Francesco Saverio Nisio «Nondum tradiderunt oblivioni» Conoscenza nella tradizione e campo giuridico 1. Figliazione, linguaggio, sostanza. – 2. Diritto, scientia intuitiva. – 3. Conoscenza nella tradizione. – 4. La lingua del diritto. - Bibliografia. 1. Figliazione, linguaggio, sostanza. «Tradizione» e «trasmissione» sono concetti ben evidentemente correlati, legati entrambi all’esperienza del linguaggio, al possesso della parola. Si legge nella pagina di un filosofo contemporaneo che conosce anche la logica del diritto1, e non solo in rapporto alla politica: «Ogni riflessione sulla tradizione deve cominciare con la constatazione, in apparenza triviale, che, prima di trasmettersi qualcosa, gli uomini hanno innanzitutto da trasmettersi il linguaggio»2. È con la trasmissione del linguaggio che passa la sostanza della vita, il suo deposito, i «beliefs» e le «institutions» che all’uomo e alla donna vengono consegnate dalla precedenti generazioni di uomini e donne. Invero trasmettendosi il linguaggio, gli uomini si trasmettono anche, ipso facto, il diritto. Si legge in Shils, autore del più dettagliato studio sulla «tradition» che le scienze sociali posseggano: «Tradition means many things. In its barest, most elementary sense, it means simply a traditum: it is anything which is transmitted or handed down from the past to the present. It makes no statement about what is handed down or in what particular combination or whether it is a physical object or a cultural construction; it says nothing about how long it has been handed down or in what manner, whether orally or in written form. The degree of rational deliberation which has entered into its creation, presentation and reception likewise has nothing to do with whether it is a tradition. The conception of tradition as here understood is silent about whether there is acceptable evidence for the truth of the tradition or whether the tradition is accepted without its validity having being established; the anonymity of its authors or creators or its attributions to named and identified persons likewise makes no difference as to whether it is a tradition. The decisive criterion is that, having been created through human actions, through thought and imagination, it is handed down from one generation to the next»3. «Human action, thought, imagination»: attraverso questi tre generi di conoscenza 4 è la sostanza della vita, il suo volto, spesso anonimo, che passa di mano in mano, fatto oggetto di «traditio». Sostanza della vita depositata nel linguaggio, che gli uomini si tramandano. «Traditio» in diritto romano era peraltro un termine giuridico, il quale indicava il modo più antico di trasmissione della proprietà5, la consegna della cosa all’acquirente da parte dell’alienante. 1 G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995, 17-76; in particolare G. Agamben, Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino 2003. 2 Agamben 1985, 3. 3 Shils 1981, 12. 4 L’elencazione è forse traccia, invero sottile, della presenza di Spinoza nell’opera di Shils. 5Shils 1981, 16. Sul rapporto, storicamente evolutosi, fra il bene, la situazione possessoria e gli obblighi del venditore, cfr. M. Bretone, Storia del diritto romano, Laterza, Roma-Bari 1987, 19926, 149-50; J. Carbonnier, Droit civil, t. 3, Les biens, Puf, Paris 2000, 186-88, 193-99. 2 «Tradĕre» deriva da «trans» più «dare», «dare al di là, oltre»: quasi un rafforzativo del gesto di porgere, di consegnare, di affidare. In lingua inglese il significato «porgere», «consegnare», è reso anche col verbo «to hand down», «tramandare», nel cui corpo risuona, in entrambe le lingue, il lemma «hand», «manus», mano, dal verbo latino «mandare» ovvero «manus dare» (l’etimo, va detto, è incerto). Con la «manus» compare l’uomo, la dimensione antropologica: non solamente la sincronia dello scambio in presenza, bensì anche la diacronia del rapporto al tempo, le generazioni che trascorrono, «dare al di là». Facendo ricorso alla metafora familiare, Shils parla di «figliazione intertemporale delle credenze [quale] elemento costitutivo della tradizione»6. 