La Pedagogia sociale in
Italia
identità, problemi,
metodi e prospettive
Dott. Elvira Lozupone Università di Roma, Tor Vergata
Università di Granada, Maggio 2009
Dottorato Internazionale in Scienze dell’educazione
Una introduzione indispensabile


La pedagogia sociale si è costituita come riflessione filosofica, a
partire dall’opera di Natorp[1] nel XIX secolo.
Natorp sostiene che “l’educazione dell’individuo, in ogni sua
direzione sostanziale è socialmente condizionata né più né meno
come d’altra parte, una formazione umana della vita sociale è
fondamentalmente condizionata da un’educazione degli individui
che ad essa devono prendere parte e che ad essa devono
conformarsi”.
[1] P. Natorp, La pedagogia sociale, trad. it. Sauna, Bari, 1977.

L’idea di una scienza dell’educazione «unica e
onnicomprensiva» profondamente radicata in
una pedagogia di orientamento positivista è stato
a lungo «vagheggiata» e «seriamente perseguita»,
persistendo tenacemente come «ideale limite»
nel dibattito pedagogico ottocentesco e
novecentesco (Natorp, Durkheim)
Verso la fine del XX° secolo




“Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta assistiamo ad un
processo di complessificazione, articolazione e differenziazione del sapere
pedagogico” e, dalla pedagogia come scienza dell’educazione, al singolare, si
passa alle scienze dell’educazione, al plurale.
In Italia il teorico di questo passaggio alle scienze dell’educazione è
Visalberghi il quale non solo applica alla sua enciclopedia pedagogica il nuovo
concetto di scienza consistente sostanzialmente in assunzione di un metodo
per dare conto di concetti organizzati in strutture logiche.
La Pedagogia Generale non si perde nello schema di Visalberghi, ma ne
rimane l’imprescindibile premessa filosofica, come un indispensabile di
cappello teorico.
A. Visalberghi (a cura di) Pedagogia e scienze dell’educazione, Mondadori, Milano 1978
Difficile ancora oggi stabilire uno statuto
epistemologico preciso per la pedagogia sociale…

La pedagogia oggi va assumendo il carattere della complessità
che caratterizza la nostra società e, se prima era legata allo studio
del bambino e alla preparazione del maestro,come pure alle
grandi riforme legate al sistema scolastico, oggi è spinta ad aprirsi
alle diverse età della vita, non solo all’infanzia o all’adolescenza
ma anche all’adultità e alla vecchiaia, e ai diversi ambienti di vita,
scolastici ed extrascolastici, formali e non formali, sempre alla
ricerca di nuovi contenuti educativi quali quello dell’educazione
per tutta la vita, l’educazione alla convivenza democratica,
l’educazione interculturale, l’educazione alla pace… Tutto il
campo dell’educazione si è dilatato, comprendendo una
molteplicità di soggetti e di contesti. Per questa ragione, in fase di
studio e di ricerca, si privilegia un approccio multidisciplinare alle
problematiche educative, sempre più definibile dalla categoria
della complessità.
La pedagogia sociale , oggi

In questa nostra stagione definita, sia pure con varie accezioni e sfumature,
dalla complessità e dalla globalizzazione le grandi masse finanziarie di
investimento condizionano la vita di intere popolazioni, la loro identità
culturale, lo stile di vita, spesso la sopravvivenza.

Gli aspetti formativi di questa eterogenea e dinamica realtà sociale diventano
di importanza essenziale sia nella lettura dei fenomeni sia nella proposta e
nella protesta di un sapere pedagogico che si fa intervento sociale. Le sue aree
di intervento – dalla scuola come istituzione sociale, alle varie agenzie
formative, all’associazionismo al volontariato ecc.. – riguardano tutte le
questioni già affrontate dalla pedagogia generale ma colte entro linee
prospettiche sociali, mentre nelle istanze sociali si cerca di cogliere il
fenomeno educativo.
Izzo


“la pedagogia Sociale si distingue dalla pedagogia generale in quanto, pur
condividendone l’intero apparato teorico, rileva e approfondisce quelle tematiche che si
riferiscono all’impegno educativo in seno alla realtà sociale. L’unità e la specificità
epistemologiche della pedagogia sociale nascono dal rapporto dell’educazione con i
condizionamenti e i bisogni macro e microsociali.
Studiare, ad esempio, i condizionamenti (positivi o negativi) in ordine al successo della
crescita umana, nella conquista della libertà, ecc. derivanti dall’estrazione sociale dei
soggetti, dalla loro cultura di origine (in rapporto al monoculturalismo, al
monolinguismo ufficiali), dai metodi didattici più o meno improntati alla pratica del
dominio (vedi Freire) e dalla passivizzazione-omologazione dei mass-media, ecc,
significa aprire la strada ad una concezione e ad una prassi della vita educativa più
conformi ai bisogni del mondo in cui viviamo. L’esperto di pedagogia sociale (…)
prende consapevolezza dei dati di una determinata situazione, del comportamento
delle persone singole e dei dinamismi interni ai gruppi sociali con l’impegno di
realizzare le migliori condizioni possibili per i processi formativi”.
D. Izzo individua quattro indirizzi di ricerca propri della pedagogia sociale, quali: la
riflessione sull’educazione in genere, quella sull’educazione nella società, attraverso e
per la società, quella sui casi di necessità, nel senso sia del soccorso che della
prevenzione, quella, infine, come aiuto per formare l’uomo alla socialità, al senso di
appartenenza, alla responsabilità civile, al servizio verso gli altri.
Cfr. D. IZZO, Manuale di pedagogia sociale, Bologna, Clueb,1997.
Sarracino
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
“La pedagogia Sociale, quindi, mentre si preoccupa di fornire indicazioni
etiche, sociali, politiche, economiche, culturali che valgano a delineare il
profilo dell’homo novus per le future generazioni, di un cittadino che
partecipi attivamente alla realizzazione del bene comune, non si astiene
dall’indicare di volta in volta, alle istituzioni scolastiche e formative deputate
allo scopo e agli operatori che in esse operano, da un lato, e alle comunità
locali nel loro complesso, dall’altro, quali debbano essere i temi prioritari da
affrontare e quali le ricerche da condurre per garantire una migliore qualità
della vita (…) L’obiettivo di fondo, in questo caso è quello di favorire lo
sviluppo di un lifelong learning che possa realizzarsi all’interno di una learning
community, di una comunità che educhi se stessa in una perenne ricerca di
sopravvivenza, di stabilità di trasformazione, di sviluppo civile, di felicità”
V. Sarracino, Identità e problemi della pedagogia sociale, in M. L. Iavarone, V.
Sarracino, M. Striano, Questioni di pedagogia sociale, Milano, Angeli, 2001, p. 17 .
Santelli Beccegato

