Premessa
D. è iscritto alla classe 1^ B dell’Istituto Professionale per l’Agricoltura, sede di ….
D. è stato certificato nel corso delle Elementari, a partire dalla quarta, perché lo
scarso controllo metabolico del Diabete da cui è affetto dalla seconda Elementare non
gli consentiva una frequenza adeguata; si erano inoltre assommati periodi di assenza
ormai numerosi a cominciare dall’epoca della diagnosi. La diagnosi funzionale,
emessa dal referente della Asl, indica che l’alunno è affetto da “ Diabete mellito
insulina dipendente”. Il timore per possibili scompensi e l’apprensione continua
vissuta da D. e dai suoi familiari, rendeva la sua situazione emotiva molto fragile e
difatti lo stesso era da un lato timoroso e spaventato e dall’altro insofferente alle
pesanti limitazioni che riceveva nella sua vita; i pensieri angoscianti e le difficoltà di
adattamento alla malattia cronica hanno reso altresì precario per certi periodi la
continuità nello studio.
1. LA MALATTIA
a. Il Diabete mellito
Il diabete mellito è una malattia del metabolismo caratterizzata da una ridotta attività
dell' insulina (per assenza dell'ormone o ridotta azione a livello degli organi bersaglio
quali il fegato,il muscolo ed il tessuto adiposo). Le caratteristiche cliniche distintive
di questa patologia sono secondarie all'aumento del glucosio nel sangue, definito
iperglicemia (fame,sete continua, eliminazione di grandi quantità di urine,
stanchezza) e/o i sintomi legati allo sviluppo di complicanze croniche principalmente
a
carico
del
sistema
cardiovascolare,
renale,
oculare
e
nervoso.
Il diabete mellito è una malattia comune (3-5% della popolazione) ma molti soggetti
non sanno ancora di essere afflitti da tale patologia ed in futuro l'incidenza è destinata
ad incrementare ulteriormente. E' quindi importante, soprattutto nei soggetti che
hanno in famiglia un parente diabetico, effettuare indagini di laboratorio e visite
mediche periodiche che servano a prevenire lo sviluppo della malattia o che una volta
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diagnosticata possano evitare il manifestarsi delle complicanze croniche a livello del
sistema cardiocircolatorio (infarto del miocardio ed arteriopatie), a livello dell'occhio
(turbe del distretto vascolare retinico, glaucoma, cataratta), a livello renale (perdita di
proteine con le urine sino all'insufficienza renale conclamata) o a livello del sistema
nervoso sia autonomico (perdita di urine e feci, impotenza sessuale, sudorazione
inappropriata, difficoltà digestive, disturbi della frequenza e del ritmo cardiaco).
Questo insieme di sintomi fa del diabete non una singola malattia, ma piuttosto una
sindrome complessa che si manifesta con un insieme di condizioni patologiche che
hanno in comune l'iperglicemia responsabile dello sviluppo delle complicanze
croniche. Le cause che portano allo sviluppo della malattia sono molto diverse tra
loro, mentre le manifestazioni cliniche, i sintomi, sono invece comuni a tutti i tipi di
diabete. E' stata recentemente proposta molto utile una nuova classificazione di
diabete che tenendo conto dei motivi che hanno prodotto la malattia consenta di
uniformare la gestione clinica permettendo una più accurata valutazione dei risultati
ottenuti con le terapie. Le più importanti forme di diabete mellito sono il tipo 1,
definito in passato come insulino-dipendente poichè i pazienti hanno bisogno della
somministrazione di insulina per poter vivere, ed il tipo 2, conosciuto prima come
non insulino-dipendente suscettibile di trattamento con farmaci così detti
ipoglicemizzanti orali. In realtà anche alcuni pazienti di tipo 2 hanno nel decorso
della malattia bisogno dell'insulina.
Da questa breve sintesi metabolica si puo' notare che l'insulina svolge un'azione di
stimolo sulla utilizzazione di composti fondamentali per le cellule, sia con finalità
plastiche che energetiche: nel diabete quindi la sintomatologia è secondaria a queste
alterazioni con manifestazioni sia di tipo plastico quali calo ponderale che energetico
come l'astenia . La spia più fedele del controllo esercitato dall'insulina sul
metabolismo è data dal valore della glicemia: se l'ormone è insufficiente o se non
agisce correttamente, viene meno la sua azione ipoglicemizzante e si va verso
l'iperglicemia, cioè l'aumento più o meno marcato del glucosio nel sangue del
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paziente. Da qui l'importanza della valutazione clinica della glicemia, sia a digiuno
ma soprattutto dopo i pasti, in grado di fornire un importante parametro per stimare
l'equilibrio metabolico nel paziente.
