Marx (seconda parte) 7. La concezione materialistica della storia 7.1. Dall'«ideologia» alla «scienza» La critica a Feuerbach segna il passaggio di Marx dall'umanismo al materialismo storico, poiché coincide con la transizione dall'antropologia speculativa al «sapere reale» della storia. Il testo in cui si concretizza tale processo è L'ideologia tedesca, scritta da Marx ed Engels, con la collaborazione di M. Hess, durante l'esilio di Bruxelles (1845-1846) e rimasta Medita sino al 1932. Più di dieci anni dopo, nella Prefazione a Per la critica dell'economia politica (1857), Marx dirà di essa: «Decidemmo di mettere in chiaro, con un lavoro comune, il contrasto tra il nostro modo di vedere e la concezione ideologica della filosofia tedesca, di fare i conti, in realtà, con la nostra anteriore coscienza filosofica». Prima ancora che nei contenuti, l'originalità di quest'opera risiede nel tentativo di cogliere il «movimento reale» della storia, al di là delle rappresentazioni ideologiche che ne hanno velato da sempre la struttura effettiva e le concrete forze motrici. Infatti, il discorso storico-materialistico di Marx ed Engels presuppone una basilare contrapposizione fra «scienza reale e positiva» ed «ideologia». Quest'ultimo termine, alla fine del Settecento, aveva assunto, con Destutt de Tracy, il significato di un'analisi gnoseologica delle idee nel loro derivare dalle sensazioni, ossia di uno studio della base empirica dello scibile. Con Napoleone il termine riveste una connotazione spregiativa e polemica, poiché «ideologo» diviene sinonimo di intellettuale testa calda» e avulso dalla realtà. Marx ed Engels riprendono tale nozione, usandola, per lo più, in modo negativo, ma dando ad essa nuovi e profondi significati. , In una delle sue accezioni principali l'ideologia appare come una «falsa rappresentazione» della realtà, ed allude al processo per cui alla comprensione oggettiva dei rapporti reali fra gli uomini si sostituisce un'immagine deformata di essi. In altre parole, discorrere di rappresentazione ideologica del mondo equivale a parlare, secondo i classici del marxismo, di rappresentazione costituzionalmente mistificante di esso. Di altri significati, nonché delle «cause» e della «funzione» sociale delle ideologie diremo in seguito, quando conosceremo meglio il discorso marxista sulla storia (v. par. 7.4). Per ora ci basti sapere che l'intento di Marx è quello di svelare, al di là delle ideologie, la verità sulla storia, mediante il raggiungimento di un punto di vista obbiettivo sulla società, che permetta di descrivere non ciò che gli uomini «possono apparire nella rappresentazione propria o altrui, bensì quali sono realmente». (L 'ideologia tedesca, Roma 1969, p. 12). Questo programma comporta, ovviamente, la distruzione della vecchia filosofia idealistica e l'inaugurazione di una nuova «scienza», in relazione a cui la filosofia viene ad assumere l'ufficio strumentale di «sintesi dei risultati più generali che è possibile astrarre dall'esame dello sviluppo storico degli uomini» (ivi, p. 14). Ma che cos'è l'umanità, intesa finalmente in modo scientifico e non ideologico? Marx risponde in prima definizione che essa è una specie evoluta, composta di individui associati, che lottano per la propria sopravvivenza. Di conseguenza, la storia non è, primariamente, un evento spirituale, ma un processo materiale fondato sulla dialettica bisogno-soddisfacimento: «Il vivere implica prima di tutto il mangiare e bere, l'abitazione, il vestire e altro ancora. La prima azione storica è dunque la creazione dei mezzi per soddisfare questi bisogni; la produzione della vita materiale stessa... che ancora oggi, come millenni addietro, deve es e compiuta ogni giorno e ogni ora semplicemente per mantenere in vita gli uomini» (ivi, 18). 1 Ed è proprio quest'azione «materiale» che umanizza l'uomo. Infatti, commenta ironicamente Marx, si possono distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per tutto ciò che si vuole, ma essi cominciarono di fatto a distinguersi dagli animali allorché, in virtù della necessità, cominciarono a produrre i loro mezzi di sussistenza. Alla base della storia vi è dunque il lavoro, che Marx intende come creatore di civiltà e di cultura e come ciò attraverso cui l'uomo si rende tale, emergendo dall'animalità primitiva e distinguendosi dagli altri esseri viventi. 