Anno A
DOMENICA DELLE PALME
E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE
 Mt 21,1-11 - Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
 Is 50,4-7 - Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi, sapendo di non restare
deluso (terzo canto del Servo del Signore).
 Dal Salmo 21 - Rit.: Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?
 Fil 2,6-11 - Cristo umiliò se stesso, per questo Dio l’ha esaltato.
 Canto al Vangelo - Gloria e lode a te, o Cristo! Per noi Cristo si è fatto obbediente fino
alla morte, e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che
è sopra ogni altro nome. Gloria e lode a te, o Cristo!
 Mt 26,14–27,66 - La passione del Signore.
PER COMPRENDERE LA PAROLA
A) L’INGRESSO MESSIANICO
Il Vangelo delle Palme (Mt 21,1-11)
Il Vangelo non ci narra un trionfo, ma una festa popolare improvvisata e modesta.
Questa festa avviene per iniziativa di Gesù stesso, che ne fa un mezzo di
evangelizzazione: egli insegna quale sia la sua missione, la sua vera personalità. I
quattro evangelisti ce ne hanno trasmesso il racconto per consolidare la nostra fede,
prima del racconto della Passione.
Soltanto Matteo riporta una citazione profetica, piuttosto composita:
– Alcune parole rievocano Is 62,11: la gloria e la felicità di Gerusalemme consistono
nell’essere «sposata» dal Signore stesso. Si confronti la profezia riportata con i testi di
Osea (cap. 1, 2 e 11) e con Matteo 25,6: «Ecco lo sposo, andategli incontro».
– Un versetto di Zaccaria (9,9), accuratamente ritagliato dall’evangelista: è il re che
viene, l’asino è una cavalcatura regale, ma questa cavalcatura, questo puledro, è
interpretato come un segno di umiltà: Matteo rileva l’umiltà di colui che viene eliminando
i qualificativi più gloriosi della citazione: «giusto e vittorioso».
Seguendo Zaccaria, Matteo aggiunge l’asina al puledro dei racconti paralleli; egli però
insiste più degli altri sulla grandiosità della manifestazione; parla di folla che andava
innanzi e che veniva dietro. Gesù è il Messia umile, ma il compimento della profezia è un
avvenimento per il popolo.
Osanna: la parola è diventata una semplice acclamazione che può essere rivolta a
persone di ogni genere. La liturgia ne precisa il destinatario, aggiungendo questa o
quell’espressione che completa il termine.
La reazione dei sacerdoti e degli scribi sembra indicare che abbiano compreso il
significato del ruolo svolto da Gesù. Quanto più Gesù si manifesta, più provoca la loro
ostilità e più la passione diventa inevitabile (Mt 21,15-17).
B) LA MESSA DELLA PASSIONE
PRIMA LETTURA
Cristo è il profeta di Dio: disprezzato e umiliato nella sua passione, sa che il Padre non lo
abbandonerà, dal momento che egli ne compie la volontà.
Domenica delle Palme e di Passione “A” - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici
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Nel terzo poema sul «Servo di Iahvè» il profeta di Dio descrive il proprio atteggiamento.
Il «Servo» è probabilmente il popolo di Israele in rapporto con i pagani; ma il linguaggio
adoperato riflette una situazione tipica, come quella del profeta Geremia. In questo modo
diventa più facile applicare personalmente a Gesù (fino a certi dettagli della sua passione)
le sofferenze che il Servo sopporta in nome e per il suo popolo (v. 6; cf Mt 27,27-30).
Il profeta comprende e annuncia la parola di Dio (vv. 4-5); questa è appunto la sua
vocazione (cf Sal 39,8: «mi ha aperto le orecchie»), a cui non si sottrae malgrado le
resistenze interiori e le difficoltà esteriori di ogni genere. Sa che Dio è con lui: questo è il
fondamento della sua fortezza (v. 7) e della speranza nel buon esito della sua missione.
La Chiesa, e in essa ogni cristiano, è oggi profeta di Dio: la sua testimonianza deve
appoggiarsi ad una ricerca sempre più attenta del piano di Dio per il nostro tempo e ad
una fiducia incrollabile per resistere alla persecuzione, al disprezzo, all’indifferenza, alla
sufficienza o alla disperazione del mondo di fronte al suo annuncio di salvezza.