Da queste premesse si evince l'importanza della somministrazione dell'ormone
insulina nei soggetti con diabete mellito di tipo 1 (in cui l'ormone è molto ridotto o
assente) ed anche in molti casi di diabete di tipo 2 (in cui l'ormone ha un'azione
periferica difettosa e non piu' soggetta a possibili stimolazioni farmacologiche). Si
tratta quindi di una terapia ormonale sostitutiva.
b. Glicemia e diabete mellito
Il glucosio è il principale zucchero semplice dell'organismo ed è una importante fonte
di energia per molti tessuti. Per glicemia si intende il livello di glucosio nel sangue
(normalmente a digiuno varia tra 60 e110 mg/dl). Con il termine iperglicemia si
intende l'aumento del glucosio al di sopra di questi livelli (tipico del diabete mellito),
mentre l'ipoglicemia corrisponde ad una diminuzione di glucosio circolante.
c. L'insulina e la sua azione fisiologica
L'insulina è un ormone proteico che ha il compito di rendere utilizzabili
dall'organismo le sostanze nutritive, regolando l'uso nelle nostre cellule dei
carboidrati, dei lipidi e delle proteine. L'insulina può essere considerato un attivatore
di alcuni passaggi del metabolismo, intendendo con quest'ultimo termine il
complesso di reazioni chimiche che trasformano gli alimenti in energia per
l'organismo. Agendo sui vari tessuti "bersaglio", l'ormone regola l'utilizzo dei
nutrienti, tra cui il glucosio (lo zucchero semplice che rappresenta un importante
combustibile per le nostre cellule). E' quindi evidente che se l'insulina è scarsa o se la
sua azione è difettosa si ha un blocco di alcune vie fondamentali per la sopravvivenza
e la riproduzione delle stesse cellule dell'organismo.
L'insulina provoca la riduzione del glucosio dal sangue (azione ipoglicemizzante),
facendolo penetrare in cellule (epatiche, muscolari) che poi lo utilizzano per la
produzione immediata d'energia oppure lo immagazzinano sotto forma di glicogeno.
Nel diabete mellito, mancando l'azione insulinica, il glucosio tende ad aumentare nel
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sangue (iperglicemia). Pertanto le cellule non ricevono il necessario apporto
energetico e l'iperglicemia finisce con il danneggiare l'organismo: infatti lo zucchero,
non venendo utilizzato nelle sedi dove sarebbe necessario permane a lungo in circolo,
ed invece di fornitore d'energia diviene un fattore tossico per tutte le cellule.
2. TIPI DI DIABETE
La forma più diffusa di diabete è il tipo 2, interessando il 90% delle persone colpite
dalla malattia diabetica; solo il 10% appartengono al tipo 1. Vedremo adesso di
analizzare più in dettaglio le caratteristiche di queste due varietà, iniziando da quella
meno diffusa, il tipo 1.
a. Diabete mellito tipo 1 (insulino-dipendente)
Epidemiologia
Questo tipo di diabete interessa soprattutto bambini, adolescenti e giovani adulti e
veniva per questo un tempo chiamato diabete giovanile o insulino- dipendente. Il
momento dell'anno in cui l'incidenza di esordio è maggiore è la stagione invernale,
mentre d'estate è minore.
La frequenza del diabete di tipo 1 è più elevata nei paesi del Nord Europa, mentre è
più bassa nella popolazione orientale, negli indiani d'America e nelle popolazioni
tropicali. La diversa distribuzione della frequenza della malattia, rispetto al diabete di
tipo 2 avvalora le evidenze che si tratti di due malattie diverse, che hanno in comune
gli aspetti clinici.
Un' osservazione effettuata in base alle differenze geografiche ha evidenziato
un'incidenza maggiore man mano che ci si allontana dall'Equatore. In Finlandia,
Norvegia e Svezia l'incidenza è intorno al 20-30% su 100.000 abitanti. Sembra
esservi una relazione con la temperatura media annuale; nel senso che nei paesi più
freddi vi è un maggiore rischio.
Patogenesi
Tra le cause della malattia sono importanti gli
aspetti genetici. Il rischio di sviluppare il
diabete di tipo 1 è del 30-40% nei gemelli
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monozigoti (gemelli identici), del 5-10% nei fratelli e del 2-5% nei figli. Studi di
genetica hanno permesso di identificare i geni attraverso i quali si trasmette la
predisposizione alla malattia, geni che interessano la risposta immunitaria, il
meccanismo preposto alla difesa del nostro organismo da agenti esterni (come batteri
e virus). Quindi, più che ereditare "la malattia" in modo diretto, quella che viene
trasmessa geneticamente è una errata modalità della risposta del sistema immunitario.
Ma come si sviluppa la malattia?
Il diabete di tipo 1 si manifesta per lo più con una sintomatologia improvvisa, dovuta
alla carenza o totale assenza di insulina nell'organismo: i pazienti per vivere hanno
necessità di introdurre giornalmente l'insulina. Questo deficit grave di insulina è
causato dalla distruzione delle b cellule che la producono e che si trovano nel
pancreas,
una
grossa
ghiandola
annessa
all'apparato
digerente.
Sono trascorsi quasi trent'anni dalla prima dimostrazione che questa malattia è
scatenata da alterazioni del sistema immunitario, che agisce attraverso la produzione
di anticorpi e altre cellule preposte abitualmente alle risposte difensive
dell'organismo. Nel diabete tipo 1, il sistema immunitario si attiva per errore verso le
ß cellule del pancreas: si formano così anticorpi che attaccano le preziose cellule ß,
per cui l'insulina non può più essere prodotta e si scatena la malattia diabetica. Per
questo motivo, il diabete di tipo 1 viene classificato tra le malattie cosiddette
“autoimmuni”.
