Anno A
1ª DOMENICA DI QUARESIMA
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Gn 2,7-9; 3,1-7 - La creazione dei progenitori e il loro peccato.
Dal Salmo 50 - Rit.: Perdonaci, Signore: abbiamo peccato.
Rm 5,12-19 - Dove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia.
Canto al Vangelo - Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria! Non di solo pane vive
l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio. Lode a te, o Cristo, re di eterna
gloria!
 Mt 4,1-11 - Gesù digiuna per quaranta giorni nel deserto ed è tentato.
«Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere
tentato…»
La Quaresima è tutta polarizzata verso la Pasqua, che è la festa primordiale: attraverso il
più intenso ascolto della Parola di Dio, la preghiera e la penitenza i catecumeni si
preparavano a ricevere il Battesimo nella «vigilia» pasquale.
Un lungo itinerario, dunque, per arrivare al traguardo della «vita nuova» in Cristo,
contrassegnato da un numero, «quaranta», che nella tradizione biblica rappresenta
sempre un periodo di particolare impegno e di particolare tensione prima dell’incontro
con Dio: si pensi ai quarant’anni di peregrinazione d’Israele nel deserto (cf Es 34,28; Dt
9,9), ai quaranta giorni e alle quaranta notti di Mosè sul monte (cf Dt 8,24) e di Elia in
cammino verso l’Oreb (cf 1 Re 19,8).
Non è facile per nessuno raggiungere Dio, neppure per Gesù. È necessario far silenzio, far
vuoto attorno a sé e dentro di sé; c’è bisogno di lasciarsi invadere dalla Parola del
Signore, quasi di lasciarla scolpire nel nostro cuore, come Mosè la scolpì sulle pietre nella
solitudine del Sinai; è necessario soprattutto vincere Satana, cioè «l’avversario» (cf Gb
1,6), che tenta continuamente di ingenerare in noi il «sospetto» che il disegno di Dio non
sia buono e disinteressato nei nostri riguardi.
Sono queste le esigenze fondamentali che la Quaresima intende riproporre a ognuno di
noi, prendendoci oggi per mano per condurci, in una lenta peregrinazione interiore, a un
nuovo e più esaltante incontro con Cristo «nostra Pasqua» (1 Cor 5,7).
Il significato delle «tentazioni» di Gesù
E siccome anche Gesù ha vissuto una sua drammatica e sofferta esperienza
«quaresimale», è chiaro che la Liturgia non poteva aiutarci meglio che riproponendola
alla nostra attenzione e alla nostra «fede». C’è bisogno, infatti, di un radicale
atteggiamento di fede per accogliere il messaggio di quel misterioso e sconvolgente
racconto delle «tentazioni» di Gesù nel deserto.
Quest’anno il racconto ci viene presentato nella redazione di san Matteo che è molto più
diffusa della scarna redazione di Marco (1,12-13: appena due versetti!) e coincide invece
quasi sostanzialmente con quella di Luca (4,1-13).
I problemi che questa narrazione propone sono molteplici, sia di carattere
critico-letterario che storico, e noi non possiamo affrontarli qui. Vorremmo solo notare
che gli studiosi sono sostanzialmente d’accordo nel sottolineare la forte
«drammatizzazione» con cui vengono presentate le singole tentazioni, le quali perciò non
devono essere intese come se fossero davvero la descrizione «fotografica» di quanto
avvenne nell’animo di Gesù in quel suo drammatico confronto con Satana.
1ª domenica di Quaresima “A” - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici
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«Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal Diavolo. E dopo
aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame» (Mt 4,1-2).
È interessante notare che è lo «Spirito» di Dio, che da poco è disceso sopra di lui «come
una colomba» (3,16) dopo essere stato battezzato da Giovanni, che lo «conduce» nel
deserto «per esservi tentato». Ciò indica anzitutto che la «tentazione» qui descritta
rientra nel piano di Dio ed è benefica sia per Cristo che per noi; in secondo luogo, che è
una tentazione di tipo «messianico», seguendo essa immediatamente la proclamazione
del Padre, che aveva dichiarato al mondo: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi
sono compiaciuto» (3,17). Satana, infatti, si avvicinerà a Cristo cercando di «saggiarlo»
per ben due volte su questa precisa identità messianica: «Se sei Figlio di Dio...» (vv. 3.5).
E non solo di «saggiarlo», ma anche di «sollecitarlo» a una precisa scelta di messianismo.