SALMO
Questo salmo di lamentazione di un giusto perseguitato è sempre stato tradizionalmente
interpretato in senso messianico. Gli autori recenti sono propensi a ritenere che il salmo
sia messianico solo in senso tipico. Ciò non impedisce di vedervi un preannuncio quanto
mai realistico e significativo della Passione di Cristo. Tale interpretazione viene
confermata anche dai numerosi riferimenti che fa a questo salmo il Nuovo Testamento.
Il salmista si rivolge a Dio in un momento critico della sua vita, con l’animo in lotta fra la
disperazione e la speranza. Incalzato e straziato dai nemici, egli erompe in un grido di
angoscia (v. 2) che pare non debba trovare risposta da parte di Dio. Allora espone la sua
triste condizione presentandosi come un misero verme oggetto di disprezzo e di scempio
(vv. 8-9.17-18a.19).
La descrizione è fatta con una ricchezza di particolari che richiamano al vivo e anticipano
altrettanti aspetti e momenti della Passione di Gesù; e si conclude con un accorato grido
di aiuto (v. 20).
La speranza e la fiducia che Dio interverrà sicuramente per salvarlo, non tardano a rifluire
nell’animo di questo giusto perseguitato (vv. 21-22); e la sua preghiera, da lamento si fa
rendimento di lode e di grazie a cui si associano l’assemblea di tutti i fedeli e il coro delle
nazioni (vv. 23-24ss.).
In questa domenica che celebra il trionfo (processione delle Palme) e la passione di Cristo
(Messa), la Chiesa si unisce a Gesù, servitore fedele e sofferente; e facendo proprie le
invocazioni da lui rivolte al Padre, immette nella sua preghiera liturgica le angosce e le
speranze di tutti i poveri, i sofferenti, i perseguitati che ci sono nel mondo, per i quali
Gesù Cristo ha offerto ed offre il suo sacrificio.
SECONDA LETTURA
S. Paolo invita i cristiani ad assumere gli atteggiamenti di Cristo, nella sua missione di
salvatore attraverso l’umiliazione della croce.
L’esegesi di questo passo non è facile. Si discute se questo inno cristologico sia anteriore
a Paolo e se egli l’abbia parzialmente modificato nel momento in cui lo cita.
Si possono distinguere due parti: vv. 6-8; 9-11, corrispondenti ai due tempi fondamentali
del mistero pasquale: umiliazione-morte; innalzamento-gloria.
È riconoscibile un collegamento con il Servo di Iahvè descritto da Is 53 (cf 1a lettura del
Venerdì Santo). Come questo, anche Cristo riceve la gloria dopo l’umiliazione;
l’umiliazione è volontaria, in obbedienza; c’è una identificazione ai fratelli e una
sofferenza espiatrice; il Servo è posto a capo di quelli che ha salvato. Il ruolo di «Servo»
corrisponde a una vocazione «religiosa», collegata con la salvezza e la redenzione del
popolo.
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• È riconoscibile un parallelo tra Adamo e Cristo: la situazione di peccato viene rovesciata.
Adamo, creato a immagine di Dio, aveva voluto essere, per propria decisione, «simile a
lui», arbitro della propria esistenza. Cristo invece «non ha tenuto gelosamente il suo
essere alla pari con Dio», ma liberamente si è spogliato degli onori che gli spettavano, per
apparire come un servo; si è spogliato della sua stessa vita, facendosi obbediente fino alla
morte di croce.
• L’esaltazione come «Signore» è un dono di Dio, in risposta alla sua obbedienza. Anche
l’antico Adamo era stato costituito signore di tutta la creazione: Cristo è riconosciuto
(«confessato») Signore degli uomini e degli esseri spirituali del cielo e degli inferi.
• L’insegnamento che l’apostolo vuole trarre da questa riflessione lirica sul mistero di
Cristo non è di carattere dogmatico, ma morale. Egli non intende spiegare le due nature
di Cristo, ma esorta i fedeli a comportarsi come lui (cf i versetti precedenti, Fil 2,1-5, e i
seguenti): «abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (v. 5), ponendosi gli uni a
servizio degli altri, dimenticando ciò che spetterebbe di diritto per favorire la crescita
degli altri (cf 2 Cor 8,9: «per voi si è fatto povero, lui che era ricco, perché nella sua
povertà voi diventaste ricchi». Cf anche Rm 15,1-3; Gal 4,1-5...).