2. Diritto, scientia intuitiva. È nota la tesi di Halbwachs: egli individuava nei «cadres sociaux de la mémoire» il luogo della trasmissione dell’esperienza sociale. Quadri «sociali» e per l’appunto collettivi, costituiti dall’uso che i singoli fanno delle parole – il primo «traditum» -, parole delle quali si comprende il senso e che si accompagnano di «ricordi», vale a dire di rapporti logici ripercorribili attraverso ragionamenti: notazioni, raffronti, classificazioni, previsioni 7. La tradizione è trasmissione attraverso linguaggio, è fatto sociale e dunque eminentemente collettivo o anche, come avrebbe detto Durkheim, «oggettivo». Ancora: è une delle forme più elevate di «scientia intuitiva» come definita da Spinoza il quale, per fornire esempi di tale modo della conoscenza, si richiamava a quanto fanno i mercanti quando vogliono ottenere un quarto numero dai tre indicati, dei quali il quarto stia al terzo come il secondo al primo. «Non dubitant mercatores secundum in tertium ducere, et productum per primum dividere; quia silicet ea, quae a magistro absque ulla demonstratione audiverunt, nondum tradiderunt oblivioni, […] vel ex vi demonstrationis prop. 19 lib. 7 Euclidis»8. Un esempio cristallino della partecipazione del singolo ad una forma di vita fondata sulla tradizione di un sapere, un habitus, tramandato all’interno di una cerchia sociale nel legame delle generazioni («quae a magistro […] audiverunt»). Ma il legame fra tradizione e linguaggio è altamente significativo anche per il diritto, rectius: per la tradizione giuridica. Di questo i sociologi sono ben consapevoli. Per esempio Carbonnier, e non solo quando indossa l’habitus di sociologo del diritto. Si legge nel Droit civil: «Le phénomène de communication par excellence c’est le langage, et spontanément un rapprochement du langage et du droit s’offre à l’imagination. Ils sont tous deux des Shils 1984, 78 ed anche 81. Ancora, Shils 1981, 169-75. Halbwachs 1994, 130-32. 8«Essi non esitano a moltiplicare il secondo per il terzo e a dividere il prodotto per il primo, […] perché quanto hanno sentito dal maestro senza alcuna dimostrazione, non l’hanno ancora consegnato all’oblio [nondum tradiderunt oblivioni], […] o ancora in virtù della dimostrazione 19 del settimo libro di Euclide», Spinoza, Ethica more geometrico demonstrata, pars 2, prop. 40, scholium 2. Le traduzioni dell’Ethica firmate da Giammetta e Giancotti rendono il «nondum tradiderunt oblivioni» con «non l’hanno ancora dimenticato», spostando semanticamente in interiore homine ciò che invece può accadere solo socialmente: tra-man-dare, consegnare all’oblio. Anche la dimenticanza è fatto sociale. 6 7 3 phénomènes sociaux de formation largement coutumière, empreints d’un caractère normatif et contraignant. […] Même sans langage exprimé, d’ailleurs, le droit peut être agent de communication […]. Les rapports de droit, qui forment la trame du système juridique, sont autant de mises en communication de l’individu avec l’individu, d’un groupe avec l’autre. La plus vieille loi de l’humanité, selon les anthropologues, est le tabou de l’inceste. Retournons l’interdit en impératif (“va chercher ta femme loin des tiens’’) : ce sera la loi d’exogamie : un phénomène de communication»9. Pierre Bourdieu ha posto grande attenzione al rapporto fra linguaggio e società, con particolare riferimento al campo giuridico. È nota la comprensione che egli opera del legame sociale quale «illusio», da «lusus», «gioco»: gioco sociale, collettivo, fondato sul capitale simbolico offerto da schemi informativi nati dalla spontaneità delle disposizioni pratiche degli individui, dai loro habitus, dalle «tradizioni» che si sostanziano di «sens du jeu»10, espresso tramite «connaissance pratique», cioè condotte regolari e tendenze ad agire in maniera prevedibile. La convinzione di Bourdieu era che diritto e linguaggio fossero