la sfida etica al multiculturalismo

OKIN - LA SFIDA ETICA AL MULTICULTURALISMO
INTRODUZIONE (di Acocella)
In un suo saggio esemplare, Raymond Boudon sintetizza il cambiamento avvenuto sul tema delle
minoranze dopo gli avvenimenti verificatisi negli Stati Uniti (Rosa Parks rivendicò in Alabama il
diritto di sedere in autobus nel posto riservato ai bianchi; il segregazionismo di Little Rock;
l’amministrazione Kennedy permise al giovane James Meredith di accedere all’università dopo
essere stato respinto). L’autore afferma che da quel momento la segregazione è vista come una
condizione che contraddice i valori democratici e non è possibile che una parte della popolazione
veniva discriminata. Boudon nota in qsta nuova visione un collegamento con quelle teorie le quali
affermano che le società non possono essere né confrontate né ordinate secondo un qualsiasi criterio
di valutazione. E ciò è rafforzato dal relativismo della cultura contemporanea. Tuttavia Boudon
sostiene che cmq è naturale che gli uomini preferiscono vivere in una società che garantisce
condizioni di vita decenti, garantisce il rispetto dei diritti fondamentali e l’uguaglianza tra uomini e
donne.
Se il relativismo radicale sostiene che non esistono valori (ogni ideale si equivale ed ognuno ha il
diritto di seguirlo senza alcun vincolo), esiste un relativismo che, al momento in cui si pone il
problema del confronto e soprattutto della convivenza tra culture diverse, si appella al moderno
pluralismo (coesistenza di + visioni del mondo) usando toni diversi: viene riconosciuta sì l’esistenza
di valori, ma ne viene negato il carattere di verità universale. Dunque si sostiene che gli esseri umani
aderiscono a qsta o a quella credenza esclusivamente xkè è una credenza accettata nell’ambiente
culturale in cui vivono. Si ritiene che siano valori validi per le singole comunità, senza porsi il
problema di cosa accade quando valori e comunità radicalmente diversi vengono in contatto. Questo
succede perché il relativismo confonde il pluralismo includente (l' "interculturalità", in cui diverse
culture convivono, si confrontano, contribuendo a individuare valori comuni, e continuando a
svilupparli anche in direzioni nuove) col separatismo escludente (il "multiculturalismo": si lascia
che si creino mondi e comunità limitrofe e non comunicanti, dunque la difesa delle minoranze x
garantirne l’accesso alle disponibilità comuni è divenuta tutela delle culture al cui interno i singoli (x
es. le donne) possono subire prepotenze superiori rispetto a quelle subite da interi gruppi etnici o di
genere. X cui ogni minoranza tende a separarsi piuttosto che a rivendicare il diritto comune: il
rispetto di tutte le culture porta qste ultime ad essere ghettizzate e quasi “congelate” culturalmente,
private del loro dinamismo storico, bloccate nei loro sviluppi interni verso orizzonti universalistici.
Will Kymlicka è autore noto agli studiosi del multiculturalismo. Al suo nome si associa infatti la
corrente del pluralismo liberale, cioè «l'approccio liberale ai diritti delle minoranze». In che misura e
a quali condizioni, si chiede Kymlicka, i diritti collettivi delle minoranze culturali risultano
compatibili coi diritti individuali di libertà? La sola benigna noncuranza dello Stato, affermava
Kymlicka, non basta a riparare ed evitare i torti verso le minoranze discriminate, in quanto, a
differenza che con la religione, lo Stato non può evitare di legittimare una cultura quando decide di
usare la sua lingua nelle pubbliche istituzioni o nei pubblici uffici: ciò significa che un esercizio
significativo della libertà individuale è legato necessariamente all'appartenenza a una cultura.
Sulla scia di Amartya Sen, il quale afferma che la ragione ha un ruolo significativo nella scelta
dell’identità, la quale non è uniforme ma pluralista xkè partecipa di differenti esperienze culturali e
sociali il cui risultato non è l’appartenenza etnica o religiosa imposta, ma l’identità prescelta,
Stefano Zamagni ne consegue che la socialità umana non è fondata da una pretesa di eticità da
parte di un macrosoggetto (che sia la comunità, lo Stato, la classe, ecc), ma dalla libera scelta da
parte del soggetto.
