dovuta di insegnanti per le lezioni che impartiscono a mesi, a giorni o ad ore oppure alle somme dovute ai farmacisti per il prezzo dei medicinali. Si tratta quindi di ipotesi relative alla vita di tutti giorni, dove normalmente non ci si preoccupa di rendere troppo formali i rapporti attraverso l'uso di documenti; il legislatore in questo caso è venuto incontro alle esigenze del debitore ritenendo che questi abbia già pagato o, comunque, abbia posto in essere un'attività che ha portato all'estinzione del diritto del creditore (novazione, remissione del debito ecc.). Potrebbe accadere, però, che a differenza da quanto presunto dal legislatore il diritto del creditore non sia stato soddisfatto; per questo motivo al titolare del diritto è riconosciuto il potere di provarne l'esistenza, ma l'unico mezzo a sua disposizione sarà il giuramento. 1. il creditore cita in giudizio il debitore per ottenere il pagamento 2. il debitore eccepisce l'estinzione del diritto 3. il creditore non può fare altro che far giurare il debitore sull'estinzione del diritto. 4. se il debitore ammette sotto giuramento che il diritto non si è estinto, il creditore vince la causa; 5. se il debitore sotto giuramento conferma l'estinzione del diritto, il creditore perde la causa anche se in un giudizio penale si dimostrerà che il debitore ha giurato il falso. Al di fuori del giuramento il creditore non ha altri mezzi per provare l'esistenza del suo diritto; l'ultima sua speranza potrebbe consistere, però, nell'attività stessa del debitore. Se questi, infatti, confessa in giudizio che il diritto non si è estinto, oppure semplicemente ne ammette l'esistenza, tale attività sarà sufficiente per togliere efficacia all'eccezione di estinzione che ha sollevato. SOSPENSIONE Rappresenta un periodo di tempo in cui non si calcola il decorso della prescrizione a causa di eventi previsti dalla legge che impediscono al titolare del diritto di esercitarlo o ne rendono C C Cooorrrsssooo dddiii dddiirirriiittttttooo tttrrriiibbbuuutttaaarrriiiooo P P F R Prrrooofff...F Fiiilliliippppppooo R Raaauuu A A Annnnnnooo 222000000777///222000000888 A A M B Annnnnnaaa M Maaarrriiiaaa B Boooiii 222000222777999 M M R S Maaarrriiiaaa R Raaaffffffaaaeeelllaaa S Seeerrrrrraaa 222000333222888 poco probabile l'esercizio, costituisce una parentesi che s'inserisce nel periodo prescrizionale. Ad esempio nel caso relativo alla prescrizione ordinaria; il periodo di tempo è calcolato in dieci anni. Cioè un soggetto titolare di un diritto di credito, avrà dieci anni di tempo per farlo valere. Può accadere, però, che questo debba prestare servizio sotto le armi in caso di guerra e che tale situazione duri per due anni consecutivi. In questo caso i due anni trascorsi sotto le armi si inseriranno nel periodo di prescrizione ordinaria portandolo, in pratica, a 12 anni. I casi sospensione sono previsti dagli articoli 2941 e 2942 del codice civile e sono tassativi. Ciò vuol dire che non potranno essere invocati altri impedimenti idonei a sospendere la prescrizione al di fuori di quelli previsti dalla legge. 1. Articolo 2941 c.c. - casi di sospensione della prescrizione dovuti a particolari rapporti tra le parti 2. Articolo 2042 c.c. casi di sospensione della prescrizione dovuti alla condizione del titolare. INTERRUZIONE Si verifica quando il titolare del diritto compie un'attività idonea a mostrare la sua volontà di esercitarlo. Dal momento in cui quest'attività è stata compiuta si calcola un nuovo periodo di prescrizione, nulla più valendo quella già trascorso. A differenza della sospensione, con l'interruzione non si apre una semplice parentesi nel periodo di prescrizione, ma, per così dire, muore il periodo già trascorso e comincia a decorrere un nuovo periodo pari a quello iniziale. Esempio: se sono titolare di un diritto di credito (che ordinariamente si prescrive in dieci anni) e dopo sei anni di inattività mi decido a citare in giudizio il mio debitore, dal momento della notifica della citazione comincerà a decorrere un nuovo periodo di prescrizione di dieci anni entro il quale potrò sempre richiedere l'adempimento. La mia richiesta ha quindi annullato il periodo di prescrizione già trascorso; anche se avessi aspettato nove anni ed 11 mesi e 20 per notificare la citazione al mio debitore, questa attività fa sorgere un nuovo periodo di