Monaco Piacentino sulle orme di San Benedetto Lorenzo Montenz

Monaco Piacentino
sulle orme di San Benedetto
Lorenzo Montenz, sacerdote da poche settimane, celebra domenica 17 giugno la sua prima messa in
Cattedrale.
È direttore della biblioteca di Montecassino. “Il monachesimo è una forma di vita decisamente
concreta”
Domenica 17 giugno, alle ore 11, il piacentino don Lorenzo Montenz celebrerà la sua prima messa
in Cattedrale. Ordinato sacerdote da poche settimane, don Lorenzo, per anni legato alla parrocchia
del Duomo, oggi è monaco benedettino dell’abbazia di Montecassino.
Nato nel 1976, il giovane, che ha un fratello gemello, è laureato sia in Filosofia che in Teologia
dogmatica, ha conseguito il diploma della Scuola speciale per bibliotecari e archivisti della
Biblioteca Apostolica Vaticana ed è un valente arpista perfezionatosi all’Accademia Nazionale di S.
Cecilia. Al monaco, che attualmente è direttore della biblioteca della celebre abbazia fondata da S.
Benedetto, abbiamo rivolto alcune domande prima del suo arrivo a Piacenza. E lui, da
Montecassino, ha risposto così.
— Quando ha sentito la chiamata alla vita religiosa?
Ogni vocazione nasce nel periodo magmatico, caotico e quindi fecondissimo della postadolescenza: gli ultimi anni di liceo e i primi di università. Sono gli anni di formazione che
preludono al pellegrinaggio della vita; sono gli anni in cui scopriamo il grande numero di strade che
ci si aprono davanti, tutte altrettanto allettanti e promettenti. È il momento in cui i sogni chiedono di
essere tradotti in realtà. Si tratta di scegliere, e scegliere è difficile. È il momento in cui coniugare
promesse e limiti, speranze e disillusioni, ma se non si sceglie la strada, si rischia di restare tutta la
vita al bivio.
Tradursi in un modello di vita è entusiasmante, ma al tempo stesso richiede il sacrificio di una parte
di sé, e questo è vero per qualunque via si decida di imboccare. Le strade possibili sono molte, si
tratta di valutarle, di sentire verso quale si è maggiormente attratti, di considerare quali impegni
richieda, e poi si comincia a camminare per investire in ciò che pare valere di più.
Io ho creduto nella strada indicata dal Vangelo e l’ho incarnata nella dimensione concreta del
monachesimo benedettino. Ho sentito il fascino del Vangelo come un richiamo senza parole. In
esso è anzitutto lo Spirito che seduce: motivazioni, ragioni e razionalizzazioni arrivano dopo, ma
non esauriscono mai la profondità del richiamo originario. In questi anni di vita monastica qualcosa
di quel fascino mi si è rivelato, ma molto resta nascosto, e non cessa di incantarmi e incuriosirmi.
— Che cosa l’ha attratta della spiritualità benedettina?
Scegliere di fare il monaco equivale a rinunciare a qualunque forma di carrierismo, nella società o
nella Chiesa. Il monaco, come ricordò Paolo VI, si pone volontariamente ai margini della società e
della Chiesa, per poter fruire della libertà di spirito che fu concessa in origine a ogni uomo.
Rinunciare alle dinamiche del successo e della carriera significa donare alla speranza l’orizzonte
che necessita. E io, a vent’anni, così come oggi, volevo poter sperare. Compresi però che sperare è
un impegno, e richiede tenacia e forza d’animo. Il monachesimo, che come vuole S. Benedetto è
scuola e palestra, offriva gli strumenti per allenare lo sguardo a mantenersi alto, oltre ogni via
intrapresa, perché nella vita eterna ogni strada torna a incontrarsi.
Nel capitalismo postmoderno della nostra società la scelta della vita monastica è assai inattuale.
Questa forma di anticonformismo mi ha certamente attratto, ma mi ha attratto soprattutto il grande
senso di equilibrio che emana dalla Regola benedettina. Una vita ritmata da preghiera e lavoro,
meditazione e azione, religiosità e professionalità non può lasciare indifferente chi è alla ricerca di
una ragione per il proprio esserci.
A chi investe tutto se stesso nel lavoro e nella produttività e a chi, al contrario, vive perennemente
alla ricerca dell’infinito senza mai concretizzarsi in nulla, il monachesimo benedettino propone un
costante correttivo, che consente all’uomo di essere insieme spettatore delle meraviglie del Signore
e collaboratore del Suo Regno.
— Come si svolge la sua attività di bibliotecario dell’abbazia?
Già nell’anno di noviziato sono stato nominato aiuto bibliotecario e oggi sono direttore della più
grande Biblioteca statale annessa a un Monumento Nazionale. Sono dunque un dirigente statale con
tutti gli obblighi legati al ruolo. Ma non ho, né desidero, alcuna dispensa dall’osservanza
conventuale. Mi alzo ogni giorno prima delle cinque, leggo, celebro la Messa privata e poi
partecipo all’ufficio notturno con gli altri monaci. Dedico la mattina al lavoro, insegno
all’università, e i numerosi momenti di preghiera che interrompono la mia attività sono una buona
occasione per dirottare l’attenzione della mente. Il monachesimo esercita un grande fascino sulla
società, ma al contrario di quanto si crede è una forma di vita decisamente concreta.
— Che legami ha mantenuto con Piacenza?
Cerco di mantenere rapporti personali con i vecchi amici e sento quotidianamente i miei genitori e
mio fratello per restare partecipe della vita familiare. Ogni tanto torno a Piacenza, spesso di
passaggio, e se riesco mi piace rivedere anche gli amici di una vita. Mi ha fatto molto piacere infatti
avere a Montecassino gli amici della parrocchia della Cattedrale, che mi sono stati vicini non solo
all’ordinazione sacerdotale ma anche alla professione monastica.
(a cura di Laura Dotti)
Il 23 giugno messa in Cattedrale presieduta dal Vescovo
Giuseppe Perotti
diventa sacerdote
Sabato 23 giugno il vescovo mons. Luciano Monari ordina sacerdote Giuseppe Perotti. La
cerimonia prevista in Cattedrale avrà inizio alle ore 18.30.
Giuseppe Perotti, 58 anni, celibe fa già parte del clero piacentino essendo stato ordinato diacono nel
novembre del 2005. Attualmente svolge il suo ministero nella parrocchia di Gossolengo.