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Roberto Nardin
MONACHESIMO TRA ORIENTE E OCCIDENTE
Un importante simposio internazionale ha affrontato il ruolo del Monachesimo nell’ecumenismo. È
una lunga storia di esperienze costruite da incontri, pubblicazioni e azioni comuni dai quali emerge
il rispetto.
Sollecitati dalle parole del Santo Padre secondo cui “i forti tratti comuni che uniscono
l’esperienza monastica d’Oriente e d’Occidente fanno di essa un mirabile ponte di
fraternità, dove l’unità vissuta risplende persino più di quanto possa apparire nel dialogo
tra le chiese” (Orientale Lumen, 9), la Congregazione Benedettina di Monte Oliveto
attraverso il proprio Ufficio per l’Ecumenismo e il Dialogo ha organizzato nell’abbazia di
Monte Oliveto Maggiore (Siena) dal 30 agosto al 1° settembre un Simposio Ecumenico
Internazionale dedicato al “Ruolo del monachesimo nell’ecumenismo”. Al Simposio – a
cui hanno aderito il Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma, l’Istituto di Teologia
Ecumenica Greco-Bizantina di Bari, la Facoltà di Lettere dell’Università Cattolica di
Milano e la Comunità monastica di Bose – hanno dato la loro adesione anche il Prefetto
della Congregazione per le Chiese Orientali il Card. Achille Silvestrini e il Patriarca
Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, facendo pervenire messaggi augurali
auspicando un fruttuoso incontro di fraternità e di studio.
Dopo il benvenuto del P. Abate Generale della Congregazione Benedettina di Monte
Oliveto D. Michelangelo M. Tiribilli ed i saluti del Presidente della Commissione CEI per
l’Ecumenismo e il Dialogo Mons. Giuseppe Chiaretti, arcivescovo di Perugia, nonché
dell’archimandrita Nilos Vatopedinos come rappresentante delle Chiese orientali, hanno
preso la parola i diversi relatori, specialisti del settore, provenienti da tutta Europa.
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1. Linee storiche dell’ecumenismo monastico
La prospettiva generale del Simposio è stata di carattere storico in cui l’articolazione degli
interventi, a nostro avviso, ha mirato, al di là dell’ordine e dei titoli delle relazioni, a
focalizzare cinque aspetti.
Cosimo Damiano Fonseca, Albert Schmidt, Pasquale Corsi e Salvatore Manna, mediante
un’analitica indagine dei fatti remoti, soprattutto relativa al primo millennio, hanno colto
nei rapporti tra il monachesimo latino e quello greco una reciproca simpatia e simbiosi pur
manifestandosi talvolta situazioni di crisi.
Lambert Vos, Giorgio Picasso e Pascal Devriese attraverso lo studio di alcune esperienze
monastiche ecumeniche a noi contemporanee, hanno individuato delle metodologie
concrete di dialogo, fatte di incontri e di conoscenza reciproca, che si sono fruttuosamente
realizzate.
Andrè Louf e Michel Stavrou hanno evidenziato l’influenza che il monachesimo orientale
ha esercitato in quello occidentale, come del resto lo stesso S. Benedetto dimostra nella
stesura della Regola attraverso un’attenzione esplicita al santo padre Basilio.
Giorgio Pasini, Pompiliu Teodor e Donald Allchin hanno concentrato il loro intervento
nell’indagine storica relativa all’importanza che il monachesimo ha assunto sotto il profilo
non solo religioso ma anche culturale e sociale in ambito cristiano non cattolico.
Infine, Enzo Bianchi, Adalberto Mainardi, Mons. Casian Constantin Craciun e Mons.
Giuseppe Chiaretti hanno proposto articolate visioni sintetiche e non pochi spunti che
meriterebbero
un
successivo
approfondimento
teologico.
Potremo
sintetizzare
quest’ultima prospettiva nel tentativo di cogliere il monachesimo come “luogo
ecumenico” (E. Bianchi). La vita monastica infatti si qualifica per l’obbedienza a Dio ed i
monaci sono i profeti dell’unità in quanto nell’incontro fraterno, nella conversione e nella
preghiera si hanno le basi essenziali per un fruttuoso ecumenismo. Inoltre la stessa regola
di S. Benedetto, è stato rilevato, presenta delle qualità ecumeniche ed è stata e può ancora
essere strumento di dialogo tra oriente e occidente.
