Definizione formale: il livello noetico 1. L’esperienza e la sua formulazione nei giudizi Il termine esperienza ( donde empirico, empirismo) se non si operano arbitrarie ed aprioristiche riduzioni - come per esempio la riduzione alle idee tipica del razionalismo, o la riduzione alle percezioni tipica dell’empirismo -, indica indistintamente tutto ciò che nella conoscenza umana è dato, ossia precede e fonda ogni riflessione. Ma nell’esperienza va distinto ciò che è relativo al singolo soggetto da ciò che è assolutamente proprio della natura umana, quella in cui tutti possono riconoscersi e alla quale possono fare riferimento per comunicare fra loro. L’esperienza ha vari livelli di formulazione logica: l’intuizione dell’essenza (simplex apprehensio); il giudizio (adaequatio rei et intellectus); ed infine il raziocinio che combina vari giudizi già formulati per giungere logicamente alla formulazione di un nuovo giudizio. Il senso comune si colloca al livello della formulazione dell’esperienza comune mediante giudizi di evidenza immediata e giudizi di evidenza mediata. Vladimir Solov’ëv rileva le aporie della filosofia che non è fedele alla totalità dell’esperienza: “La conoscenza empirica (sia nell’esperienza esterna che in quella interna) e la conoscenza logica o apriorica non costituiscono due ambiti del sapere radicalmente separati e indipendenti: essi sono necessari l’uno all’altro, così come la conoscenza empirica è possibile solo in presenza di condizioni logiche, e la conoscenza logica è reale soltanto in presenza di un contenuto empirico”. Si sente l’esigenza di dare all’esperienza il suo primato. Si mettono su uno stesso piano le evidenze sensibili e quelle intellettuali, ricercando non tanto il processo psicologico della conoscenza, quanto il risultato, in termini di certezze assolute e universali. Nasce così il problema gnoseologico, che è uno dei più inestirpabili della filosofia in quanto si configura come un’analisi delle condizioni di possibilità della conoscenza in quanto tale. La nostra nozione di senso comune riguarda il versante oggettivo delle certezze in qualsiasi modo raggiunte dall’uomo in quanto uomo. Si tratta non di un elemento che sia a monte dell’attività conoscitiva, ma di ciò che ne risulta a valle, nella constatazione critica di un certo numero di risultati universali e necessari dell’attività conoscitiva. La giustificazione del senso comune non è la stessa giustificazione che si può operare nei confronti delle certezze derivate perché siamo nel campo della individuazione fenomenologica di quell’esperienza che è comune a tutti i soggetti. Georges Cotier ricorda che la critica consiste nello stabilire l’originario e con esso confrontare la totalità dei suoi procedimenti e dei suoi risultati: “È proprio l’originario, riconosciuto dalla ragione, che opera la crisis, ossia che permette di distinguere se le affermazioni e le negazioni siano consone oppure no alla sua evidenza ... La ragione in se stessa non può diventare critica se non dopo aver accolto l’originario. Criticare consiste dunque nel misurare con quanto è, in quanto primo, il criterio. 1 2. Il senso comune come sistema organico di giudizi necessari I - Esiste nella conoscenza umana un àmbito di certezze che derivano direttamente dall’esperienza come tale: tali certezze sono motivate dall’evidenza. II - Tali certezze riguardano il concreto della realtà di fatto - sia il mondo-in-cui-si-è, sia il proprio essere-nel-mondo come sostanza personale - e allo stesso tempo, in una unità noetica indissolubile, l’universale dei primi princìpi speculativi (che rendono intelligibile, anche se problematico, il reale di cui si vive e in cui si vive) e dei primi princìpi etici. III - Essendo connaturali all’intelligenza umana, tali certezze sono patrimonio di tutti, sono universali. IV - Proprio questa base comune di conoscenza certa e indubitabile - indubitabile di per sé, anche se messa in dubbio dal pensiero riflesso - consente la comunicazione intellettuale tra i singoli individui e tra diverse culture. V - Queste