7.2. Struttura e sovrastruttura Nell'ambito di quella «produzione sociale dell'esistenza» che costituisce la storia, bisogna distinguere, secondo Marx, due elementi di fondo: le forze produttive e i rapporti di produzione. Poiché questi concetti stanno alla base della scienza storica marxista, è importante afferrarne bene, sin dall'inizio, il preciso significato. Per forze produttive Marx intende tutti gli elementi necessari al processo di produzione, ossia, fondamentalmente: 1) gli uomini che producono (= la forza-lavoro); 2) i mezzi (terra, macchine ecc.) che utilizzano per produrre (= i mezzi di produzione); 3) le conoscenze tecniche e scientifiche di cui si servono per organizzare e migliorare la loro produzione. Per rapporti di produzione Marx intende i rapporti che si instaurano fra gli uomini nel corso della produzione e che regolano il possesso e l'impiego dei mezzi di lavoro, nonché la ripartizione di ciò che tramite essi si produce. I rapporti di produzione trovano la loro espressione giuridica nei rapporti di proprietà. Forze produttive e rapporti di produzione costituiscono, nella loro globalità, il «modo di produzione» di un certo periodo. L'insieme dei rapporti di produzione, o, più in generale, la base economica, quale si esprime nel «modo di produzione» e nella relativa dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione (cfr. par. 7.3), costituisce la struttura, ovvero lo scheletro economico, della società, intesa come organismo complessivo. Infatti, rispetto alla totalità sociale la struttura rappresenta il piedistallo concreto su cui si eleva una sovrastruttura giuridico-politico-culturale. In altre parole, il termine sovrastruttura (dal tedesco Überbau: über = sopra, Bau = costruzione) sta ad indicare che secondo il materialismo storico i rapporti giuridici, le forze politiche, le dottrine etiche, artistiche, religiose e filosofiche non debbono essere intese, idealisticamente, come delle realtà a sé stanti, ma come delle espressioni più o meno dirette dei rapporti che definiscono la struttura di una certa società storica. Ecco, a questo proposito, il limpido testo di Marx: - «La mia ricerca arrivò alla conclusione che tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello Stato non possono essere compresi né per se stessi, né per la cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici, piuttosto, nei rapporti materiali dell'esistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegel... sotto il termine di "società civile"; e che l'anatomia della società è da cercare nell'economia politica. Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva la sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza..." (Prefazione a Per la critica dell'economia politica). Di conseguenza, non sono le leggi, lo Stato, le forze politiche, le religioni, le filosofie ecc. che determinano la struttura economica della società (= idealismo storico), ma è la struttura economica che determina le leggi, lo Stato, le religioni, le filosofie ecc. (= materialismo storico). Da quanto si è detto emerge chiaramente come il termine «materialismo», usato da Marx per denominare la propria dottrina, non alluda, come nel linguaggio filosofico tradizionale, alla tesi metafisica secondo cui la materia è la 2 sostanza e la causa delle cose, ma al convincimento secondo cui le vere forze motrici della storia non sono di natura spirituale, come pensavano per lo più i filosofi precedenti, bensì di natura socio-economica. In altri termini, quello di Marx è un materialismo storico che si contrappone polemicamente all'idealismo storico. Soltanto con Engels troviamo il materialismo inteso come dottrina complessiva dell'universo (v. par. 12). Nell'ambito della critica marxista il rapporto struttura-sovrastruttura è stato oggetto di molteplici e talora discordanti interpretazioni. Senza entrare in merito a tali discussioni è bene osservare che: 1) Quando Marx impiega il termine sovrastruttura intende sottolineare, per mezzo di un'immagine visiva, la dipendenza dei fenomeni politici e culturali dalla base