uno, esattamente sotto questo profilo: «Le droit est la forme par excellence du discours agissant, capable, par sa vertu propre, de produire des effets. Il n’est pas trop de dire qu’il fait le monde social, mais a condition de ne pas oublier qu’il est fait par lui» 11. «Forme par excellence du discours légitime, le droit ne peut exercer son efficacité spécifique que dans la mesure où il obtient la reconnaissance, c’est-à-dire dans la mesure où reste méconnue la part plus ou moins grande d’arbitraire qui est au principe de son fonctionnement. La croyance qui est tacitement accordée à l’ordre juridique doit être sans cesse reproduite et c’est une des fonctions du travail proprement juridique de codification des représentations et des pratiques éthiques que de contribuer à fonder l’adhésion des profanes aux fondements même de l’idéologie professionnelle du corps Carbonnier 2002, 47-48. Non è possibile ripercorrere l’intenso dibattito sui rapporti tra diritto e linguaggio, il quale ha avuto interlocutori del calibro di Savigny e Grimm e, in Italia, Devoto, Fiorelli, Levi, Piovani e Pugliatti. Per Savigny e la Scuola storica si veda A. Dufour, «Droit et langage dans l'Ecole historique du droit», Archives de philosophie du droit, 1974, nonché il capitolo III di Pastore 1990. Circa il dibattito in Italia: A. Levi, «Diritto e linguaggio», in A. Levi, Scritti minori di filosofia del diritto, vol. II, Padova 1957; G. Devoto, «Un nuovo incontro tra lingua e diritto», Lingua nostra, XIX/1, 1958; P. Piovani, «Mobilità, sistematicità, istituzionalità della lingua e del diritto», in Raccolta di scritti in onore di A. C. Jemolo, IV, Giuffrè, Milano 1963; P. Fiorelli, «Giuristi e linguisti tra istituzione e storia», in Aa. Vv., La storia del diritto nel quadro delle scienze storiche, Olschki, Firenze 1965; Pugliatti, «Sistema grammaticale e sistema giuridico», in S. Pugliatti, Grammatica e diritto, Giuffrè, Milano 1978. Va indicato, inoltre, come pressoché tutti gli scritti di Pietro Costa rappresentino un’articolata riflessione, storica e non solo, sul rapporto fra diritto e lingua: due luoghi per tutti, in primis l’Introduzione a Iurisdictio. Semantica del potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433), Giuffrè, Milano 20022; poi anche «Semantica e storia del pensiero giuridico», Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico, 1, 1972. Da ultimo la ripresa del tema in P. Grossi, Prima lezione di diritto, Laterza, Roma-Bari 2003, e in Bretone 2004, 105-25, spec. 111-12 (si tratta del saggio «Il diritto invisibile», contenuto anche nel presente volume di Atti: cfr. § 2, «Visibilità materiale e visibilità ideale»). Si veda infine P. Di Lucia, «Tre opposizioni per lo studio del rapporto tra diritto e linguaggio», in U. Scarpelli – P. Di Lucia [eds], Il linguaggio del diritto, Ledi, Milano 1994, per il rinvio all’ulteriore bibliografia in materia. 10 Bourdieu 1986b, 40s. Su Bourdieu e il diritto si vedano i saggi del 1986 e più luoghi (cfr. l’indice analitico) nel denso volume del 1997. 11 Bourdieu 1986a, 13. 9 4 des juristes, à savoir la croyance dans la neutralité et l’autonomie du droit et des juristes»12. C’è un paragrafo delle intense Méditations pascaliennes consacrato a «Le nomos et l’illusio»13, ma soprattutto va attirata l’attenzione sull’esplicito, e positivo, richiamo al tema della «tradizione», effettuato laddove il sociologo tematizza la limitazione che deriva al pensiero «puro» dall’«Habitualität» come (parzialmente) intesa da Husserl, ovvero dalla «knowledge by acquaintance» e dall’«esperienza» come riprese da pensatori quali Heidegger, Gadamer ed Oakeshott, i quali «ont pu énoncer certaines des propriétés de la connaissance pratique, dans un dessein de réhabilitation de la tradition contre la foi exclusive dans la raison»14. «Réhabiliter la tradition»: per Bourdieu significa evidenziare la parte notevole che compete all’ordine simbolico, cioè linguistico, nella strutturazione dell’ordine