Altri contributi come quello della Santelli Beccegato
sottolineano una compenetrazione della visione
pedagogico sociale nel più ampio discorso pedagogico
generale. Il ricercatore, negli ambiti pedagogici, non può
prescindere da uno sguardo attento alle dinamiche
sociali che connotano la società in cui vive e per la quale
egli si impegna a contribuire mediante apporti
migliorativi.
L. Santelli Beccegato, Pedagogia sociale e ricerca interdisciplinare, La Scuola,
Brescia,1979
Gramigna

Gramigna sottolinea la funzione emancipativa della
pedagogia sociale rispetto alle ideologie di ogni tipo,
soprattutto quelle inconsapevoli e implicite: “Si profila
così un processo di chiarificazione del reale e di
coscientizzazione delle genti secondo una tensione che
dovrebbe essere caratterizzante ogni scienza prassica,
una tensione militante, sperimentale e sostanziata da
una trama teoretica profondamente intrisa di senso
morale”
A. Gramigna, Manuale di Pedagogia sociale, Armando, Roma, 2003,
p. 30.
L. Pati, quali possono essere gli ambiti della riflessione
pedagogico-sociale?



Orientamenti pedagogico-educativi atti a formare l’uomo come cittadino, coniuge,
genitore, lavoratore, ecc. (educazione degli adulti, scuole per genitori, progetti con
particolari finalità educative da attuare all’interno delle scuole di ogni ordine e grado).
Un secondo argomento è quello che studia i modi per favorire il miglior adeguamento
delle istituzioni alle esigenze di umanizzazione dei soggetti che ne fanno parte. Le varie
istituzioni (famiglia, scuola, extra-scuola, governo, enti locali, servizi sociali, luoghi di
lavoro, associazioni, volontariato) vengono studiate in relazione a ciò che le stesse
potrebbero fare per favorire i processi di formazione delle persone in esse presenti
(come ad esempio i consultori familiari, i centri di mediazione familiare, i centri per le
famiglie).
Un terzo campo può essere quello che si occupa delle variabili che favoriscono nella
società uno stile di funzionamento sempre più a misura d’uomo. La politica,
l’economia, la giurisprudenza sono analizzate secondo la loro valenza e i loro effetti
educativo-formativi sulle persone, promuovendo anche momenti di confronto con gli
esponenti dei vari organi per attuare piani di azione efficaci ed efficienti
Cfr. L. PATI, Dalla “pedagogia generale” alla “pedagogia sociale della famiglia”, in L. PATI (a cura di),
Ricerca pedagogica ed educazione familiare. Studi in onore di Norberto Galli, Milano, Vita e Pensiero, 2003,
pp. 219-253 e, sempre dello stesso Autore, La politica familiare nella prospettiva dell’educazione, Brescia,
La Scuola, 1995, pp. 11-12.
Alessandrini: la ricerca dei nessi tra la educabilità dell’individuo e le
caratteristiche del sociale in un determinato momento storico.
Alcune domande fondamentali necessarie a delineare l’oggetto della pedagogia sociale:
 Quali siano le influenze che i gruppi primari e secondari come la famiglia e il gruppo
dei pari hanno sull’individuo;
 quale il ruolo di internet e delle nuove tecnologie nei rapporti tra le persone;

come avvengono i processi di condizionamento delle masse e in che misura tali
processi agiscono sulla persona e quindi: quale il ruolo dell’educazione in questa
particolare contingenza?
 Quale il ruolo tra educazione e condizioni di continuo mutamento nella società, tra
valori religiosi e politici e comportamenti nei confronti dei gruppi e delle minoranze,
 quali gli effetti delle dimensioni dell’economia e della finanza sul cambiamento dei
rapporti di produzione e degli stili di vita.

In che modo questi fenomeni complessi incidono sulle prassi educative relativamente
ai giovani e agli adulti nella società in cui viviamo?
 Quale il ruolo dell’educabilità dell’individuo e a quali trasformazioni all’interno di essa
si va incontro in seguito alle spinte presenti in una società multietnica e multi razziale?
G. Alessandrini, Pedagogia sociale, Carocci, Roma 2003, pp. 17-18.