Le posizioni multiculturaliste sono ambigue xkè enfatizzano la pluralità, negando xò l’universalismo
cosmopolita, facendo emergere le differenze e le discriminazioni.
Il confronto tra posizione comunitarie e liberali ha messo in luce che x esaminare correttamente il
problema multiculturale bisogna considerare la questione del soggetto:
Nell’interpretazione di Michel Wieviorka, x i comunitaristi, tra cui Taylor, la formazione del
soggetto indica che ogni persona può riferirsi, fin dalla prima infanzia, a una cultura in cui raccoglie
le risorse necessarie al sentimento della sua dignità e alla stima di sé. Secondo tale visione, dunque,
le culture minoritarie sono riconosciute e non disprezzate xkè è permesso all’individuo di apprendere
la libertà e di costituirsi come soggetto.
X i liberali, invece, gli individui non hanno bisogno di poggiarsi su culture (x es di tipo etnico o
razziale) le quali rischiano anche di rappresentare un fattore di chiusura x le stesse persone, mentre
già farebbero correre grandi pericoli all’insieme della società.
Micheal Walzer ha notato che liberalisti e comunitaristi in realtà non parlano della stessa cosa xkè
i liberali si interessano al legame sociale e alle relazioni tra soggetti costituiti, mentre i comunitaristi
studiano la costituzione del soggetto.
La questione è affrontata anche da Alain Touraine con il tema centrale della modernità, quello della
distruzione dell’individuo e della limitazione della sua libertà assoluta dovuta al mercato e alla
comunità. X Touraine l’individuo deve e vuole ricostruirsi come soggetto creatore della propria
identità perduta, soprattutto dopo la separazione tra la dimensione produttiva e quella civile (come
accade agli immigrati) con l’effetto della desocializzazione tipica delle società contemporanee. Il
processo di soggettivizzazione che porta l’individuo a divenire attore della propria identità sociale e
culturale si misura con la forza dell’appartenenza xkè né le comunità limitate, né le organizzazioni
sociali sanno fornire identità. Dunque non è + l’appartenenza o lo Stato a definire gli attori sociali,
ma la partecipazione consapevole all’associazione tra soggetti che costituisce l’identità stessa.
Alla stessa conclusione giunge Lanza x il quale la libertà individuale può essere difesa e garantita
solo collettivamente.
Come ha scritto Carmelo Vigna: che ne è della giustizia in una società pluralistica? Che cos’è
giusto x ogni essere umano? Risponde dicendo che è giusto o ingiusto ciò che riguarda l’immediato
rapporto che lascia essere gli esseri umani come tali, cioè non li riduce a oggetti manipolabili.
In qsto dibattito Susan Moller Okin rappresenta una figura esemplare x la sua riflessione eticosociale, che parte dalla prospettiva femminista, volta a rivendicare l’eguaglianza, il problema della
relazione tra multiculturalismo e femminismo, chiedendosi se il primo sia un ostacolo x l’aspirazione
femminile all’eguaglianza.
Confrontandosi con Marilyn Friedman e Monique Deveaux, la Okin riconduce il dibattito sul
multiculturalismo alla critica sia del liberalismo formalistico e sanzionatore delle disuguaglianze sia
alle debolezze della democrazia quantitativa, priva di ancoraggio etico.
Il nodo della questione è che le differenti culture devono incontrare il limite dei diritti umani
fondamentali eticamente fondati ed evitare la situazione denunciata da Salim Abou:
«Se è vero che ci sono tante etiche qnte sono le culture e che ciascuna possiede una propria
razionalità, che dall’esterno non può essere giudicata, bisogna ammettere che il diritto alla differenza
legittima l’oppressione che una società, in nome della sua cultura, esercita sui suoi stessi membri, in
attesa forse di esercitarla sugli altri».