La realtà dell’abbassamento di Cristo, la sua obbedienza fino alla croce, è il modello della
religione autentica, che non trova in se stessa (nei sacrifici rituali) la propria
giustificazione, ma consiste nell’obbedienza al piano di Dio, fino al sacrificio per i fratelli.
VANGELO: LA PASSIONE
La missione del Servo di Iahvè, annunciata nella 1a lettura, si compie in Gesù che offre al
Padre il sacrificio perfetto del Povero, sottomettendosi completamente alla sua
condizione di uomo nello spogliamento di sé fino alla morte.
Con la sua fedeltà al disegno di salvezza del Padre, Gesù Cristo realizza il destino divino
dell’uomo, operando per sé e per tutti gli uomini il passaggio dalla morte alla vita.
I Vangeli di questa domenica propongono, nei tre anni, la versione della Passione secondo
i sinottici. Essi hanno in comune un carattere di meditazione sul totale annientamento di
Gesù Cristo, che ha preferito passare attraverso la sofferenza e la morte offrendo al Padre
il sacrificio perfetto del povero, anziché valersi del ricorso alle ricchezze ed ai mezzi più
facili e comodi. Non è possibile, però, fare in questa sede un’analisi esauriente del lungo
racconto della Passione; è sufficiente rilevarne il tema centrale.
S. Matteo mette in evidenza il compimento delle Scritture: volendo dare una risposta ai
giudeo-cristiani che aspettavano un Messia trionfatore e glorioso, l’evangelista ricorre a
numerose citazioni della Scrittura per spiegare gli avvenimenti della passione con la
stessa Parola di Dio; e dimostrare così che le profezie avevano preannunciato un Messia
povero e perseguitato. A questo tema sottostà una precisa concezione teologica: lo
svolgersi della Passione non ha niente di accidentale, ogni minimo particolare era stato
previsto e rientra nel disegno di Dio per la salvezza del mondo.
Il riferimento ai passi principali della Passione secondo Matteo, che interessano questo
aspetto, basterà a dare un’idea della cura dell’evangelista nel dimostrare la sua tesi:
Il fatto
La predizione
L’angoscia di Gesù nel Getsemani (26,38-39)
era stata preannunciata in parecchi salmi (cf p. es. Sal 37; 42; 87).
Il tradimento (26,48-50)
era stato previsto nei Sal 40,10; 54,14.21-22.
L’arresto di Gesù a mano armata lo pone nel novero dei malfattori (26,47.50.55)
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e Gesù stesso rileva che ciò deve accadere perché si adempiano le Scritture (26,54.56; cf
Is 53,12).
Nell’interrogatorio davanti al Sinedrio
Gesù risponde con un esplicito richiamo alla profezia messianica di Dn 7,13.
Matteo è l’unico a narrare la morte di Giuda (27,3-10)
mettendola in relazione con due profezie di Geremia e di Zaccaria (Ger 32,6-9; Zc
11,12-13) citate con un libero adattamento.
Il silenzio di Gesù davanti a Pilato (27,14)
ricorda il silenzio del Servo sofferente (Is 53,7).
L’attenzione posta da Matteo nel sottolineare che Gesù fu dissetato con aceto (27,48)
è un richiamo al Sal 68,22.
Il grido di Gesù morente (27,46), le beffe di cui è fatto oggetto (27,39.41), la divisione e
il sorteggio delle vesti (27,35)
sono altrettanti riferimenti al Sal 21,1.8-9.19.
Il terremoto, il velo squarciato del tempio (27,51)
erano i segni che annunciavano il giorno di Iahvè (cf Am 8,8.9; 9,1).
Dopo tutti questi fatti, la conversione del centurione (27,54) può essere considerata come
primizia della conversione delle nazioni e segno della diffusione della salvezza di Cristo
nel mondo.
PER COMPRENDERE LA CELEBRAZIONE
Significato della liturgia di questa domenica
Inizio della Settimana Santa
Orienta le celebrazioni del Triduo pasquale, cioè quel breve periodo che richiama
l’espressione biblica «dopo tre giorni» (cf Os 6,2; Gio 2,1; Mt 12,40), durante i quali la
Chiesa celebra la passione e la risurrezione di Cristo (in realtà non sono tre giorni, ma due
giorni e tre notti: dal giovedì sera fino all’alba di Pasqua):
– Accompagnamento cronologico: il fatto avviene alcuni giorni prima della Pasqua. Cf Gv
12,1: «Sei giorni prima della Pasqua» e 12,12: «Il giorno seguente...». La Chiesa rivive
gli ultimi giorni di Gesù.
