Anno A
5ª DOMENICA DI QUARESIMA
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Ez 37,12-14 - Metterò in voi il mio spirito e rivivrete.
Dal Salmo 129 - Rit.: Il Signore è bontà e misericordia.
Rm 8,8-11 - Lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi.
Canto al Vangelo - Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria! Io sono la risurrezione e la
vita, dice il Signore, chi crede in me non morrà in eterno. Lode a te, o Cristo, re di
eterna gloria!
 Gv 11,1-45 - Io sono la risurrezione e la vita.
Dalla morte alla vera vita
Cristo, «vero uomo come noi, pianse l’amico Lazzaro; Dio e Signore della vita lo richiamò
dal sepolcro»; egli «ci fa passare dalla morte alla vita». Questo «passaggio», di cui parla
il prefazio di oggi, può riassumere l’insegnamento che ci viene dalla parola di Dio in
questa domenica, mentre a grandi passi si avvicina la Pasqua.
Morte e vita in Gesù
Proprio perché la Pasqua è vicina, siamo richiamati con forza alla passione che attende il
Signore. Nella colletta imploriamo il Padre di venirci in aiuto ricordando «quella carità che
spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi». Nel Vangelo il pensiero della minaccia di morte
che incombe sul Maestro è ben presente ai discepoli che vorrebbero distoglierlo dal
proposito di recarsi di nuovo là dove poco prima i giudei avevano cercato di lapidarlo,
come nella generosa decisione di Tommaso: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Subito dopo il racconto della risurrezione di Lazzaro, Giovanni c’informerà della
«profezia» pronunciata inconsapevolmente dal sommo sacerdote Caifa, «che Gesù
doveva morire per la nazione» e della decisione di ucciderlo presa dai capi (12,49-53),
che poco dopo deliberarono «di uccidere anche Lazzaro». Gesù, dunque, si prepara a
soffrire e a morire.
A chi si domanda chi è Gesù, questo fatto dà una prima risposta, quella accennata dal
prefazio: «Vero uomo come noi». Perché l’uomo è destinato a morire e Gesù ha voluto
condividere in tutto la nostra sorte, tranne che nel peccato (cf Eb 4,15). Il prefazio vede
una manifestazione della vera umanità di Gesù nel fatto che «pianse l’amico Lazzaro». I
migliori sentimenti umani, quelli dell’affetto, dell’amicizia, Gesù li ha vissuti in tutto il loro
valore: «Il tuo amico è malato... Gesù scoppiò in pianto... Vedi come lo amava!». E
appunto perché amava Lazzaro, non esitò a ritornare là dove sapeva che la morte stava
in agguato; e fu l’amore per noi che lo spinse a dare la vita.
Ma quel Gesù che si prepara a morire è il medesimo che dice a Marta: «Io sono la
risurrezione e la vita». È il medesimo che, c’insegna s. Paolo, Dio «ha risuscitato dai
morti». Fra pochi giorni verrà il venerdì santo, ma presto le donne e i discepoli troveranno
il sepolcro vuoto e incontreranno il Risorto. Il fatto della risurrezione di Lazzaro, il più
lungo dei racconti di miracoli che ci ha lasciato Giovanni, è, nell’intenzione di Gesù e
dell’evangelista, un «segno» che deve suscitare, consolidare, ravvivare sempre più la
nostra fede in lui. Gesù lo dice a Marta: «Chi crede in me, anche se muore vivrà; chiunque
vive e crede in me, non morrà in eterno». E chiederà a lei una professione di fede; così
alla sorella Maria, immediatamente prima di compiere il miracolo, e pregherà il Padre ad
alta voce perché gli astanti «credano che tu mi hai mandato». La sua preghiera sarà
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esaudita: «Molti dei giudei... credettero in lui». Fede in Gesù, amore per Gesù, come
risposta all’amore che l’ha spinto a morire per noi.