certezze sono in diretto rapporto con la filosofia, specie con la filosofia come metafisica. VI - Le medesime certezze sono la condizione di possibilità (ex parte obiecti, in quanto forniscono l’orizzonte oggettivo universale dal quale si estrae l’oggetto formale specifico) delle scienze particolari. VII - L’insieme delle certezze di cui parliamo è di per sé qualitativamente superiore alla scienza. Mentre la certezza di quelle evidenze dirette e universali è incondizionata e assoluta, la certezza scientifica ha sempre dei caratteri limitativi. Insomma, mentre le certezze dell’esperienza diretta sono (di per sé) incontrovertibili, le certezze della scienza sono (di per sé) opinabili, o almeno relative, perfettibili, riformabili; quelle sono di tutti e sempre, queste sono di alcuni e in determinati momenti della storia. VIII - Nel dialogo tra scienze particolari e metafisica si possono evitare le reciproche interferenze solo se si trova una base d’intesa concettuale tornando proprio alla comune derivazione gnoseologica dalle certezze e dai contenuti dell’esperienza diretta, evitando così un’impossibile traduzione immediata (senza mediazione di quelle certezze di base) del linguaggio tecnico della metafisica nel linguaggio tecnico delle scienze, o viceversa. IX - Queste verità universali e necessarie sono le condizioni di possibilità della fede (naturalmente, solo da punto di vista gnoseologico, senza considerare qui il problema delle disposizioni morali del soggetto). X - Il rapporto fra ragione e fede, di conseguenza, non va ridotto al pur necessario e inesauribile rapporto tra filosofia e fede, ma va ricondotto innanzitutto agli schemi molto più importanti e fondamentali del rapporto fra certezze dell’esperienza diretta e certezze di fede. 1. Il senso comune nell’oggetto delle scienze Per scienza si intende in primo luogo la filosofia (scientia communis) quindi le altre conoscenze scientifiche (scientiae particulares). Aspirazione incoercibile della scienza è trovare le cause, la spiegazione dei fatti, l’interpretazione. Gadamer tenta di opporre alla pretesa di universalità e assolutezza dell’interpretazione delle scienze particolari una pre-interpretazione davvero assoluta e universale, che fonda il sapere filosofico, storico e artistico, ma non è da questi fondata. La prefigurazione di cui parla Gadamer è effettivamente quella dei giudizi di senso comune. La logica della ricerca scientifica porta quindi a riconoscere anzitutto, nell’oggetto stesso della scienza, un sistema di giudizi (materiali e formali, 2 empirici e metafisici) nel quale la ricerca si inserisce, instaurando la dialettica dato-giustificazione. A tale sistema di giudizi (che è il senso comune) appartengono ad esempio i primi princìpi speculativi, come quello di non-contraddizione, essenziale per la razionalità scientifica, quello di causalità, e soprattutto l’evidenza che i fenomeni appaiono in un contesto unitario e coerente, caratterizzato dalla razionalità. La metafisica è la scienza dell’intero, dell’esperienza tutta come tale, mentre le scienze particolari parcellizzano l’esperienza, problematizzano solo uno dei suoi aspetti formali o materiali. La dialettica dato-giustificazione è la medesima in ogni ricerca scientifica: ciò implica una logica di apprensione originaria dell’oggetto come dotato di razionalità, tanto da intuire un contenuto implicito che va reso esplicito. Insomma, la logica della ricerca scientifica presuppone la certezza di senso comune circa la razionalità del reale: una razionalità data e al contempo da sviluppare. L’oggetto di una scienza è determinato quindi dalla dialettica di conoscenza data e di conoscenza desiderata (perché considerata desiderabile e perché possibile); è una dialettica di presenza-assenza, di processo che fa leva sulle evidenze immediate (terminus a quo) per raggiungere eventuali evidenze mediate (terminus ad quem). La logica della scienza non può essere quella hegeliana, perché Hegel pretende per la scienza la capacità di un cominciamento assoluto in se stessa. Einstein come scienziato non riusciva a dare una spiegazione della razionalità del mondo, ma allo stesso tempo non poteva ammetterla che come evidente. 