sociale. «Pouvoir de nomination»15, «force de la forme»16: sono i concetti che egli impiega per costruire una sociologia del campo giuridico fondata sul riconoscimento della «force du droit», una sociologia che si ispiri a «[Un] nominalisme réaliste (ou fondé en réalité), [qui seul] permet de rendre compte de l’effet magique de la nomination, coup de force symbolique que ne réussit que parce qu’il est bien fondé dans la réalité»17. È la grande problematica della «croyance» che in questo modo ricompare con l’analisi sociologica della tradizione. Questa accentuazione di senso è infatti operata non dal solo Bourdieu bensì anche da Shils, il quale ha impiegato il lemma «belief» 18 per Ivi, 15. Bourdieu 1997, 139s. 14 Ivi, p. 119. Si noti che, nella traduzione delle Méditations pascaliennes, il lemma «foi», fede, è stato tradotto con «forza»: «un progetto di riabilitazione della tradizione contro la forza esclusiva della ragione» [Bourdieu 1997, 89 it.]. Al di là della sottolineatura del perdurare dell’eccesso razionalistico anche laddove il superamento di quella contrapposizione viene apertamente esplicitato, va segnalato un ulteriore passaggio nella medesima opera di Bourdieu, passaggio nel quale il concetto di habitus viene ritenuto comprensibile solo alla luce del riconoscimento che «le passé reste présent et agissant dans les dispositions qu’il a produites» [ivi, 94]. Il che equivale a dire, appunto con Shils, che «the degree of rational deliberation which has entered into [the] creation, presentation and reception likewise [of what has been handed down] has nothing to do with whether it is a tradition. The conception of tradition as here understood is silent about whether there is acceptable evidence for the truth of the tradition or whether the tradition is accepted without its validity having being established» [Shils 1981, 12]. La tradizione come sostanza della vita, si è detto: Cassirer ne avrebbe parlato in termini di «symbolische Form»? È comunque a lui, anche, che si riferisce Bourdieu, quando parla di «capital symbolique» o di «violence symbolique» (cfr. Bourdieu 1997, 32, 253, 256, 357n.), o ancora, come si è letto, di «droit [comme] forme par excellence du discours agissant», «forme par excellence du discours légitime». Si veda Cassirer 1932b, 290-91 it., per la descrizione della metamorfosi nella tradizione del diritto «naturale», operata dalla filosofia di Spinoza tramite la conquista della «forma nuova e [del] nuovo fondamento della certezza» nel concetto di «natura», quale «espressione di pura legge che governa le cose e che [,] sola[,] ad esse conferisce il loro proprio essere, la loro consistenza e determinazione». 15 Ivi, 12. 16 Ivi, 14. 17 Ivi, 13. 18 Si veda quanto è costretto a scrivere il traduttore italiano dei saggi di Shils raccolti in Shils 1984: «L’inglese beliefs [è un] vocabolo che [, di] per sé [,] si potrebbe tradurre anche con “convinzioni” o “convincimenti” o “persuasioni”; tuttavia [in] questo volume, a costo della 12 13 5 indicare il nucleo centrale delle credenze, delle convinzioni, dei valori e dei sentimenti che strutturano il gioco sociale. Il linguaggio è luogo di deposito della sostanza dell’esistere collettivo, la sua tradizione. 3. Conoscenza nella tradizione. Le «croyances» sono il vero oggetto in questione nell’analisi della tradizione, anche della tradizione giuridica occidentale. È la convinzione di un importante studioso novecentesco del diritto, Harold Berman19. «Le droit au XXe siècle a été, en théorie et en pratique, traité de moins en moins comme un corps cohérent, un corpus juris, et de plus en plus comme une collection fragmentée de règles conflictuelles rassemblées uniquement par des ‘’techniques‘’. Pareillement, la croyance en l’épanouissement du droit, son caractère dynamique au fil des générations et des siècles, a été substantiellement affaiblie. En outre, l’opinion selon laquelle le droit transcende le politique, est distincte de l’État, cède de plus en plus la place à