Anno A 4ª DOMENICA DI QUARESIMA 1 Sam 16,1b.4a.6-7.10-13a - Davide è consacrato con l’unzione re d’Israele. Dal Salmo 22 - Rit.: Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Ef 5,8-14 - Déstati dai morti e Cristo ti illuminerà. Canto al Vangelo - Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria! Io sono la luce del mondo, dice il Signore, chi segue me avrà la luce della vita. Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria! Gv 9,1-41 - Andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Fede che rinnova Credere è sempre un’avventura nella quale la nostra libertà si incrocia con la grazia di Cristo, che fa esistere la nostra libertà. Nessuno di noi può sondare perfettamente il mistero della fede, eppure tutti noi ne facciamo esperienza, anche se risulta difficile viverla pienamente. La 1a lettura illustra la dialettica di libertà-grazia: Dio sceglie Davide attraverso il profeta Samuele e lo investe con il suo Spirito; ma ciò non garantisce a Davide una vita automaticamente gradita a Dio. La libertà è apertura e disponibilità all’alleanza con Dio, che l’uomo può sempre accettare o rifiutare; la fede è l’attuazione della libertà umana, ma realizzata in modo gratuito, nella forma del dono. Nel Vangelo ascolteremo il racconto della guarigione del cieco-nato: non è la storia solo di un malato che viene guarito, ma di un non-credente che arriva alla «visione» della fede. È Gesù che illumina il cieco, gli dà la vista, lo fa credente: la grazia di Cristo risana, guarisce, attira alla luce. La 2a lettura ci fa proseguire la meditazione: la fede produce un nuovo modo di vivere. Gli impegni tradizionali della Quaresima – digiuno, elemosina, preghiera – vanno visti nella prospettiva della libera attuazione della nostra fede. Dio guarda il cuore Davide fu una delle figure più grandi della storia israelitica, esaltata e idealizzata per la sua attività politica, militare e religiosa. Di lui furono conservati i ricordi di avvenimenti e parole; ma di lui non si interessò soltanto la memoria storica di Israele, bensì anche la leggenda e la fantasia popolare. Oggi è difficile per noi distinguere esattamente in ogni particolare il dato storico, nei racconti biblici, da ornamenti epici e lirici. Anche il nostro passo di 1 Sam 16,1-13 va interpretato come una rilettura soprattutto teologica più che una semplice e nuda cronaca storica. Un esegeta autorevole come il domenicano R. de Vaux ritiene che il nostro passo sia stato inserito in epoca recente, verso il 700 a.C., negli antichi racconti del ciclo di Samuele. Non si tratta, dunque, di pura biografia, ma di riflessione teologica su un dato storico. La consacrazione di Davide a re non viene più menzionata nella Bibbia, anzi quando Davide diventa re si racconta la sua unzione regale avvenuta a Ebron (cf 2 Sam 2,4) e non quella ricevuta da Samuele. Dal racconto biblico emergono alcuni temi rilevanti. Davide è il re scelto da Dio: non succede per discendenza carnale a Saul, ma perché eletto da Dio attraverso il profeta Samuele. La scelta non è compiuta secondo criteri umani: è il fratello minore, ha meno titoli degli altri dal punto di vista umano. È un pastorello che diventa re. 4ª domenica di Quaresima “A” - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici 1 L’autore vuole insegnare che la storia di Davide realizza, in fondo, un disegno provvidenziale divino. Dio ha l’iniziativa anche in questo caso. Inoltre l’accento cade sulla presenza stabile dello Spirito, il quale «si posò su Davide» (v. 13). Davide è unto re e riceve il dono dello Spirito divino per la sua missione, cioè far valere il diritto e la giustizia. Dalla cecità alla luce Il miracolo della guarigione del cieco nato è narrato in breve nei vv. 1-7, poi l’attenzione