economica, ma non intende ridurre questi ultimi a qualcosa di superfluo o di poco importante. Infatti, come chiarisce incisivamente Antonio Labriola: 4 meditati disegni, i propositi politici, le scienze, i sistemi di diritto e così via, anzi che essere il mezzo e l'istrumento della spiegazione della storia, sono appunto la cosa che occorre spiegare; perché derivano da determinate condizioni e situazioni. Ma ciò non vuol dire che siano mere apparenze e bolle di sapone. L'esser quelle delle cose divenute e derivate da altre non implica che non sian cose effettuali: tanto è che son parse per secoli alla coscienza non scientifica, e alla coscienza scientifica ancora in via di formazione, le sole che veramente fossero» (Del Materialismo storico). 2) Per indicare il rapporto fra struttura a sovrastruttura Marx fa uso di due termini: «determinare» e «condizionare». Sebbene egli li utilizzi indifferentemente, la loro portata concettuale è diversa, poiché «determinare» denota un rapporto più stretto ed immediato, mentre ‹condizionare» allude ad un rapporto più lato e indiretto. Questo uso ambiguo è probabilmente dovuto al fatto che Marx, com'è stato osservato ad esempio da Luciano Gruppi, vuole sottolineare la dipendenza della sovrastruttura dalla struttura, evitando nel contempo di concepirla in modo meccanico ed immediato. Ciò vale soprattutto quando si tratta delle idee artistiche, filosofiche e religiose, poiché secondo quanto chiarisce Engels: «Quanto più il terreno che stiamo indagando si allontana dal terreno economico e si avvicina al terreno ideologico puramente astratto, tanto più troveremo che esso rappresenta nella sua evoluzione degli elementi fortuiti, tanto più la sua curva si svolge a zigzag. Ma se vi provate a tracciare l'asse medio della curva troverete che, quanto più lungo è il periodo preso in esame e quanto più esteso è il terreno studiato, tanto più quest'asse si avvicina all'asse dell'evoluzione economica e corre parallelamente a quest'ultimo' (Lettera a H. Starkenburg, 25, I, 1894). Marx non nega che le idee possano influire sugli avvenimenti storici, anche se ciò, dal suo punto di vista, può accadere soltanto perché le idee esprimono già, a loro volta, determinati mutamenti di struttura (ad esempio è vero che le idee dei philosophes hanno agito sugli avvenimenti successivi, ma ciò è potuto accadere solo perché le idee «rivoluzionarie», in Francia, rispecchiavano a loro volta una situazione già oggettivamente «rivoluzionaria»). Per cui, stando ai testi di Marx, l'unico elemento veramente determinante della storia, e l'unico fattore che si auto-determina, è la struttura economica, mentre la sovrastruttura, con tutto ciò che ne fa parte, è unicamente un riflesso della struttura, che partecipa solo indirettamente della sua storicità. 3) Infatti, di per sé, le istituzioni giuridico-politiche e le idee «non hanno storia, non hanno sviluppo, ma gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con questa loro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero» (Ideologia tedesca, cit., p. 13). 3 7.3. La dialettica della storia Forze produttive e rapporti di produzione, oltreché rappresentare la chiave di lettura della statica della società, si configurano anche come lo strumento interpretativo della sua dinamica, poiché si identificano con la molla propulsiva del suo divenire, ovvero con la legge stessa della storia. Marx ritiene infatti che ad un determinato grado di sviluppo delle forze produttive tendano a corrispondere determinati rapporti di produzione e di proprietà (ad esempio, rapporti di produzione di tipo feudale corrispondono a forze produttive di tipo agricolo). Tuttavia i rapporti di produzione si mantengono soltanto sino a quando favoriscono le forze produttive e vengono distrutti quando si convertono in ostacoli o catene per le medesime. Ora, poiché le forze produttive, in connessione con il progresso tecnico, si sviluppano più rapidamente dei rapporti di produzione, che esprimendo delle relazioni di proprietà tendono a rimanere statici, ne segue periodicamente una situazione di frizione o di contraddizione dialettica fra i due elementi, che genera 'un'epoca di rivoluzione sociale». Infatti le nuove forze produttive