Nella fremente attesa di quei tempi, c’era spazio per tutte le speranze e per tutte le
illusioni: data la particolare situazione politica della Palestina, sottoposta al dominio degli
odiati Romani, era prevalente il desiderio di un rovesciamento violento delle cose. Un
Messia potente, che facesse ricorso anche alla forza delle armi per ristabilire il prestigio e
la dignità d’Israele era quanto i più sognavano in cuor loro: il movimento degli Zeloti, che
oggi conosciamo anche meglio, sta a dirci quanto questa attesa fosse diffusa.
Ma anche a prescindere da questa coloritura di messianismo «politico», erano ben pochi
(o forse non ce n’erano affatto) quelli che si aspettavano un Messia umile e sofferente, sul
tipo di quello preannunciato da Isaia nei suoi famosi «canti» e a cui faceva riferimento la
solenne proclamazione sopra ricordata: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi
sono compiaciuto» (cf Is 42,1). Quando Gesù predirà agli Apostoli la sua morte, Pietro
reagirà in maniera violenta rimproverandolo duramente: «Dio te ne scampi, Signore;
questo non ti accadrà mai!» (Mt 16,22). E proprio in quella occasione Gesù lo respingerà
con parole aspre, che indubbiamente richiamano la scena delle tentazioni nel deserto:
«Lungi da me, satana. Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo
gli uomini» (16,23).
Pietro è chiamato «satana» perché tenta di allontanare Cristo dalla via della croce. Il
Diavolo che «tenta» Cristo nel deserto cerca pure di sviare Gesù dalla «obbedienza» al
Padre, proponendogli un messianismo facile, di successo immediato, di potenza e di
prestigio; un messianismo per cui tutti possano battere le mani, senza che nessuno gli
gridi «crucifige!».
Si capisce allora come le tentazioni di Satana fossero sottili e penetranti e come Cristo
abbia dovuto combattere una battaglia drammatica per superarle. E si capisce anche
come l’Evangelista, pur riducendo a un episodio «singolo» la storia delle tentazioni, abbia
voluto di fatto «condensare» in esso l’esperienza di «tutta» la vita di Cristo: «Infatti non
abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo
stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato» (Eb 4,15).
Fin sopra la croce Cristo fu tentato di seguire la via del messianismo facile: «Ha salvato gli
altri, non può salvare se stesso. È il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo»
(Mt 27,42). Anche qui la richiesta del gesto di potenza, del miracolo gratuito, per
riceverne immediato vantaggio e trascinarsi dietro la folla, proprio come nelle tentazioni
del deserto!
«Se sei Figlio di Dio, di’ che questi sassi diventino pane»
È facile vedere nella descrizione dei vv. 2-10, così vivamente drammatizzata, una
progressione di grande effetto: dalla cosa più semplice e innocente, come è quella di
procacciarsi il pane dopo un lungo periodo di digiuno, fino a un vero e provocatorio invito
a un gesto di «idolatria»: «Tutte queste cose io ti darà se, prostrandoti, mi adorerai» (v.
9). L’ultima tentazione è la più grossolana, però solo apparentemente: in realtà è la più
sottile, nel senso che è lo sbocco fatale di chiunque cerca a tutti i costi di affermare se
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stesso e il proprio prestigio. Quando l’uomo non si uniforma più al piano di Dio, è
totalmente disponibile per un’altra signoria: quella di Satana. Soprattutto se essa si
presenta con il fascino e l’attrattiva del potere e della ricchezza!
«Idolatria» è l’atteggiamento di ogni uomo che pone la sua fiducia in qualsiasi altra cosa
all’infuori di Dio: anche il progresso può diventare un idolo, e così la politica, la scienza,
il sesso, e perfino la «virtù» quando fosse una forma di autocompiacimento.
«Ma Gesù gli rispose: «“Sta scritto...”»
Come vince Cristo le molteplici e sottili tentazioni insinuategli da Satana? Con una
aderenza e una fedeltà incrollabile alla «Parola di Dio», che diventa davvero «luce ai suoi
passi» (Sal 119,105) e «alimento» e forza per tutte le sue decisioni. Ad ogni proposta di
Satana egli risponde con un rimando preciso alla volontà di Dio, espressa nella Bibbia.
Quel martellante «Sta scritto», che ricorre puntualmente tre volte (vv. 4.7.10) sulla
bocca di Gesù, vuole esprimere la sua decisione di non deflettere neppure di una virgola
da un disegno già preordinato e che lo trascende.