PARTE PRIMA
CAP.1 SUSAN MOLLER OKIN: LA FAMIGLIA, IL GENERE E LA
GIUSTIZIA
Susan Moller Okin (femminista umanista), scomparsa il 3 marzo 2004, è stata una grande esponente
della filosofia politica femminista americana e professoressa di Etica sociale alla Stanford
University. Negli ultimi anni si era interessata alla condizione delle donne nei paesi meno sviluppati,
dimostrando che le loro difficoltà estreme portano ad un pensiero differente rispetto alla complessità
dei problemi di genere, in un contesto internazionale in cui la povertà minaccia la vita di tutti. Si era
impegnata a sostenere il “Fondo globale x le donne”, una fondazione a sostegno dei diritti umani
delle donne, portandola a trascorrere tre settimane in India come membro della delegazione del
fondo World Social Forum di Mumbai.
Nel suo saggio + importante, scritto nel 1989, Justice, Gender and the Family, tradotto in Italia con
il titolo Le donne e la giustizia. La famiglia come problema politico, la Okin affronta con forza il
problema dell’ingiustizia insensata verso il genere femminile facendolo derivare soprattutto dalla
divisione asimmetrica del lavoro. Il femminismo della Okin non soltanto vuole estendere alle donne
lo stesso status dell’uomo, ma trasformare del tutto la sfera politica della famiglia, giudicata privata
in modo strumentale.
Infatti, come si evince già dal sottotitolo dell’opera, la famiglia è il primo luogo in cui ha origine la
divisione sessuale del lavoro e in cui si costruisce la distinzione sociale fra i sessi. Il problema della
famiglia è politico: la distinzione fra pubblico e privato non soltanto è arbitraria, ma deriva essa
stessa da una decisione politica.
Quindi la Okin polemicizza contro quel filone femminista che descrive la donna in base alla sue
specificità morali, riservandole dei diritti in qnto donna e non in qnto individuo, e che presuppone
che la differenza sessuale vada garantita mediante un diritto sessuato, secondo il filone
multiculturalista che poggia sul difficile confronto fra i diritti individuali e quelli del gruppo
discriminato.
Invece, la critica femminista ispirata all’ideale dell’uguaglianza derivante dal pensiero della
differenza si basa sulla tesi che l’uguaglianza sia “l’uguaglianza come essere”, cioè l’uguaglianza
che si basa su un modello già dato e non invece, nel suo uso giuridico e morale, come “poter essere”,
cioè come qualcosa che ha a che vedere con le relazioni e le possibilità di persone assunte come
libere e dunque in grado di sfuggire alle classificazioni.
In questa prospettiva, la Okin non condivide la tesi di Carol Pateman, per la quale, se x
femminismo si intende una lotta per l'uguaglianza delle donne come individui, lavoratrici e cittadine,
allora è difficile trovare una difesa contro coloro che lo accusano di voler trasformare le donne in
uomini. Questo modo di ragionare, secondo la Okin, si basa sulla discutibile premessa che le
femministe vogliano semplicemente estendere alle donne lo stesso status degli uomini, senza
ripensare la sfera non politica della vita domestica e senza interrogarsi sulle radici storiche della
disuguaglianza, interrogativo qsto che una attenzione acritica alla differenza tende a dimenticare. Dal
suo punto di vista, la questione fondamentale dunque non è capire in che cosa le donne sono diverse,
ma chiedersi perché le donne sono state diversamente trattate. La filosofa esprime dubbi
sull’efficacia reale di legislazioni e politiche corporative (privilegi, quote, commissioni riservate) nei
sistemi democratici. La logica corporativa non può essere applicata alle donne, che, infatti, non sono
una minoranza culturale. X la Okin non c’è alcuna ragione di intervenire nei confronti delle donne in
modo “iperprotettivo” garantendo a priori spazi e ruoli esclusivamente riservati a loro, quindi
bisogna abbandonare l’idea tipica di una parte del femminismo di utilizzare la differenza sessuale
come un’arma critica e politica.
Palombella precisa che la strategia della Okin non è quella di attaccare l’idea di eguaglianza in
nome della differenza, non aspira a fondare una filosofia politica ed un’etica solo femminili separate
da quelle maschili, xkè ciò le appare una strategia dannosa che rendere incontrastabili le
disuguaglianze e le differenze.