sono sempre incarnate da una classe in ascesa, mentre i vecchi rapporti di proprietà sono sempre incarnati da una classe dominante al tramonto. Di conseguenza, risulta inevitabile lo scontro fra di esse, che si gioca non solo a livello sociale, ma anche politico e culturale (sotto forma, in quest'ultimo caso, di «battaglia delle idee»). Alla fine finisce quasi sempre per trionfare la classe che risulta espressione delle nuove forze produttive, che in tal modo riesce ad imporre la propria maniera di produrre e di distribuire la ricchezza, nonché la sua specifica visione del mondo, poiché «le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè la classe che è la potenza materiale dominante è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante». Questo modello teorico, secondo Marx, trova la sua tipica esemplificazione, per quanto riguarda il passato, nella Francia del Settecento, dove, ad un certo punto, vi fu uno scontro aperto fra la borghesia (espressione delle nuove forze produttive di tipo capitalistico) e l'aristocrazia (espressione dei vecchi rapporti di proprietà agrario-feudali e quindi interessata al loro mantenimento). Vinse alla fine la borghesia, che riuscì ad imporre i suoi rapporti di proprietà e la sua visione del mondo. Analogamente, nel capitalismo moderno si sta delineando una contraddizione sempre più «esplosiva» fra forze produttive sociali e rapporti di produzione privatistici. Infatti la fabbrica moderna, pur essendo proprietà di un capitalista (o di un gruppo di azionisti), produce soltanto grazie al lavoro collettivo di operai, tecnici, impiegati, dirigenti ecc. Ma se sociale è la produzione della ricchezza, sociale deve essere, secondo Marx, la distribuzione di essa. Ma questo significa che il capitalismo porta in sé, come esigenza dialettica, il socialismo. Infatti Marx afferma che il capitalismo pone le basi del socialismo, in quanto 4 genera, per la prima volta nella storia, le «condizioni oggettive» favorevoli ad una rivoluzione comunista mondiale (v. par. 9). La legge della «corrispondenza» e della «contraddizione» tra forze produttive e rapporti di produzione permette dunque a Marx di delineare un quadro generale della storia passata e presente, e di scandire il cammino dell'umanità nel tempo secondo alcune grandi formazioni economico-sociali qualificate da determinati modi di produrre, da specifici rapporti di proprietà, da peculiari istituzioni giuridico-politiche e da corrispondenti forme di coscienza. Nella Prefazione a Per la critica dell'economia politica, dove compare l'espressione ökonomische Gesellschaftsformation (mentre in L'ideologia tedesca si parla semplicemente di 'forme di proprietà'), Marx distingue quattro «epoche» della formazione economica della società: quella asiatica (fondata su forme comunitarie di proprietà), quella antica di tipo schiavistico, quella feudale e quella borghese. Tuttavia, poiché sia Marx che Engels accennano talora ad una «comunità primitiva» (Urgemeinschaft) di stampo comunista (sia intesa alla stregua di un tipo generale, di cui la società asiatica sarebbe un sottotipo, sia intesa come tipo distinto e a sé stante) si può dire che le grandi formazioni economico-sociali individuate dai «classici del marxismo» siano la comunità primitiva, la società asiatica, la società antica, la società feudale, la società borghese e la futura società socialista. Sebbene queste epoche non costituiscano, a rigore, delle tappe necessarie, in quanto molte società hanno saltato l'una o l'altra fase, è indubbio che esse costituiscano, dal punto di vista di Marx, altrettanti gradini di una sequenza che procede dall'inferiore al superiore. Altrettanto indubbio è che la storia, secondo i classici del marxismo, proceda dal comunismo primitivo (comunque inteso o prospettato) al comunismo futuro, attraverso il momento intermedio della società di classe, la quale si basa sulla divisione del lavoro e sulla proprietà privata (due concetti che per Marx sono identici, in quanto «con la prima si esprime in riferimento all'attività esattamente ciò che con l'altra si esprime in riferimento al prodotto dell'attività»). Parimenti indubbio è che questo diagramma storico dello sviluppo della civiltà (che