Quella feroce crociata laica contro i credenti Susanna Tamaro Il

Quella feroce crociata laica contro i credenti
Susanna Tamaro
Il Giornale – 01 /05/2009
Da un paio d’anni a questa parte, quando incontro giornalisti o conosco persone nuove, mi capita una cosa
strana. Dopo i primi convenevoli, tutti improvvisamente si irrigidiscono e, con uno sguardo imbarazzato,
precisano: «Guardi che io sono laico». Avendo ben chiara l’etimologia delle parole - pur sembrandomi
assolutamente fuori luogo l’osservazione - li rassicuravo. Sono laica anch’io, non ho mai preso nessun voto
di un qualche ordine religioso. Poi con il passare dei mesi ho capito che c’era una grande battaglia in corso,
una battaglia feroce e senza esclusione di colpi. Il mondo sembrava diviso esattamente in due.
Da una parte appunto i laici, difensori del progresso e della civiltà, e dall’altra i credenti, oscurantisti, alfieri
del regresso, sessuofobici e nemici della libertà dell’uomo. E naturalmente io, in quanto credente, agli occhi
di tutte le persone che mi incontravano, rientravo nella seconda categoria. Non ero preparata a trovarmi sul
banco dei retrogradi, degli ottusi e quindi a dover rispondere a domande di imbarazzante limitatezza. Come
tutte le persone solitarie, sono abituata a fare delle riflessioni piuttosto profonde e articolate sulle cose e
davanti alla marea di questi pregiudizi e luoghi comuni mi sento completamente spiazzata. Che cosa vuol
dire credere? Obbedire ciecamente a una persona? Osservare dei rituali rassicuranti? Vivere nella paura dello
scandalo, del peccato? Ho una natura anarchica e ribelle e difficilmente avrei potuto adattarmi a una qualsiasi
di queste opzioni. Non sono cresciuta in un ambiente cattolico e dunque non ho assorbito - per fortuna - i
nefasti condizionamenti di una fede trasformata in usanza, nella ripetizione vuota di formulette dal sapore
dolciastro. Sono inoltre voracemente curiosa. Le cose che non comprendo, le voglio capire, come voglio
costantemente riuscire a superare i limiti e gli ostacoli. Non ho mai avuto una folgorazione sulla via
Damasco come San Paolo né quella più moderna di André Frossard. Piuttosto ho sempre sentito in me il
forte desiderio di ricercare un senso e altrettanto forte la voce della coscienza. Sono stati proprio questi due
fattori a spingermi verso un cammino di conoscenza e di studio che dura tutt’ora.
La maggior parte dei miei amici non è credente, eppure non ho mai sentito la necessità di criticarli, di
cambiare la loro visione del mondo o, tanto più, di giudicarli. La diversità di idee mi è sempre sembrata una
delle ricchezze della vita e non un nemico da combattere. Mi colpisce molto, dunque, lo spirito di feroce
crociata che pervade l’universo dei laici. Perché tanto livore, tanto impiego di energia, tanta intolleranza
verso persone che hanno una diversa visione del mondo? Perché tanto impellente è il bisogno di convincere
le persone credenti che hanno imboccato una via sbagliata? Forse perché da noi si leva una voce in difesa
della vita e contro altre barbarie che, astutamente e subdolamente, si vogliono far passare come progressi per
la libertà dell’uomo? Non c’è forse dietro questa crociata delle certezze - perché queste persone, beate loro,
vivono confortate da straordinarie certezze - la volontà di rimuovere la parte più profonda dell’uomo, la più
oscura, quella che lo lega al mistero del male e alla finitezza e che ne fa una creatura perennemente alla
ricerca di senso?
È proprio da questa ricerca che nascono le inquietudini, i dubbi e le domande. E le domande, inseguendosi
l’un l’altra, a un certo punto si scontrano con qualcosa che non è più fonte di ragionamento, ma di
meraviglia, perché, a un tratto, ci si rende conto che la realtà dell’infinitamente grande e dell’infinitamente
piccolo sfugge alla percezione della nostra mente. La consapevolezza del divino non nasce dunque dalla
paura né dal conformismo, ma piuttosto dalla meraviglia, dal saper vivere con emozione e stupore la
ricchezza - anche tragica - che la realtà di ogni giorno ci propone. Vivere con la fede non vuol dire chiudere
delle porte perché si teme quel che c’è dietro, ma aprirle tutte perché non c’è niente dietro che ci possa far
paura. Né la morte - questo grande mistero che tutti ci attanaglia - né la malattia, né l’imprevedibilità della
vita.
L’accettazione del mistero ci permette di far scivolare in secondo piano quella cosa così noiosa e
ingombrante che si chiama «io» e che ci ossessiona con le sue monotone cantilene dalla nascita alla tomba,
questo tronfio nanerottolo che ci vuol far credere che la realtà sia solo quella che lui è in grado di proiettare
sullo schermo della nostra mente, che sa domare e manipolare secondo i suoi desideri, e che nulla - al di
fuori del suo raggio d’azione - possa esistere. Io penso in realtà che la vita non sia stare in una gabbia, seppur
confortevole, e difendere con alti strilli il suo perimetro - come vuole quel nanerottolo - ma fuggire da tutte
le gabbie, da tutto ciò che rimpicciolisce e umilia la misteriosa grandezza e dignità dell’uomo.
La fede nella mia vita non ha portato alcuna chiusura, alcuna paura. Anzi, quelle che c’erano, le ha spazzate
via, spazzando via anche molte certezze. Per questo resto strabiliata davanti all’immagine spauracchio del
credente che viene agitata in questa battaglia, diventata ormai guerra aperta. E questa guerra, alla fine, non è
la guerra tra le ottuse truppe del Papa e i paladini del progresso autodeterminato, ma tra chi è in grado di
ascoltare ancora la voce della propria coscienza - che sia credente, agnostico, buddista, ebreo o musulmano e ha a cuore la delicata complessità dell’uomo e chi ascolta invece unicamente la rumorosa grancassa dei
media.