celle qui considère le droit en tout temps comme un moyen d’exercer la volonté de ceux qui détiennent l’autorité politique. En fin de compte, la croyance que la tradition juridique occidentale est enracinée dans l’histoire providentielle et qu’elle représente des vérités universelles, a été largement remplacée par une conception plus sceptique et relativiste»20. I temi incontrati nell’analisi sociologica e giuridica sono ricapitolati dallo storico del diritto, accurato lettore di Marx e di Weber («Oltre Marx, oltre Weber», il titolo delle Conclusioni della sua opera maggiore21), autore di quello che è stato definito «probabilmente il libro di diritto più importante della nostra generazione»22. Compare il riferimento alla «croyance» come storica condizione per la fioritura e il ramificarsi del diritto, e vi è esplicita la sottolineatura del carattere dinamico di tale credenza, «au fil des générations et des siècles». In più, vi è un delicato riferimento all’indebolimento «substantiel» della «croyance» in questione. Sono presenti tutti gli elementi che identificano i caratteri della «tradition» come già indicati da Shils. monotonia – che del resto è pure dell’originale – [,] si è usato costantemente il termine “credenza” perché, con la connotazione quasi religiosa vicina a quell[a] di un “credo” o di una “fede”, sembra più aderente all’impostazione di pensiero dell’autore» [Shils 1984, 7]. 19 Non avendo a disposizione l’edizione originale americana del volume maggiore di Berman [Berman 1983], le citazioni che seguono saranno rese dalla traduzione. Mi è invece possibile consultare la voce Tradition juridique occidentale [Berman 1993], dall’autore scritta in inglese e poi tradotta. Sottolineo tale gioco delle lingue (testi originali, traduzioni, a volte anche traduzioni di traduzioni), poiché in quel gioco è in gioco, appunto, la sostanza della vita. Quel deposito rende arduo ma non impossibile il benjaminiano «compito del traduttore», vale a dire di ciascun lettore. 20 Berman 1993, 624. Si vedano le p. 110ss. di N. Irti, Nichilismo giuridico, Laterza, RomaBari 2004, per un’esemplificazione di tale posizione anti-tradizionale. 21 Berman 1983, 553ss. Ma Berman conosce anche le opere di un altro sociologo, Robert Nisbet, che ha studiato The Sociological Tradition (Basic Books, New York 1966): si veda Berman 1983, 22, dove viene citato l’altro famoso volume di Nisbet, Social Change and History, Oxford University Press, Oxford 1969 (trad. Storia e cambiamento sociale. Il concetto di sviluppo nella tradizione occidentale, Isedi, Milano 1977). 22 È il giudizio dell’American Political Science Review: cfr. Berman 1983, quarta di copertina. 6 Berman ripete una volta di più il lemma «croyance» per indicare il «belief» nel radicamento della tradizione giuridica occidentale all’interno di una «histoire providentielle». «Providentielle» in un senso più ampio del semplice richiamo ad un intervento di ordine «divino». «Il diritto in Occidente – fin dalla Rivoluzione pontificia – ha avuto un elemento fortemente diacronico e, più di questo, un forte elemento di tradizione. La tradizione è qualcosa di più della continuità storica; una tradizione è una miscela di elementi consapevoli e non. Nelle parole di Octavio Paz, “si tratta della parte visibile della società – istituzioni, monumenti, opere, cose –, ma soprattutto della sua parte sommersa, invisibile: credenze, desideri, paure, repressioni, sogni”. Il diritto è solitamente associato alla parte visibile, alle opere; ma uno studio della storia del diritto occidentale, e specialmente delle sue origini, rivela le sue radici nelle credenze ed emozioni più profonde delle persone. Senza la paura del Purgatorio e la speranza nel Giudizio Universale, la tradizione giuridica occidentale non sarebbe venuta ad esistenza. È stato lo stesso Octavio Paz a dire: “Ogni volta che una società si trova in crisi, istintivamente volge lo sguardo verso le proprie origini, nelle quali cerca un segno”»23. Non è