Sembra che questa attivazione impropria della risposta immunitaria sia scatenata da
un fattore esterno, ancora non conosciuto con certezza. I più incriminati sono i virus,
come quelli della parotite (gli "orecchioni"), il citomegalovirus, i virus Coxackie B, i
virus dell'encefalomiocardite. E' possibile che una malattia infettiva virale, anche a
livello
subclinico
(cioè
senza
manifestazioni
evidenti)
determini
una
"sensibilizzazione" delle cellule beta del pancreas, che vengono poi aggredite dal
sistema immunitario.
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b. Diabete mellito tipo 2 (non insulino-dipendente)
Questa malattia ha un esordio generalmente più tardivo rispetto al tipo 1, interessando
soggetti di 40-65 anni di età, meritandosi l'appellativo di diabete dell'adulto (in
contrapposizione, come visto, al diabete giovanile di tipo 1). E' importante tuttavia
considerare che, secondo gli ultimi aggiornamenti, entrambe le forme di diabete
possono insorgere a qualsiasi età.
Epidemiologia
Questa forma è presente nel 90% della popolazione diabetica generale. Viene spesso
considerata una conseguenza del benessere, in quanto concorrono in modo decisivo
alla sua comparsa l'alimentazione eccessiva e la sedentarietà. I più alti valori di
prevalenza (intorno al 35%) sono stati riscontrati in alcune popolazioni di indiani
dell'Arizona e della Micronesia, i più bassi in Giappone, in popolazioni cinesi ed
eschimesi. Nei paesi Europei e negli Stati Uniti la prevalenza è di circa il 3%.
La differenza molto elevata tra i due estremi della prevalenza farebbe ritenere che i
fattori genetici siano molto importanti per la comparsa della malattia, ma d'altra parte
altre osservazioni hanno dimostrato che quando le popolazioni si spostano,
cambiando lo stile di vita e l'alimentazione, in esse la frequenza della malattia tende
ad avvicinarsi a quella presente nel nuovo territorio. Sembra quindi che i fattori
ambientali siano in grado di smascherare una latente predisposizione genetica al
diabete. Circa il 40% dei diabetici di tipo 2 ha parenti di primo grado (genitori,
fratelli o figli) affetti dalla stessa malattia. Nei gemelli monozigoti la concordanza
della malattia si avvicina al 100%. E' chiaro quindi che il diabete di tipo 2 ha una
forte componente ereditaria, come dimostrato anche da osservazioni che indicano
che in popolazioni etnicamente ristrette, come in alcune isole o nelle riserve indiane,
dove spesso si celebrano matrimoni tra consanguinei, la percentuale di sviluppo del
diabete è estremamente elevata.
D'altro canto si sono rilevati importanti alcuni fattori di rischio di tipo ambientale,
quali l'obesità, specie se di alto grado, la sedentarietà, il tipo di dieta (intesa come tipo
di alimentazione). Infatti molti studi documentano una correlazione evidente tra
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l'incremento del peso corporeo e l'aumentata frequenza della malattia. Anche la
mancanza di attività fisica è stata messa in relazione con la malattia, osservando
come soggetti che lavorano in campagna sono più esposti al diabete quando si
trasferiscono in città, dove svolgono attività più sedentarie ed tendono ad aumentare
di peso. La dieta è importante in quanto si è visto che l'assunzione di cibi ad alto
contenuto calorico e di veloce digestione e con poche fibre determinano un
assorbimento più rapido ed incrementi maggiori e più repentini della glicemia. Gli
zuccheri semplici, come il saccarosio (il comune zucchero da tavola) contenuti in cibi
dolci sono i più pericolosi proprio per la loro rapidità di assorbimento; le fibre
alimentari, invece hanno un effetto protettivo per la loro capacità di ridurre la
quantità e la velocità dell'assorbimento degli zuccheri.
Patogenesi
Il diabete tipo 2 non è causato da una diminuzione assoluta dell'insulina, ma da una
sua azione difettosa. I valori dell'insulina nel sangue non sono diminuiti in assoluto,
anzi possono essere anche più elevati del normale, ma i suoi recettori, cioè i
"bersagli" molecolari della sua azione fisiologica, non funzionano correttamente.
L'ormone cioè non riesce ad attivare le vie metaboliche nelle cellule ed il risultato è
che in ogni caso esso si ritrova ad essere comunque in una situazione di deficit
relativo: non vi è in circolo abbastanza insulina per mantenere la glicemia a livelli
normali. Allorché il pancreas non riesce più a secernere una quantità adeguata di
ormone il diabete si manifesta clinicamente con le caratteristiche già descritte.
3. LA DIAGNOSI
a) Sintomi iniziali
L'iperglicemia, ovvero l'aumento del glucosio nel sangue, indotta dalla malattia,
determina l'eliminazione del glucosio con le urine, definita glicosuria. Sino ad un
valore di glicemia di 180 mg/dl non si ha passaggio di glucosio nelle urine e
questo valore è definito quindi soglia renale per il glucosio. Quando la glicemia si
innalza oltre questo valore soglia, il glucosio urinario inizia ad aumentare e
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compaiono dei sintomi caratteristici. Il glucosio, per un fenomeno fisico definito
osmosi, provoca un'aumentata eliminazione di acqua: vi è quindi un incremento
delle urine prodotte, definito poliuria. Il paziente ha uno stimolo ad urinare molto
frequente che conduce ad una disidratazione dell'organismo; per compensare
questa perdita di prezioso contenuto idrico e mantenere costante la quantità dei
liquidi corporei l'organismo compensa con lo stimolo della sete, ed il paziente
tende ad assumere bevande in continuazione (polidipsia).
