La presentazione che mi è stata affidata ci porta a riflettere su un tema che negli ultimi anni è stato continuamente proposto, dibattuto, approfondito alla luce dei molti documenti conciliari e del magistero che parlano della Chiesa, del suo fondamento, della sua missione (Lumen Gentium, 1, 2a, 3). “La Chiesa comunità di chiamati” La vocazione dei cristiani nell’unica vocazione della Chiesa Vocazione è chiamata, è appello interiore col quale Dio chiama un’anima a donarsi totalmente a Lui. Ogni uomo è chiamato: deve solo scoprirlo ed accettarlo. In questo un’importanza straordinaria ha la comunità che deve essere il luogo ove la persona scopre la propria vocazione e questo è compito di ogni comunità nel senso più ampio del termine. Fondamentale è sicuramente la comunità familiare dove ciascuno di noi impara a muovere i primi passi ed inizia la propria formazione, i genitori sono i primi formatori ma subito dopo c’è il mondo che si apre, il mondo che offre molte cose belle che dobbiamo imparare a gustare ma anche molte occasioni di disorientamento. All’interno del mondo la Chiesa che deve essere sempre più accogliente, la Chiesa che non è un’entità astratta ma che è l’incontro di più persone con il Signore. “ La Chiesa comunità di chiamati”. Da questa affermazione emerge che la chiesa è innanzitutto comunità ed è comunità nella misura in cui ad essa partecipano tutti coloro che, in virtù della “chiamata” ricevuta si impegnano per la vita stessa della chiesa. Continuamente nei nostri incontri abbiamo molto parlato della figura del laico, del presbitero, della struttura della Chiesa (Papa, diocesi, parrocchie, piccole comunità). Vorrei dare per conosciuto tutto ciò. La proposta che vorrei fare questa sera è quella di sforzarci di fare un passo avanti e non perché non sia importante ricordare il perché oggi ci sentiamo tutti partecipi al cammino della chiesa ma perché vorrei veramente che fossimo tutti convinti che se oggi siamo qui riuniti in Sinodo, tutti noi abbiamo forte la convinzione di essere attori e non spettatori di quella che è la missione della Chiesa nel mondo. Molti relatori avrebbero sicuramente più competenza di me – e pertanto non lo voglio fare - per proporvi approfondimenti sui documenti conciliari, farci entrare maggiormente all’interno di quelle proposizioni che possono essere tratte dalle costituzioni conciliari come, ad esempio, dalla Lumen Gentium ove nei primi numeri si parla proprio della vocazione della Chiesa e del Cristiano, per riaffermare che con tale documento il Vaticano II ha posto le basi per una nuova riflessione sul tema della Chiesa e del laico. Si parla infatti, della Chiesa come mistero; non più come di un fatto puramente giuridico, ne solo come di una societas accanto ad un’altra societas, quella civile, Tale recupero non consente più, quindi, di porre il binomio laico – chierico in termini di spartizione di ruoli: la costituzione della Chiesa come compito dei chierici e quella della società civile come compito dei laici. La riflessione, poi, sul popolo di Dio posta prima di parlare della gerarchia e dei laici, tende a cogliere anche il laico come credente in Gesù Cristo, appartenente al Popolo di Dio e partecipe al triplice ufficio di Gesù sacerdotale, profetico e regale. I laici, infatti, sono i “..fedeli che, dopo essere stati incorporati a Cristo col battesimo e costituiti Popolo di Dio, per la loro parte compiono, nella Chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano. “ Il principio della totalità della Chiesa – osserva in un suo scritto il Card. Tettamanzi – proibisce assolutamente di riservare alcuni compiti alla gerarchia ed altri al laicato e spinge verso una definizione dei compiti dell’una e dell’altro non seguendo il criterio dei contenuti ma secondo quella dello stile: gerarchia e laicato nella Chiesa e nel mondo santificano – evangelizzano – animano cristianamente l’ordine temporale, ma la “gerarchia” agisce da gerarchia ed il laicato agisce da laicato” Quindi, secondo Tettamanzi, il problema da affrontare è praticamente quello di ridefinire le competenze specifiche dell’agire della gerarchia e del laicato, nella convinzione che la costituzione Lumen Gentium impedisce di configurare l’essere e l’agire del laico secondo una rigida contrapposizione di campo spirituale e campo temporale, di attività religiose e attività secolari, di opere direttamente religiose ed indirettamente religiose. Ecco perché, nel rispetto dei singoli ministeri, è necessario soffermarsi