di certo un caso che lo storico del diritto richiami le parole di un poeta, e fra i maggiori del secolo scorso. Il poeta è lì per attestare quanto universali siano «credenze, desideri, paure, repressioni, sogni», al di là della contingenza di un ordine simbolico storicamente determinatosi e magari altrettanto storicamente in via di dissoluzione. Un ordine in metamorfosi, e Berman infatti non è ambiguo nel dichiarare quanto il legame tra metafora religiosa e giuridica si sia spezzato nel Novecento24, lasciando il campo ad una «conception plus sceptique et relativiste». Nondimeno sono le credenze e le emozioni, radicate nel profondo degli individui e delle società, a costituire il fondamento su cui poggia la «fede nel diritto»25. Un diritto che coinvolge «non solo la ragione ma anche l’emozione, l’intuizione e la fede; comporta, cioè, un impegno sociale totale»26. Forse solo uno studioso che assommi in sé la capacità osservativa di un sociologo, la comprensione della lunga durata dello storico e la conoscenza architettonica dell’ordine del giurista, potrebbe rispondere alla sfida che lanciano queste parole di Berman, in direzione della comprensione del diritto quale «impegno sociale totale». Invero, nel Novecento vi è un luogo teorico nel quale verificare come tale sfida sia stata rilevata. Sono le opere del già menzionato giurista e sociologo giuridico e storico del diritto Jean Carbonnier (non va trascurato: egli fu anche, in certo senso, teologo, nonché fine letterato27). In Flexible Droit (sua opera maggiore, insieme al famoso Droit civil), Carbonnier rivendica apertamente, benché lì non faccia uso dell’aggettivo, un approccio «tradizionale»28, dunque né «rigoureux» né «scientifique»29, nella considerazione Ivi, 580-81. Ivi, 10. 25 Ivi, 11. 26 Ibid. 27 Sulle varie dimensioni della proteiforme opera di Carbonnier, cfr. Nisio 2002, 15-64. 28 Carbonnier conosce il volume di Shils: Carbonnier 2002, 39. È la citazione tramite la quale io medesimo sono giunto a quell’opera, una traditio non orale. 29 Carbonnier 2001, 7. 23 24 7 sociologica dei fenomeni giuridici: appunto, una «sociologie du droit sans rigueur», come recita il sottotitolo dell’opera. Più esplicitamente ancora, una sociologia che non si impedisca di «poétiser»30, di adoperare la «fiction littéraire»31 nel dar conto dell’«essence, ou du moins de [l’] image»32, del diritto. Ma di quale immagine si tratta? «D’un sous-titre ambigu, le moment est venu de découvrir la seconde face : ce n’est pas seulement la sociologie qui peut être sans rigueur, c’est le droit aussi. Le droit est trop humain pour prétendre à l’absolu de la ligne droite. Sinueux, capricieux, incertain, tel il est nous apparu – dormant et s’éclipsant, changeant mais au hasard, et souvent refusant le changement attendu, imprévisible par le bon sens comme par l’absurdité. Flexible droit ! Il faut, pour bien l’aimer, commencer par le mettre à nu. Sa rigueur, il ne l’avait que par affectation ou imposture»33. Ad un diritto espressione di geometrie razionalistiche («l’absolu de la ligne droite», il diritto «puro» di certa letteratura novecentesca), Carbonnier contrappone, en douceur, un diritto «trop humaine», così tanto umano da poter essere amato solo cominciando «par le mettre à nu», dunque «spogliandolo», vale a dire mostrandone le forme sinuose, capricciose, incerte. A comporre tali audaci proposizioni poetiche è l’autore di un libro dal titolo Droit et passion du droit 34, uomo che non nasconde il versante «humain», passionale, fisico, dell’oggetto di cui tratta: un diritto capriccioso, incerto, che a volte dorme ed altre addirittura scompare, per lasciar spazio a fenomeni di non-diritto35. Quale potenza fantastica nella penna di un Doyen rispettato e riverito, legislatore per antonomasia della Quinta Repubblica francese, fine conoscitore dei meandri della legge e della giurisprudenza! Una volta di più, quella all’opera è «logique pratique» à la Bourdieu, logica del «flou» e dell’«à-peu-près», «spontanéité