Roma: la conquista dell’Italia Sotto Tarquinio il Superbo, Roma aveva raggiunto le coste del Lazio; questa espansione, però, danneggiava gli interessi commerciali delle città etrusche, tra cui Chiusi, a quel tempo massima potenza dell’Etruria meridionale. Approfittando della caduta della monarchia, il lucumone di questa città, Porsenna, assediò Roma e la conquistò. Ma il suo dominio non durò a lungo: nel 504 a. C. egli venne infatti affrontato e sconfitto da una coalizione di Latini e dovette ritirarsi al di là del Tevere. La sconfitta di Porsenna segnava l’inarrestabile indebolimento della potenza etrusca e diede l’opportunità a Roma di rafforzarsi militarmente. L’emergere della sua potenza suscitò la reazione delle città vicine, che si organizzarono in una lega latina e si scontrarono con i Romani nella battaglia del Lago Regillo (496 a. C.), uscendone però sconfitte. Nel 493 a. C. i Latini dovettero sottoscrivere un trattato si pace redatto dal console Spurio Cassio, il Foedus Cassianum. Tale trattato previde: un’alleanza difensiva tra Roma e le città vicine contro le scorrerie delle popolazioni limitrofe (Equi e Volsci soprattutto) l’ingresso di Roma nella Lega latina il controllo militare della lega a Roma. Questa alleanza servì a garantire, per almeno 50 anni, la sicurezza delle città laziali dall’aggressione dei popoli esterni. Nel 430 a. C. i Romani sconfissero poi definitivamente Equi e Volsci, ampliando la Lega latina con l’ingresso di nuove città nella sua sfera d’influenza. A questo punto la maggiore preoccupazione di Roma era rappresentata da Veio, la potente città etrusca che sorgeva su uno sperone roccioso a meno di 20 km di distanza. La rivalità tra le due città traeva origine dal comune interesse per le saline della costa e per le foreste che si estendevano sulla riva destra del Tevere, ricche di legname adatto alle costruzioni navali. Veio, inoltre, controllava sia la via Salaria, attraverso la quale i mercanti portavano il sale dalla spiaggia di Ostia alle popolazioni appenniniche, sia il corso del Tevere, lungo il quale scendevano le barche cariche di grano. L’obiettivo di Roma fu appunto quello di eliminare la rivale che le impediva di avviare una politica di espansione e metteva a repentaglio la sua stessa esistenza. 1 Nel 406 a. C. scoppiò una guerra che si concluse dopo un assedio decennale, quando Veio venne espugnata e distrutta da Furio Camillo nel 396 a. C. La conquista di Veio rinforzò l’egemonia di Roma nel Lazio ed ebbe importanti conseguenze politiche: Roma, che aveva vinto la guerra da sola, senza l’aiuto della Lega latina, procedette all’annessione di vasti territori che, divenuti proprietà dello Stato (ager publicus), furono assegnati in larga parte ai soldati come compenso per il servizio militare; apparve evidente la debolezza dei legami politici tra le città etrusche, nessuna delle quali scese in campo per sostenere Veio; venne sancita la fine della preponderanza etrusca negli scambi commerciali laziali e fu interrotto il collegamento terrestre fra l’Etruria e le città campane. Liberatisi dalla minaccia che gravava a nord, i Romani potevano espandersi a sud; ma questo progetto dovette essere accantonato per l’incursione dei Galli nell’Etruria meridionale e nel Lazio. Infatti, una colonna di Senoni, guidata da Brenno, mosse nel 390 a. C. dalla costa adriatica, attaccò Chiusi, che resistette all’assedio e poi si diresse contro Roma. L’esercito romano fu sbaragliato sul fiume Allia, un affluente minore del Tevere. Roma fu presa e saccheggiata (sacco di Roma1), alcuni quartieri furono dati alle fiamme, mentre parte dell’esercito si asserragliò sul Campidoglio resistendo per sette mesi. Alla fine i Galli se ne andarono dalla città e fecero ritorno alle loro terre di provenienza. Lo scontro permise alle popolazioni soggette a Roma di ribellarsi; solo dopo un secolo e mezzo di guerre, Roma, intorno alla metà del IV secolo a. C., era diventata la più forte potenza dell’Italia centrale ed era pronta ad espandersi verso la ricca Campania. Ma alla conquista di questa terra miravano anche i Sanniti, un popolo dell’entroterra appenninico costituito di piccole tribù unite da saldi vincoli federali. Nel 354 a. C. i Romani avevano stipulato con i Sanniti un patto d’amicizia, ma nel 343 a. C. il Senato decise di accogliere la richiesta d’aiuto di Capua minacciata da tribù del Sannio. Per questa ragione scoppiò la prima guerra sannitica (343 – 341 a. C.), che si concluse con un trattato di pace, nel quale Sanniti e Romani si impegnavano a non intervenire negli affari interni di Capua. Capua chiese allora l’aiuto delle città Latine, che mal sopportavano l’egemonia romana. Ne nacque una guerra (340 – 338 a. C.) che si concluse con la vittoria dei Romani: nel 338 a. C. la Lega latina fu sciolta e le città dei Monti Albani, con patti separati di alleanza, entrarono a far 1 Ce ne dà testimonianza lo storico Tito Livio (Ab Urbe condita libri, V, 35-55). 