15/03/05
Prof. Ponz de Leon
MALATTIE RARE
MORBO DI WHIPPLE
Nel 1980 giunge all’osservazione del prof un uomo di 49 anni, alt 1,80m con aspetto
sofferente, sottopeso (57Kg). All’esame obiettivo si rileva una epatosplenomagalia (2cm di
milza e 1cm di fegato sotto l’arcata costale). Gli esami di laboratorio mostrano una
ipoalbuminemia (<3,5), una funzionalità epatica lievemente compromessa, lieve anemia
(11 di Hb). Il problema clinico maggiore di questo paziente è la malnutrizione e per questo
si fa un test molto in uso in quegli anni ossia la misura del grasso fecale. Questo test
consiste nel somministrare al paziente un pasto ricco di grassi (100g di grassi) e nel
misurare tutta l’escrezione fecale dei grassi. Un soggetto normale riesce a smaltire un
carico lipidico di 100 g senza problemi, ciò vuol dire che se noi mangiamo un pasto che
contiene 100 g di grassi li assorbiamo tutti e nelle feci ce ne saranno pochissimi. I grassi
presenti dipendono dal non completo assorbimento e in gran parte anche da azioni
batteriche. Se nelle feci sono presenti più di 7g di grassi allora si parla di malassorbimento
dei grassi, è questo il caso del nostro paziente.
Se voglio valutare il grado di malassorbimento devo fare un test quantitativo, la
misurazione del grasso fecale è il classico test per il malassorbimento di tipo quantitativo.
Molto meno significativo è l’osservazione microscopica di un campioncino di feci che
consente di rilevare le gocce di grasso che posso trovare anche in pazienti normali che
non hanno problemi di malassorbimento.
Nel pz risulta alterato anche il test dell’assorbimento dello xilosio che valuta la capacità
assorbitiva dell’intestino: si somministra una piccola quantità di xilosio (che non viene
assorbita in caso di malfunzionamento intestinale) e poi si misura la quantità di xilosio che
viene escreta con le urine. Infatti se il pz ha l’intestino che funziona bene, più del 50%
dello xilosio viene assorbito e il resto viene eliminato con le urine, se invece il pz non
assorbe bene, nelle urine se ne vedrà molto poco.
Quindi sia il test dello xilosio che quello del grasso fecale mi dicono che il nostro pz ha un
malassorbimento.
Si esegue anche una biopsia epatica che mostra un quadro di fibrosi settale. La fibrosi
settale è una patologia rara ma anche abbastanza benigna, non è una cirrosi epatica
perché questi setti che si formano non stringono gli epatociti e quindi non danno
ipertensione portale. Questa patologia nel nostro caso no ci spiega assolutamente nulla:
né la compromissione della funzionalità epatica e neanche il malassorbimento.
Si eseguono altri esami:
 HbSAg negativo
 Funzionalità pancreatica nella norma
 Rx esofago-stomaco-duodeno per cercare eventuali varici esofagee ma è negativo
 Rx tenue nella norma
Si escludono così patologie pancreatiche e malattie intestinali.
Un esame parassitologico delle feci del paziente consente di isolare delle larve di
Strongiloides Stercoralis; si inizia così terapia antielmintica ma con scarsi risultati (il peso
del pz passa da 57 a 60Kg).
Dopo tre mesi il pz torna in ospedale con gli stessi sintomi: dolori addominali, diarrea e
perdita di peso importante. L’Rx torace mostra una pleurite destra, così si decide di fare
una Mantoux che risulta essere positiva, si esegue allora una toracentesi che però non
evidenzia la presenza del bacillo tubercolare, ma nonostante ciò si instaura una terapia
antitubercolare con Isoniazide e Rifampicina. Si dimette il paziente.
Dopo due mesi si ha un nuovo ricovero del paziente che presenta diarrea, febbricola,
decadimento generale e un peso di 57 Kg. Si esegue allora un endoscopia che mostra un
quadro di duodenite.
Che ipotesi posso fare?