prescrizione di dieci anni, nulla contando il periodo di nove anni ed 11 mesi e 20 giorni già trascorsi. Si ritiene che le cause di interruzione siano tassative, nel senso che non ne esistono altre oltre quelle previste dalla legge; l'articolo 2943 codice civile ne elenca le più comuni, ma altre sono sparse in altre leggi e nello stesso codice civile. C C Cooorrrsssooo dddiii dddiirirriiittttttooo tttrrriiibbbuuutttaaarrriiiooo P P F R Prrrooofff...F Fiiilliliippppppooo R Raaauuu A A Annnnnnooo 222000000777///222000000888 A A M B Annnnnnaaa M Maaarrriiiaaa B Boooiii 222000222777999 M M R S Maaarrriiiaaa R Raaaffffffaaaeeelllaaa S Seeerrrrrraaa 222000333222888 DECADENZA Provoca l'estinzione di un diritto per non aver svolto determinate attività previste dalla legge o dalle parti nel termine stabilito. Normalmente si verifica quando un diritto deve essere esercitato con particolari modalità e in un termine stabilito. Il trascorrere del termine ne comporterà l'estinzione. L'istituto della decadenza è molto simile a quello della prescrizione, la dottrina si è sforzata di ricercare le differenze tra i due istituti; in realtà fino ad oggi non si è giunti ad una distinzione convincente. Le differenze fondamentali tra i due istituti, possono essere così riassunte: Prescrizione i tempi necessari per Decadenza maturare prescrizione sono in genere lunghi la i tempi necessari per far maturare una decadenza sono in genere brevi è frequente nella maggior parte dei diritti è più frequente in quella categoria di diritti soggettivi l'attività soggettivi detti diritti potestativi necessaria per impedire la l'attività necessaria per impedire la prescrizione non è di solito rigidamente decadenza e normalmente rigidamente predeterminata predeterminata una volta interrotta la prescrizione, nasce una volta impedita la decadenza non si un nuovo periodo prescrizionale uguale al produrrà un nuovo periodo di decadenza precedente uguale al precedente, ma il diritto potrà essere normalmente esercitato col solo limite della prescrizione Normalmente accade, però, che sia lo stesso legislatore ad indicare quando ci troviamo davanti a un termine di prescrizione e quando davanti a uno di decadenza. La precisazione non è senza importanza perché molto diverso e il regime giuridico dei due istituti. Alla decadenza non si applicano istituti della sospensione e della interruzione (art. 2964 c.c.) Altra differenza importante riguarda la possibilità di stabilire decadenze convenzionali, cioè limiti temporali all'esercizio del diritto sempreché, si tratti di diritti disponibili; nella prescrizione ciò non è possibile in quanto le sue norme sono inderogabili (art. 2936 c.c.). C C Cooorrrsssooo dddiii dddiirirriiittttttooo tttrrriiibbbuuutttaaarrriiiooo P P F R Prrrooofff...F Fiiilliliippppppooo R Raaauuu A A Annnnnnooo 222000000777///222000000888 A A M B Annnnnnaaa M Maaarrriiiaaa B Boooiii 222000222777999 M M R S Maaarrriiiaaa R Raaaffffffaaaeeelllaaa S Seeerrrrrraaa 222000333222888 Questo riferimento ai diritti disponibili ci fa intendere che possono esistere due tipi di decadenza, una di natura convenzionale e l'altra di natura legale. Il codice civile agli articoli 2966, 2968 e 2969 affronta ipotesi di decadenza in merito a quattro specifici problemi. In particolare: 1. gli atti necessari per impedire la decadenza sono solo quelli previsti dalla legge o dal contratto; 2. il riconoscimento compiuto dal soggetto passivo del diritto ha valore solo quando riguarda diritti disponibili o decadenze contrattuali; 3. quando la decadenza riguarda diritti indisponibili non è possibile la modifica della disciplina legale relativa alla decadenza. In questi stessi casi non è possibile nemmeno la rinunzia alla decadenza; 4. il giudice può rilevare la decadenza d’ufficio solo quando riguarda diritti indisponibili. LA PRESCRIZIONE E LA DECADENZA NEL DIRITTO TRIBUTARIO L’articolo 3 dello Statuto del contribuente vieta espressamente al legislatore di prorogare i termini di decadenza e di prescrizione degli accertamenti. LEGGE 27 luglio 2000, n.212 Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente. Art. 3. (Efficacia temporale delle norme tributarie) ……omissis 3. I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati. omissis….. Richiamando quanto abbiamo esaminato prima in merito alla distinzione tra prescrizione