X comprendere il carattere ambiguo e conservatore di qsta strategia, secondo la Okin, occorre
considerare il libro dell’americana Iris Marion Young, Justice and the Politics of Difference
pubblicato in Italia nel 1996.
La riformulazione del rapporto concettuale tra eguaglianza e differenze, x ricercare un’eguaglianza
che si realizzi attraverso la valorizzazione delle differenze, ha portato a constatare che le politiche
ispirate alla nozione tradizionale di eguaglianza si possono tradurre in modelli di “assimilazione”,
cioè in modelli che permettono ad alcuni individui di raggiungere obiettivi e stili di vita della cultura
dominante, pagando xò il prezzo, seppur parziale, della propria identità personale e di gruppo. Come
scrive Young, l’ideale assimilazionista, sia che ignori o elimini le differenze, nega che la differenza
di gruppo possa essere positiva e desiderabile. Dunque una vera politica di emancipazione, che
consideri come valore la differenza di gruppo, deve portare a rivedere il significato stesso di
uguaglianza. L’ideale assimilazionista presuppone che uguaglianza sociale significhi trattare tutti in
base agli stessi principi, regole e criteri; invece la politica della differenza sostiene che
l’uguaglianza, in quanto è partecipazione e inclusione di tutti i gruppi, può richiedere a volte un
trattamento differenziato dei gruppi oppressi o svantaggiati.
Tuttavia, la questione della differenza sessuale ha interessato fin dalle origini il pensiero occidentale,
infatti i filosofi greci sostenevano che la divisione dei ruoli maschili e femminili nella società fosse
dovuta alla diversità biologica, x cui la donna era considerata inferiore xkè diversa e quindi le
venivano assegnati compiti secondari.
La teoria femminista, invece, sostiene che il genere non è il prodotto della biologia, ma della società:
dunque il sesso differenzia nell’aspetto fisico, ma non negli aspetti psicologici, morali e sociali.
La Okin polemizza contro la tradizione filosofica occidentale che considera la famiglia (e quindi le
donne) come ente naturale e necessario, spingendo così le donne fuori dalla partecipazione pubblica
e dal potere politico e considerandone esclusivamente la funzione sessuale (affettiva e procreativa),
oltre che diritti e moralità differenziati. Proprio x qsto la Okin riflette sull’arbitrarietà del confine tra
natura e cultura, infatti, x un fatto sia storico che culturale, la donna è associata alla passività, alla
sottomissione in qnto priva di quelle abilità e capacità ritenute proprie solo dell’uomo, quali il logos
e la capacità di astrazione.
La Okin si scaglia anche contro l’ambiguità della tradizione liberale ed il suo patriarcalismo che
considera “individui”, cioè componenti di sistemi politici, famiglie con a capo un maschio: mentre
gli interessi degli attori maschili nella sfera politica sono visti come distinti e conflittuali, quelli dei
membri della famiglia di ogni patriarca sono visti come completamente convergenti con i suoi e di
conseguenza le donne scompaiono dall’oggetto della politica.
Già nella sua opera del 1979 Women in Western Political Thought la Okin si confronta con la
tradizione filosofica occidentale, da Platone fino a John Stuart Mill, sul problema del ruolo della
donna nell’ambito politico e sociale.
Mentre Aristotele subordinava la donna all'uomo, relegandola alla sfera della giustizia domestica ed
attribuendole la sola funzione di aiutare ed accudire chi, al contrario, era considerato come “umano
in modo + pieno”, Platone, insieme a Mill, rappresenta un’accezione tra i filosofi maschi della
tradizione occidentale in qnto è stato il primo ad interrogarsi sul problema delle donne come
problema politico di tutti.
A Stuart Mill viene fatta risalire la definizione filosofica + articolata di femminismo liberale qndo
sostiene che l’ineguaglianza fondata sul genere e la preclusione di determinati tipi di occupazioni
alle donne sulla base delle loro differenze anatomiche sono due fatti in contraddizione con la
condizione moderna. Infatti non è possibile distinguere uomo e donna in un mondo che ha già
abolito la distinzione tra schiavo e uomo libero, tra servo e padrone. Mill allora lancia una
provocazione e, utilizzando l’esempio della regina Vittoria, si chiede come sia possibile avere delle
regine e non avere ancora donne in Parlamento.