tanto fascino ha esercitato sugli intelletti) poggi sulla tesi-convinzione del socialismo come sbocco inevitabile della dialettica storica: «Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti». Il carattere «dialettico» del materialismo storico di Marx ed il suo persistente legame con Hegel risultano dunque evidenti. Infatti anche per Marx, come per Hegel, la storia si configura — formalmente — come una totalità processuale dominata dalla forza della contraddizione e mettente capo ad un «risultato finale». Però con questa notevole differenza di contenuto: che Marx ritiene di aver fatto camminare la dialettica di Hegel «sui piedi», anziché sulla «testa»: 1) in quanto il soggetto della dialettica storica non è più lo Spirito, ma la struttura economica e le classi; 2) in quanto la «dialetticità» del processo storico è concepita come «empiricamente» e scientificamente «osservabile» nei fatti stessi; 3) in quanto le opposizioni che muovono la storia non sono astratte e generiche, bensì concrete e determinate, pur riconducendosi tutte a quella dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione che rappresenta il cuore ed il centro strategico di tutta la scienza marxista della società. 5 7.4. La critica agli «ideologi» della Sinistra hegeliana La conoscenza delle linee generali del materialismo storico permette di intendere in modo adeguato anche la critica marxista ai rappresentanti della Sinistra hegeliana (cui è dedicata gran parte dell'Ideologia tedesca). Il concetto complessivo mediante il quale Marx ed Engels schematizzano tali filosofi, come segnala il titolo che è stato dato all'opera, è quello di «ideologi». Con questo termine, essi intendono dire, in sostanza, che tali filosofi vivono nella 'falsa coscienza», poiché non si rendono conto che le idee, in quanto rispecchiano le relazioni materiali degli uomini, non hanno un'esistenza autonoma. Smarrendo i contatti con la realtà e ritirandosi nei loro castelli speculativi, gli ideologi finiscono invece: 1) per sopravvalutare la funzione delle idee e degli intellettuali, viste, le une, come le forze trainanti degli avvenimenti, e concepiti, gli altri, come i «fabbricanti della storia»; 2) per presentare le proprie idee come universalmente e sovratemporalmente valide; 3) per credere che tutto il negativo del mondo risieda nelle «idee sbagliate» che gli individui si fanno circa se medesimi e che l'emancipazione umana consista nel sostituire a idee false idee «vere», tramite una battaglia puramente «filosofica»; 4) per fornire, come conseguenza di tutto ciò, un quadro inevitabilmente deformante o «mistificante» del reale. A questi traviamenti dell'ideologia, Marx, sulla base della propria concezione materialistica della storia, oppone, invece, punto per punto, che le vere forze motrici della storia non sono le idee, bensì le strutture economico-sociali; che le idee non hanno mai un valore universale e sovratemporale, in quanto rispecchiano sempre determinati interessi e rapporti storici fra gli uomini; che la vera alienazione non risiede nelle idee, ma nelle situazioni sociali concrete in cui gli uomini si trovano a vivere, per cui la vera disalienazione o liberazione dell'uomo non è un problema filosofico risolvibile sul piano sovrastrutturale della critica teorica, ma un problema pratico-sociale, risolvibile sul piano strutturale della rivoluzione; che i giovani hegeliani, con le loro «frasi», anziché «scuotere il mondo», non fanno che emettere dei «belati filosofici», non rendendosi conto che essi «non combattono il mondo realmente esistente quando combattono soltanto le frasi di questo mondo»; che il sapere effettivo può essere soltanto un sapere aderente al reale, e quindi una conoscenza non-ideologica, anzi antiideologica per programma. L'originalità del marxismo non risiede soltanto nella denuncia del sapere «ideologico» della Sinistra hegeliana — come di gran parte della tradizione filosofica e culturale — ma anche nella messa in luce delle «cause» e delle «funzioni» sociali dell'ideologia. Innanzitutto, come mai, ad un certo punto, si produce quella separazione fra teoria e prassi da cui si origina l'ideologia? La risposta di Marx è in linea con la metodologia storico-materialistica