Per riassumere…
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I contributi riportati si distinguono proprio per le sfumature che vengono dal
privilegiare un aspetto o l’altro secondo i connotati specificamente ideologici
(Alessandrini, Pati, Santelli Beccegato incarnano una visione cattolica e personalistica;
Gramigna , Izzo e Sarracino ne incarnano la connotazione laica) che
contraddistinguono i diversi autori:
Izzo sottolinea i condizionamenti più o meno espliciti che la società esercita
sull’individuo e auspica l’intervento pedagogico sociale in senso svincolante,
emancipatorio da pratiche di dominio più o meno esplicite messe in atto dai media e
dalla società nel suo insieme.
Alessandrini identifica il proprium della pedagogia sociale nell’educare “Mediante e per
la società” cioè attraverso quello che si offre ai nostri occhi mediante una analisi dei
processi macro e micro sociali “in funzione” di un soddisfacente inserimento nella
società.
Alessandrini e Gramigna ne sottolineano poi due aspetti diversi e complementari: che
la pedagogia sociale si ponga l’obiettivo di una presa di coscienza soprattutto rispetto
ai vincoli di carattere implicito imposti dalle caratteristiche sociali attuali, ma con un
atteggiamento di pluralismo cioè di apertura all’altro e di dialogo pragmatico, orientato
all’azione e al concreto.
Una definizione dai punti di convergenza
Mi sembra che l’impulso ad agire sul reale a fini migliorativi con un profondo
senso etico, sia ciò che unisce autori di estrazione ideologica differente.
Interessante notare come ciascun esaminatore della realtà pedagogico sociale,
nell’intento di definirla sia portato poi, secondo la terminologia usata e
l’accento su un aspetto o su di un altro, sia portato ad autodefinirsi portando
così al proprio oggetto di studio un doppio contributo di auto ed
eterodefinizione.
 Tentando una sintesi derivante dai contributi proposti secondo l’ottica della
complessità possiamo provare definire la pedagogia sociale come
Una disciplina che nell’affrontare tutti i temi di cui si occupa chi lavora in ambito educativo
tende ad enfatizzarne la contestualizzazione sociale e i rapporti all’interno della società per
effettuare interventi migliorativi che mirino ad un inserimento responsabile dell’individuo
all’interno di essa.
Tali interventi devono proporsi la finalità del benessere di tutti gli individui, della loro
libertà vista come partecipazione attiva ad un sistema democratico contribuendo al
mantenimento di esso in una prospettiva aperta al futuro attraverso modalità di
apprendimento professionale ed esperienziale per tutta la durata della vita.

Quali ambiti di intervento
“Gli ambiti di ricerca e di intervento della pedagogia sociale non sono elencabili una volta
per tutte. Permanente è soltanto il criterio col quale è possibile riconoscere tali ambiti:
E’ un vero e proprio agire pedagogico che non si limita alla teorizzazione, alla riflessione o
ai buoni propositi: è un’educazione in funzione sociale con ricerche ed interventi
indirizzati a questo scopo. Il pedagogista sociale pertanto può interessarsi dei gruppi
nella loro formazione ed evoluzione, delle istituzioni nella loro struttura e nelle varie
forme della loro partecipazione, del lavoro nelle sue molteplici occasioni di
formazione, della educazione popolare come innalzamento medio culturale e come
coscientizzazione. (…)
Il ruolo della pedagogia sociale è visto in prospettiva sia nelle istituzioni intenzionalmente
educative sia in quelle alternative alla istruzione ufficiale. (…)
 La pedagogia sociale ha avuto uno sviluppo parallelo ad altre teorie sociali
dall’economia al diritto, alla sociologia, alla scienza politica, alla medicina sociale, ecc..
La sua ricerca si estende da problemi specifici della famiglia, della gente e delle comunità
alla pedagogia del lavoro, all’educazione degli adulti, alle teorie dell’organizzazione, ecc.
 La pedagogia sociale, si occupa, in altri termini, di contenuti e dei metodi della
formazione dei soggetti con particolare attenzione ai contesti sociali nei quali essa si
compie attraverso le varie fasi di esistenza del soggetto
I luoghi della formazione
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Per quanto riguarda i diversi luoghi della formazione è possibile distinguere l’ambito
dell’educazione formale e quello dell’educazione non formale.
Per quanto riguarda i tempi ci si riferisce all’età evolutiva e all’età adulta nella quale è compresa
anche la terza età.
Il campo dell’educazione formale comprende un sistema di istruzione formalizzata che, si
identifica in gran parte nel sistema scolastico nazionale, si caratterizza per la sua forte
intenzionalità, deputato alla formazione dei giovani attraverso curricoli e programmi istituzionali,
e finalizzato al rilascio di attestati e titoli riconosciuti.
Sempre nel campo formale, oltre all’età evolutiva, si può fare riferimento ad una formazione,
ugualmente intenzionale, che si rivolge però agli adulti, finalizzata a problemi di alfabetizzazione
(legge delle 150 ore) ma soprattutto a carattere professionale (formazione aziendale, tecnica,
manageriale, ma anche formazione degli insegnanti e formazione dei formatori) definita
generalmente, formazione continua.
Il campo dell’azione non formale, riferita all’età evolutiva, comprende tutte quelle opportunità
educativo/formative legate al territorio considerato come extrascuola; a livello di età adulta vanno
invece considerati tutti quegli interventi che possono realizzarsi all’interno di ambiti specifici (…)
o che sono destinati a particolari categorie (tossicodipendenti, anziani, extracomunitari,
disoccupati, ecc..).
Il quadro dell’azione informale fa riferimento, invece, a tutti quegli apprendimenti naturali,
spontanei, informali, di tipo ecologico, che producono saperi, parte di un curricolo implicito a
forte caratterizzazione esperienziale
(M. L. Iavarone, La formazione come processo e come organizzazione: approcci metodologici in pedagogia sociale, in M. L. Iavarone,
V. Sarracino, M. Striano, (a cura di), Questioni di pedagogia sociale, cit., p. 32/33)”.
Metodi