Di Platone la Okin considera alcuni punti del IV e V libro della Repubblica in qnto in essi riscontra
una concezione del ruolo riproduttivo della donna diversa da quella dei filosofi che hanno
riconosciuto alla donna una funzione solo affettiva e procreativa, secondo una scala gerarchica dove
ella occupa un gradino inferiore rispetto agli uomini xkè non possiede gli stessi valori.
Platone separa le componenti biologiche della femminilità dai collegati aspetti convenzionali,
istituzionali e emotivi. Egli dimostra poi che la natura umana femminile non è così diversa da quella
maschile nell’esercizio delle funzioni di governo ed arriva a proporre l’abolizione della famiglia
privata. Su qsta scia la teoria della Okin parte dalla considerazione del fatto che qndo non si cerca di
ricavare direttamente dalla riproduzione la funzione sociale di allevamento e di cura dei figli e la
responsabilità della famiglia, è possibile distribuire ruoli ed occupazioni senza distinzioni tra i
genitori.
Nel V libro della Repubblica Platone produce un importante argomento a favore dell’uguaglianza
dei sessi mostrando posizioni aperte ed anticonformiste x suoi tempi, partendo dalla definizione del
suo Stato ideale considerato come una grande famiglia e caratterizzato dall’abolizione della proprietà
privata. Egli, naturalmente, ha di mira la famiglia del mondo greco a lui contemporaneo: una
comunità economica schiavista e patriarcale, che si occupava dei bisogni materiali e riproduttivi.
L’eliminazione della famiglia determina l’eliminazione della giustificazione circa la specificità del
ruolo femminile su cui pesa tutta la responsabilità della famiglia e apre la prospettiva a due principali
soluzioni interpretative:
1) considerare la differenza sessuale come assoluta e indipendente dalla storia;
2) chiedersi cosa le donne possono essere o diventare e quindi bisogna accettare la premessa che i
problemi delle donne sono i problemi di tutti, xkè le donne fanno parte dell’organizzazione della
città come gli uomini.
Qsta tesi viene sostenuta con due argomenti:
1. L’argomento della marginalità funzionale del sesso biologico: c’è motivo per assegnare funzioni
differenti sulla base del sesso biologico? Se si considerano gli animali che lavorano nel contesto
culturale umano, a questa domanda si deve rispondere negativamente. x esempio, alle femmine
dei cani da guardia sono assegnati gli stessi compiti di caccia e di custodia assegnati ai maschi, e
non vengono lasciate in casa come prive di potenzialità, incapaci, per la generazione e
l’allevamento dei cuccioli. Nel caso dei cani da guardia, la divisione del lavoro non avviene in
ragione del sesso, ma in ragione della differente forza fisica e non è possibile servirsi di più
animali per lo stesso uso, se non diamo loro il medesimo allevamento e la medesima educazione.
2. L’argomento della rilevanza della differenza: la tesi platonica si presta all’obiezione
tradizionalista per la quale le donne devono essere destinate a lavori diversi da quelli maschili,
perché la loro natura differisce da quella degli uomini. A tal proposito il Socrate della Repubblica
riporta un argomento esemplare: è vero che i calvi sono diversissimi da quelli che hanno i capelli,
ma, se capita che i calvi facciano i calzolai, non c’è comunque ragione di impedire l’esercizio di
questo mestiere a quelli che hanno i capelli. Infatti, avere o no i capelli è del tutto irrilevante
rispetto all’esercizio del mestiere del calzolaio.
Il femminismo della differenza accusa Platone di non aver valorizzato le attività tipicamente
femminili e di aver fatto delle donne degli “uomini onorari”, contestando la linea di pensiero che,
discendendo da Platone, ammette che le donne, nonostante siano donne, siano incluse come se
fossero uomini. Il pensiero dell’uguaglianza, invece, contesta il pensiero della differenza xkè non sa
chiarire in che modo sia possibile includere le donne in qnto tali, e si accosta alla tesi platoniana
circa il valore dell’educazione che dà alle donne le stesse opportunità dei maschi.