del suo pensiero: «se nell'intera ideologia gli uomini e i loro rapporti appaiono capovolti come in una camera oscura, questo fenomeno deriva dal processo storico della loro vita», ossia dalla «divisione sociale del lavoro». Infatti, in virtù di quest'ultima, che implica innanzitutto una separazione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale, la coscienza si pone come qualcosa di autonomo e fa delle proprie idee la realtà «vera», sino a fare dello Spirito la 6 sostanza stessa del mondo. Pur affondando le loro radici nella divisione del lavoro, le ideologie, per Marx, assolvono un'importante funzione, in quanto servono ad occultare i reali processi della società e a mascherare l'asservimento dell'uomo. In altre parole, «la mistificazione ideologica» fa parte integrante di ogni società di classe, che non si regge solo sulla forza, ma anche sulla «menzogna» intellettuale. Tuttavia, le ideologie di cui parla Marx, a differenza delle •bugie dei preti» o delle «escogitazioni dei potenti» di cui discorrevano gli illuministi, non sono per lo più qualcosa di «consapevole», in quanto affondano nella sfera del non-esplicitamentecosciente, sottraendosi, come tali, ad un calcolo deliberato. In altre parole, le ideologie sono delle «necessità sociali» che si formano, per lo più, indipendentemente dalla volontà se dalla coscienza degli individui, che infatti non si «accorgono», in genere, di essere degli ideologi, né di fungere da difensori occulti di determinati interessi sociali. 8. La sintesi del «Manifesto» 8.1. Borghesia, proletariato e lotta di classe Il Manifesto del partito comunista (1848), nel quale Marx si propone di esporre «in faccia al mondo» gli scopi e i metodi dell'azione rivoluzionaria, rappresenta una stringata summa della concezione marxista del mondo. I punti salienti di esso sono: 1) l'analisi della funzione storica della borghesia; 2) il concetto della storia come dotta di classe» ed il rapporto fra proletari e comunisti; 3) la critica dei socialismi nonscientifici. Nella prima parte del Manifesto Marx descrive, con un'eloquenza brillante, la vicenda storica della borghesia, sintetizzandone, dal suo punto di vista, meriti e limiti. A differenza delle classi che hanno , dominato nel passato, che tendevano alla conservazione statica dei modi di produzione, la borghesia, secondo Marx, non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione e tutto l'insieme dei rapporti sociali. Di conseguenza, la borghesia appare una classe costituzionalmente dinamica, che ha dissolto non solo le vecchie condizioni di vita, ma anche idee e credenze tradizionali. La borghesia ha modificato la faccia della terra in una misura che non ha precedenti nella storia, mostrando ai popoli che cosa possa l'attività umana. Ha compiuto ben altre meraviglie che le piramidi d'Egitto, gli acquedotti di Roma e le cattedrali gotiche; ha portato a termine ben altre spedizioni che gli spostamenti dei popoli e le Crociate in Terrasanta. La borghesia ha realizzato per la prima volta l'unificazione del genere umano, poiché il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti l'ha spinta a percorrere tutto il globo terracqueo. Agevolando le comunicazioni e trascinando nella civiltà tutti i paesi, assoggettando l'Oriente all'Occidente, è riuscita a costruire un mercato mondiale e a porre le basi per un reale cosmopolitismo. Nello stesso tempo ha assoggettato la campagna alla città, distruggendo le antiche civiltà contadine e creando centri urbani immensi. In una parola, scrive Marx, essa si è creata un mondo a propria immagine e somiglianza. Senonché questa borghesia, che ha evocato come per incanto forze così gigantesche, assomiglia allo stregone che non riesce più a dominare le potenze infernali da lui evocate. Infatti le moderne forze produttive, sempre più sociali, si rivoltano contro i vecchi rapporti di proprietà, ancora privatistici e sottomessi alla logica del profitto personale, generando delle crisi terribili, che mettono in forse l'esistenza stessa del capitalismo. Tanto che il proletariato, classe oppressa della società borghese, non può fare a meno di mettere in opera una dura lotta di classe, volta al superamento del capitalismo e