e decadenza abbiamo che: la decadenza rappresenta un termine previsto dalla legge entro il quale deve essere esercitato un potere; nel caso del diritto tributario il potere di emissione da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’avviso di accertamento o dell’iscrizione a ruolo; la prescrizione, invece, rappresenta un fenomeno di estinzione di un diritto a seguito del suo mancato esercizio; in questo caso il diritto è rappresentato dal credito dell’Amministrazione nei confronti del contribuente. Quindi la decadenza riguarda la potestà impositiva, la prescrizione l’esercizio del diritto di credito già sorto. C C Cooorrrsssooo dddiii dddiirirriiittttttooo tttrrriiibbbuuutttaaarrriiiooo P P F R Prrrooofff...F Fiiilliliippppppooo R Raaauuu A A Annnnnnooo 222000000777///222000000888 A A M B Annnnnnaaa M Maaarrriiiaaa B Boooiii 222000222777999 M M R S Maaarrriiiaaa R Raaaffffffaaaeeelllaaa S Seeerrrrrraaa 222000333222888 La “ratio” dell’articolo 3, comma terzo, dello Statuto dei diritti dei contribuenti è chiaramente quella di dare certezza al rapporto tra contribuente e Amministrazione finanziaria, mantenendo fermi i termini di prescrizione e soprattutto quelli di decadenza, visto che il problema riguarda soprattutto questi ultimi, non permettendo l’emanazione di atti di accertamento oltre i termini previsti, posto che quelli già stabiliti dalla normativa vigente possono considerarsi adeguatamente lunghi, nel caso in cui l’Amministrazione non abbia ritardi nello svolgimento delle sue attività. La legge tributaria non prevede termini di prescrizione relativi alle imposte sui redditi e l’I.V.A.; il fenomeno estintivo si verifica trascorso il termine di prescrizione ordinario previsto dal Codice civile. Per quanto riguarda la decadenza l’articolo 43 del D.P.R. 600 del 1973 in tema di imposte sui redditi e l’articolo 57 del D.P.R. 633 del 1972 in tema di I.V.A., prevedono che gli avvisi di accertamento devono essere notificati al contribuente entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ovvero entro il quinto anno in caso di omessa dichiarazione. L’utilizzo di leggi di proroga dei termini di prescrizione o di decadenza non è molto frequente e una delle ultime norme di proroga risale al 1998, precisamente la legge 23 dicembre 1998 n. 448 che ha avuto l’ambizioso scopo di eliminare le giacenze e quindi di smaltire il lavoro arretrato dell’Amministrazione finanziaria relativo ai periodi d’imposta compresi tra il 1993 e il 1997. E’ interessante mettere in evidenza un possibile problema interpretativo della legge 212/2000 (Statuto dei diritti dei contribuenti). Il problema riguarda il possibile contrasto tra l’articolo 3, comma terzo, dello Statuto e la legge 21 giugno 1961 n. 498, modificata dalla legge 25 ottobre 1985 n. 592, intitolata “Norma per la sistemazione di talune situazioni dipendenti dal mancato o irregolare funzionamento degli uffici finanziari”. La legge 592/1985 prevede che: “Qualora gli uffici finanziari non siano in grado di funzionare regolarmente a causa di eventi di carattere eccezionale, i termini di prescrizione e di decadenza, nonché quelli di adempimento di obblighi e formalità previsti dalle norme riguardanti le imposte e le tasse a favore dell’Erario, scaduti durante il periodo di mancato o irregolare funzionamento degli uffici, sono prorogati fino al 10° giorno successivo alla data in cui viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministro delle finanze che accerta il mancato o irregolare funzionamento dell’ ufficio”. C C Cooorrrsssooo dddiii dddiirirriiittttttooo tttrrriiibbbuuutttaaarrriiiooo P P F R Prrrooofff...F Fiiilliliippppppooo R Raaauuu A A Annnnnnooo 222000000777///222000000888 A A M B Annnnnnaaa M Maaarrriiiaaa B Boooiii 222000222777999 M M R S Maaarrriiiaaa R Raaaffffffaaaeeelllaaa S Seeerrrrrraaa 222000333222888 In sostanza si tratta di una disposizione che riconosce al Ministro delle finanze il potere di prorogare con proprio decreto i termini di prescrizione e di decadenza nel caso in cui essi siano scaduti in un periodo di mancato o irregolare funzionamento degli uffici a causa di eventi eccezionali. Sull’argomento è intervenuta la Corte di Cassazione che, però, ha concentrato l’attenzione soltanto sulla valenza giuridica del decreto di proroga del Ministro delle finanze, prevedendo che tale