2. Il senso comune nel metodo delle scienze Anche il metodo scientifico moderno rispecchia la logica della scienza classica, definita da Aristotele “conoscenza certa delle cose, attraverso la scoperta delle loro cause”. Fenomeno e spiegazione Spiegare significa operare un intervento sulla realtà (sull’oggetto) che risponde a una volontà: la volontà di significato. Si tratta della ricerca della causa. La scienza presuppone quindi la nozione di senso comune di universo razionale, fatto di cose la cui razionalità consiste nella individuazione della loro causa. Le scienze della natura hanno la particolarità che i fenomeni che indagano sono ripetibili. Le altre scienze, specie quelle sull’uomo, non possono fondarsi sulla ripetibilità del fenomeno, tuttavia anche una scienza come la storia cerca in qualche misura di “spiegare” i fenomeni con le conoscenze che si hanno. Ecco i quattro momenti essenziali della scienza: 1) osservazione 2)enunciazione di ipotesi 3)deduzione 4) verifica dell’ipotesi mediante la relativa deduzione razionale. Il quarto momento si riduce sostanzialmente ad una nuova osservazione, e pertanto potrebbe innestare un processo ciclico con nuovi dati di fatto, nuove ipotesi ecc. L’osservazione e l’ipotesi Il senso comune non interpreta ma constata con assoluta certezza i dati fondamentali dell’esperienza. Dopo Galileo, l’esaltazione del “metodo sperimentale” vuol significare la possibilità di ripetere l’esperienza. È chiaro che non sempre esistono le condizioni empiriche che rendono possibile la ripetizione; pertanto è eccessiva la pretesa di negare obbiettività scientifica a fatti che non sono riproducibili a volontà dell’osservatore (per esempio l’eruzione di un vulcano o un fenomeno astronomico). In tutte le scienze sociali e storiche è impossibile riprodurre il fenomeno, eppure non si può escludere a priori che anche nelle scienze sociali e psicologiche abbia senso cercare la spiegazione che renda ragione dei fatti, anche se in modo diverso dalle scienze fisico-matematiche. 3 Un fatto è tanto più certo quanto maggiore è il numero delle persone che lo constatano: la riproducibilità porta all’aumento delle persone che osservano il fatto. In base a questo criterio, l’obiettività viene identificata con l’intersoggettività dell’osservazione. È ovvio che una conoscenza che voglia commisurare la propria obiettività con l’intersoggettività deve necessariamente essere in qualche modo comunicata. La possibilità di poter misurare una cosa implica che questa cosa appartenga alla classe di quelle che vengono chiamate “grandezze”, donde l’impiego del linguaggio matematico, che porta l’accettazione di inevitabili margini di errore nell’osservazione. È importante la questione se le discrepanze fra ipotesi e verifiche sia dovuta all’inesattezza delle ipotesi o ad errori di misura e di verifica. L’ipotesi è una proposizione che non è direttamente verificabile, ma è vista come una struttura logica della realtà che spiega i fenomeni o ne costituisce la ragione e il fondamento. La verifica La verifica è il “tribunale di ultima istanza” della realtà, ma non comporta necessariamente che l’ipotesi di partenza, anche se confermata, sia l’unica giusta. Talvolta delle premesse false possono portare ad alcune conseguenze vere. Anche in campo storico, si cercano spiegazioni di un fatto storico, si emettono ipotesi, si traggono conseguenze e si cercano verifiche in altri fatti rilevabili. È implicita la convinzione della conoscibilità della realtà, dell’intelligibilità della natura, dell’uomo e della storia. Questo testimonia del realismo immediato e radicale della scienza di tutti i tempi, che null’altro è se non la certezza assoluta e pre-scientifica che le cose sono, e che i loro rapporti causali (causalità materiale, formale, efficiente e finale) ne determinano l’unitarietà, talché si concepiscono le cose come formanti un “universo” ordinato e intelligente. 4