Oltre a questa sete intensa, il diabetico ha inoltre una fame aumentata che induce
un'iperalimentazione (polifagia), dovuta al fatto che le cellule non possono
utilizzare il glucosio, anche se questo è aumentato in circolo. Alcuni centri
cerebrali, responsabili del senso della fame, non ricevendo l'apporto energetico del
glucosio inviano segnali che spingono l'individuo ad iperalimentarsi. La carente
utilizzazione del glucosio, riduce le riserve energetiche dell'organismo e determina
un senso costante di stanchezza (astenia). L'organismo del diabetico, per
soddisfare la necessità di energia, non potendo utilizzare glucosio deve ricorrere ai
grassi ed alle proteine corporee: questo comporta una perdita di peso
(dimagrimento). Molto spesso infine il paziente denuncia l'insorgenza di un
fastidioso prurito o una comparsa di infezioni sia della cute (foruncolosi) che
delle mucose degli organi genitali esterni (vagina o glande). Queste manifestazioni
sono dovute a germi comuni, residenti nelle aree colpite, o da funghi (miceti)
come la Candida albicans, che "approfittano", per così dire, della riduzione dei
meccanismi di difesa dell'organismo diabetico e della presenza di elevate
concentrazioni di glucosio nelle urine, per esercitare la loro aggressione
all'organismo.
E' necessario ricordare che molto spesso le due forme di diabete mellito, il tipo 1
ed il tipo 2, hanno due diverse forme di presentazione. La sintomatologia eclatante
appena ricordata è caratteristica del diabete di tipo 1, e di solito porta il paziente
dal medico. Nel diabete di tipo 2 i sintomi sono di solito sfumati, spesso non vi
sono il dimagrimento ed i segni evidenti descritti ma anzi un'eccedenza ponderale.
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Spesso questa assenza di sintomi fa ritardare di molto la diagnosi, al punto che
questa viene posta solo quando si presentano le complicanze (retinopatia, segni di
cardiopatia ischemica etc.). Ci vengono allora in aiuto una serie di esami
diagnostici per svelare la presenza della malattia diabetica.
b) La “ Luna di miele”.
Dopo la diagnosi di diabete di tipo 1 e l'inizio della terapia insulinica puo'
verificarsi uno strano fenomeno, che dà l'illusione che la malattia sia
improvvisamente "guarita": la glicemia (il livello di glucosio nel sangue) ritorna
normale o comunque non eccessivamente elevata e il fabbisogno di insulina
diminuisce notevolmente (sino a rendere a volte possibile la sospensione delle
iniezioni sottocutanee). Questo periodo di tempo, che puo' durare da alcuni mesi a
due anni dopo la diagnosi, viene definito "luna di miele", paragonandolo al
periodo di vacanza dei primi tempi di matrimonio: una parentesi felice, ma
sfortunatamente non eterna!
Quando si manifestano i primi sintomi del diabete la maggioranza delle cellule
endocrine del pancreas che producono l'insulina è ormai distrutta (l'80-90% del
totale) e si rende quindi necessaria la somministrazione di insulina come farmaco,
per riportare la glicemia a livelli normali. A questo punto, nei soggetti in cui si
verifica la "luna di miele", le cellule ancora funzionanti riprendono
momentaneamente la produzione di insulina, consentendo al paziente una
riduzione o addirittura una sospensione delle iniezioni di insulina.
Purtroppo questo fenomeno è solo temporaneo, dal momento che anche questo 1020% di cellule "attive" nella produzione dell'ormone cessa poi la sua funzione:
non si tratta quindi di una guarigione. E' necessario quindi fornire una corretta
informazione al paziente, al fine di evitare le forti ripercussioni psicologiche
(specie in bambini ed adolescenti) che possono verificarsi nel momento in cui si
rendono nuovamente necessarie le iniezioni di insulina. In questo momento viene
a cadere l'illusione di "essere guariti" e vi possono essere momenti di tensione
familiare, con comparsa di sentimenti di rivolta e depressione.
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4. ESAMI DIAGNOSTICI
a. Controllo della glicemia
Il
primo
semplice
esame
da
eseguire
è
la
glicemia
a
digiuno.
Se il valore oltrepassa i 126 mg/dl, in misurazioni ripetute, in giorni diversi si può
fare diagnosi di diabete.Se il valore è compreso tra 110 e 126 mg/dl, è necessario
approfondire l'indagine con ulteriori esami. Il più comunemente utilizzato è il test
di tolleranza al glucosio (carico orale di glucosio), un esame che permette di
valutare la capacità dell'organismo di contenere la glicemia entro limiti nomali
dopo la somministrazione di un carico orale di glucosio di 75 g (dose standard).
