LA LETTERA PASTORALE. Ricca serie di iniziative in tre
tempi, in città e provincia, sotto il titolo di «Agorà» per
presentare il terzo documento firmato da mons. Monari
Il vescovo alla diocesi,
richiamo all’unità
Massimo Tedeschi
Il monito: ripartire dai «piccoli», i bambini e gli anziani
ammalati «La Chiesa non è una democrazia ma il metodo
sinodale è essenziale» MONS. GIANFRANCO MASCHER
Si intitola «Tutti siano una cosa sola» la terza lettera pastorale
del vescovo Luciano Monari alla diocesi bresciana.
Dopo la prima lettera centrata sulla Parola, e la seconda
sull’Eucarestia, questa affronta diffusamente il tema della
Comunità. Tema squisitamente ecclesiale, però con evidenti
ricadute su tutta la società: una comunità di credenti fedele,
attiva, impegnata non può non avere effetti sulla vita sociale in
generale. Anche per questo ieri, al momento della
presentazione della lettera, il fascicolo è stato donato
all’assessore comunale Mario Labolani e a quello provinciale
Aristide Peli, a significare consonanze e rimandi fra comunità
dei fedeli e città degli uomini.
Per presentare il testo, per il secondo anno consecutivo, la
diocesi ha varato un vero «cartellone» che va sotto il titolo di
«Agorà». Ma quest’anno si è andati oltre. Brani della lettera
campeggeranno in grandi cartelloni disseminati in città e poi ci
saranno spettacoli, confronti, dibattiti.
«Agorà» è iniziata ieri con la proiezione del film omonimo di
Alejandro Amenabar, con il commento di Enrico Danesi e di
mons. Giacomo Canobbio. Il film parla di una filosofa, Ipazia,
uccisa dai cristiani di Alessandria nel IV secolo. Una scelta che
non a tutti è piaciuta (l’ha criticata, ad esempio, Graziano
Tarantini presidente della Fondazione San Benedetto). Don
Adriano Bianchi, direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali e
«dominus» del progetto di «Agorà» ha replicato: «Il film è
controverso: si è scelto di usarlo per aiutare a una lettura
critica e ad aprire un dibattito».
«Agorà» si snoderà poi in tre cicli. Il primo (dal 6 al 21 luglio) è
denominato «Terre di fede»: sei appuntamenti in città e
provincia che offriranno «elevazioni spirituali». Verranno letti
brani della lettera, eseguiti brani musicali, il direttore del museo
diocesano don Giuseppe Fusari commenterà delle opere
d’arte bresciana proiettate per l’occasione.
Il secondo ciclo (dal 30 agosto al 5 settembre) si intitola
«Chiesa nella città», sarà focalizzato nel capoluogo. Il
programma è in divenire, di certo richiamerà a Brescia figure
come padre Bartolomeo Sorge, mons. Bruno Forte, il
sociologo Luca Diotallevi, e poi spettacoli e momenti di
confronto.
Infine il terzo momento, «Popolo in cammino» (9 settembre - 8
ottobre) con incontri del vescovo con sacerdoti e laici in alcune
macro-zone.
«LA LETTERA - ha commentato il vicario generale monsignor
Gianfranco Mascher - è un dono per la Chiesa bresciana ma è
rivolta anche alla città degli uomini». Di qui l’impegno per
portare il messaggio del vescovo anche nelle piazze. «Il tema
della comunità è cruciale, decisivo, e ha riflessi anche sulla
convivenza civile» ha aggiunto Mascher.
Che la Chiesa bresciana non abbia alcuna intenzione di
«mostrare i muscoli» è stato sottolineato da don Renato
Tononi, vicario della Pastorale dei laici: «La notizia dell’amore
di Dio, sperimentato in modo pratico nella comunità cristiana,
la Chiesa non può tenerlo per sè. Di qui la decisione di portarlo
nelle piazze. La lettera esce dalle sagrestie e entra nelle
piazze perchè questo annuncio spetta di diritto a tutti».
La lettera di mons. Monari (70 pagine, da oggi in vendita a 2,5
euro nelle librerie cattoliche) muove da riflessioni sul dono
dell’amore, ne indaga le conseguenze pratiche, delinea alcune
linee che toccano famiglie, parrocchie, unità pastorali, laici,
associazioni e movimenti. «Il nostro ideale - scrive il vescovo -
è la pluralità unita nell’amore: un corpo solo e molte membra,
un’unica famiglia umana in molte culture, lingue, esperienze,
persone».
Ai movimenti, ad esempio, viene chiesto di assumere «la
logica della comunione»: «Ciascuna esperienza, per essere
veramente ecclesiale, deve custodire la sua identità, ma lo può
fare solo aprendosi generosamente alle altre identità e al
mistero della Chiesa intera». Per fondare questa comunione il
vescovo invita a partire dai «piccoli»: i bambini, gli anziani e gli
ammalati. Sono loro il criterio di giudizio: «Se nelle nostre
comunità ci sono tensioni e liti, vuol dire che non abbiamo
messo al centro i deboli ma i forti, non ci stiamo occupando dei
piccoli, ma dei nostri interessi che riteniamo grandi».
Infine un riferimento al metodo: «La Chiesa non è e non può
diventare una democrazia», avverte Monari. Ma gli organismi
di partecipazione vanno valorizzati in quanto strumenti del
fiorire della «sinodalità»: «Il con-venire dei credenti per parlare,
discutere, decidere il cammino che la comunità è chiamata a
fare».