– Un mimo: la comunità cristiana è invitata a rivivere il corteo di Gesù che entra a
Gerusalemme.
Settimana Santa semplificata
Per la maggioranza dei cristiani la celebrazione pasquale si limiterà alla liturgia di questa
domenica: la Passione, e a quella della domenica di Pasqua: la Risurrezione.
Nota. Ogni anno noi cerchiamo di curare in modo particolare le funzioni del Triduo
pasquale, ed è normale: coloro che vi partecipano ci incoraggiano; ma non
dimentichiamo che per la maggior parte dei praticanti il mistero pasquale si celebra in
due domeniche.
Questa VI domenica di Quaresima comporta una duplice celebrazione: la liturgia delle
Palme e la Messa della Passione.
A) LA LITURGIA DELLE PALME
1. Significato del mistero celebrato
a) Un’acclamazione al Re Messia.
Quest’acclamazione è un atto di fede essenziale prima della Passione: Cristo è l’inviato di
Dio; egli è dunque certo, e noi con lui, della vittoria. Senza questo atto preliminare di
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fede, la celebrazione della Passione potrebbe cadere nel sentimentalismo, o anche nel
rigetto della fede cristiana.
Provocando questo corteo messianico, Gesù ha voluto ravvivare la fede dei suoi. Lo aveva
già fatto precedentemente per mezzo della Trasfigurazione e con tutti i segni della sua
potenza. Noi rinnoviamo simbolicamente questo corteo per lo stesso scopo: affermare
con forza la nostra fede.
b) Una manifestazione umile e modesta, conforme al messianismo in cui è entrato Gesù;
non un trionfo, ma la scorta di un piccolo numero di bambini e di persone semplici a un re
pacifico salito su un puledro figlio di asina.
c) La celebrazione di un ingresso, dunque:
– Un cammino avviato e che continua a compiersi: l’ingresso di Gesù a Gerusalemme fu
improvvisato, realizzato spontaneamente con le persone che si trovavano là; non ha
niente del trionfo che richiede preparativi e che ha termine; qui è veramente un inizio,
una introduzione che potrà essere ripresa, continuata: celebrarlo vuol dire riprenderlo per
farlo nostro.
– Un cammino inaugurato da Gesù Cristo, qualcosa di già avvenuto. Il Signore si trova già
nella condizione di stabilire il suo regno di soavità e di umiltà a partire dalla sua Passione
e Risurrezione; il corteo delle palme non è che il simbolo del vero ingresso: quello della
sua Passione-Risurrezione per cui diventa Signore (Fil 2,11; At 2,36).
2. Modo di celebrarla
a) Consiste nel fare, qualunque sia il rito, un atto di fede nella persona di Cristo.
Adoperarsi per risvegliare questo atto di fede personale: monizioni, proclamazione del
Vangelo, tempi di silenzio. Far esprimere questa fede con acclamazioni semplici e note o
canti molto popolari; in ambiente più tradizionalista, non esitare a proclamare il Credo in
latino.
b) È un atto preparatorio alla celebrazione del mistero pasquale. Questo orientamento
può essere sottolineato dall’importanza data alla Croce durante la liturgia delle Palme.
Occorre attirare l’attenzione su di essa non soltanto come ricordo della Passione, ma
soprattutto come segno della vittoria pasquale di Cristo.
c) È un ingresso...
– Se noi continuiamo quello che Gesù ha incominciato, vuol dire che non è ancora
compiuto, è sempre in via di svolgimento... Allora non bisogna aspettare che tutto sia
perfetto per realizzarlo.
– Occorre anche ritrovare l’atmosfera di umile modestia e di semplicità: i fanciulli hanno
un ruolo importante in questa celebrazione; con la loro presenza possono creare il clima
di spontaneità adatto a questo ingresso.