Come abbiamo detto, l'indicazione principale per effettuare una curva da carico
orale di glucosio è una glicemia compresa tra 110 e 126 mg/dl, ma esistono anche
altre condizioni in cui è il caso di indagare approfonditamente per l'esistenza di
altri fattori di rischio: familiarità, obesità, soggetti giovani con manifestazioni
neurologiche, aterosclerotiche, coronariche, retinopatiche di cui non sia chiara la
causa.
b. Insulinemia
Il dosaggio dell'insulina (insulinemia) è un altro esame molto importante in
quanto permette di stabilire direttamente la funzionalità delle cellule beta del
pancreas. La misurazione effettuata durante il test di tolleranza al glucosio ci fa
vedere "dal vivo" la capacità dell'organismo di produrre insulina circolante sotto
lo stimolo indotto dal glucosio.
Il medico, attenendosi ai criteri riconosciuti dall'OMS (Organizzazione Mondiale
della Sanità), potrà interpretare i risultati combinati di glicemia ed insulina,
indicando lo stato di normalità, una ridotta tolleranza al glucosio o la presenza di
diabete mellito conclamato.
c.Esame delle urine
Un altra indagine di facile realizzazione e che può essere effettuata anche dallo
stesso paziente è l'esame delle urine. Con esso è possibile identificare la presenza
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di glicosuria (glucosio nelle urine) e chetonuria (presenza di corpi chetonici nelle
urine). Se vi è glucosio nelle urine significa come già detto che la glicemia è oltre
i 180 mg/dl perché solo oltre questa concentrazione il rene elimina il glucosio con
le urine (soglia renale per il glucosio). La glicosuria deve essere effettuata
nell'arco della giornata tra un pasto e l'altro, per scoprire eventuali aumenti della
glicemia che non siano evidenti a digiuno ma solo dopo i pasti.
La chetonuria è sempre espressione di un grave scompenso metabolico.
d. C-peptide
Il peptide C è un frammento della molecola originale dalla quale si forma
l'insulina. Come si vede nella figura sotto, quando dalla molecola iniziale si
produce l'insulina vera e propria viene rilasciato anche il peptide C.
Sequenza di attivazione dell'insulina e rilascio del peptide C
Dalla molecola della pre-proinsulina si distacca prima il peptide segnale, poi
si formano i ponti disolfuro (S-S) tra due sequenze peptidiche (proinsulina).
Tutto il frammento intermedio tra le due catene legate dai ponti disolfuro, il
peptide C, si distacca e resta la molecola di insulina attiva.
Nei pazienti che fanno terapia con insulina, per verificare la capacità secretoria
delle cellule beta non possiamo valutare direttamente l'insulinemia, perchè
verrebbe misurata anche quella somministrata come farmaco. Possiamo allora
valutare la concentrazione di peptide C (che non è contenuto nell'insulina
farmacologica), specie nei pazienti affetti da diabete mellito di recente
insorgenza, per verificare la capacità residua delle cellule beta di produrre
insulina endogena.
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e. Quadro Anticorpale
Dal momento che nel diabete di tipo 1 in fase di esordio si ha spesso la
formazione di anticorpi contro vari elementi in causa nella malattia diabetica
(cellule beta del pancreas, insulina) si utilizzano test per svelare nel sangue
alcuni di questi anticorpi. Questi esami sono effettuati di solito per
diagnosticare la fase iniziale del diabete di tipo 1 o per individuare soggetti a
rischio di sviluppare questo tipo di diabete.
f. Anticorpi anti-cellule insulari (ICA, Islet Cell Antibodies)
Questi anticorpi sono presenti in più del 95% dei casi di diabete di tipo 1 in
fase iniziale e tendono poi a ridursi sino alla loro scomparsa. Si tende ad
attribuire a questi anticorpi un ruolo predittivo della comparsa di diabete: è
stato visto che il 50% dei parenti di primo grado (genitori, fratelli, figli) di
soggetti con diabete e portatori di anticorpi ICA hanno sviluppato il diabete
entro 9 anni dalla loro evidenziazione. Il valore predittivo è ancora più alto
(63%) se i soggetti avevano nel sangue anche anticorpi anti-insulina (IAA).
g. Anticorpi anti-insulina (IAA, Insulin Auto Antibodies)
Questi anticorpi possono comparire in circolo prima dell'esordio clinico del
diabete e sono associati ad un elevato rischio di malattia nei parenti di primo
grado di soggetti con diabete di tipo 1. Presentano una correlazione inversa sia
con l'età sia con la durata della fase preclinica: più elevati sono i livelli di IAA,
più rapida sembra essere la progressione verso la malattia, per tale motivo sono
un valido marker di predizione della malattia solo in soggetti di età inferiore ai
10 anni. E' stata osservata un'associazione significativa tra positività
autoanticorpale e presenza di HLA DR4.
Questi anticorpi IAA sono importanti per due ordini di motivi. Innanzitutto,
sono stati riscontrati in molti soggetti considerati a rischio per il diabete e tale
riscontro è spesso parallelo a quello degli ICA descritti precedentemente,
aumentando il fattore di rischio per la malattia. Inoltre essi erano alla base di
difficoltà terapeutiche quando si utilizzava insulina non di sintesi. La
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somministrazione di insulina induceva la formazione di questi anticorpi che si
legavano ad essa e ne bloccavano l'azione. Poteva però accadere che l'insulina,
imprevedibilmente, si liberava da questo legame e poteva indurre crisi
ipoglicemiche, in qualunque momento della giornata.