 Patologia tumorale e tutta questa sintomatologia rappresenta una sindrome
paraneoplastica
 Celiachia
Il quadro istologico mostra un quadro caratteristico e patognomonico di morbo di Whipple
che nel 1980 nessuno aveva mai visto. Dal punto di vista istologico la principale
caratteristica del morbo di Whipple è quella di presentare dei macrofagi intensamente PAS
positive a livello dei villi intestinali. Si inizia terapia antibiotica (perché questa malattia è
considerata una malattia infettiva dovuta a un germe identificato) con
cotrimossazolo(Bactrim) alternandolo a cicli di tetracicline e ampicillina. Si osserva una
pronta risposta clinica alla terapia con completa scomparsa dei sintomi, del
malassorbimento e della diarrea. Dopo un anno dalla terapia antibiotica il pz da 57Kg
passa a 78 Kg.
Il pz sta bene per cinque anni, infatti nel 1986 si osserva comparsa di diarrea, febbre e
dolori toracici. Dopo vari accertamenti si arriva a fare diagnosi di pericardite costrittiva,
infatti se si osservano le casistiche del morbo di Whipple si vede che fra i sintomi della
malattia c’è il coinvolgimento cardiaco (pericardite, miocardite, endocardite). La pericardite
si osserva dopo terapia antibiotica con la quale si pensava di aver eradicato la malattia. Il
pz viene operato, è in buone condizioni ma interrompe la sua attività lavorativa.
Nel 1990 si osserva la comparsa di forti dolori articolari con comparsa di tumefazione alle
articolazioni, in particolar modo le articolazioni interessate erano quelle del gomito, dove
erano apprezzabili anche dei linfonodi, e del ginocchio. Si riprende la terapia antibiotica e
si pratica anche terapia antiflogistica. Ci vogliono almeno due mesi di terapia piena per
fare regredire questi sintomi e il pz torna in discrete condizioni. Nel frattempo si fanno vari
controlli endoscopici che mostrano la riduzione del quadro flogistico, le cellule PAS
positive restano sempre anche se il quadro clinico migliora.
L’ultimo controllo del 2003 mostra il pz in buone condizioni con un peso di 72Kg. In seguito
all’episodio di pericardite è rimasta una fibrillazione atriale cronica sotto controllo con
digitale e dicumarolo. Attualmente fa dei cicli di terapia antibiotica.
MORBO DI WHIPPLE
Questa malattia venne scoperta nel 1907 da George Whipple.
Il quadro clinico presenta un malassorbimento severo, l’esame istologico mostra la
presenza di cellule PAS+ nella mucosa duodenale. In questi pz ci possono essere dei
linfonodi colpiti a vari livelli.
L’istologia dal 1907 al 1960 rimase sconosciuta. Nel 1960 con l’avvento della microscopia
elettronica fu dimostrati che questi macrofagi PAS+ contenevano delle strutture bacillari
(Bacillo di Whipple), si riconoscevano degli aggregati intracellulari che non erano parte
della membrana ma erano qualcosa che si poteva interpretare come batteri e fu così
avanzata l’ipotesi infettiva della malattia e proposta la terapia antibiotica. Negli anni ’90,
con tecniche biomolecolari basate sulla PCR, è stato definitivamente dimostrato che si
trattava di un battere che è stato chiamato Treponema Whippeli e nel 1997 questo battere
è stato coltivato.
Tra il 1907 e il 1990 la letteratura riporta 617 casi di malattia di Whipple, è quindi una
patologia rara. Presumibilmente è una malattia diffusa in tutte le razze e popolazioni,
anche se la maggior parte delle segnalazioni di questa malattia riguardano la popolazione
bianca e soprattutto quella anglosassone. E’ più frequente negli uomini.
Manifestazioni cliniche
 Sintomi GI: sono i sintomi guida e sono: malassorbimento, perdita di peso, febbricola,
linfoadenopatia. Sono presenti nel 90% dei pazienti.
 Sintomi articolari: artralgia migrante. Presenti nel 60% dei pazienti.
 Sintomi neurologici: demenze, alterazioni del comportamento, oftalmoplegia,
contrazioni cloniche della muscolatura facciale. Sono dovute al fatto che questa
infezione può colpire il sistema nervoso centrale. Presenti nel 30-40% dei pazienti.
 Sintomi cardiaci: endocardite, pericardite. Sono presenti 20-30% dei casi.