delle sue forme istituzionali e ideologiche. Il concetto della storia come «lotta di classe» è uno dei più significativi del Manifesto. Infatti, se in L'ideologia tedesca Marx pone come motore dello sviluppo sociale la dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione, in questa opera individua, come soggetto autentico di storia, la lotta fra le classi: 7 «La storia di ogni società, esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta». Come abbiamo già accennato, parlare di dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione da un lato e di lotta di classe dall'altro, dal punto di vista di Marx, nonostante qualche equivoco da parte dei suoi interpreti, significa dire la stessa cosa, poiché le forze produttive e i rapporti di produzione non sono «strutture senza soggetto», ma risultano incarnate concretamente da quei gruppi di «individui umani viventi» che sono le classi. Marx non si è mai attribuito il merito di avere «scoperto» l'esistenza delle classi nella società moderna, né la lotta esistente fra di loro. Infatti nella lettera a Weydemeyer del 5-III-1852 egli ammette francamente che molto prima di lui «storici borghesi hanno descritto lo sviluppo storico di questa lotta delle classi ed economisti borghesi ne hanno descritto l'anatomia economica». In realtà, come risulta dal seguito della lettera, e dall'intera opera di Marx, il suo contributo originale, a questo proposito, risiede piuttosto nell'aver puntualizzato che: 1) l'esistenza delle classi è legata a determinate fasi storiche di sviluppo della produzione; 2) le classi si definiscono essenzialmente in relazione alla proprietà o meno dei mezzi di produzione, la quale fa sì che in ogni epoca vi siano sempre due classi fondamentali; 3) la lotta di classe conduce «necessariamente», attraverso la dittatura del proletariato» (v. par. 10), alla soppressione di tutte le classi e ad una società senza classi. Tralasciando per ora l'argomento della presa del potere da parte del proletariato e concentrandoci sulle nozioni di classe e di partito, si noti come una delle caratteristiche del marxismo sia la distinzione fra classe «in sé» e «per sé». Con questa terminologia, che compare in seguito ma che sottintende un concetto già presente nel Manifesto, Marx intende dire che un conto è la classe intesa come aggregato di individui che in una data società si trovano in una situazione economico-sociale pressappoco identica, ed un conto è la classe intesa come unità autocosciente che lotta in modo solidale per i medesimi obiettivi. Evidentemente, una classe si trasforma in soggetto rivoluzionario solamente quando perviene alla coscienza di classe e aderisce al Partito comunista. Conformemente alle sue analisi del capitalismo come fatto mondiale, Marx insiste inoltre sull'internazionalismo della lotta proletaria e termina il Manifesto con il noto slogan rivoluzionario: «Proletari di tutti i Paesi, unitevi!». 8.2. La critica dei falsi socialismi Una delle sezioni più importanti del Manifesto è costituita dalla critica di Marx ai socialismi precedenti. Marx raggruppa e divide la letteratura socialista e comunista in tre tendenze di fondo: il socialismo reazionario, il socialismo conservatore o «borghese» e il socialismo e comunismo criticoutopistici. Schieramenti che vengono divisi, a loro volta, in altre sotto-correnti. 1) Il socialismo reazionario attacca la borghesia più secondo parametri conservatori, rivolti al passato, che secondo schemi rivoluzionari rivolti al futuro, proponendosi di «far girare all'indietro la ruota della storia». Esso presenta tre forme: «feudale», «piccolo-borghese» e «tedesca». Il socialismo feudale, medioevalistico e romanticheggiante (Marx allude ad esempio a certo »legittimismo francese» e alla «Giovane Inghilterra» capeggiata da Disraeli) auspica l'abolizione della società capitalistica moderna e dei suoi inconvenienti, acutizzati dalla Rivoluzione francese e dall'industrialismo, ed il recupero di un passato pre-rivoluzionario, pre-borghese e pre-industriale. Sebbene i feudali» cerchino l'alleanza del proletariato, in funzione anti-capitalistica, l'alleanza è basata su di un equivoco: infatti mentre i primi vogliono sostituire l'alienazione «attuale con una alienazione «passata» (di stampo medioevale), i secondi mirano al superamento di ogni alienazione. All'ombra del socialismo feudale prolifica anche un socialismo pretesco», il quale, secondo Marx, utilizza il messaggio evangelico per darsi una 'tinta socialistica». 