Morte e vita in noi
La 1a lettura ci richiama una visione di morte. Il Signore aveva condotto Ezechiele in una
«pianura che era piena di ossa... in grandissima quantità sulla distesa della valle e tutte
inaridite». Poi segue la promessa riferita nel testo proclamato oggi, promessa che si
adempirà puntualmente: «Lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in
piedi». Era la profezia del ritorno di Israele dall’esilio nella patria. S. Girolamo indica il
significato spirituale della visione e del ritorno collegando il racconto di Ezechiele con la
risurrezione di Lazzaro. C’era un destino di morte che pesava sull’umanità a causa del
peccato, come c’insegna Paolo riassumendo quanto ha già spiegato prima. Cristo ci ha
ridato la vita comunicandoci il suo Spirito: «Se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a
causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione». Anche il corpo
mortale, in virtù dello Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti, avrà la vita per mezzo
dello Spirito che abita in noi.
Lo Spirito è stato dato anche a noi nel battesimo e dev’essere nostro impegno conservarlo
in noi, come dice s. Agostino: «Noi ricordiamo che, dopo la croce del Signore Salvatore,
tutto ciò è avvenuto spiritualmente e avviene ogni giorno, soprattutto in coloro che, legati
come Lazzaro nelle bende dei loro peccati, alla voce del Signore sono risuscitati... Ecco,
con l’aiuto della misericordia divina, noi abbiamo lo Spirito di Cristo: dal fatto che amiamo
la giustizia, che abbiamo una fede integra, la fede cattolica, sappiamo che lo Spirito di Dio
è in noi». Per questo, c’insegna ancora s. Paolo, non dobbiamo essere «sotto il dominio
della carne, ma dello Spirito». «Quella chiamata qui “carne” non è il corpo, né la natura
corporea, ma la vita carnale e mondana, quella che si abbandona alla mollezza e alla
dissolutezza, facendo sì che l’uomo sia tutto carne»: così s. Giovanni Crisostomo.
Domenica scorsa abbiamo appreso dallo stesso Paolo quali sono le «opere della carne» e
«i frutti dello Spirito». Ci viene in aiuto la preghiera del salmo responsoriale, che eravamo
abituati a intendere come preghiera per i morti ma che è prima di tutto l’invocazione
dell’uomo peccatore che attende fiducioso il perdono e la liberazione. L’abisso, spiega s.
Agostino, è la nostra «vita mortale», nella quale noi tendiamo a raggiungere il Creatore
che liberi la sua immagine che ha impresso su di noi.
Ma il Vangelo ci parla di uno che è veramente morto, che «già manda cattivo odore,
poiché è di quattro giorni». È un richiamo crudamente realistico alla morte che attende
tutti, ciascuno di noi, alla morte che abbiamo visto entrare in casa nostra, che ci ha visto
piangere, come Maria e lo stesso Gesù. Il Crisostomo ci consola: «Anche quando qualcuno
parte per un paese lontano noi piangiamo. Ebbene, piangi (sui tuoi morti) come se ti
accomiatassi da uno che parte... Non lo dico per dare un comando, ma so
comprendere...». Poi esorta a pregare per i morti ed aiutarli con elemosine e opere
buone. Se poi si tratta della morte di chi ha irradiato in vita gli splendori della santità,
possiamo ricordare ciò che dice s. Massimo, citando la parola di Gesù: «Io sono la
risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà», nella festa degli apostoli
Pietro e Paolo: «Non sono morti quelli di cui celebriamo oggi la nascita, ma rinati. Essi
vivono, perché sono partecipi di Cristo, che è la vita».
A conclusione viene opportuno il richiamo a una luminosa e consolante parola del
Vaticano II. Parlando di Cristo, «l’uomo perfetto», nel quale solo «trova vera luce il
mistero dell’uomo», dice: «Il cristiano... associato al mistero pasquale e assimilato alla
morte di Cristo, andrà incontro alla risurrezione confortato dalla speranza» (Gaudium et
Spes, 22). Questo avverrà se, «illuminati con gli insegnamenti della fede», pregheremo e
otterremo di «essere trasformati con la potenza» del sacrificio eucaristico, «inseriti come
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membra vive nel Cristo», avendo «comunicato al suo corpo e al suo sangue» (preghiera
sulle offerte e dopo la comunione).
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