decreto è un atto amministrativo del tutto privo di valore normativo, in quanto rappresenta solo il presupposto di fatto dell’operatività di norme giuridiche. Nella sostanza la Corte afferma che non è il decreto ministeriale a prorogare i termini ma soltanto la legge. Affinchè essa possa produrre questo effetto è necessario che il decreto accerti il mancato funzionamento. Visto il tenore dell’articolo 3 dello Statuto che stabilisce quasi in modo categorico che i termini non possono essere prorogati, sembra che non ci sia spazio per una deroga neanche nei casi di eccezionale gravità prospettati dalla legge 592 del 1985 e che rappresentano il presupposto oggettivo per l’applicazione della proroga. Sembra, quindi, che questa legge debba essere considerata implicitamente abrogata ad opera dello Statuto del contribuente. L’unico dubbio che può sorgere, visto il tenore dell’articolo 3 dello Statuto dei diritti dei contribuenti e in generale di tutte le disposizioni dello Statuto, è che l’intenzione del legislatore sia stata quella di tutelare il contribuente vietando soltanto proroghe dei termini dettate da motivi di puro interesse politico o fiscale, per il fatto che le Amministrazioni hanno molto lavoro arretrato e si rischia di non poter accertare imposte effettivamente dovute, e non vietando qualsiasi tipo di proroga; infatti si possono verificare delle circostanze eccezionali che impediscono il funzionamento degli uffici, senza che possa essere addebitata nessuna colpa all’Amministrazione finanziaria, e in cui la proroga può essere giustificata. L’EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE La recente evoluzione giurisprudenziale sui principi generali del diritto tributario ha attraversato una fase interessante. Si evidenzia che l’Amministrazione finanziaria è sollecitata a correggere i propri errori attraverso il potere di autotutela che non sopravanza quello dell’indisponibilità dell’obbligazione, ma riconduce l’atto impositivo nell’alveo della legge. C C Cooorrrsssooo dddiii dddiirirriiittttttooo tttrrriiibbbuuutttaaarrriiiooo P P F R Prrrooofff...F Fiiilliliippppppooo R Raaauuu A A Annnnnnooo 222000000777///222000000888 A A M B Annnnnnaaa M Maaarrriiiaaa B Boooiii 222000222777999 M M R S Maaarrriiiaaa R Raaaffffffaaaeeelllaaa S Seeerrrrrraaa 222000333222888 Si consideri che è consentito al contribuente ritrattare ed emendare la dichiarazione affetta a errori di fatto e di diritto, se da questa derivi un’imposta superiore a quella dovuta. In tale prospettiva il principio di collaborazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente appare insito nell’ordinamento e l’imposizione deve gravare sulla reale ed effettiva capacità contributiva. E’ evidente che le leggi che riconoscono la ritrattabilità della dichiarazione da parte del contribuente, il principio dell’autotutela e la collaborazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente, così come l’interpretazione secondo buona fede, sono motivati esclusivamente dall’intento di garantire l’applicazione della legge alle effettive manifestazioni da questa previste di capacità contributiva di cui all’art. 53, primo comma, della Costituzione. Su tali basi la norma costituzionale costruisce per il legislatore il vincolo della solidarietà. Pertanto, attraverso la valutazione degli effetti economici e sociali la Corte costituzionale è in grado di sindacare la legittimità di una legge tributaria. La giurisprudenza recente è diretta ad evidenziare un processo di evoluzione della legislazione tributaria e del metodo di interpretazione di essa in maggiore aderenza ai principi costituzionali. Contrariamente a quanto sostengono alcuni Autori, non è perciò individuabile in tale giurisprudenza la rilevazione di un processo storico-normativo di “privatizzazione” delle categorie tributarie. Infatti, la giurisprudenza non procede gradualmente sulla via dell’equiparazione dell’obbligazione tributaria a quella civilistica, nel quadro della perdita di connotazione pubblicistica dell’attività finanziaria nel suo insieme. Non è un momento di profonda trasformazione del diritto tributario, in linea con altri importanti istituti introdotti negli anni più recenti. Gli istituti di diritto civile, infatti, sono stati sempre considerati strumenti tecnici e generali di garanzia intersoggettiva anche nell’ambito del