8 Il socialismo piccolo-borghese, rappresentato soprattutto dall'economista svizzero Sismondi (17731842), esprime il punto di vista della piccola borghesia rovinata dal capitalismo industriale, che vorrebbe anch'essa il ritorno ad una situazione pre-borghese, facendo rivivere il sistema corporativo per l'industria manifatturiera ed il sistema patriarcale per l'agricoltura. Il socialismo«,tedesco»› o sedicente «vero socialismo» (Marx allude ad esempio a K. Grün, H. Kriege, B. Bauer, M. Hess ecc.), anch'esso di estrazione piccolo-borghese, rappresenta la traduzione germanica e «filosofica» del socialismo francese. Esso usa infatti una terminologia astratta ed interclassista, parlando più dell' «Uomo» che dei proletari. Inoltre, nella sua rabbia anti-borghese, finisce per sostenere i governi tedeschi della reazione, opponendosi in tal modo a quelle conquiste della borghesia liberale (Stato rappresentativo, libertà di stampa ecc.) che gli stessi operai avrebbero interesse ad ottenere. 2) Il socialismo conservatore o «borghese» è incarnato da quegli economisti, filantropi e umanitari che vorrebbero rimediare agli «inconvenienti» sociali del capitalismo, senza distruggere il capitalismo stesso. Infatti, nella loro mentalità a-dialettica, essi vorrebbero la borghesia senza il proletariato, «la proprietà senza il furto', il lato positivo del sistema borghese senza quello negativo, non accorgendosi che producendo se medesimo il capitalismo produce inevitabilmente i suoi inconvenienti, per cui esso non va «curato», bensì distrutto. Principale esponente di questa corrente è Proudhon, che Marx aveva già bersagliato nella Miseria della filosofia (1847), accusandolo di non comprendere il meccanismo della dialettica e l'importanza dell'antagonismo e delle contraddizioni, e di volere la proprietà senza i difetti che ne conseguono, proponendosi non già di eliminare la proprietà stessa, ma di distribuirla fra i lavoratori (del resto, la sua nota affermazione secondo cui la proprietà è un ,furto», rileva Marx, non fa che presuppone il concetto stesso di proprietà). 3) Il socialismo e il comunismo critico-utopistico è costituito da quella feconda corrente di idee premarxiane che conta soprattutto i nomi di Saint-Simon, Fourier e Owen. Pur avendo avuto il merito di scorgere l'antagonismo fra le classi e gli elementi di contraddizione esistenti nel mondo moderno, questi autori, che scrivono in un primo e poco sviluppato periodo della lotta del proletariato, hanno il limite, secondo Marx, di non riconoscere al proletariato una funzione storica e rivoluzionaria autonoma, e di fare appello a tutti i membri della società, compresi i ceti dominanti, per una pacifica azione di riforme, muovendosi in tal modo in una dimensione moralistica ed utopistica. Infatti, sganciati dalla realtà sociale concreta, questi socialisti hanno dedicato gran parte della propria opera alla delineazione di società «ideali». A questo tipo di socialismo «utopistico» Marx contrappone invece il proprio socialismo «scientifico», basato su di un'analisi critico-scientifica dei meccanismi sociali del capitalismo e sull'individuazione del proletariato come forza rivoluzionaria destinata ad abbattere il sistema borghese. La critica di Marx ed Engels al socialismo ,,utopistico» non impedisce che essi abbiano tratto da questa corrente importanti indicazioni circa la società del futuro. Ad esempio, idee ed espressioni come quelle circa l'abolizione dello «sfruttamento dell'uomo sull'uomo», della soppressione dello Stato politico» (v. par. 10), del superamento del contrasto fra città e campagna», della necessità di dare «a ciascuno secondo il suo lavoro» (v. par. 11), sono apertamente derivate dal socialismo francese. Tant'è vero che E. J. Hobsbawm, dati alla mano, ha scritto recentemente che «tutto, o quasi, ciò che Marx ed Engels hanno detto intorno alla forma concreta della società comunista si basa sui primi scritti utopistici». 9