La ricerca-azione si ricollega al modello anglosassone dell’Action-learning che
punta a realizzare un rapporto circolare tra apprendimento e azione attraverso
un potenziamento, dell’apprendimento dall’esperienza e una modalità di
promozione del cambiamento basato sulla nozione dell’imparare facendo.
Sull’impiego della ricerca-azione, si traduce in processi fortemente orientati al
cambiamento di comportamenti ed atteggiamenti di soggetti coinvolti.
In questo modello il cambiamento, oltre ad avere una dimensione conoscitiva,
assume una forte valenza tasformativa che sottolinea l’importanza di
coniugare il progetto scientifico a quello sociale attraverso il riconoscimento
dei bisogni individuali all’interno di quelli del gruppo” .
(M. L. Iavarone, La formazione come processo e come organizzazione: approcci metodologici
in pedagogia sociale, in M. L. Iavarone, V. Sarracino, M. Striano, (a cura di),
Questioni di pedagogia sociale , p.35/36). pp.. 34/35).
La ricerca - azione

(…) La ricerca-azione si pone, quindi, in maniera alternativa rispetto alla ricerca
sperimentale classica. Quest’ultima si basa, infatti, su un paradigma di tipo positivista,
si sviluppa secondo un disegno lineare, adotta metodi quantitativi per la verifica delle
ipotesi in quanto nomotetica, cioè tesa a pervenire a leggi generali. Mentre la ricercaazione, che si basa su un paradigma di carattere fenomenologico, cerca di studiare
anche gli aspetti non-cognitivi della personalità umana, difficilmente indagabili con
strumenti quantitativi. ( L. Iavarone, La formazione come processo e come organizzazione,cit.,
p.35/36).
In sostanza essa è sorta e si è affermata a causa di due ordini di problemi:
a) la ricerca sperimentale richiede di poter essere conclusa prima di trovar applicazione,
Questo significa che è sempre in ritardo rispetto alle necessità della pratica educativa, e che
i risultati devono essere adattati ad una realtà che non vi coincide;
b) l’unicità della persona rende ogni risultato di ricerca solo parzialmente trasferibile e
utilizzabile. Data l’impossibilità di far coincidere lo svolgimento della ricerca con
l’azione, si è adottata la soluzione di tentare la trasformazione della realtà nel momento
stesso in cui la si indaga, con l’evidente rischio, sul piano epistemologico, di privilegiare
il risultato operativo rispetto alla fondatezza dell’ipotesi teorica. La generalizzazione dei
risultati è, tuttavia, per la ricerca-azione, meno importante della documentazione
dell’esperienza.
L’apprendimento organizzativo
Un altro approccio metodologico che fa leva sulla partecipazione attiva sia in
ambito di ricerca che di formazione è quello relativo all’apprendimento
organizzativo:
 “ In una prospettiva di pedagogia sociale tale approccio appare
particolarmente funzionale alla definizione non solo e non tanto di metodi di
indagine sui processi e sui contesti di formazione, ma anche al disegno ed
all’attivazione di itinerari formativi in cui l’apprendimento e il cambiamento
avvengano attraverso pratiche condivise e finalizzate.
 L’apprendimento organizzativo, infatti, è una modalità che favorisce
l’acquisizione del nuovo, non per il tramite di interventi esterni ma attraverso
processi che si realizzano all’interno di setting formativi. Secondo tale
approccio è possibile superare modelli organizzativi a livello sia professionale
che sociale di tipo burocratico, autoritario, in cui il nuovo discende dall’alto e
quindi non passa per l’interiorizzazione del gruppo, al fine di pervenire ad una
situazione in cui ciascun soggetto è democraticamente coinvolto nel processo
di apprendimento-azione-cambiamento.
(M. L.Iavarone, La formazione come processo e come organizzazione,cit., p. 39).

Apprendimento collaborativo


L’utilizzo dei linguaggi multimediali , non comporta, un significativo aumento
del grado di interazione con i docenti dei corsi e meno che mai degli studenti
tra di loro, che rimangono l’uno isolato dall’altro, tranne che nei rari incontri
faccia faccia, esattamente come nei corsi di prima generazione.
Il vero salto qualitativo si ha invece con i sistemi di formazione in rete o di
terza generazione. La on-line education e l’utilizzo del computer conferencing
system danno allo studente la possibilità di superare la condizione di
isolamento e di inserirsi in un contesto collettivo, dove il dialogo studentestudente permette a ciascuno di usufruire dell’intelligenza collettiva che
scaturisce dal gruppo. L’apprendimento on-line può, quindi, essere
soprattutto collaborativo e cooperativo
( E. Corbi, La formazione a distanza e nuove tecnologie nella formazione continua, in M. L.
Iavarone, V. Sarracino, M. Striano, (a cura di), Questioni dipedagogia sociale, cit.,
pp. 150/151
Approccio autobiografico

Nei luoghi dell’educazione, dalla scuola alla
famiglia, dai servizi per l’infanzia o l’adolescenza
in difficoltà il metodo autobiografico si rivela
sempre più un approccio pedagogico.
Raccontare la propria storia di vita sviluppa
consapevolezza, processi cognitivi inusuali (il
pensiero narrativo)il desiderio di narrazione e il
piacere della scrittura soltanto per sè



Non c’è ambito di formazione che disconosca l’utilità e
l’importanza delle pratiche narrative, per almeno tre
ordini di motivi
Per ammissione da parte delle scienze fondate su
metodi quantitativi che anche l’individuale, il soggettivo,
deve trovare posto e riconoscimento
L’individuo raccontandosi ci dice molto più di quello
che espone verbalmente: che cosa descrive e come lo
descrive. Un’ autopresentazione scritta od orale anche
se breve può indicare attraverso l’analisi delle parole e il
loro distribuirsi e ordinarsi nel testo, filosofie di vita
sfondi ideali e concezioni del mondo
Il pensiero narrativo


La mente è predisposta per istinto a tradurre
l’esperienza in termini narrativi . Si tratta di una
strategia conoscitiva che costruisce storie come modelli
interpretativi della realtà.
La struttura narrativa del pensiero non è solo
funzionale alla comprensione della realtà: essa
interviene anche nella costruzione del concetto di sé e
dell’identità. Dopo il secondo anno di vita il bambino
costruisce monologhi così riesce a mantenere e
rinforzare progressivamente la sua struttura mentale
L’educatore auto - biografo