diritto pubblico. I primi Maestri del diritto tributario hanno considerato che, all’interno del rapporto giuridico tributario di natura pubblica, si colloca fondamentalmente l’obbligazione tributaria, la quale è di ascendenza privatistica. Il diritto tributario, avendo mutuato dal diritto privato l’obbligazione ex lege, ha realizzato in termini di agilità, cioè di efficienza dell’azione amministrativa, di sistema processuale e di garanzie per il contribuente, un’utilissima e rapida conquista del risultato di una lenta e lunga evoluzione di un istituto ben collaudato. Pertanto gli schemi privatistici sono stati recepiti dal diritto tributario sin da quando è sorto. Tuttavia non si individua una crescita quantitativa di tale processo di “privatizzazione”. Ne è mutato sovente nel tempo soltanto il criterio, affinché l’istituto privatistico fosse reso più idoneo rispetto ai principi costituzionali in materia tributaria. C C Cooorrrsssooo dddiii dddiirirriiittttttooo tttrrriiibbbuuutttaaarrriiiooo P P F R Prrrooofff...F Fiiilliliippppppooo R Raaauuu A A Annnnnnooo 222000000777///222000000888 A A M B Annnnnnaaa M Maaarrriiiaaa B Boooiii 222000222777999 M M R S Maaarrriiiaaa R Raaaffffffaaaeeelllaaa S Seeerrrrrraaa 222000333222888 Risulta interessante l’analisi dell’azione adeguatrice svolta, con riferimento all’esercizio della potestà impositiva, dal diritto tributario nei confronti di istituti, quali la prescrizione e la decadenza connessi all’obbligazione. Nel diritto privato sono considerate tassative e fondamentali le ipotesi legali di decadenza ed è ritenuta vietata la loro interpretazione analogico-estensiva. Fuori da tali ipotesi si considera operante la prescrizione, la quale svolge pertanto un ampio ruolo residuale. E’ errato invocare il ricorso all’interpretazione letterale, che è soltanto una fase dell’interpretazione, ed il divieto del procedimento analogico-estensivo, che non esiste perché l’applicazione analogica è diversa dall’interpretazione estensiva, la quale non può essere vietata, in quanto è uno dei possibili risultati dell’interpretazione. Precedentemente alla riforma, che si fonda sulla legge n. 825 del 9.10.1971, anche nel diritto tributario era la prescrizione che sostanzialmente prevaleva sulla decadenza. Per effetto di tale riforma, nel diritto tributario il rapporto si è rovesciato. Pertanto la decadenza assume un ruolo prevalente, mentre la prescrizione è considerata in termini eccezionali e la sua disciplina è conseguentemente sottoposta al divieto di applicazione analogica. In tal modo l’equilibrio tra prescrizione e decadenza nel diritto tributario si configura in termini opposti a quelli in cui si coglie nel diritto privato. Il diritto tributario ha perciò realizzato un processo non di recezione integrale dal diritto privato della prescrizione e decadenza, bensì di qualificazione, attraverso il quale ha adeguato nel tempo ai propri principi il rapporto tra i due istituti recepiti. L’azione qualificante del diritto tributario, allorché le condizioni specifiche lo richiedano, suggella la carenza di piena subordinazione di esso al diritto privato, pur garantendosi l’unità sostanziale del medesimo istituto che inerisca alle diverse branche giuridiche. Non è attendibile con riferimento al diritto tributario il criterio teleologico - sostanziale, in base al quale la prescrizione tutelerebbe la stabilità e l’interesse generale, mentre la decadenza garantirebbe la speditezza e l’interesse del contribuente. Difatti la decadenza tutela anche l’interesse pubblico, consentendo entro termini molto brevi l’esercizio del diritto di difesa del contribuente. Il criterio teleologico - formale, secondo il quale la prescrizione estinguerebbe i diritti soggettivi, mentre la decadenza ne impedirebbe l’acquisizione, condiziona l’individuazione dell’una o dell’altra figura all’adesione rispettivamente alla teoria della natura dichiarativa o alla tesi della natura costitutiva dell’accertamento. Pertanto, per effetto del mancato esercizio del potere impositivo, si prescriverebbe il diritto di credito di imposta già sorto in conseguenza alla realizzazione del presupposto, se si ritenesse dichiarativo l’accertamento, o si decadrebbe dal diritto di credito non ancora nato, se si aderisse alla tesi della natura costitutiva dell’accertamento. C C Cooorrrsssooo dddiii