2 parte dello Stato romano. Le città campane invece divennero alleate di Roma: ai loro abitanti furono riconosciuti i diritti civili e alle aristocrazie locali vennero concessi anche i diritti politici. Il conflitto con i Sanniti era però destinato a riaprirsi: nel 326 a. C. Napoli chiese aiuto a Roma contro una guarnigione sannitica. Con l’obiettivo di espandersi ulteriormente sulla costa tirrenica, Roma inviò l’esercito in Campania e occupò Napoli, dando inizio alla seconda guerra sannitica (326 – 304 a. C.). Nel 321 a. C. l’esercito romano, sorpreso e accerchiato nei pressi della città di Caudio, fu obbligato ad arrendersi e i soldati dovettero sfilare disarmati, in segno di sottomissione, sotto un giogo formato da tre lance incrociate (Forche Caudine)2. Dopo l’umiliazione patita, Roma riordinò l’esercito e riprese le ostilità, conquistando nel 305 a. C. la principale città sannita. Ne seguì un trattato di pace in cui i Sanniti furono obbligati a rinunciare ad ogni espansione territoriale e a riconoscere il possesso romano della Campania. Nel frattempo Roma aveva consolidato la propria presenza lungo la costa tirrenica con la fondazione di alcune colonie, tra cui Anzio e Ponza. Inoltre, su iniziativa del censore Appio Claudio Cieco, era stata avviata nel 312 a. C. la costruzione della via Appia, una strada di interesse militare che collegava Roma con Capua. La pace, tuttavia, non durò a lungo, perché la potenza romana preoccupava ormai tutti i popoli ancora liberi d’Italia. Infatti, Sanniti, Umbri, Etruschi e Galli si coalizzarono contro Roma che si trovò minacciata da ogni parte: scoppiò così la terza guerra sannitica (298 – 290 a. C.). La battaglia decisiva avvenne nel 295 a. C. a Sentino, nelle Marche, e si concluse con la piena vittoria dei Romani. Mentre gli altri popoli firmarono trattati di pace separati con Roma, i Sanniti continuarono a combattere per altri 5 anni, ma alla fine dovettero deporre le armi. Roma confiscò parte del loro territorio e li obbligò a considerarsi suoi alleati. Pochi anni dopo i Romani conquistarono anche il litorale adriatico, dove fondarono le colonie di Sena Gallica (Senigallia), Rimini (già città etrusca) e Fermo. Con tali avamposti militari Roma si assicurò anche il controllo del Piceno3 e della navigazione nel medio Adriatico. Quando Roma si trovò ad essere padrona di gran parte dell’Italia centro-meridionale, le città della Magna Grecia chiesero aiuto al senato per porre fine alle scorrerie dei Lucani e dei 2 « Furono fatti uscire dal terrapieno inermi, vestiti della sola tunica: consegnati in primo luogo e condotti via sotto custodia gli ostaggi. Si comandò poi ai littori di allontanarsi dai consoli; i consoli stessi furono spogliati del mantello del comando [...] Furono fatti passare sotto il giogo innanzi a tutti i consoli, seminudi; poi subirono la stessa sorte ignominiosa tutti quelli che rivestivano un grado; infine le singole legioni. I nemici li circondavano, armati; li ricoprivano di insulti e di scherni e anche drizzavano contro molti le spade; alquanti vennero feriti ed uccisi, sol che il loro atteggiamento troppo inasprito da quegli oltraggi sembrasse offensivo al vincitore. », Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IX, 5-6. 3 Il Picenum è una regione storica italiana e la V regione romana in epoca augustea. Corrispondeva al territorio delle attuali Marche e dell'attuale Provincia di Teramo in Abruzzo, compreso grosso modo tra il fiume Esino, l'Adriatico, l'Appennino e il fiume Saline. 