Quindi ci troviamo di fronte a una malattia infettiva, rara, polisistemica.
Diagnosi
 Riscontro degli istiociti PAS+. Questa è la diagnosi di base.
 Riscontro al microscopio elettronico di strutture bacillari con parete trilamellare. Serve
per dare conferma.
 Ricerca dell’RNA batterico
Trattamento
Qual è l’antibiotico giusto?
Per quanto tempo va fatto?
Come si monitorizza la risposta?
La scelta dipende dalla sensibilità e nel caso di coinvolgimento nervoso dalla possibilità di
attraversare la barriera emato-encefalica.
Vari studi hanno dimostrato che il cotrimossazolo è il farmaco più efficace ma non è privo
di effetti collaterali e questo è un segno di elevata efficacia. Tutti i farmaci efficaci hanno
degli effetti collaterali e l’abilità del medico consiste nel saper affrontare questi effetti
collaterali, è un illusione trovare dei farmaci che non abbiano degli effetti collaterali, più è
efficace un farmaco più effetti collaterali mi devo aspettare.
Gli effetti collaterali del cotrimossazolo sono: intolleranza gastrica, nausea, vomito,…
È importante ogni tanto cambiare antibiotico perché non si può andare avanti per anni con
il cotrimossazolo, devo alternare cicli di Bactrim con cicli di CAF, claritromicina (Klacid),
tetraciclina (Bassalo), eritromicina, penicillina, streptomicina. È importante che il Bactrim
venga somministrato anche per via endovenosa nei casi di sintomatologia neurologica nel
tentativo di superare la barriera emato-encefalica e andare a curare la localizzazione
batterica cerebrale.
Sulla durata del trattamento non c’è nessuna regola, il minimo sono 6-12 mesi ma nella
maggior parte dei casi si è costretti ad andare avanti per degli anni, nel nostro paziente il
trattamento è durato 3-4 anni.
Monitoraggio della malattia
L’esame istologico può migliorare ma è difficile che il quadro flogistico scompaia del tutto,
invece se si riesce a monitorare le sequenze di RNA batterico è più facile cogliere una
certa relazione tra stato di guarigione clinica e la scomparsa di RNA batterico circolante. Il
test della PCR è quindi considerato ottimale per il monitoraggio della malattia nel tempo, il
problema è che ci vuole un laboratorio dedicato a questo tipo di ricerca; in Italia questo
test non lo fa nessuno.
La storia del pz non è però ancora finita…
Nel 1989-90 il figlio più giovane viene portato dal prof perché aveva mal di stomaco,
l’esame obiettivo era però negativo e non c’era neanche malassorbimento. Si ricovera e
dopo vari accertamenti si scopre la presenza di un rabdomiosarcoma ad elevatissima
malignità a localizzazione retroperitoneale che porta il ragazzo venticinquenne a morte in
poco più di un mese.
Il figlio primogenito del pz nel 1996 (ha 40 anni) giunge all’osservazione del prof per una
sintomatologia dispeptica, non digerisce bene, ha un alvo irregolare, è agitato, ha modesti
dolori articolari. Si fa diagnosi di intestino irritabile.
Il pz non presenta dimagrimento, non ha febbre, non ha diarrea, non ha segni di
malassorbimento ed è presente un quadro di stipsi. Con un po’ di crusca e di
alimentazione adeguata le condizioni del paziente sembrano migliorare. Si sottopone ad
altri accertamenti, fa una gastroscopia che rileva una flogosi antrale, La ricerca
dell’Helicobacter Pylori risulta positiva e quindi la sintomatologia viene attribuita all’HP. Si
instaura una terapia antibiotica che elimina l’HP ma la sintomatologia rimane.
Dopo anni fa un’altra gastroscopia che risulta completamente normale. Il paziente aveva
dunque due gastroscopie normali e non aveva i sintomi del padre quindi il prof non pensa
al morbo di Whipple e sbaglia perché nel novembre nel 2003 il paziente manifesta sintomi
neurologici estremamente gravi (attacchi epilettici, disturbi cognitivi, alterazioni della
personalità) associati a disturbi digestivi e a un dimagrimento non molto intenso. Fa allora
gastroscopia che dà come esito un duodeno iperemico con le classiche cellule PAS+.