L’educatore diviene uno “scrivano intelligente”. Da una prima
fase nella quale si invitano i narratori a raccontare ciò che
desiderano si passa all’approfondimento che avviene attraverso
“buone domande” volte alla progressiva chiarificazione e
all’approfondimento di un episodio.
L’educatore non si limita ad interagire assistenzialmente con la
sofferenza il danno emotivo o cognitivo. Negli ambiti nei quali
questa tecnica si attua (storie di senza fissa dimora, di
tossicodipendenti, di persone da orientare e da ri-orientare) il suo
compito è di turbare il passato, il presente e il futuro delle persone
inserendole in una progettualità e attivare forme d’aiuto e autoaiuto che risvegliano autonomia, indipendenza, senso di
potercela fare
D. Demetrio (a cura di) L’eucatore auto(bio)grafo. Il metodo delle storie di vita nelle relazioni di
aiuto, Unicopli, Milano 1999
Il setting pedagogico
Il setting pedagogico è una struttura organizzata degli spazi, dei tempi, delle regole, e relazioni
intercorrenti tra chi fornisce e chi utilizza una funzione socialmente utile.
Nel nostro caso il setting è l’organizzazione di spazio , tempo regole per realizzare un progetto
educativo

Esiste anche un’altra forma di setting, quello interno all’educatore: cosa porta con sé un educatore
quando va a fare un intervento tra i senza fissa dimora, nelle stazioni, e nelle discoteche?
Porta sé stesso con il suo setting interno e questo da che cosa è dato?

Dalle sue competenze in campo educativo ( di verifica dei bisogni, stesura dei progetti e
valutazione degli interventi) e dalle sue competenze relazionali

Da flessibilità e convivialità

Da un organico e coerente sistema di valori

Dalla capacità di investire affettivamente nella relazione e dalla gestione del transfert e delle
ripercussioni al proprio interno delle proiezioni degli attori della relazione (controtransfert)

Capacità di condividere una progettualità

Orientamento al futuro

Speranza (credere nelle capacità di crescita e miglioramento dell’individuo)

Attendibilità

Giusto distanziamento emotivo

Educatore o Psicologo?
La relazione di aiuto:
• Processo complesso
• Relazione di scambio
• Rapporto asimmetrico
• Relazione integrativa e integrante
 La relazione di aiuto si prefigge di migliorare le abilità
decisionali del soggetto, fornendogli gli strumenti
concettuali per compiere scelte di valore e per
individuare criteri secondo i quali orientare la propria
vita

D. Simeone. La consulenza educativa, dimensione pedagogica
della relazione di aiuto Milano, Vita e Pensiero, 2002
La consulenza educativa si differenzia da altre forme di
aiuto
 • DARE CONSIGLI
 • DARE INFORMAZIONI
 • AZIONE DIRETTA
 • INSEGNAMENTO
 Empowerment
Processo di ampliamento delle potenzialità del soggetto, in
modo da aumentare le abilità personali e le possibilità di
controllare attivamente la propria vita

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

• La grande moralità del mio stare tra i volti – scrive
I.Mancini - può essere espressa da questo semplice
atteggiamento dell’eccomi, ecco me, un accusativo che
toglie all’io e lo fa disponibile senza pretesa di
reciprocità.
• Accogliere l’altro significa creare uno spazio “libero”
per l’altro, dove il cambiamento sia possibile.
Nell’incontro con l’altro il soggetto mentre perfeziona
sé stesso, arricchisce anche l’altro.
S’instaura un rapporto che conduce le persone
coinvolte ad una migliore conoscenza reciproca.
curare e prendersi cura
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• Curing (prospettiva
sanitaria)
• Processo terapeutico
• Obiettivi curativi (trattamento)
• Enfasi posta sulla diagnosi e sulla cura
• Caring (prospettiva educativa)
• Processo educativo
• Obiettivi educativi legati ai processi decisionali
• Enfasi posta sulla prevenzione e sulla promozione del
benessere
Dalla crisi al progetto

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Dalla crisi al progetto
• Crisi di sviluppo/ crisi accidentali
– rottura dei precedenti equilibri
• La crisi come opportunità
– svela ciò che è nascosto
– pone il soggetto di fronte alla necessità di
compiere delle scelte
– orienta, potenzialmente, la persona verso
nuovi traguardi
“Solo ciò che dall’esterno entra nell’intimo
dell’anima,
ciò che non viene solo conosciuto dai sensi o
dall’intelligenza,
ma tocca il cuore e l’animo,
questo solo cresce in esso ed è un vero mezzo
formativo.
E. Stein, Die Frau. Ihre Aufgabe nach Natur und Gnade,
Nauwelaerts, Lovanio 1959.

Gli operatori della notte (da L. Cerrocchi, L. Dozza: Contesti educativi per
il sociale, Erickson, Trento, 2007)

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Questo progetto di cui darò le principali linee guida e di attuazione è stato attuato nel
comune di Bologna, città che in Italia ha una lunga e valida tradizione in interventi di
tipo educativo a sfondo sociale, vedi “Reggio children”.
Dagli anni Novanta si è verificato un cambiamento nell’uso di sostanze illegali. L’uso
dell’eroina è calato mentre è aumentato l’uso di cocaina e alcool con amfetamine,
sostanze che non danneggiano nel breve periodo, e così non portano chi le assume
all’attenzione dei servizi.
I giovani usano soprattutto alcool e cannabis: la logica che guida gli interventi di
prevenzione non è più fondata sullo scoraggiare al consumo, ma paradossalmente deve
confrontarsi con il consumo.
In uno sfondo sociale nel quale le problematiche dei giovani si diluiscono e si
confondono con quelle degli adulti, i giovani consumano sostanze come opportunità di
piacere e cura dello stress, come modalità comunicativa.
Le linee guida europee mostrano che il richiamo all’astinenza rimane inascoltato, ma
l’uso diminuisce con l’aumentare dell’età e ha una durata e intensità circoscritta nel
tempo
Gli operatori della notte