sull’unica vocazione della Chiesa da cui deriva direttamente anche un’unica missione ove tutti i cristiani, in virtù dell’appartenenza alla Chiesa ottenuta con il battesimo, devono sentirsi pienamente inseriti e partecipi. Il compito di noi sinodali è quello di tentare, attraverso una continua relazione fra noi, attraverso il confronto sostenuto dalla preghiera, di proporre alla nostra Chiesa Locale l’assunzione di atteggiamenti di comunione che ci portino a camminare sulla stessa strada verso un'unica meta anche se, a tale meta, potremo arrivare anche seguendo cammini diversi ed utilizzando mezzi di trasporto diversi. Ho accennato poco fa all’unica missione di cui dobbiamo essere partecipi: ho l’impressione che qui esista subito un tema da chiarire: partecipazione attiva e corresponsabilità o collaborazione? Spesso parliamo di collaborazione nelle nostre relazioni ad esempio con le strutture ecclesiali e questo è sicuramente giusto ma siamo sicuri che parlare di collaborazione non sia un po’ riduttivo o meglio a volte possa fornirci alibi per non operare se non stimolati dalla figura con la quale siamo chiamati a collaborare? Non sarebbe forse più corretto parlare di corresponsabilità o responsabilità comune cioè responsabilità di ciascuno di noi nel cercare di realizzare la nostra vocazione? Possiamo essere tranquilli di aver utilizzato bene i nostri talenti se spesso, visto che magari non abbiamo incontrato qualcuno che ci ha chiesto di utilizzarli, siamo andati a sotterrarli in attesa di tempi migliori? E’ solo un mio dubbio, una provocazione, ma lo pongo a voi affinché diventi anche vostra riflessione nel momento in cui siamo chiamati a dare un contributo importante al cammino di questa Chiesa. Cosa voglio dire in concreto: non possiamo più nasconderci dietro responsabilità altrui se vediamo che le cose non vanno! Certo questo non vuol dire che ognuno di noi abbia sempre ragione, ma solo attraverso il confronto, la comunione, la preghiera insieme, il sapersi accettare l’un l’altro, il sapersi rispettare, rispettando le diverse opinioni valorizzare la competenza di tutti, solo così potremo creare quella comunità viva e vivace che ci permetterà di testimoniare l’amore di Cristo agli altri. 1 I credenti sanno benissimo che l’esperienza nuova portata dal Vangelo e che ciascuno sta vivendo non è merito loro. L’incredibile notizia e la forza d’animo necessaria per accoglierla viene da Dio che interiormente muove alla fede. S. Paolo afferma con chiarezza; “Nessuno può dire: Gesù Signore! Se non per la forza dello Spirito Santo” Quindi, visto dal di dentro, l’avvenimento è sentito come una misteriosa presenza di Dio: la Chiesa esiste solo perché lo Spirito Santo anima interiormente l’incontro dei credenti nella fede. Ci dice la costituzione Gaudium et Spes: “ Il Popolo di Dio, mosso dalla fede, per cui crede di essere condotto dallo spirito del Signore, che riempie l’universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio. La fede infatti tutto rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell’uomo, e perciò guida l’intelligenza verso soluzioni pienamente umane. (GS 11a) Ecco perché è necessario riscoprire la vocazione della Chiesa intesa come “convocazione”: assemblea di chiamati. E’ necessario riscoprire l’essere profondo della Chiesa prima ancora che il suo operare. Le vocazioni diverse hanno tutte un unico obiettivo: annunciare il regno di Dio nella storia, rendere visibile Gesù Cristo, l’inviato del Padre. Afferma il nostro documento sinodale (l’instrumentum laboris) “ Nella comunità cristiana molte sono le vocazioni, ma unica è la missione ed ogni vocazione si apre ad una triplice dimensione: in rapporto a Cristo ogni chiamata è segno, in rapporto alla Chiesa è “mistero”, in rapporto al mondo è “missione” cioè testimonianza del Regno. Fatta questa premessa credo sia opportuno presentare il contenuto della tematica dell’instrumentum laboris che è oggi nelle Vostre mani affinché venga concretamente fatta propria ed eventualmente emendata durante i lavori di questo Sinodo. Dopo la prima parte in cui sono stati richiamati i fondamenti teologico pastorali del tema che è stato proposto (che viene completata nelle definizioni dall’allegato “Introduzione sulle vocazioni nella Chiesa” che è stato presentato a se stante per non appesantire l’esame del testo con definizioni che ormai, come dicevo all’inizio, dovremo dare per acquisite) si passa ad una lettura della nostra realtà diocesana che è frutto di una