si concentra tutta sulla discussione suscitata dal miracolo. L’affermazione centrale è nel v. 5: «Io sono la luce del mondo». Di fronte a Gesù-luce si disegnano due movimenti opposti: un cieco passa dalle tenebre alla luce; i Giudei che presumevano di vedere sono condannati alle tenebre. Da una parte c’è dunque un cammino di fede (venire alla luce significa qui giungere alla fede), dall’altra parte c’è un indurimento del proprio cuore e quindi una cecità spirituale di fronte al mistero di Gesù. È evidente che «luce» e «cecità» assumono qui un valore simbolico; non si tratta soltanto della cecità fisica e della luce del sole, ma di luce e cecità spirituali. Dal fatto della guarigione Gesù conduce i suoi uditori a riflettere su una vicenda interiore e spirituale. Il cieco scopre progressivamente chi è Gesù: dapprima dice che è un uomo chiamato Gesù (v. 11), poi lo definisce un profeta (v. 17), poi un inviato di Dio (v. 33) e alla fine fa la completa professione di fede: «Credo, Signore» (v. 38). I Giudei invece compiono un cammino inverso: si irrigidiscono sempre più nella loro opposizione a Gesù accusando il cieco di bestemmia e coprendolo di ingiurie. Ciò che fa la cecità dei Giudei è la sicurezza e la pretesa di «sapere», quasi non avessero bisogno di illuminazione. Nella vicenda del cieco nato è tratteggiata, in filigrana, la storia di ogni cristiano che viene al mondo spiritualmente cieco e nel battesimo viene illuminato dalla luce che è Cristo. I Padri della Chiesa, per questo, usavano chiamare il battesimo con il termine «illuminazione». La fede è un dono di Dio, ma è anche una sottomissione libera e un’obbedienza voluta e responsabile. La grazia divina non costringe l’uomo a dare il suo assenso, bensì potenzia e libera la sua libertà. Anche Gesù fa al cieco guarito una domanda: «Credi tu nel Figlio dell’uomo?» (v. 35) e cioè fa appello alla sua libera scelta. Decidendosi liberamente a favore di Gesù, il cieco comincia a vedere. Come figli della luce S. Paolo esorta a essere fedeli, nella prassi quotidiana, alla propria vocazione cristiana, secondo il principio stabilito in Ef 4,1: «Comportatevi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto». La sua esortazione si sviluppa a partire da una constatazione compiuta alla luce della fede: «Ora siete luce nel Signore» (v. 8), cioè dal fatto che una nuova realtà esistenziale caratterizza l’essere del cristiano. Da questo nuovo essere scaturisce l’esigenza di una condotta adeguata e corrispondente: «Comportatevi come i figli della luce» (v. 9). Dall’indicativo (ora siete) riceve fondamento e giustificazione l’imperativo (comportatevi). La luce è Dio; Cristo ci ha illuminati con la luce divina (v. 14), ossia ci ha resi partecipi della vita divina e ora dobbiamo agire da figli di Dio. Il frutto della condotta cristiana è descritto con una triade: «Ogni bontà, giustizia e verità» (v. 9). Rovesciando l’ordine di Paolo e usando un vocabolario nostro, possiamo rendere questa triade così: essere intelligenti e ragionevoli (= verità), essere responsabili (= giustizia), essere benefici o fare concretamente il bene degli altri (= bontà). Sono questi gli imperativi fondamentali per l’attuazione di una personalità autentica. L’assenza della carità e dell’impegno di vita vissuta sarebbe una ferita mortale per la stessa fede. E siccome siamo peccatori, c’è sempre un germe di veleno che ci tenta e vorrebbe orientarci verso l’incredulità. L’impegno quaresimale deve essere un’occasione 4ª domenica di Quaresima “A” - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici 2 propizia per percorrere più arditamente e coraggiosamente il cammino della fede che produce opere buone. 4ª domenica di Quaresima “A” - “Omelie per un anno - vol. 1”, Elledici 3