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

Le nuove generazioni si confrontano con una dimensione temporale in cui il presente è
l’unica certezza. La stessa musica techno è costituita da frammenti musicali ripetuti in
modo indefinito e circolare. Chi ascolta non deve preoccuparsi di un inizio e di una
fine, di un passato e di un futuro. E’ una musica che si risolve incessantemente in un
adesso. E così con questi rituali, i giovani vincono la paura del cambiamento e
dell’incertezza.
Il consumo di sostanze avviene nei luoghi del divertimento e per quasi tutti i giovani è
relativo al piacere ludico al dover piacere, al desiderio di stare bene sempre e comunque.
Per attuare seri interventi di prevenzione è allora necessario ricorrere alla formazione e
utilizzo dei “pari” (peer) e il coinvolgimento di chi si occupa del divertimento notturno
(operatori delle discoteche, dei pub) anche perché il consumo di alcool si concentra nei
weekend)
Il binomio “droga=morte” non regge più. Promuovere una cultura della moderazione
significa aiutare i giovani ad affrontare esperienze di alterazione di sé e tentare di
innalzare l’età del primo utilizzo, puntando sul fatto che l’utilizzo nella preadolescenza
il più delle volte non produce gli effetti attesi.
Gli operatori della notte
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Si tratta quindi di creare una relazione in un setting del tutto particolare: in un luogo
affollato (pub o discoteca), concentrandosi su pochi elementi e per un tempo di
attenzione limitato.
L’intervento ha coinvolto gestori dei locali attraverso la conoscenza del lavoro degli
operatori della notte e tematiche relative a gestione delle relazioni e sicurezza,
costruzione di eventi “safe”, a situazioni di rischio e atteggiamenti aggressivi, il primo
soccorso, nuove droghe e stili di consumo
Per lo staff (baristi, PR e DJ) nozioni sugli effetti delle droghe più comuni, elementi di
primo soccorso. Questo per creare una struttura in cui il divertimento sia vissuto in
sicurezza e la gestione del locale sia socialmente e civilmente responsabile di quanto
avviene al suo interno.
Gli operatori della notte
Concretamente i gestori si sono impegnati a fornire bevande analcoliche a prezzo ridotto e acqua
gratis

Ridurre il volume della musica prima della chiusura

Favorire l’intervento degli educatori

Favorire la diffusione di materiale informativo sulle sostanze di sintesi
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Favorire le misure necessarie ad interventi di pronto soccorso
La formazione degli operatori è avvenuta attraverso l’ausilio di profondi conoscitori del mondo della
notte, delle droghe sintetiche e dei giovani.
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I ragazzi formati erano reclutati in modo volontario tra i giovani delle scuole superiori
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Questi dovevano essere formati sugli stili musicali (serata hip hop diversa da un rave goa)
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Indipendentemente dall’età dovevano conoscere gli slang in uso e relazionarsi in uno stile tra pari,
in modo confidenziale , senza giudizio
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Conoscere tutte le sostanze e non solo quelle più in uso (P.es fare uso di popper e cosa fare nel caso
di un brutto viaggio.)
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Avere un look adeguato al tipo di serata (è diverso andare in discoteca o ad un rave)
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Saper utilizzare tecniche di aggancio: trucchi, Body painting, hair painting offerta di gadget e fare
queste cose insieme ai giovani crea relazione
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Creare complicità con i gestori e gli operatori dei locali al fine di individuare situazioni
problematiche