Questi anticorpi si rendevano quindi responsabili di una grave instabilità della
malattia. Con l'avvento dell'insulina ricombinante di sintesi, identica a quella
umana, questi anticorpi reattivi sono scomparsi.
h. Anticorpi anti-GAD (GAD Glutamic Acid decarboxylase auto
antibodies)
Questi anticorpi sono più sensibili e più specifici rispetto agli ICA. Nell'uomo
esistono due isoforme di GAD, che differiscono tra loro per peso molecolare
(65kD e 67kD), per derivazione genica e per distribuzione tissutale. La GAD65
rappresenta l'isoforma predominante nelle isole pancreatiche, nelle quali è
espressa sia dalle cellule a sia dalle cellule b e sembra localizzata a livello delle
microvescicole sinaptiche. Essa è codificata da un gene situata nel cromosoma
2 e presenta un'omologia del 65% con la GAD67. Autoanticorpi antiGAD 65
ed antiGAD67 sono stati riportati nei soggetti sia prima sia ala momento della
diagnosi di diabete, tuttavia la GAD65 sembra rappresentar l'isoforma
dominante.
i. Autoanticorpi anti-tirosina fosfatasi insulare IA-2
Sono stati dimostrati in soggetti con diabete di tipo 1 prima ed al momento
dell'esordio clinico della malattia, sono autoanticorpi che reagiscono con due
proteine insulari di 37kD (IA2) e di 40kD (IA2b). Sono altamente predittivi di
futura comparsa della malattia in parenti di 1° grado di soggetti con diabete di
tipo 1.
l. Emoglobina glicosilata (HbA1c)
L'emoglobina glicosilata è un parametro molto utile per valutare il controllo
glicemico del paziente. Infatti, mentre la glicemia ci da' una fotografia
"istantanea" della situazione glicemica, l'emoglobina glicosilata è come un
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"film" che indica se la glicemia è stata ben controllata nei 3 mesi circa
precedenti. Questa misurazione si basa sul seguente principio: l'emoglobina,
che serve a trasportare l'ossigeno ai tessuti, è contenuta nei globuli rossi, i quali
hanno una vita media di 120 giorni. Quando nel paziente diabetico la glicemia
si eleva, una parte del glucosio si lega irreversibilmente all'emoglobina
(glicosilazione) formando appunto emoglobina glicosilata (HbA1). Questa
forma di emoglobina è stabile, fino a quando i globuli rossi non completino il
loro ciclo vitale e siano distrutti. Diciamo che in questa proteina, in caso di
aumento della glicemia, resta una "traccia" indelebile di quanto è avvenuto.
Quindi l'HbA1 è un indice fedele del controllo metabolico che nei diabetici non
deve essere superiore al 6-7%.
5. LE COMPLICANZE CRONICHE
Per garantire al paziente diabetico una buona qualità di vita è estremamente
importante che egli accetti la sua patologia in modo sereno e comprenda quanto
il suo futuro possa essere condizionato dall'insorgenza delle complicanze. Oltre
ad evitare il verificarsi di problemi di tipo acuto, visti nella sezione precedente,
il trattamento del paziente diabetico, modificando lo stile di vita ed applicando
tutte le risorse farmacologiche necessarie, è in grado di influenzare
grandemente l'evoluzione della malattia, prevenendo le complicanze croniche o
riducendone la gravità.
Le
alterazioni
alla
base
delle
complicanze
croniche
si
verificano
principalmente a carico del sistema vascolare (angiopatia) e del sistema
nervoso (neuropatia). Queste alterazioni conducono a danni d'organo specifici,
frequenti nel diabetico: insufficienza circolatoria agli arti inferiori, cardiopatia,
alterazioni della funzionalità renale, complicanze oculari (retinopatia,
cataratta), disturbi ai nervi periferici ed impotenza sessuale. La causa dello
sviluppo delle complicanze non sembra risiedere primariamente nel deficit di
insulina, ma nel protrarsi della condizione di iperglicemia, che altera le
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strutture tessutali. Questo ribadisce ancora una volta l'importanza di un buon
controllo metabolico nel paziente.
C'è da notare che non tutti i diabetici sviluppano complicanze croniche con la
stessa gravità, il che ha fatto supporre che esistono altri fattori in causa.
Numerosi studi hanno dimostrato che vi è una suscettibilità genetica
(predisposizione costituzionale) e su questa interagiscono fattori ambientali. A
proposito di questi ultimi, vi è da ricordare la comprovata importanza dei
seguenti fattori:

fumo

ipertensione arteriosa

alimentazione eccessiva e ricca di grassi (obesità)
che sono già di per sé stessi, a prescindere dalla presenza o meno della malattia
diabetica, fattori di rischio cardiovascolare. In un paziente diabetico la loro
importanza è ancora superiore, in quanto gli effetti negativi concorrono assieme
allo sviluppo delle complicanze.
Il decorso naturale delle complicanze croniche è suddivisibile in due fasi: una
prima fase funzionale, in cui le lesioni sono ancora reversibili ed una seconda
danno organico in cui le compromissioni d'organo tendono a divenire irreversibili.