La Okin afferma che è necessario che le politiche sociali considerino la famiglia come campo
d’azione principale x combattere l’ingiustizia sessuale dovuta all’ineguale distribuzione del lavoro
retribuito sia nell’ambito pubblico che in quello privato. Tuttavia, afferma la Okin, oltre alla
famiglia, ci sono altre istituzioni sociali che potrebbero contribuire alla giustizia fra i sessi, quali il
luogo di lavoro e la scuola: è necessario che la legislazione dia ai lavoratori e alle lavoratrici il diritto
a congedi pagati e non pagati x maternità, orario di lavoro ridotto o flessibile, custodia x i bambini su
luogo di lavoro, ecc.
Quindi x la Okin, al contrario che x il femminismo della differenza, non si tratta di eliminare la
differenza sessuale, che può invece essere un elemento arricchente, ma di superare un modello
gerarchico-dicotomico (separazione pubblico-privato) che ha prodotto rapporti di dominazione in
tutti i contesti. Le donne non devono chiedere di essere riconosciute come soggetti del diritto e della
cultura in qnto ciò è controproducente, e non bisogna rendere visibili problemi considerati
tipicamente femminili, ma dimostrare che qsti problemi riguardano tutti, anche gli uomini. E’
dunque necessario eliminare lo svantaggio tra i generi, conservando quella diversità che rende la
donna unica e rafforzare la specificità femminile, rivendicando il diritto a una differente soggettività
giuridica. X qsta ragione la Okin sostiene che bisogna elaborare teorie della giustizia che siano
realmente inclusive, cioè che permettano alle donne di consolidare la loro posizione negli ambiti
della vita sociale. Da qui l’abbandono di una visione maschilista del diritto e della morale che si è
retta anche sulla contrapposizione tra giustizia e cura determinando così l’esclusione delle donne
dall’ambito politico.
L’esclusione delle donne e della famiglia dalla filosofia politica, a differenza di Mill e Platone, è il
prodotto di una definizione naturalistica e funzionale della donna, la quale avrebbe una natura che la
porta ad essere relegata ai suoi doveri familiari e naturali, mentre l’uomo rimane l’unico detentore di
diritti.
Il discorso della Okin è incentrato sulla percezione che la separazione fra pubblico (dunque politico)
e privato sia una costruzione x lo + ideologica e come, invece, alla famiglia sia possibile applicare
criteri di giustizia, proprio xkè una società che garantisce la convivenza fra i suoi membri e la
giustizia nella distribuzione delle risorse non può tollerare proprio nella famiglia forme di ingiustizia
basate sul genere.
Inoltre, la questione della giustizia nella famiglia è alla base della critica che la Okin (e la
Nussbaum) rivolge alla famiglia come spazio sottratto alle norme comuni che regolano le altre
persone nel resto della società. X qsto la Okin, qndo dice che il «personale è politico», intende
affermare:
- la centralità del potere nella vita familiare che determina violenze e sottomissione delle donne, e
qsto è un trascurato dalle teorie della giustizia esaminate dalla Okin la cui importanza e' invece
dall'autrice resa manifesta attraverso la lettura dei dati sulla violenza contro le donne nei paesi
industrializzati e in quelli del terzo mondo.
- il fatto che la sfera domestica sia definita in base a decisioni politiche. Questa circostanza sposta i
termini della questione dal se lo stato interviene a quanto lo fa: non si tratta di chiedersi se lo stato
debba intervenire, perchè già la delimitazione dei confini della sfera domestica è una forma di
intervento, ma piuttosto in che misura debba farlo.
- in terzo luogo, la famiglia, sfera domestica in cui la donna è il genitore e “allevatrice primaria” e
nella quale avviene una considerevole parte della nostra socializzazione, è innegabilmente politica
xchè è la sede in cui si costruisce l’identità di genere.