dddiirirriiittttttooo tttrrriiibbbuuutttaaarrriiiooo P P F R Prrrooofff...F Fiiilliliippppppooo R Raaauuu A A Annnnnnooo 222000000777///222000000888 A A M B Annnnnnaaa M Maaarrriiiaaa B Boooiii 222000222777999 M M R S Maaarrriiiaaa R Raaaffffffaaaeeelllaaa S Seeerrrrrraaa 222000333222888 Neanche il criterio della diversità delle situazioni soggettive, per cui la prescrizione estinguerebbe i diritti soggettivi, mentre la decadenza sopprimerebbe i poteri processuali, trova piena rispondenza rispetto all’ordinamento tributario. Infatti la decadenza estingue i poteri processuali, ma prima ancora anche i poteri procedimentali ed anche il diritto di credito di imposta. Solide sono le fondamenta costituzionali di tale trasformazione dei criteri di qualificazione. E’ rigorosa l’indagine di Klaus Tipke e Joachim Lang, secondo i quali la prescrizione ed il termine perentorio si differenziano dalla decadenza sulla base delle circostanze specifiche: il decorso del tempo non conduce ancora di per sé alla decadenza, la quale non è una prescrizione ridotta. L’essenza del concetto di decadenza, secondo i due Autori tedeschi, è l’idea della difesa della fiducia. Hartmut Krüger e Martin Pagenkopf osservano invece che la decadenza cui si riferisce l’art. 18 della Costituzione (Tedesca - Grundgesetz) è ben diversa dall’istituto indicato con il medesimo termine dal diritto civile e dal diritto amministrativo quale espressione del principio di fiducia, che si pone alla base dell’intero ordinamento giuridico ed è violato dal decorso del tempo molto ampio. L’art. 24 della nostra Costituzione, sulla base della stessa logica, non consente che sia assoggettato all’azione esecutiva dell’Amministrazione finanziaria il contribuente per un tempo indeterminato. Ai sensi di tale norma costituzionale, nella cui interpretazione è preponderante il momento sistematico, il procedimento tributario deve essere soggetto a termini non eccessivi ed irragionevoli in modo da risultare più ristretti di quelli previsti dalle norme del codice civile. Il diritto di difesa del contribuente è leso, se deve essere esercitato in ordine a questioni risalenti nel tempo oltre ogni ragionevole limite dell’onere di conservazione di documenti. Pertanto il termine deve essere di decadenza nel rispetto del principio costituzionale di certezza del diritto, dell’affidamento e della ragionevolezza, in funzione dell’esercizio del diritto di difesa del contribuente. E’ pur vero che l’interpretazione della legge deve ispirarsi ai principi costituzionali di razionalità, eguaglianza e buon andamento della Pubblica amministrazione ed in considerazione degli interessi erariali e del contribuente; lo Stato si pone infatti in parità con il cittadino tutelandone i diritti nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Ma è altrettanto vero che l’esigenza, pur costituzionalmente rilevante, di rinvenire un termine di decadenza non può essere soddisfatta interpretando oltre i limiti dell’analogia la norma che prevede un termine relativamente ad altre attività. Si giungerebbe a colmare le lacune non giuridiche, creando diritto. Lo Statuto del contribuente, approvato con legge del 27.7.2000 n. 212, all’art. 3, comma terzo, stabilisce che i termini di prescrizione e decadenza per gli accertamenti non possono essere prorogati. La norma intende garantire il contribuente, evitando l’incertezza che C C Cooorrrsssooo dddiii dddiirirriiittttttooo tttrrriiibbbuuutttaaarrriiiooo P P F R Prrrooofff...F Fiiilliliippppppooo R Raaauuu A A Annnnnnooo 222000000777///222000000888 A A M B Annnnnnaaa M Maaarrriiiaaa B Boooiii 222000222777999 M M R S Maaarrriiiaaa R Raaaffffffaaaeeelllaaa S Seeerrrrrraaa 222000333222888 deriverebbe dalla possibile sopravvenienza di leggi le quali proroghino i termini durante il loro decorso. Lo Statuto si colloca in una posizione di preminenza rispetto ad altre fonti del medesimo livello sul piano gerarchico per la propria capacità di esprimere i principi costituzionali fondamentali. Lo Statuto, in quanto estrinsecazione di tali principi, è “rinforzato” non dal proprio art. 1, ma dalla Costituzione. La trasformazione dei criteri di recezione da parte del diritto tributario del binomio prescrizione-decadenza, con lo spostamento sulla seconda del ruolo fondamentale, risponde, quindi, a fondamentali principi costituzionali.