6. LE COMPLICANZE ACUTE
Il paziente diabetico può andare incontro a dei problemi clinici sia di tipo acuto,
sia cronico, cioè dopo molti anni dell'inizio della malattia. In termini medici questi
problemi vengono denominati complicanze della malattia diabetica, ed
impegnano il sistema sanitario per la loro prevenzione e terapia. Il buon controllo
metabolico, è mirato proprio alla prevenzione delle complicanze acute e croniche.
In questa sezione ci interesseremo delle complicanze acute. L'insorgenza di
complicanze acute nel diabete è spesso un'indicazione al ricovero del paziente in
ambiente ospedaliero, dove vi è la possibilita di seguire momento per momento
l'evoluzione clinica.
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Utilizzando il parametro della glicemia, possiamo distinguere le complicanze
acute in iperglicemiche (forti elevazioni della glicemia) ed ipoglicemiche
(abbassamenti gravi della glicemia).
a. Complicanze iperglicemiche
Chetoacidosi diabetica - Coma chetoacidosico
Sono l'espressione di un grave squilibrio metabolico, che attiva la formazione di
composti acidi tossici, i corpi chetonici, il cui livello aumentato è una delle
alterazioni riscontrate in questo quadro clinico. Colpisce diabetici del tipo 1,
mentre nel tipo 2 è un evento molto raro ed indicativo di una severa alterazione
metabolica.
Formazione di corpi chetonici
La mancanza di utilizzazione, a causa della carenza di insulina, del glucosio
circolante, che si fa molto elevato, attiva la via metabolica di ossidazione degli
acidi grassi, estratti dai trigliceridi nei depositi di grasso corporeo. In altre parole
le cellule, non potendo utilizzare il glucosio a fini energetici, iniziano a bruciare i
gli acidi grassi. Ma il processo si svolge in maniera alterata: se non c'è
disponibilità di glucosio dentro le cellule, anche i grassi non vengono
metabolizzati completamente. Prodotti di questo errato metabolismo vengono a
"condensarsi" formando prodotti tossici per l'organismo, i cosiddetti corpi
chetonici (acido acetacetico, acido beta-idrossibutirrico, acetone), che provocano
il quadro di acidosi. (diminuzione del pH).
I pazienti che vanno incontro a chetoacidosi presentano un corteo sintomatologico
eclatante:
la glicemia è elevata e determina la poliuria e la polidipsia. Se la glicemia supera i
valori di 500 mg/dl vi è una notevole eliminazione di glucosio con le urine
accompagnata dalla perdita di acqua per effetto osmotico: si ha quindi
disidratazione e il paziente si presenta con secchezza della cute e delle mucose
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(lingua, labbra). Vi è anche riduzione della pressione arteriosa ed aumento della
frequenza cardiaca (tachicardia).
E' frequente che si abbia uno stato di nausea con vomito e dolore addominale e
compare, per l'eliminazione dei corpi chetonici con le vie respiratorie, un
caratteristico odore dell'alito (alito acetonemico o come di odore di "frutta
marcia"). A questi sintomi si accompagna la sensazione di profonda debolezza
muscolare che sfocia, negli stadi più gravi, in uno stato confusionale (torpore e
coma).
Attualmente, con i programmi di educazione del paziente diabetico che sempre si
accompagnano alla diagnosi di questa malattia, l'insorgenza della chetoacidosi si è
molto ridotta. I casi sono molto più frequenti nei diabetici di vecchia data. Le
cause responsabili di questa complicanza acuta sono:
carenza insulinica - pazienti non ancora diagnosticati, interruzione volontaria della
terapia, malattie intercorrenti che aumentino il fabbisogno insulinico soprattutto
episodi infettivi acuti (cistiti, polmoniti etc.)
b. Coma iperosmolare
E' questa una complicanza acuta del diabete più rara, che insorge prevalentemente
in diabetici di tipo 2 in età avanzata. Tale complicanza è di solito scatenata da una
malattia infettiva intercorrente dalla sospensione della terapia, dall'uso
incontrollato di farmaci che aggravano l'iperglicemia (diuretici o cortisonici).
L'iperglicemia è molto grave, oltre i 600 mg/dl (a volte oltre 1000 mg/dl) e la
sintomatologia è caratterizzata da anoressia e vomito, tachicardia, riduzione della
pressione arteriosa, compromissione dello stato mentale che va dalla confusione al
coma.
La grave poliuria, come abbiamo già visto è responsabile della disidratazione. La
complicanza è molto grave e necessita di immediata ospedalizzazione, per i
pericoli immediati che possono insorgere a causa della disidratazione e degli
elevatissimi livelli glicemici.
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c. Complicanze ipoglicemiche
Ipoglicemie acute - Coma ipoglicemico
Sono entrambi manifestazioni di una grave riduzione della glicemia, al di sotto di
60 mg/dl (30-60 mg/dl). L'organismo ha bisogno di mantenere un livello di
glucosio circolante adeguato, specie per il fatto che alcuni organi, come il
cervello, utilizzano questo zucchero come carburante "esclusivo". Non è un caso
che le gravi riduzioni della glicemia esitano principalmente in manifestazioni di
tipo neurologico.