2. Il monachesimo tra profezia e storia
Nel tentativo di ricomprendere il Simposio attraverso un bilancio sintetico, crediamo che
le linee emerse evidenzino alcune modalità concrete con le quali operativamente proporre
un cammino di unità. A nostro avviso sono esprimibili attraverso due prospettive: la
profezia e la storia.
La profezia si pone nell’ottica del dono di Dio, ottenuto nella preghiera di invocazione
dello Spirito Santo (epiclesi). Occorre accettare che il monachesimo sia posto umilmente e
apparentemente in una posizione marginale rispetto alla cultura dominate, senza che
questo diventi pretesto per nascondere una crisi d’identità. Nella profezia la
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partecipazione alle sofferenze di Cristo diventa fonte di ecumenismo perché solo il
Crocifisso/Risorto attua nel “già” ma “non ancora” della storia la nuova umanità redenta,
primizia dell’umanità unita che si realizzerà in pienezza nell’ultimo giorno. La profezia
rimanda allora all’annuncio visibile della presenza del Regno in cui la testimonianza della
vita come autentica adesione al mistero di Dio che agisce nella realtà concreta deve essere
la connotazione fondamentale della vita monastica come della vita cristiana. Qui si colloca
allora la conversione personale e comunitaria come modalità attraverso la quale incontrare
il Signore che viene, sapendo che nella “logica” di Dio il nostro andargli incontro è frutto
del Suo amore non semplicemente del nostro impegno. Occorre allora una costante e forte
intimità/unità con il Signore.
La storia nell’ecumenismo monastico, invece, si colloca in un ambito esperienziale
costituito da incontri, visite formative, convegni, pubblicazioni, collaborazioni ad azioni
comuni, nei quali risulta importante rispettare le reciproche diversità nell’accoglienza dei
doni che lo Spirito suscita continuamente nelle Chiese e nelle Comunità cristiane. Si tratta
di far emergere le affinità relative all’orizzonte dei valori di riferimento. Attraverso
incontri fraterni e la reciproca conoscenza si dovrà cogliere il dato antropologico comune,
base dalla quale far scaturire una medesima prospettiva esistenziale di cercatori di Dio.
Possiamo individuare una duplice prospettiva della vocazione monastica così come si è di
fatto realizzata nei diversi contesti socio-culturali dell’Occidente e dell’Oriente cristiano. Il
monachesimo orientale sembra essere maggiormente profetico di quello occidentale, più
storico. In Oriente infatti la realtà monastica come patrimonio culturale-religioso non è
mai stata messa in discussione divenendo anzi l’unica modalità di consacrazione. Nel
mondo orientale il monachesimo esprime il luogo visibile in cui si realizza il Regno di Dio
pur mantenendosi fuori e a volte estraneo (Monte Athos) al vissuto dei credenti. In
Occidente invece ha preso sempre maggiore consistenza l’azione dell’uomo quale sovrano
del proprio destino e della storia. In questa prospettiva, Dio se esiste, non serve, e di
conseguenza la vita monastica perde la propria significanza quale rimando ad un
orizzonte ultimo perché importanti diventano le cose penultime. Il monachesimo
dell’Occidente allora per ribadire il proprio valore socio-culturale ha evidenziato la
dimensione attiva, del fare, entrando nella storia ma dimenticando la profezia.
3. L’identità del Monachesimo
In margine alle considerazioni relative la duplice dimensione dell’identità del
monachesimo quale profezia e storia, crediamo che se la vita monastica saprà
comprendersi come l’essere una nuova umanità, dono del Signore Risorto, allora il
monachesimo potrà realizzare, “nella storia”, tutta la sua “portata profetica” e perciò
ecumenica tra Oriente e Occidente come costante invocazione dell’unico Regno di Dio.
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Fonte : http://www.artcurel.it/
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