3 Bruzi che, dai monti dell’Appennino, razziavano le pianure sottostanti; furono allora posti presidi romani in varie città (tra cui Locri, Raggio, Crotone), mentre Taranto mostrò un’aperta ostilità nei confronti delle guarnigioni romane, ritenute pericolose per la propria indipendenza. Poiché sapevano, però, di non poter competere da soli contro i Romani, i Tarantini chiesero aiuto a Pirro, l’ambizioso re dell’Epiro4, che coltivava il progetto di creare un grande regno greco in Occidente, come aveva fatto Alessandro Magno in Oriente. Pirro sbarcò in Italia con un esercito ben addestrato: circa 30.000 uomini e 20 elefanti da combattimento, che dopo Alessandro erano entrati a far parte degli eserciti ellenistici. La sua abilità strategica. La sua abilità strategica e soprattutto lo scompiglio creato dagli elefanti determinarono la sconfitta dei Romani prima a Eraclea (280 a. C.), sul Golfo di Taranto, poi ad Ascoli Satriano (279 a. C.), poco a nord del fiume Ofanto, in Puglia. I Romani lasciarono sul campo circa 11.000 uomini, ma anche Pirro subì ingenti perdite (da ciò si dice “vittoria di Pirro”), senza ottenere i risultati sperati. A questo punto, il condottiero epirota, sapendo di non avere le forze necessarie per piegare Roma, decise di passare con il grosso dell’esercito in Sicilia per aiutare i Siracusani, in lotta con i Cartaginesi che avevano occupato la parte occidentale dell’isola. La situazione si rivelò tuttavia difficile e i risultati modesti spinsero Pirro a tornare a Taranto, anche perché i Romani avevano ripreso le ostilità. Lo scontro decisivo, che si concluse con la disfatta di Pirro, avvenne a Malevento (275 a. C.), a cui i Romani diedero il nome di Benevento in ricordo della vittoria. Pirro tornò in patria, Taranto si arrese e dovette accettare l’alleanza con Roma (272 a. C.) e così tutta l’Italia meridionale, fino allo stretto di Messina, passò sotto l’autorità di Roma. L’organizzazione politico-amministrativa dell’Italia romana Roma organizzò il territorio dell’Italia peninsulare in municipi, città federate e colonie, creando una sorta di Stato federale5 per meglio legare a sé le popolazioni italiche. I municipi Considerati nuclei dell’organizzazione politica di Roma all’esterno delle sue mura, i municipi conservavano l’autonomia amministrativa con propri magistrati. Alcuni, 4 L'Epiro è una regione storica della Grecia, confinante a nord con l'Illiria e la Macedonia e a est con la Tessaglia. Con stato federale si intende, in tempi moderni, un sistema politico in base al quale più Stati si uniscono, per tutto ciò che concerne i loro interessi comuni, sotto un governo centrale. Essi conservano tuttavia una certa autonomia amministrativa e legislativa, fatta eccezione per alcune materie di esclusiva competenza del governo federale (politica estera, difesa, politica monetaria, ecc.). 5 4 quelli cum suffragio, godevano della piena cittadinanza, ossia i loro abitanti avevano gli stessi diritti dei cittadini romani; gli altri, invece, quelli sine suffragio, godevano dei diritti civili (gli abitanti potevano commerciare liberamente, contrarre matrimoni con Romani, ricorrere al giudice per ottenere giustizia), ma non dei diritti politici (non potevano votare nei comizi né tantomeno candidarsi alle cariche pubbliche, non avevano il diritto di appellarsi al popolo in caso di condanna a morte, erano esclusi dalla ripartizione dell’agro pubblico); Le città federate Le città federate erano quelle che avevano deciso liberamente di allearsi con Roma mediante un apposito trattato (foedus). Queste città non erano tenute a pagare tributi e avevano propri magistrati e proprie leggi, ma in caso di guerra dovevano fornire contingenti di fanteria e cavalleria, mentre quelle marittime erano tenute a fornire un determinato numero di navi, a seconda della loro importanza. Gli abitanti delle città federate, denominati soci o alleati, non potevano accedere alle cariche pubbliche a Roma, non godevano dei privilegi fiscali riservati ai cittadini romani, non avevano il diritto di appellarsi al popolo in caso di condanna a morte. Le colonie Le colonie erano le nuove città fondate da Roma lungo le coste o nell’entroterra per scopi militari, agricoli o di popolamento. Le colonie erano dette romane se godevano dei diritti civili e politici, latine se godevano soltanto dei diritti civili. Con la fondazione di colonie Roma creò avamposti sicuri lungo i confini, evitò che vaste aree dei territori conquistati restassero incolte, garantì agli abitanti della penisola, impoveriti dalle guerre, migliori condizioni di vita. Questo sistema politico-amministrativo, che nella pur notevole diversità di diritti e doveri mirava a governare le popolazioni assoggettate con una certa equità, limitò al massimo i tentativi di defezione. I Romani, infatti, non s’impadronivano di tutte le terre migliori né rendevano schiavi i vinti, in quanto si erano resi conto che i sudditi potevano essere governati più facilmente se venivano trattati con giustizia. La condotta liberale della classe dirigente romana in campo economico e politico è una delle principali ragioni che spiegano come Roma sia riuscita a tenere unita l’Italia così a lungo e a superare momenti particolarmente difficili. 5