Gli operatori della notte
Riassumendo questi sono gli obiettivi dell’intevento:
 Favorire l’accesso ai punti di informazione, arredati come il resto del locale
dove sedersi, avere informazioni sui rischi connessi all’uso di sostanze; fare il
test con l’etilometro e ricevere informazioni su pratiche di sicurezza e water
card per bere acqua gratis
 Favorire un’immagine positiva del divertimento (arte terapia)
 Discussione con operatori preparati
 Distribuzione di materiale informativo su sesso sicuro e sicurezza stradale
 Aumentare consapevolezza dei rischi di guida in stato di ebrezza (acqua,
patatine gratis)
 Incentivare la scelta di un guidatore sicuro che non ha bevuto premiandolo
con una consumazione analcolica gratuita, con l’impegno di fare il test per
alcolemia
 Incentivare l’uso del mezzo pubblico per il ritorno a casa
Pedagogia sociale e strutture sanitarie : alcune
applicazioni
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Questi progetti sono stati avviati nell’ambito dei tirocini
formativi attivati presso il corso di laurea in Scienze
dell’educazione e della formazione in una società multiculturale
dell’Università Tor Vergata di Roma e si svolgono presso una
struttura che accoglie i bambini e le famiglie dei reparti oncoematologici dell’ospedale Bambin Gesù nella quale si impegnano
i volontari dell’associazione Peter Pan onlus.
L’associazione Peter Pan da due anni si avvale della
collaborazione universitaria della docente di pedagogia sociale
(dott. Elvira Lozupone) e degli studenti che intendono laurearsi
nella disciplina, e sono volti ad approfondire il tema della
formazione permanente dei volontari.
Elaborazione di un progetto di formazione permanente per il
volontariato nella casa di Peter Pan.
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La risorsa dei volontari è veramente tale quando e se ne venga
attentamente vagliata la motivazione e la preparazione. E’
necessario inoltre identificare le aree per le quali è necessario un
approfondimento della preparazione del volontario che variano
secondo i bisogni da questo espressi, insieme con
approfondimenti a carattere tematico sulle caratteristiche e
necessità prevalenti degli ospiti della “casa”. Questo interventi
non si muovono nella direzione della formazione di base dei
volontari, ma ne vogliono accrescere la formazione conferendole
un carattere “permanente” con una doppia finalità: prevenire
l’insorgere di fenomeni di burn-out e dare all’intervento del
volontario una qualità sempre maggiore.
Monitoraggio prima fase di formazione permanente
dei volontari della casa di Peter Pan
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Questo progetto vuole valutare i bisogni formativi che emergono dai volontari della casa di Peter
Pan al fine di ottimizzarne la preparazione e il grado di soddisfazione all’interno della
associazione.
E’ un intervento che si muove su due fronti: da un lato la somministrazione di uno strumento
standardizzato (questionario) rivolto ai volontari che si trovano in una situazione di stand-by (cioè
coloro che hanno per il momento sospeso l’attività volontaria e che potrebbero allontanarsi dalla
associazione); dall’altro una valutazione dei bisogni di volontari anziani che fornisca le linee guida
per il futuro progetto di formazione permanente.
Per quest’ultimo aspetto ci si avvarrà della elaborazione di racconti autobiografici.
Lo strumento narrativo riveste una importanza nota nella raccolta delle storie di vita che
costituiscono uno strumento per la ricerca qualitativa.
Esso rappresenta inoltre una opportunità di autoconoscenza per lo scrittore o narratore
autobiografo attraverso la catarsi che avviene nel corso del racconto della propria storia, ma anche
una occasione di autoapprendimento quando la persona opportunamente guidata riesce a
riflettere e a raccontare che cosa ha imparato dalle proprie esperienze di vita.
In questo caso la narrazione della propria storia di volontari e l’analisi delle esperienze, aspettative
e bisogni potrà far emergere una griglia di bisogni di formazione che l’associazione provvederà a
soddisfare
Dimensioni interculturali nella formazione del
volontario: il caso di Peter Pan
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Questo progetto nasce dall’esigenza di fornire ai volontari in formazione la possibilità di accogliere le famiglie
che si rivolgono alle strutture dell’associazione tenendo conto delle diverse provenienze culturali.
Questo è un aspetto particolarmente importante in questa struttura all’interno della quale si è potuto registrare
il passaggio di famiglie provenienti da ben 21 nazioni diverse, tra cui ricordiamo paesi del nord-Africa, Est
europeo, America Latina
Vivere all’interno di una società multiculturale presenta infatti l’insorgere di esigenze del tutto nuove nel
rapporto tra persone di provenienza etnica diversa e anche nel rapporto che si crea tra pazienti assistiti e
personale assistenziale.
Presso alcune culture infatti alcuni gesti che sembrano scontati per noi occidentali non sono ammissibili:
l’assunzione o meno di determinati cibi, i rapporti tra uomini e donne, le metodologie di cura, la genesi stessa
della malattia hanno a volte risvolti insospettabili che possono creare turbamento e disagio da ambo le parti
cioè sia nella cultura ospite che in quella ospitante.
Tuttavia esistono alcuni aspetti che possono essere comuni nell’accoglienza del malato e della propria famiglia
che vanno valorizzati al fine di creare un’accoglienza calda e rispettosa.
In base ad una convenzione tra l’ospedale Bambin Gesù, attraverso l’Associazione Peter Pan, e i volontari che
operano all’interno delle due case, ed il Venezuela volto all’utilizzo della struttura ospedaliera per la cura dei
bambini oncologici venezuelani, è stato fatto uno studio culturale in vista della preparazione dei volontari
proprio sugli aspetti relativi alla concezione di malattia e cura, sofferenza e lutto.
Frontiere della Pedagogia sociale: l’educazione terapeutica
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Esercitare una cittadinanza attiva all’interno dei protocolli di cura vuol dire sentirsi
attivamente al centro di ogni intervento terapeutico e riabilitativo. La salvaguardia della
propria salute in un atteggiamento proattivo in relazione al proprio essere malati;
l’essere consapevoli di una possibilità di benessere che va oltre i limiti imposti dal male
che c’è, mette la persona al centro del processo di cura in una interazione virtuosa con
il personale sanitario, un soggetto non reso passivo dalla malattia e dalla
ospedalizzazione, ma collaborativo anche nel monitoraggio della cura (Kanizsa 2004).
Questi fattori insieme ad altri che verranno presi in considerazione più avanti
contribuiscono ad un clima relazionale e di lavoro migliore anche all’interno dell’equipe
ospedaliera.
Un’ottica radicalmente nuova è quella che si presenta oggi al personale sanitario.
Un’apertura a vedere la persona malata al centro di una fitta rete sociale, istituzionale e
relazionale di fronte a cui lo stesso professionista della salute deve porsi con un
atteggiamento ben diverso, lontano dalla torre d’avorio che lo vedeva unico depositario