Il bilancio tra il glucosio circolante e l'insulina disponibile viene alterato da
situazioni come lo stress, il vomito, un'attività fisica inconsueta, la mancanza di
alimentazione (ritardo dell'ora del pasto, nausea). Vi può essere un'eccessiva
assunzione di insulina o di ipoglicemizzanti orali in rapporto al quantitativo di
cibo ed attività fisica. Un tempo l'errore di dosaggio, con le insuline pronta e lenta
da miscelare insieme, era più frequente: oggi l'uso di miscele già preparate e delle
pratiche penne per iniettarle ha ridotto notevolmente la possibilità di tale errore.
Altre cause di squilibrio che conducono all'ipoglicemia sono: la variazione della
risposta all'insulina rispetto alla terapia durante il ricovero o extra-ospedaliera
(abitualmente la quantità di insulina somministrata in un trattamento
intraospedaliaro può essere eccessiva quando il paziente viene poi dimesso), la
falsa sicurezza che possono dare gli ipoglicemizzanti orali (il paziente assume più
pillole, magari dopo pasti abbondanti, per "recuperare" lo strappo alla regola), la
presenza di malattie epatiche o renali, che alterano il processo di "smaltimento"
del farmaco orale e ne prolungano l'azione ipoglicemizzante.
A prescindere dalla causa scatenante, i segni più caratteristici dell'ipoglicemia
acuta sono:

senso di fame improvvisa, sudorazione profusa, fredda e senza apparente
motivo, tachicardia, tremore diffuso
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
dolori addominali, associati o no a diarrea, formicolii alle labbra,
contrazione di muscoli isolati sotto forma di tic, annebbiamento o sdoppiamento della
vista, cefalea, confusione mentale
Questo corteo di sintomi è generato da due fattori: le prime manifestazioni
sono dovute ad una reazione dell'organismo che cerca di contrastare
l'ipoglicemia
attivando
la
produzione
di
ormoni
controregolatori
iperglicemizzanti (catecolamine, cortisolo), mentre i sintomi più avanzati a
carico del sensorio sono il risultato di una sofferenza cerebrale generata
dall'ipoglicemia.
A volte i sintomi sono più sfumati, insidiosi, ed è importante che i familiari o le
persone a contatto con il diabetico siano istruiti a riconoscerli. Il paziente può
manifestare uno stato di agitazione psicomotoria, con irascibilità del carattere e
cambiamenti inspiegabili dell'umore, può presentarsi come assorto, poco
rispondente alle sollecitazioni dell'ambiente, pur mantenendo la capacità di
eseguire movimenti semiautomatici come guidare o eseguire lavori poco
impegnativi.
Alla prima evidenza dei sintomi riportati è necessario introdurre circa 20
grammi di zucchero che possono essere assunti come: due zollette di zucchero
con latte o acqua, 40 g di cioccolata, un cucchiaio di miele, un succo di frutta.
Se i sintomi sono più lievi si possono introdurre zuccheri a lento assorbimento,
contenuti nel pane, nella frutta, in due-tre biscotti. Non bisogna mai assumere
bevande alcooliche che aggraverebbero le crisi ipoglicemiche.
Lo stato di ipoglicemia viene in genere avvertito dal soggetto con un certo
anticipo, ma i sintomi non devono mai essere sottovalutate in quanto prima o
poi è possibile che si manifestino direttamente nella forma più grave, il coma,
senza alcun avvertimento. Anche la mancanza di un adeguato trattamento può
esitare in un aggravamento dei sintomi: il paziente, dapprima vigile anche se
scontroso ed offuscato, diviene pallido, completamente bagnato di sudore, le
pupille si presentano ristrette (miosi) e possono essere presenti contrazioni
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muscolari diffuse che simulano un quadro epilettico. E' necessaria l'immediata
ospedalizzazione del soggetto per l'infusione di soluzioni di glucosio atte a
normalizzare velocemente i livelli della glicemia al fine di evitare i danni
cerebrali.
CONCLUSIONI
Sebbene l'insulina non sia considerata una cura del diabete, la sua scoperta è
stato il primo grande passo nel trattamento del diabete. Prima della sua
scoperta, nel 1921, tutte le persone affette da diabete morivano nel giro di
pochi anni dalla comparsa della malattia. Attualmente, le iniezioni giornaliere
di insulina sono la terapia di base del diabete di tipo 1. La quantità di insulina
da iniettare deve tenere conto dell'alimentazione individuale e dall'attività fisica
svolta da ogni paziente, e i livelli di glucosio nel sangue devono essere
costantemente controllati durante il giorno.
Dieta, attività fisica e controllo della glicemia sono i capisaldi anche nel
trattamento del diabete di tipo 2. Alcuni di questi pazienti possono aver
bisogno anche di un trattamento farmacologico con ipoglicemizzanti orali (es.
Diabemide, Daonil, Minidiab) o insulina.
Le persone affette da diabete devono assumersi in prima persona la
responsabilità di gestire giorno dopo giorno la loro particolare condizione di
malattia. L'obiettivo è sempre quello di far sì che la quantità di glucosio nel
sangue non si abbassi troppo, né aumenti troppo. In ogni caso sia l'ipo- che
l'iperglicemia in un paziente diabetico possono metterne a repentaglio la vita se
non si interviene prontamente.
Michela Ciavarella
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