génératrice qui s’affirme dans la confrontation improvisée avec des situations sans cesse renouvelées, […] [qui] définit le rapport ordinaire au monde»36. Una logica altamente strutturata nel rapporto con l’ordine delle emozioni e dei sentimenti, delle «croyances» e degli habitus collettivi. Ulteriore esempio di «scientia intuitiva», genere di conoscenza «tertium» che, a partire dalle scaturigini spinoziane, ha subìto naturali metamorfosi nel corso dell’intera carriera scientifica sia di Carbonnier sia di Bourdieu, il quale ultimo ne ha fatto teoria esplicita solo nelle Méditations pascaliennes, parlando di «connaissance de troisième ordre» ovvero di «connaissance des modes de connaissance» 37: conoscenza della tradizione della conoscenza. Il giurista può anche aggiungere: conoscenza nella tradizione della conoscenza giuridica. Ibid. Ivi, 8. 32 Ibid. 33 Ibid. 34 J. Carbonnier, Droit et passion du droit sous la Ve République, Flammarion, Paris 1996. 35 Sul non-diritto, cfr. Nisio 2002, 69-99. 36 Bourdieu 1986b, 40. 37 Bourdieu 1997, 275-76. 30 31 8 4. La lingua del diritto. Ma la conoscenza giuridica ha consapevolezza del proprio radicamento tradizionale, dunque sociale e simbolico? Il giurista che s’interroga sull’arte che pratica ars boni et æqui -, sul proprio «sens pratique»38, sa in qual notevole misura egli partecipi di una trasmissione intertemporale, di una figliazione risalente, di un gioco linguistico collettivo e dunque di lunga durata? Il diritto è una lingua, possiede una propria lingua. «Legal traditions provide substance, models, exemplars and a language in which to speak within and about law. Participation in such a tradition involves sharing a way of speaking about the world which, like language though more precisely and restrictively than natural language, shapes, forms and in part envelops the thought of those who speak it and think through it. For better or worse (almost certainly for better and worse) it is difficult for insiders to step outside it or for outsiders to enter and participate in it untutored. It moulds the thinking of insiders even where, perhaps especially where, they least realise, and evades the grasp of outsiders determined to pin it down»39. Ed evidentemente il diritto possiede anche una propria «tradizione» culturale e metodologica, implicita nell’essere il diritto strutturato da una lingua condivisa, si può anche dire da una «mentalità»40. È questo a permettere agli storici del diritto di interrogarsi, ad esempio, su «diritto e tempo nella tradizione europea» 41; ai sociologi del diritto, di ricostruire la «tradition française dans la théorie du droit des civilistes»42; o che rende possibile ai comparatisti sia di studiare la «tradition juridique nationale» 43, sia di analizzare la tradizione legislativa comune a Francia, Germania e Italia, la «forma-codice», nell’attualità di un diritto mondializzato44. È sempre la medesima «tradizione» culturale che rende possibile inserire in un trattato europeo un riferimento alle «traditions constitutionnelles communes aux États membres»45. Su tali aspetti della «questione della tradizione» in campo giuridico non si può aggiunger altro, e comunque la letteratura abbonda46. Il diritto è «una disciplina altamente tradizionale»47, per «l’importanza che assume dentro il presente il suo passato registrato e trasmesso»48: ciò è chiaro ai più. Qui si è cercato, in modo maggiormente essenziale, di mostrare la strada, il μέθοδος, attraverso cui comprendere il legame interiore fra tradizione e diritto. Da quel rapporto il diritto non può uscire: è un vincolo ontologico, sociale, ad impedirglielo. Chi crede di Le sens pratique è il titolo di una delle opere più note di Bourdieu (Minuit, Paris 1980). Krygier 1986, 244. 40 Grossi 1988, 267. 41 Bretone 2004. 42 Arnaud 1988. 43 Glenn 2003. 44 Mattei–Di Robilant 2004; si veda anche Glenn 2001. 45 Trattato di Amsterdam, art. 6. 46 Si veda la vasta letteratura presente nelle note di Somma 2004. 