Si inizia allora terapia con cotrimossazolo, c’è un netto miglioramento della sintomatologia
digestiva ma i sintomi neurologici non regrediscono e fino all’ultimo controllo (novembre
2004) il pz non era ancora fuori dai sintomi neurologici.
Questo è il secondo caso nel mondo nel quale di segnala Morbo di Whipple nel genitore e
nel figlio. L’altro caso è successo in America e la storia è esattamente uguale: il primo (il
padre) si presenta con un quadro di malassorbimento e si arriva a fare diagnosi, nella figlia
la malattia si manifesta 20 anni dopo e i medici non pensano al Morbo di Whipple e la
diagnosi arriva quando la figlia presenta dei sintomi neurologici.
In letteratura ci sono casi di malattia che si manifesta tra fratelli ma sono casi sporadici.
Conclusioni
 Malattia rara e insidiosa
 È difficile fare diagnosi
 Esiste una cura (antibiotico)
 Possibile ereditarietà della malattia
 Non si sa nulla sulla modalità di trasmissione
FEBBRE FAMILIARE MEDITERRANEA
Giunge all’osservazione del prof una ragazza nata in Sicilia nel 1980.
All’età di quattro giorni questa ragazza viene operata per lisi di aderenze per bande
peritoneali.
La bambina cresce bene anche se presenta frequentemente coliche addominali che però
non portano la ragazza al ricovero. Probabilmente è una di questa coliche addominali che
porta nel 1991 a un intervento di appendicectomia.
Nel gennaio 1997 la sintomatologia si fa un po’ più accentuata: dolori addominali, febbre e
segni di addome acuto, viene ricoverata e alla dimissione si fa diagnosi di “stenosi fissa
aderenziale di anse prossimali intestinali”.
Questo tipi di diagnosi porta nel giro di pochi mesi (27/3/97) a un intervento chirurgico di
viscerolisi di aderenze fra anse digiunali e peritoneo parietale. Dopo l’intervento però i
dolori addominali permangono così come il quadro subocclusivo.
Nell’aprile del 1997 si esegue un intervento di by-pass tra anse digiunali e tenue con
un’anastomosi che distava 80 cm dal Traitz e 160 cm dalla valvola ileo-cecale, in questo
modo si bypassava il tratto inglobato dal tessuto connettivo. Nel giugno del ’97 la pz si
presenta in buone condizioni e ogni tanto ricorda episodi di colica addominale.
Ipotesi
 Morbo di Chronn: qua non c’è il quadro istologico caratteristico e poi è difficile che
prenda il connettivo in quanto è una forma di enterite e non di peritonite.
 Leishmania: non dà segni di peritonite
La soluzione di questo caso ci viene dalla madre della paziente che per una
sintomatologia simile a quella della figlia fu ricoverata varie volte in Francia e nel 1994 le
viene fatta diagnosi di febbre familiare mediterranea e da allora è in cura con la colchicina
che è l’unico trattamento efficace per questa malattia. La colchicina è un veleno cellulare
che blocca le colture cellulari in anafase, Con la terapia, la madre non ha avuto più
disturbi.
Dopo gli interventi si ipotizza che anche la figlia possa essere affetta dalla stessa malattia
e si inizia terapia con colchicina. La situazione migliora, le crisi dolorose scompaiono
anche se non del tutto e la pz non ha avuto più episodi subocclusivi.
FEBBRE FAMILIARE MEDITERRANEA
Malattia ereditaria che nella maggior parte dei casi si trasmette con una modalità
autosomica recessiva e che colpisce prevalentemente le popolazioni del bacino del
Mediterraneo con predilezione per la parte asiatica. È caratterizzata da febbre, peritonite,
pleurite, artrite e depositi di amiloide.
Fasi della ricerca
 1° generazione: definizione della malattia
 2° generazione (1972): trattamento della malattia
 3°generazione (1987): caratterizzazione biomolecolari della malattia
Genetica
Nella maggior parte dei casi si manifesta in forma autosomica recessiva. L’osservazione di
casi verticali non è rara ( tipica delle forme dominanti) ed è messa in rapporto con la
consanguineità con conseguente maggior rischio di incroci tra i portatori del gene ( sia
eterozigoti che omozigoti). A seconda del tipo di ereditarietà varia il follow-up dei pazienti,
nei casi di forme verticali vanno sorvegliate di volta in volta le altre generazioni, nei casi
invece di forma recessiva l’indagine va posta e condotta in orizzontale per evidenziare altri
eterozigoti.