di un sapere non condivisibile.
A questo processo contribuiscono anche le medical humanities.
Di queste arti e scienze vorrei evidenziare l’apporto di una in particolare: il contributo
dell’educazione ai processi di cura.
L’educazione terapeutica
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Questo tipo di intervento che va sotto il nome di Educazione terapeutica invece pone in
evidenza la componente pedagogica dell’intervento intendendo modificare le condotte.
Le condotte possono essere intese come una disposizione mentale di fronte a un determinato
problema. Il termine condotta, infatti, non può essere usato come sinonimo di comportamento.
Quest’ultimo fa riferimento all’insieme delle azioni e reazioni abituali ma automatiche di un
organismo all’ambiente, mentre la condotta fa riferimento a un atteggiamento interiore da cui quelle
azioni e reazioni discendono.
Nell’infanzia può essere applicata ad una gamma di patologie che vanno dai disturbi pervasivi
dello sviluppo quale l’autismo e le patologie dello spettro artistico.
Ha come fine l'insegnamento di abilità al bambino, agendo in collaborazione con le famiglie.
Si parte dal sostenere che conoscenze specifiche sulle caratteristiche del Disturbo (tecniche) e
conoscenza delle peculiarità della persona (familiari o altre persone di riferimento) vadano
considerate congiuntamente in tutte le fasi dell'intervento, in particolar modo nella scelta degli
obiettivi e delle modalità terapeutiche, e si continua col ritenere fondamentale l'armonia tra le
energie e le ottiche sull'educazione delle diverse persone implicate nel processo di sostegno alla
crescita del bambino (sinergie).
La collaborazione tra personale sanitario e famiglia risulta fondamentale per consentire la
generalizzazione e l'interiorizzazione degli apprendimenti, quindi il loro utilizzo nella vita
quotidiana.
L’educazione terapeutica
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I promotori dell’educazione terapeutica sono oggi Jean Philippe Assal
dell’università di Ginevra, Jean Francois D’Ivernais dell’università di Parigi
XIII Bobigny e Alain. Deccache dell’università di Louvain.
Questa disciplina, di frontiera, non solo per la sua recente nascita, ma perché
unisce competenze pedagogiche, relazionali e mediche, nasce con il fine
principale del controllo delle crisi di pazienti diabetici, ma risulta oggi
l’intervento di elezione per il trattamento dei disturbi dello spettro autistico e
di altri disturbi o difficoltà di sviluppo dell’età evolutiva come pure di altre
malattie croniche e autoimmuni come la LES cui si aggiunge il trattamento
dell’obesità e dell’osteoporosi severa coinvolgendo anche soggetti adulti
Adulti e bambini nella ET
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L’utilizzo di un identico approccio didattico per un adulto o per un bambino
entra inevitabilmente in conflitto con la visione che l’adulto ha di sé e produce
un risultato negativo attivandone una regressione, ( atteggiamento totalmente
passivo), oppure maturerà disinteresse verso l'apprendimento con
conseguente abbandono del percorso formativo , qualunque esso sia.
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Un adulto ha l'esigenza di conoscere lo scopo e l'utilità dell'apprendimento
per la sua vita o la sua carriera ed è motivato ad apprendere ciò che gli serve nel
momento in cui gli serve.
C'è poi un fattore che nel caso dell'apprendimento degli adulti è
assolutamente fondamentale: l'esperienza. In primo luogo, qualunque
insegnamento rivolto a un adulto non è mai ex novo, ma va a modificare
conoscenze o esperienze precedentemente acquisite. Ciò che viene insegnato
deve quindi inserirsi proficuamente in un contesto esperienziale o cognitivo
predefinito o dare vita a una “riorganizzazione dei saperi” (2002). Se ciò non
accade, il rischio è quello di un apprendimento fittizio e di breve durata.
Un esempio concreto
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Ad esempio, una paziente diabetica disse una volta di sottoporsi
spontaneamente all’esame annuale del fondo dell’occhio, perché “La diabete
mangia la vista”(Trento, Passera, Tomalino, Bajardi, 2004). Aveva appreso in
modo inconsapevole un sapere che sarebbe rimasto implicito se non si
fossero create le condizioni ottimali per farlo emergere. Le persone spesso
sanno molte più cose di quelle che credono di sapere, e il contributo della
pedagogia applicata alle terapie mediche può permettere l’emergere proprio di
questi saperi nascosti per sentimenti di vergogna e inadeguatezza del paziente
di fronte al sapere indiscutibile e paternalistico del medico.
Obiettivo della ET: gestione delle malattie croniche
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Le malattie croniche, in ragione del loro aumento di prevalenza, hanno cambiato
radicalmente il concetto di salute (Marcolongo, Rigoli, 1999), passando da una
concezione per cui la salute è assenza di malattia e sintomi, ad una concezione che
relativizza questa impostazione, a favore di una percezione di efficienza nello svolgere
le normali attività di vita e dal percepirsi “in una situazione di stabilità e di equilibrio
psicofisico” (Censis 1998).
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Nell’ambito della cronicità, la salute può essere infatti considerata come uno stato di
equilibrio, mentre la malattia corrisponde alla crisi, alla ricaduta, alla complicanza.
Questo cambiamento concettuale ha delle conseguenze dirette sul modo con cui i
curanti considerano le loro azioni verso dei pazienti cronici.
Secondo la definizione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità "..l’educazione
terapeutica consiste nell’aiutare il paziente e la sua famiglia a comprendere la malattia ed il
trattamento, a collaborare alle cure, a farsi carico del proprio stato di salute ed a conservare e
migliorare la propria qualità di vita". (1998)
Paradigma educativo ed ET
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Conoscere la propria malattia (sapere = conoscenza),
Gestire la terapia in modo competente (saper fare = autogestione),
Prevenire le complicanze evitabili (saper essere = comportamenti).
"l’educazione consiste, invece, in un programma di formazione, al termine
del quale il paziente diviene capace di esercitare autonomamente delle
competenze terapeutiche che, in un altro contesto, sarebbero di
responsabilità del curante".
Finalità della ET
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migliorare la qualità di vita dei malati e delle loro famiglie;
incrementare il controllo delle condizioni cliniche dei malati ottenendo una riduzione
delle complicanze, una maggiore adesione al trattamento terapeutico e riabilitativo e
la riduzione degli effetti indesiderati dei farmaci;
promuovere un utilizzo più razionale e pertinente dei servizi da parte dell’utenza,
migliorando la qualità del servizio, contenendo la spesa ed ottimizzando i tempi di
gestione dell’assistenza sanitaria;
sviluppare un modello di organizzazione assistenziale centrato sul paziente e
sulla cooperazione tra quanti, a vario titolo (curanti, servizi sociali, volontariato)
operano a favore del malato;
favorire relazioni umane e professionali più armoniche anche tra i curanti.