rilettura di quanto evidenziato dalle schede inviate alla segreteria dai singoli collegi sparsi per tutto il territorio della nostra Diocesi. Questa rilettura si compone di sei parti: Un popolo di chiamati; Chiamati alla vita; Chiamati alla fede; Chiamati alla santità; Chiamati alla comunione; Chiamati al servizio. Questa “chiamate” non sono un cammino che ci divide ma sono singoli aspetti di un’unica chiamata che ci deve appartenere. Ciascuno di noi è chiamato con una chiamata integrale ove devono trovare posto la considerazione della vita, della fede, la ricerca della santità personale, la voglia di far comunione fra noi, la disponibilità a servire gli altri. Un popolo di chiamati: La prima cosa che vorrei evidenziare è come, al di la di tutte le parole che diciamo quando parliamo di vocazione, dalla lettura delle schede emerge ancora una diffusa convinzione che quando si parla di vocazione si parla della vocazione al sacerdozio: questo disorienta perché viene meno la convinzione della “vocazione universale” a cui tutti sono chiamati; emerge una visione delle nostre comunità molto tradizionale dove la religione è considerata un insieme solo di gesti liturgici dove gli attori principali restano ancora preti e consacrati; Non sembra si sia ancora convinti che l’esperienza vocazionale è di tutti; Chiamati alla vita La vita è percepita come un dono, un valore, un viaggio meraviglioso. Un qualcosa che mi è stato donato e che mi tengo. Lo uso per la mia soddisfazione. Siamo molto condizionati più che da una visione della vita che guarda alle cose grandi che possiamo fare seguendo il messaggio evangelico, da una visione della vita che si concentra sulle cose materiali sullo stare bene in questa terra. Chiamati alla fede Le parole che usiamo sono corrette, sono molto belle, le espressioni sono di fiducia ma emerge una difficoltà a vivere appieno la nostra fede. Emerge un rapporto molto individuale con Dio dove non sempre la comunità è sentita come luogo necessario ad avvicinarci al Signore dove sperimentare insieme sia l’amore di Dio che quello che dobbiamo donare ai fratelli. Siamo buoni ma ciascuno opera autonomamente, con buone azioni che non sviluppano il senso della comunità e della comunione. Ricordiamo la parola “dove due o più si riuniscono là Io sono” Cosa significano queste parole?? Teniamo in mente questa domanda. Forse più tardi potremo tentare di darci una risposta. Chiamati alla santità Il concetto è chiaro a tutti ma questo traguardo sembra irraggiungibile: non mi ci metto nemmeno perché io sono peccatore. E’ già una sentenza. Ma Gesù chiama ciascuno di noi alla santità. Santo è considerato solo chi ha sofferto, chi è stato frustato, chi ha perso la vita per il Vangelo. Emerge una necessità di avere modelli santi dei nostri tempi e forse in questo ci ha aiutati il papa Giovanni Paolo II che durante il suo pontificato si è sforzato di presentarci persone come noi che sono state capaci di amare così tanto il Signore da essere portate ad esempio. 2 Chiamati alla comunione Tutti parlano di comunione, tutti la richiedono è considerata bene supremo. Esistono poi concretamente mille difficoltà a viverla veramente proprio a cominciare dalle piccole cose. Spesso facciamo fatica ad accettarci, a collaborare fra sacerdoti e laici, fra gruppi/associazioni che stanno vivendo esperienze o cammini diversi, quasi non fossimo tutti uniti dallo stesso Spirito. L’eucarestia è sentita come centro dell’azione ecclesiale ma si fa fatica a sentirla come l’espressione di un vissuto profondo di ringraziamento e di benedizione, vera sorgente e frutto della comunione Chiamati al servizio Coloro che hanno sperimentato la gioia di lavorare insieme si sentono felici ma non sempre riusciamo a lavorare insieme. In molti casi si sottolinea la grande difficoltà che c’è sia in Diocesi che nelle parrocchie a lavorare insieme. Insieme fra parrocchie, insieme fra laici, insieme fra laici e presbiteri. Sembra quasi che lo facciamo apposta. Abbiamo una grande forza, la possibilità di fare insieme cose belle e grandi ed invece sia per evitare la fatica che a volte il lavorare insieme comporta sia perché ci piace emergere, far prevalere il nostro gruppo, rimaniamo legati alle piccole cose e non portiamo avanti i grandi progetti. Due annotazioni importanti sono emerse e desidero veramente evidenziarle così come sono riportate nell’instrumentum laboris perché credo siano veramente importanti in quanto richieste specifiche e precise del popolo ai propri