– Si tratta soprattutto di realizzare l’accoglienza di un Cristo umile, facendo entrare la
comunità nello spirito del regno che egli è venuto a instaurare.
d) Tutto ciò potrebbe
– esprimersi in alcuni canti ben scelti e ben conosciuti dal popolo;
– portare a un gesto in cui si esprima la fraternità cristiana, prima di affrontare la
celebrazione della Passione: per esempio, decorare insieme l’altare e la croce;
– terminare con un’adorazione silenziosa della croce per alcuni istanti.
B) LA MESSA DELLA PASSIONE
1. Quale mistero celebrare?
– La Passione. Si veda Venerdì Santo: Quale mistero celebrare?
– Questa Messa si celebra sia per coloro che vogliono iniziare una Settimana di intimità
con Cristo Salvatore; sia per i praticanti della domenica che ritorneranno in chiesa
soltanto la domenica di Pasqua.
2. Come celebrare?
Domenica delle Palme e di Passione “A” - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici
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– Più di ogni altra domenica, considerata la lunghezza della doppia celebrazione, bisogna
stare attenti al ritmo dell’insieme. È necessario evitare ad ogni costo ciò che la
renderebbe ancora più lunga: esitazioni, tempi morti, precipitazione... Preoccuparsi di
risvegliare l’interesse con interventi discreti e sobri, quindi seriamente preparati.
– In molte comunità occorrerà essere particolarmente attenti alla composizione delle
assemblee che partecipano alla Messa di questa domenica; sarà necessario tener conto
delle motivazioni molto diverse dei partecipanti:
– alcuni saranno venuti a prendere l’ulivo benedetto e rimarranno alla Messa;
– altri saranno presenti come nelle grandi feste;
– altri infine sono presenti come ogni domenica. Alcuni parteciperanno a tutte le
celebrazioni della Settimana Santa.
PER ANNUNCIARE LA PAROLA (piste di omelia)
Il sacrificio spirituale del Povero
1. Il sacrificio nell’Antico Testamento
Il sacrificio è sempre stato considerato, presso tutti i popoli, come l’espressione più
significativa del senso religioso dell’uomo.
Anche presso Israele la vita individuale, familiare e nazionale era consacrata dall’offerta
di sacrifici; da quelli più antichi e primitivi che consistevano nella semplice offerta di
animali e di prodotti della terra (cf Gn 4,3; 12,7), fino ai sacrifici solenni e opulenti del
tempio di Gerusalemme, che il rituale levitico regolava in modo sistematico e preciso e
che dovevano attirare sul popolo abbondanti benedizioni divine (cf 1 Re 8,5; Lv 1-3;
23-24).
Ma il moltiplicarsi di riti e di forme sacrificali portò Israele a fermarsi all’esteriorità e alla
materialità dell’azione cultuale, smarrendone il senso religioso più profondo.
Inoltre, poiché la ricchezza era considerata un segno della benedizione di Dio e solo i
ricchi potevano offrire sacrifici di grande valore, era invalsa la concezione che i poveri non
fossero amati da Dio, che la loro condizione fosse un castigo e una conseguenza del
peccato; ed essi stessi, non avendo la possibilità di offrire a Dio ricchi sacrifici materiali,
si consideravano uomini spregevoli e da poco.
Dio dovette perciò educare a lungo il suo popolo, per portarlo alla comprensione del
sacrificio spirituale che Cristo per primo ha offerto al Padre con cuore di povero, nel
compimento fedele e perfetto della volontà divina. Infatti ciò che attira il favore e l’aiuto
di Dio, è un atteggiamento interiore di umiltà; di offerta spirituale di se stessi; di
riconoscimento – da parte dell’uomo – della propria radicale povertà e del bisogno di una
liberazione spirituale che da soli non siamo capaci di raggiungere ma che possiamo
soltanto invocare e sperare da Dio. Sono le disposizioni espresse in numerosi salmi e negli
scritti dei profeti (cf Sal 21; 49,12-15.22-23; Is 66,2; Dn 3,37-40).
Questa povertà è il sacrificio spirituale gradito a Dio; essa è come personificata nei
«poveri di Iahvè», cioè nei membri del popolo di Dio che hanno conservato un cuore
fedele, sinceramente rivolto al Signore, sottomesso alla sua volontà, disposto ad
accogliere da lui la salvezza e la liberazione.