E tutte e tre le citazioni di Gesù mettono in evidenza non solo la sovranità unica e assoluta
della Parola, ma anche la «esclusività» di Dio come valore ultimo, dal quale quella stessa
Parola desume tutta la sua forza. «Ma egli rispose: “Sta scritto: Non di solo pane vivrà
l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (cf Dt 8,3)... Gesù gli rispose: “Sta
scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo” (cf Dt 6,16)... Ma Gesù gli rispose: “Vattene,
satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto” (cf Dt 6,13)» (vv.
4.7.10).
Particolarmente significative sono le parole della prima citazione, con le quali Mosè
rimprovera il popolo d’Israele di essere diffidente verso Dio, che pur lo aveva saziato con
la manna nel deserto: la «Parola» di Dio è più preziosa del «pane» che egli dona agli
uomini! È di quella che Israele deve soprattutto cibarsi per avere vita, anche materiale.
Se invece il rapporto con Dio si riduce a un rapporto di interesse solo materiale, già
cadiamo in una forma di idolatria.
«Riducendo Dio a garante della prosperità materiale, del regno di questo mondo e del
miracolo che sostituisce la fede, lo confondiamo con un idolo. Dimentichiamo che il pane
è al servizio dell’uomo e del suo vero regno. Distruggiamo la fiducia e ignoriamo che il
destino degli uomini è più grande che il mondo intero».1
La «tentazione» dei progenitori
L’atteggiamento di fedeltà radicale di Gesù alla Parola di Dio nella grande lotta dei
quaranta giorni non solo contrasta con le molteplici infedeltà e ribellioni degli Ebrei nel
deserto, a cui rimanda il tema della tentazione e lo stesso numero «quaranta», come
mettono in evidenza gli studiosi, ma anche con l’atteggiamento dei progenitori. È quanto
ha voluto sottolineare la Liturgia odierna, proponendo alla nostra attenzione una lettura
abbreviata del racconto della creazione e della caduta dei primogenitori (Gn 2,7-9;
3,1-7).
Anche qui siamo davanti ad una prova, voluta da Dio, e che naturalmente poteva e
doveva essere benefica. Anche qui compare Satana nella veste di «tentatore», che cerca
di suggestionare i progenitori partendo dalle cose più innocenti e più scontate: perché
non mangiare di un «frutto» che stava a portata di mano ed era «gradito agli occhi e
desiderabile per acquistare saggezza»? (Gn 3,6). Anche qui c’è una «Parola» di Dio da
osservare e a cui è legato tutto un disegno di salvezza o di rovina: «Dei frutti degli alberi
del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino
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J. PIKAZA, Leggere Matteo, Marietti, Torino 1977, p. 37.
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Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morrete» (Gn
3,3).
Però qui l’esito è disastroso. Satana riesce prima a far dubitare della veracità e della
sincerità della Parola di Dio, e quindi induce a ribellarsi ad essa: «È vero che Dio ha detto:
Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?... Non morirete affatto! Anzi, Dio sa
che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio,
conoscendo il bene e il male» (Gn 3,1.4-5). In realtà gli occhi dei progenitori «si
aprirono», dopo che ebbero mangiato del frutto dell’albero proibito, ma per accorgersi «di
essere nudi» (v. 7). La disubbidienza ha portato amare conseguenze!
Il contrasto con l’atteggiamento di Cristo è drammatico: lui, che «pure era di natura
divina, si fece obbediente fino alla morte di croce» (Fil 2,6-8); i progenitori invece, che
erano soltanto povere creature umane, hanno sognato di «diventare come Dio»,
compiendo un gesto di ribellione e di autonomia. Hanno pensato che «l’obbedienza» alla
Parola di Dio li mortificasse e togliesse loro ogni libertà. Per questo hanno trascinato nella
rovina non solo se stessi, ma tutti noi.
«Come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo...»
Anche il densissimo brano paolino richiama a questo drammatico contrasto fra
l’atteggiamento di Cristo e quello del primo Adamo, con risultati totalmente inversi:
«Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così
anche per l’opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustizia che dà
vita. Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti
peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti» (Rm
5,18-19).
Penso che sostanzialmente questo sia la Quaresima: un faticoso incamminarci per la via
della «giustizia», riconquistataci da Cristo, seguendo il suo esempio di assoluta fedeltà e
«obbedienza» alla Parola di Dio, fino alla morte.
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