pastori: “Il ministero del sacerdote viene vissuto spesso come freddo e frettoloso: si avverte il bisogno di una maggiore spiritualità” “ si sente fortemente l’esigenza di un ministero ecclesiale più sereno: meno indaffarato, più attento alle persone e alle relazioni…” Sono state poi riassunte e rielaborate delle proposte operative incardinate in cinque ambiti: far crescere la Chiesa: educarci a vivere in comunità; un corpo con tante membra: scoprire ed apprezzare le diverse ministerialità; animati dallo spirito: formare la coscienza per essere santi. In continua conversione: il ruolo della formazione; testimoni e missionari per il mondo: servizio profetico del Regno. Far crescere la chiesa: educarci a vivere in comunità Ho cercato poco fa di far presente, attraverso le riposte dei collegi, quanto segnalato circa la difficoltà a vivere in comunità. Credo che questo sia uno dei primi problemi che questo Sinodo dovrà cercare di risolvere. E’ necessario individuare quei cammini, quegli strumenti che ci aiutino ad abbandonare il nostro individualismo, le nostre presunzioni, per impegnarci in qualcosa che abbia un respiro più ampio. Vivere e lavorare assieme agli altri è sicuramente più faticoso, più difficile che non fare le cose da soli ma se vorremo veramente far crescere la Chiesa quale comunità di chiamati dovremo abituarci a farlo. La nostra comunità diocesana ha dimostrato una particolare attenzione ed una volontà precisa di provare a lavorare insieme: lo testimonia la presenza sempre massiccia di persone a tutte le assemblee sinodali, presenza che forse qualcuno non si aspettava così numerosa ma soprattutto anche così costante. La voglia di stare insieme c’è bisogna organizzarla ma soprattutto dare alle persone la loro importanza. I laici sono sempre più presenti nelle vicende delle nostre comunità e pertanto è necessario un maggior loro coinvolgimento sia operativo ma anche progettuale. Ecco perché si segnala la forte necessità di rendere funzionali gli organismi di partecipazione: i consigli pastorale diocesano e parrocchiale i consigli per gli affari economici il Consiglio presbiterale gli organismi di comunione fra i religiosi Ma poi è necessario rendere la vita cristiana di ogni singolo componente sempre più comunitaria e per far questo non c’è altro modo che far si che le nostre comunità vivano intensamente. Dobbiamo far si che le nostre comunità diventino laboratori di comunione. Nella logica della comunione è pertanto opportuno chiedere a tutti cristiani di far parte di un gruppo. Non credo di dire nulla di sbagliato affermando che non è sufficiente andare a messa la domenica. Ogni cristiano deve sentire forte in se l’obbligo di crescere nella fede e per crescere nella fede è necessario pregare, testimoniare la carità, partecipare all’Eucarestia fare un cammino costante di formazione e tutto questo non può essere fatto individualmente. Vengono quindi presentati, secondo un ordine crescente, quelli che secondo la commissione sono i referenti che dovranno operare e quindi ai quali dobbiamo rivolgere il nostro invito Famiglia, gruppo, parrocchia, vicariato e diocesi Che hanno necessità di sostenersi a vicenda offrendo l’uno all’altro il proprio contributo nel rispetto reciproco ma anche nella logica della correzione fraterna e della sussidiarietà. Un corpo con tante membra: scoprire ed apprezzare le diverse ministerialità Nel momento in cui Dio entra dentro di noi, la nostra vita diventa la risposta ad una vocazione, il modo in cui decidiamo di viverla diventa missione, testimonianza. Importante qui il ruolo dei sacerdoti, dei catechisti e della comunità. Credo che gli educatori abbiano veramente il compito di aiutare le persone a scoprire la propria vocazione e la conseguente risposta 3 Il Vescovo: deve essere aiutato con sincerità a comprendere la realtà della diocesi, deve essere il primo a promuovere la comunione innanzitutto con i propri sacerdoti. Il sacerdote: educatore, maestro, deve imparare a rapportarsi di più con gli altri (Vescovo, laici ma soprattutto con gli altri sacerdoti) I laici devono collaborare attivamente….. I diaconi (soprattutto quelli permanenti): è necessario riscoprire veramente la loro funzione all’interno della nostra Chiesa locale. Troppo spesso vengono usati solo per celebrazioni e considerati “mezzi preti”. L’ordine diagonale ha una sua prerogativa forte e chiara: ricordiamo chi erano e cosa facevano i Diaconi nella chiesa dei primi secoli. I religiosi: Sta diminuendo al loro presenza