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ANZIANI E MARGINALITA’ SOCIALE
“Rispettare la vita” è l’imperativo che sgorga spontaneamente in ogni coscienza limpida, il
fondamento di qualsiasi società giusta – libera – civile, l’invito pressante del Vangelo; ora, diviene
anche il tema scelto dai nostri vescovi italiani per la XVIII Giornata nazionale per la vita, del 5
febbraio 2006.
Qui da noi, la vita umana
è messa spesso sotto il segno della pura lettura economica,
funzionale: sono le prestazioni socialmente accettate che determinano il valore di una persona e del
suo vivere. Su questa strada, però, facilmente sorgono enormi ingiustizie, insoddisfazioni, solitudini
e debolezze. Sostanzialmente, la vita è messa al margine del discorso sociale e culturale, per
riapparire solo quando fa comodo ai più, alla trend; e comunque, solo quando non crea troppi
disturbi, lasciando ricchezza economica, potere e favore di immagine.
Come altre fasce deboli, alcune marginalità colpiscono gli anziani nella nostra società italiana,
al punto tale che spesso possono essere riconosciute come concause determinanti per una soluzione
tragica della vita. Ad esempio, si può arrivare allo stato depressivo grave, nel “lasciarsi morire” o
addirittura nel suicidio. Queste marginalità, in sostanza, sono forme di povertà relazionale, di
riconoscimento e di appartenenza sociale. Ovviamente, non sono le uniche cause di eventi tragici
presso gli anziani (tanto infatti andrebbe ricercato nelle singole storie), non di meno, la lettura di
matrice sociologica offre un punto di vista legittimo, vasto e di immediata comprensione da parte
di tutti. Rimaniamo stupefatto ed attoniti ascoltando i dati numerici o assaporando le casistiche
legate a tragici epiloghi di vita: tutto fa odience!
Di fatto, però, le statistiche lasciano sempre un alone (più o meno pronunciato) di ambiguità:
dalla chiamata ad una maggiore responsabilità ed impegno, all’opposto esito di “farsi gli affari
propri” e ritenere queste cose come ineludibili meccanismi del mondo contemporaneo. Non basta,
quindi, conoscere delle situazioni; c’è bisogno di schierarsi, prendere decisioni, rompere il muro di
indifferenza e compiere dei passi risoluti verso la soluzione del problema.
Un primo passo, sicuramente, è il lasciarsi interpellare dalle persone nel bisogno, prima che dai
loro problemi; capire che tutto questo ci coinvolge e, in ultima analisi, non ci può lasciare apatici.
Ecco di seguito un elenco di marginalità che facilmente trovano casa in tanti anziani, rendendoli a
poco, a poco, quasi…Invisibili!
La Marginalità relazionale è povertà di relazione, derivante dalla solitudine familiare, dall’
allentamento dei legami societari, dall’ appiattimento sulle
“relazioni fredde” (Tv, radio,
mondo ospedaliero, ecc.), insomma, solitudini che forse in gioventù pesavano meno, ora si
fanno pesanti e più insopportabili (vita da single, stato di vedovanza, separati e divorziati soli,
ecc.). Questa messa a lato è la pericolosissima figlia dell’individualismo e del relativismo etico
circa i legami primari, basilari (es., la famiglia).
A fianco di quella relazionale (relazioni a tu per tu, dirette), si colloca aggressivamente la
Marginalità sociale; ovvero, il senso di pesantezza nella dipendenza, di inutilità funzionale e di
perdita delle categorie contemporanee di linguaggio (rispetto al mondo della tecnologia, dei
valori diversi e complessi, ecc.). Si aggiunga, poi, da parte della persona anziana, la miopia sulla
propria spesa vita ( spesso, trasformazioni veloci portano a non pesare adeguatamente una vita
impiegata per costruire benessere sociale, buone relazioni). La percezione chiara è che
l’esperienza di vita e la tradizione non sono valori che godono di buon prezzo sul mercato.
Con il cambio di valori, costumi e tradizioni, in un clima cioè di schiacciamento sull’immediato
monocorde e uniforme, la Marginalità etica mette ulteriormente alle corde chi ha qualche
lustro di troppo, rendendolo fragile nella comprensione e nella gestione del dolore, della
solitudine, della malattia, della deficienza fisica/psichica, dell’epilogo terreno con la morte.
Spesso, a fronte di cure avveniristiche e di grande impegno economico, la vita fisica viene
sì prolungata, ma la qualità della stessa lascia molto a desiderare: non basta permettere di
respirare, bisogna qualcuno che si faccia vicino per amare! Una Marginalità fisica che riesca a
sganciare la vita del corpo da quella delle relazioni, dello spirito, degli affetti, delle decisioni,
ecc., rischia di condannare al male di vivere…
La proposta culturale di massa sembra favorire alcune tra le più efficaci silenziose derive
degli anziani. Infatti, ad essi si offrono dal paese dei balocchi (gite, tombolate, ballo liscio,
intrattenimenti televisivi, ecc.) ai luoghi protetti di accoglienza (ospizi, case di cura, villaggi per
anziani, ecc.): consumare e non mostrare le debolezze sono qui, come altrove, degli imperativi
categorici. Questa è, in estrema sintesi, la Marginalità culturale.
Da ultimo, mi sembra che anche nel nostro mondo ecclesiale si presti un po’ il fianco a
queste marginalità (Marginalità ecclesiale e religiosa), soprattutto quando si mettono (o
lasciano emergere) poco al centro gli anziani come risorsa religiosa e comunitaria, come ponti
di fede col passato. Nella stessa prassi pastorale, sembrano diventati argomenti a dir poco
indelicati quelli che parlano del dolore, del senso del nascere e morire, della vita eterna.
Come figli e fratelli, rendiamoci la mutua testimonianza che “rispettare la vita” è anche togliere
dai margini mortali tanti anziani o, forse, trasformare questi margini in orizzonti di Speranza.
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