- infine, la divisione del lavoro nella famiglia strutturata secondo il genere pervade le altre sfere
elevando, contro le donne, barriere pratiche e psicologiche. Ovvero, la divisione del lavoro nella
famiglia determinata dal genere avviene anche in ambito extradomestico con numerose
discriminazioni sessuali sul luogo di lavoro x cui alle donne sono affidati compiti meno importanti e
retribuzioni inferiori rispetto a quelle corrisposte ai lavoratori maschi. Dunque quelle che vengono
viste come sfere separate, secondo la tradizionale prospettiva maschilista, "sono in realtà parti,
strettamente connesse, di un ciclo ricorsivo di disuguaglianza tra i sessi". Ed è proprio lo stretto
legame tra le due sfere a non rendere facile il passaggio fra i due ambiti, nell'uno e nell'altro senso, e
a rendere la diseguaglianza ricorsiva.
A questo punto, “se l'istituzione in cui siamo socializzati primariamente è permeata di dominazione,
che speranza c'è", si chiede la Okin, "di liberare dalla dominazione le società in cui siamo
socializzati?" L'uguaglianza tra i sessi non può avvenire spontaneamente, e x qsto è necessario
realizzare cambiamenti giuridici, politici e sociali.
Così, nell'ultimo capitolo, la Okin fornisce proposte concrete x superare l'istituzione della famiglia e
della società basate sul genere. Proponendosi la costruzione di una teoria della giustizia in senso
femminista, cioè umanista, che interrompa il continuo processo che vede la società basata sul genere,
la Okin cerca di spezzare questo ciclo in due modi tra loro connessi: in primo luogo evidenziando le
comuni carenze delle teorie + importanti dopo averle analizzate e confutate; in secondo luogo
partendo da quelle stesse teorie per offrire proposte di cambiamenti politici che potrebbero attenuare
l'attuale ingiustizia rispetto al genere: la Okin propone dunque un'adeguata diffusione di servizi di
asili nido e di custodia diurna dei bambini ed una serie di riforme che prevedono una ridefinizione
del ruolo materno e di quello paterno.
Nella sua opera la Okin analizza le principali teorie politiche contemporanee dal punto di vista della
loro compatibilità ed inclusione della prospettiva di genere. Tra qste abbiamo la teoria della giustizia
di Rawls il quale nella sua opera Political Liberalism (1993) chiarisce, in risposta alle critiche
ricevute dai comunitarsiti, le tesi di A Theory of Justice (1971). Secondo la sua teoria le regole di una
società giusta sono quelle che potrebbero stipulare idealmente individui posti in una "posizione
originaria” nella quale un velo d'ignoranza, che ripropone lo stato di natura del contrattualismo
classico, copre tutte le loro particolarità storiche e sociali. In questo modo, viene pattuita una
giustizia equa e senza privilegi. Tuttavia, la “posizione originaria” con i suoi vincoli è solo un
espediente per definire il mondo comune della giustizia pubblica. L'origine dei sistemi di valore
particolari, l'acculturazione e l'educazione morale primaria sono questioni che non riguardano la
filosofia politica di Rawls: il problema politico della giustizia si pone solo a condizione che ci siano
sistemi di valore diversi, sorti prima e al di fuori del negoziato politico, cioè sorti in comunità non
contrattuali, come la famiglia.
La Okin rivolge a Ralws una serie di obiezioni:
- come quasi tutti i teorici politici utilizza termini di riferimento maschili, presunti come
neutrali (uomini, egli, di lui, ecc);
- qndo Rawls parla di cura intergenerazionale si esprime in termini di padri e figli
escludendo le donne, infatti a tal proposito la Okin fa notare come Rawls non include il
sesso nella lista delle caratteristiche che le persone nella posizione originaria non devono
conoscere di se stesse x formulare principi imparziali di giustizia. Lo stesso Rawls sostiene
che il sesso è una delle contingenze moralmente irrilevanti nascoste dal velo d’ignoranza;
- Rawls non si distacca dalla dicotomia pubblico/domestico xkè le persone morali libere e
uguali nella posizione originaria sono immaginate non come individui singoli, ma come
capifamiglia, che assicurano che ogni persona nella posizione originaria si prenda cura del
benessere di qualcuno della generazione successiva, rafforzando i c.d. legami sentimentali.