in diocesi (almeno degli ordini tradizionali) ma stanno emergendo nuove realtà che possono portare tanta ricchezza. Con il loro esempio e soprattutto con la loro testimonianza di vita volta al trascendente ma concretamente inserita nella realtà quotidiana in mezzo alla gente possono aiutare la nostra Chiesa ad interrogarsi ed a crescere. Forse è necessario un loro maggior coinvolgimento anche nella progettualità diocesana. E’ però importante che migliori il loro coordinamento. Animati dallo spirito: formare la coscienza per essere santi La chiamata alla santità appartiene a tutto il popolo cristiano; il discorso delle beatitudini è una proposta concreta; Compito di ogni cristiano è la formazione della propria coscienza . L’incontro costante con la sacra scrittura ci aiuta a camminare sulla strada che il Signore ha disegnato per noi. Ci aiuta ad entrare nelle situazioni quotidiane con spirito evangelico. Continua conversione: il ruolo della formazione E’ sicuramente uno dei punti più importanti perché con quello che viene individuato come cammino di formazione si aiutano a crescere i cristiani. Ecco perché si deve parlare di formazione integrale della persona e di qui la richiesta affinché la diocesi si doti di cammini organici di formazione. Questo non vuol dire che oggi non ci sono esperienze già impostate ma credo che si possa fare di più: vengono proposti : una scuola di preghiera forgiata sulla liturgia l’incontro costante con la sacra scrittura il saper leggere i segni dei tempi tutto questo si ritiene, nella logica della chiesa comunità, possa essere fatto nei piccoli gruppi e all’interno delle parrocchie. Una maggior attenzione dei sacerdoti alle confessioni La direzione spirituale La partecipazione ad esercizi spirituali (è una pratica che solo pochi propongono ed attuano. Ma vengono veramente proposti nelle nostre parrocchie?? C’è uno sforzo almeno pari ad un quarto di quanto invece si fa per organizzare altre iniziative?? (Sagre, Pellegrinaggi/gite ecc). Si richiede inoltre un progetto organico per la formazione dei formatori (abbiamo tante esperienze ma manca un piano organico) Testimoni e missionari per il mondo: il servizio profetico del regno Siamo continuamente interpellati dalla nostra coscienza e dalle situazioni che impariamo a conoscere ogni giorno sui bisogni, non solo materiali, della gente del nostro tempo. Più volte i Vescovi ci hanno indicato delle strade (ricordiamo i convegni ecclesiali di Loreto e di Palermo). Oggi la nostra Chiesa deve scegliere se darsi una struttura in grado di dare risposte alle emergenze di questo mondo. Devo per forza essere provocatorio chiedendo a questo Sinodo di esprimersi se sia più importante puntare ad avere un parroco per ogni parrocchia o individuare alcuni sacerdoti che, assieme a laici, si impegnino in quelli che, il nostro documento, evidenzia come “campi specifici di missione”. Alcuni campi di missione Molto di quanto abbiamo detto sarà sicuramente più abbondantemente approfondito da altre commissioni. MI preme concludere questo intervento evidenziando però alcuni aspetti: La formazione degli operatori pastorali si intendono qui sia i sacerdoti, i laici, i religiosi che hanno compiti specifici da non confondere con il settore più ampio della formazione dei laici necessità di iniziative specifiche anche proposte culturalmente ed ecclesialmente più ampie I Centri culturali sono molti in Diocesi vanno censiti ma soprattutto coordinati il loro uso sia sinergico 4 Pastorale della carità fondamentale vivere la carità come servizio profetico ci sono tante esperienze, diverse strutture è necessario fare il punto della situazione al fine di fare un progetto complessivo opportuna la creazione della rete attraverso le Commissioni Caritas parrocchiali Pastorale della vita Crocevia di molte altre piste perché riguarda la carità, la cultura, la formazione, la scuola, i giovani e soprattutto la famiglia Sia l’ufficio famiglia ad occuparsi del coordinamento di questo settore in comunione con gli altri soggetti interessati Pastorale giovanile insieme alla famiglia il Sinodo ha individuato nella realtà giovanile un’urgenza. Anche i collegi hanno fatto spesso riferimento ai giovani. La nostra Chiesa Diocesana non ci sembra abbia investito molte energie in questo ambito I giovani vanno visti come persone bisognose di aiuto che chiedono solo disponibilità a stare con loro, condividere esperienze Per concludere attenzione al SOCIALE ed attenzione alla POLITICA Paolo Zaccagna 5