Nella linea dei «poveri in spirito» si colloca il «Servo di Iahvè» di cui parla il profeta Isaia,
delineandone la figura un po’ misteriosa. Mandato da Dio per salvare il suo popolo (cf Is
43,6-7; 50,4-5 - 1a lettura), è costretto a sopportare persecuzioni, maltrattamenti e
oltraggi (cf Is 50,6); tuttavia accetta tutto con pazienza e mitezza (cf Is 53,7) convinto
che Dio lo salverà (cf Is 50,7 - 1a lettura); e compie la sua missione offrendo se stesso,
vittima innocente, per espiare i peccati altrui (cf Is 53,4.6.10a.12b). Per questo Dio lo
esalterà e glorificherà (cf Is 52,13; 53,10b.11a.12a).
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2. Gesù, servo povero e sofferente, offre il sacrificio spirituale gradito a Dio
Gesù Cristo realizza pienamente la figura del Servo povero e sofferente e il suo sacrificio
spirituale.
Egli viene come un povero per salvare i poveri e portare loro il lieto annuncio della
liberazione (cf Mt 8,19-20; 11,5; 2 Cor 8,9).
Ma è soprattutto in senso spirituale che Gesù abbraccia la condizione di povero: facendo
sua la condizione di tutti gli uomini assume l’atteggiamento di radicale povertà dell’uomo
di fronte a Dio (cf Fil 2,6-8 - 2a lettura).
Inoltre, Gesù assume la condizione del peccatore di fronte a Dio (cf 2 Cor 5,21; 1 Pt 2,24),
realizzando pienamente la profezia di Isaia: «Per le iniquità del mio popolo fui percosso a
morte» (cf Is 53,8).
Con un atteggiamento di obbedienza e di amore accetta la morte in croce (cf Mt 26,39; Mc
14,36; Lc 22,42 - Vangeli) e realizza così, in termini umani, la sua relazione di Figlio
totalmente rivolto al Padre.
Sulla croce si rivolge al Padre facendo proprie le parole dei Salmi dei poveri (Sal 21,2;
citato da Mt 27,46; Sal 30,6, citato da Lc 23,46) e manifesta così la sua volontà di offrire
al Padre il sacrificio spirituale della propria povertà.
Nel momento della morte è il più povero di tutti gli uomini; il misero che supplica e invoca
il soccorso di Dio nel colmo dell’angustia e della desolazione.
Il grido di Gesù è stato ascoltato: il Servo povero e obbediente è stato liberato ed esaltato
da Dio (cf Fil 2,9-11 - 2a lettura) ed è diventato per noi giustizia, santificazione e
redenzione (cf 1 Cor 1,30), avendo ricevuto il potere di salvare tutti coloro che associa
alla sua povertà (cf Eb 5,9; 10,14).
3. La Chiesa di Cristo: Chiesa dei poveri
«Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure
la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della
salvezza...» (Lumen gentium, 8).
La Chiesa realizza in diversi modi la missione di salvare gli uomini attraverso la povertà:
• Chiamata, per volontà di Gesù Cristo stesso, ad essere santa e immacolata (cf Ef 5,27),
riconosce tuttavia che i suoi membri sono soggetti alla condizione di peccatori e quindi
sempre bisognosi di purificazione e di penitenza (cf Lumen gentium, 8 c.f.).
• Sopporta pazientemente oppressioni e ingiustizie nei suoi membri perseguitati (Chiesa
del silenzio, ecc.).
• Pur avendo bisogno anche di mezzi umani per compiere la sua missione, sa tuttavia che
non deve riporre principalmente in essi la sua fiducia, ma nell’umiltà, nel sacrificio, nella
forza che le viene da Cristo.
• Come Gesù Cristo è venuto per salvare i poveri, così la sua Chiesa rivolge le sue cure
specialmente ai membri della famiglia umana più poveri spiritualmente e materialmente;
ai sofferenti, a coloro che sono perseguitati per causa della giustizia (Lumen gentium, 23;
Gaudium et spes, 1).
In tal modo, la Chiesa continua ad offrire al Padre, in spirito di povertà, il medesimo
sacrificio di Cristo, «sostenuta dalla forza della grazia di Dio, promessa dal Signore,
affinché per l’umana debolezza non venga meno alla perfetta fedeltà, ma permanga
degna sposa del suo Signore, e non cessi... di rinnovare se stessa, finché attraverso la
croce giunga alla luce che non conosce tramonto» (Lumen gentium, 9).
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