Biologia molecolare
Il gene responsabile della malattia è stato mappato sul cromosoma 16 nel 1992 e nel 1997
il gene è stato definito ed è stato chiamato MEFV o FMF. Il gene codifica per una proteina
chiamata Pirina o Marenostrina. L’esame molecolare ha evidenziato che ci possono
essere due mutazioni:
1. M694V: c’è una transazione A–G e il cambio di una valina con una metionina
2. V726A: c’è una transazione T-C
Epidemiologia
La malattia è considerata esclusiva di Ebrei, Armeni, Arabi e Turchi, ogni tanto ci scappa
qualche italiano. In Israele l’incidenza è di 1 su 500 e questo si traduce con 5000 casi
l’anno. Sono state avanzate delle ipotesi migratorie delle due più frequenti mutazioni
osservate nei vari paesi del Mediterraneo.
Patogenesi
Si osserva una flogosi peritoneale (o pleurica) ricca di neutrofili. Un’altra malattia dove si
osserva un coinvolgimento delle sierose e del peritoneo è la poliposi familiare dove però
questo coinvolgimento del peritoneo è diverso perché non è dato dalla flogosi
granulocitaria ma è dato da una flogosi fibrosa. La poliposi familiare oltre ad avere un
intestino tappezzato di polipi ha anche la caratteristica di associarsi a tumori desmoidi
(fibromi particolari che presentano un’aggressività locale e soprattutto infiltrano l’intestino).
Ci sono pazienti affetti da poliposi intestinale che hanno avuto lo stesso intervento della
paziente: l’intestino era completamente avvolto non da una flogosi granulocitaria ma da
tessuto fibroso duro che stenotizzava l’intestino e l’unica cosa che il chirurgo ha potuto
fare è creare un by-pass fra le prime anse digiunali e le ultime anse ileali.
L’ipotesi patogenetica alla base della malattia di Whipple consiste nel fatto che la Pirina è
un mediatore dell’infiammazione, più esattamente è un fattore che inibisce la migrazione
dei linfociti. Infatti quando il gene è mutato e quindi è inattivato c’è una iperattivazione dei
granulociti e si forma la peritonite. Questa ipotesi è anche confermata dalla terapia perché
con la colchicina si va a bloccare l’attività replicativa dei linfociti. Resta da capire perché
questo processo colpisca le sierose.
Manifestazioni cliniche
 Febbre continua remittente che dura da 1 a 12 giorni
 Dolori addominali e peritonite, può simulare un’appendicite o una colecistite o
comunque tutte quelle infiammazioni intestinali che danno addome acuto. Nella
maggior parte dei casi la peritonite regredisce e raramente si arriva, come nella pz, a
delle aderenze.
 Pericardite, artralgie, mialgie: sono rare.
 Amiloidosi: soprattutto nelle situazioni croniche. Si verifica nel rene dove può provocare
un’insufficienza renale, nel fegato, nel cuore e nella milza.
Diagnosi
 Manifestazioni cliniche
 Etnicità
 Storia familiare
 Risposta alla terapia con colchicina
 Riscontro di mutazioni del gene MEFV
Terapia
Fu iniziata nel 1972. 1 mg al giorno di colchicina è completamente o parzialmente efficace
nel 95% dei casi. A lungo andare i pz rischiano sempre meno di avere dei problemi di
peritonite ma aumentano i rischi legati ai depositi di amiloide (insufficienza cardiaca,
insufficienza renale).
Torniamo alla pz…
1. Caratteristiche cliniche: ci sono ma di severità intensa
2. Etnicità: no
3. Familiarità: c’è e ha caratteristiche di tipo dominante
4. Risposta alla terapia: si
5. Amiloidosi: non c’è e non si è neanche cercata
6. Test genetico: non è stato eseguito
Chi fosse interessato ad approfondire uno degli argomenti che ha svolto il prof. può
chiedergli la bibliografia.