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Brano : Ab urbe condita VIII, 25
Autore : Livio
Originale
[25] Eodem anno lectisternium Romae quinto post conditam urbem iisdem quibus ante placandis habitum
est dies. noui deinde consules iussu populi cum misissent qui indicerent Samnitibus bellum, ipsi maiore
conatu quam aduersus Graecos cuncta parabant; et alia noua nihil tum animo tale agitantibus accesserunt
auxilia. Lucani atque Apuli, quibus gentibus nihil ad eam diem cum Romano populo fuerat, in fidem
uenerunt, arma uirosque ad bellum pollicentes; foedere ergo in amicitiam accepti. eodem tempore etiam in
Samnio res prospere gesta. tria oppida in potestatem uenerunt, Allifae, Callifae, Rufrium, aliusque ager
primo aduentu consulum longe lateque est peruastatus. hoc bello tam prospere commisso, alteri quoque
bello quo Graeci obsidebantur iam finis aderat. nam praeterquam quod intersaeptis munimentis hostium pars
parti abscisa erat, foediora aliquanto intra muros iis quibus hostis territabat patiebantur et uelut capti a
suismet ipsis praesidiis indigna iam liberis quoque ac coniugibus et quae captarum urbium extrema sunt
[patiebantur]. itaque cum et a Tarento et a Samnitibus fama esset noua auxilia uentura, Samnitium plus
quam uellent intra moenia esse rebantur, Tarentinorum iuuentutem, Graeci Graecos, haud minus per quos
Samniti Nolanoque quam ut Romanis hostibus resisterent, exspectabant. postremo leuissimum malorum
deditio ad Romanos uisa: Charilaus et Nymphius principes ciuitatis communicato inter se consilio partes ad
rem agendam diuisere, ut alter ad imperatorem Romanorum transfugeret, alter subsisteret ad praebendam
opportunam consilio urbem. Charilaus fuit qui ad Publilium Philonem uenit et, quod bonum faustum felix
Palaepolitanis populoque Romano esset, tradere se ait moenia statuisse. eo facto utrum ab se prodita an
seruata patria uideatur, in fide Romana positum esse. sibi priuatim nec pacisci quicquam nec petere; publice
petere quam pacisci magis ut, si successisset inceptum, cogitaret populus Romanus potius cum quanto
studio periculoque reditum in amicitiam suam esset quam qua stultitia et temeritate de officio decessum.
conlaudatus ab imperatore tria milia militum ad occupandam eam partem urbis quam Samnites insidebant
accepit; praesidio ei L. Quinctius tribunus militum praepositus.
Traduzione
25 Lo stesso anno venne celebrato a Roma un lettisternio - il quinto dalla fondazione della citt? -, per
propiziare il favore degli stessi d?i invocati nelle precedenti occasioni. Poi i nuovi consoli, su ordine del
popolo, inviarono i feziali a dichiarare guerra ai Sanniti; questi ultimi non solo stavano compiendo i
preparativi per il conflitto con un impegno ben pi? massiccio di quanto non ne avessero profuso nella
campagna contro i Greci, ma ricevettero anche nuovi rinforzi da una parte cui in quel momento i Romani non
avevano affatto pensato. Lucani ed Apuli, genti che fino a quel momento non avevano avuto nulla a che
vedere con il popolo romano, si misero sotto la loro protezione, promettendo armi e uomini per la guerra. Di
conseguenza venne loro concesso un trattato di alleanza. Nello stesso periodo i Romani condussero una
fortunata campagna nel Sannio. Tre citt?, Allife, Callife e Rufrio, caddero in loro potere, mentre il resto del
territorio venne saccheggiato in lungo e in largo non appena arrivarono i consoli.Portata a compimento cos?
felicemente questa guerra, anche l'altra, l'assedio contro i Greci, era ormai quasi alla fine. Infatti non solo
una parte dei nemici aveva perso ogni collegamento con l'altra a causa delle opere di fortificazione costruite
in mezzo dai Romani, ma all'interno delle loro stesse mura stavano succedendo cose ben pi? preoccupanti
delle minacce degli avversari: quasi prigionieri dei loro alleati, dovevano ormai sottostare agli oltraggi rivolti
anche contro i figli e le mogli, e soffrire tutti gli orrori delle citt? conquistate. E cos?, quando arriv? la voce
che da Taranto e dai Sanniti sarebbero arrivati nuovi rinforzi, pensavano di avere all'interno delle mura pi?
Sanniti di quanti non ne volessero. In quanto Greci, invece, non vedevano l'ora che arrivassero i giovani
greci di Taranto, con il cui apporto avrebbero potuto resistere non tanto ai Sanniti e ai Nolani quanto ai
nemici romani. Ma alla fine sembr? che la resa ai Romani fosse il male minore. Carilao e Ninfio, i personaggi
pi? in vista della citt?, dopo essersi consultati tra di loro, si divisero le parti per mettere in pratica il piano
convenuto: uno di essi si sarebbe recato dal comandante romano, l'altro si sarebbe fermato a predisporre la
citt? all'esecuzione del piano. Fu Carilao che si present? a Publilio Filone e, pregando che la cosa portasse
vantaggio e prosperit? a Paleopoli e al popolo romano, annunci? di aver deciso di consegnare le mura della
citt?. Sarebbe poi dipeso dal senso di lealt? dei Romani se, a fatti compiuti, egli sarebbe apparso il traditore
o il salvatore della citt?. Quanto a s? come privato cittadino, egli non patteggiava n? chiedeva alcunch?. A
nome della sua gente chiedeva - pi? che patteggiare - che, qualora l'impresa fosse andata a buon fine, il
popolo romano considerasse con quanto sforzo e a prezzo di quali rischi gli assediati fossero tornati in
amicizia con Roma, piuttosto che ricordare quale follia e quale temerariet? li avesse distolti dal proprio
dovere. Ricevute le congratulazioni del comandante, ottenne tremila uomini per riconquistare la parte di citt?
presidiata dai Sanniti. A capo del contingente armato venne posto il tribuno militare Lucio Quinzio.
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