47 Krygier 1985, 221. 48 Ibid. 38 39 9 potersene svincolare sta solo proponendo di tradĕre oblivioni una lingua propria, ricca e strutturata. L’operazione ha buone probabilità di non riuscire. Postilla sulla cecità verso la «tradizione» nelle scienze sociali. Quello di Shils è l’unico libro che le scienze sociali posseggono sul tema «tradizione», o almeno l’unico nelle lingue «internazionali»: esiste infatti un Tradycja. Przeglad problematyki a firma dello storico polacco del pensiero sociologico Jerzy Szacki [Szacki 1971: le (poche) informazioni che posseggo sull’opera mi sono fornite dai rimandi effettuati da Krygier nei suoi saggi]. Shils non lo conosceva. Scrive Krygier: «Se si eccettua un breve riassunto in inglese che vi è annesso, il libro non è stato tradotto e, per quanto posso affermare, è praticamente sconosciuto al di fuori della Polonia. Mentre sembra smentire l’affermazione di Shils, il libro di Szacki viene a confermarne il punto di vista più generale. Anch’egli inizia rilevando la scarsità di riflessione teorica sistematica sopra la tradizione. Negli scritti contemporanei, osserva, si riscontra una quasi generale consapevolezza della necessità di una teoria della tradizione che, però, siamo ben lontani dal possedere» [Krygier 1985, 222]. Si vedano le pagine che Shils dedica alla Blindness of the Social Sciences to Tradition [Shils 1981, 7 - 10]. Altrove egli scrive: «This book about tradition is evidence of the need for tradition. If there had been other comprehensive books about tradition and traditions, this book would have been a better one. It would have given me a point of departure easier to start from, it would have given me a standard, and it would have made me more aware of omissions and misapprehensions. But there is not such a book. There are many books about particular traditions. There are books about tradition in Islamic theology and law; there are books about tradition in Judaism; books about tradition in Roman Catholic and Protestant Christianity. There are books about particular traditions in literature and art and law. There is however no book about tradition which tries to see the common ground and elements of tradition and which analyzes what difference tradition makes in human life» [Shils 1981, vii]. Non vi è molto, infatti, nei classici della letteratura sociologica, al di là delle pagine che Weber consacra all’«agire tradizionale» in Wirtschaft und Gesellschaft [Weber 1980], pagine con le quali Shils ampiamente si confronta. Il libro di Shils, inspiegabilmente mai tradotto in italiano, è una vera e propria summa, colta e filosoficamente controllata, scritta da un sociologo fra i maggiori della seconda metà del secolo XX, grandemente ferrato in materia storiografica nonché storicoartistica. Bisognerà attendere Bourdieu per avere una traccia di ripresa dell’interesse verso la categoria della «tradizione», in rapporto al campo di osservazione sociologico. Nel corto testo, che qui si chiude, si sono nondimeno incontrati non pochi sociologi interessati alla sostanza del tema: oltre Shils e Bourdieu, anche Halbwachs e Carbonnier sociologo del diritto. Né vanno trascurate le valide voci di enciclopedia composte da Boudon-Bourricaud [Boudon-Bourricaud 2002], Krygier [Krygier 1985, 1986, 1993] e Cavalli [Cavalli 1998]. Nonostante l’assenza di un esteso campo strutturato di osservazione sociologico sul tema, il presente saggio ha cercato di mantener viva appunto quella «tradizione», per quanto informale essa sia. 10 Bibliografia Nota: i testi di cui esistono traduzioni italiane vengono comunque citati in originale, salvo le eccezioni segnalate. Agamben, G. [1985], «Tradizione dell’immemorabile», Il Centauro, 13-14; ripreso in G. Agamben, La potenza del pensiero, Neri Pozza, 2005. Armstrong, D. M. [1980], «The Nature of Tradition», in D. M. Armstrong, The Nature of Mind and other Essays, University of Queensland Press, Brisbane. Arnaud, A-J. 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