Invece la Okin precisa che un capofamiglia non deve essere necessariamente un uomo e
non bisogna escludere le mogli da ogni rappresentanza nella posizione originaria
- qndo Rawls sostiene il principio delle pari opportunità, cioè che eventuali differenze di
autorità, responsabilità o distribuzione delle risorse devono massimizzare il vantaggio dei
meno favoriti, secondo la Okin proprio nell’applicazione di tale principio Rawls finisce x
trascurare tutte le istituzioni sociali non considerando la giustizia interna della famiglia e
senza chiedersi se la famiglia monogamica sia un’istituzione sociale giusta.
La Okin, tuttavia, pensa che la teoria della giustizia rawlsiana possa essere un utile strumento per
una teoria normativa della giustizia, per due motivi principali: in primo luogo, Ralws riconosce la
famiglia come una delle istituzioni sociali fondamentali che devono essere oggetto della giustizia
politica, anche se ne dà per scontate le strutture esistenti. In secondo luogo, l'espediente della
contrattazione dietro un velo d'ignoranza non solo permette di sospendere, in quella sede, il genere,
ma, soprattutto, mostra che giustizia e cura non sono prospettive reciprocamente inconciliabili.
Infatti, sospendere il genere e altri aspetti concreti della condizione delle persone, significa chiedere
a ciascuno di mettersi nei panni di un gran numero di altri e considerare il loro punto di vista nel
decidere i principi di giustizia: se mi capitasse, per esempio, di essere donna, troverei accettabile la
divisione sessuale del lavoro domestico?
Secondo la Okin in base al neocontrattualismo così riformulato, è possibile costruire una teoria
liberale della giustizia, che richieda una distribuzione equa del lavoro domestico, e che leghi ciò che
avviene nella famiglia al mondo della politica e del lavoro, finora strutturato in base al presupposto
implicito che il lavoratore sia un uomo con la moglie a casa.
L’aspetto fondamentale del pensiero di Rawls è qndo egli parla della famiglia come “scuola di
sviluppo morale”: se nella famiglia regna l’ingiustizia, allora viene meno l’aspetto primario
dell’educazione e l’equilibrio di tutta la struttura dello sviluppo morale dei bambini. Infatti, bambini
che vivono una situazione di disuguaglianza tra i genitori, come possono imparare la giustizia? La
Okin risponde affermando la necessità di superare l’istituzione familiare e la società fondate sul
genere x raggiungere un’uguaglianza di opportunità x le donne, ma anche dei bambini e ad una
società giusta.
Molte idee della Okin sono state rielaborate da Kymlicka nella sua “Introduzione alla filosofia
politica contemporanea”: secondo Kymlicka, mentre gran parte della filosofia politica dominante ha
tollerato la discriminazione sessuale, il femminismo anglosassone è stato l’unico ad individuare
argomenti validi x la riflessione filosofico-politica. Uno di qsti argomenti sostiene che la
disuguaglianza delle donne è dovuta alla incompatibilità tra il lavoro di cura e il lavoro retribuito e
tale situazione di dipendenza si fa + evidente in situazioni di disagio (x es il divorzio). X superare
qste forme di ingiustizia, Kymlicka propone la riconcettualizzazione della disuguaglianza sessuale
che deve essere considerata come una questione di potere e non di semplice discriminazione. Le
donne, quindi, devono essere libere di ridefinire ruoli sociali, x qsto è necessario sostituire
l’obiettivo politico dell’uguaglianza con quello dell’autonomia.
Le condizioni di dipendenza e di svantaggio vissute dalle donne diventano gli indicatori della
struttura precaria dei diritti universali e, di conseguenza, dell’inefficacia della giustizia sociale.
A tal proposito la Nussbaum sostiene che se si vuole definire una soglia minima di rispetto della
dignità umana (che la filosofa chiama “la buona vita”) bisogna allargare l’orizzonte dei diritti fino a
comprendere anche quello delle capacità (essere capaci di assolvere a tutte quelle funzioni che
rendono l’essere umano tale).
La riflessione sul multiculturalismo ha trascurato il difficile rapporto tra le donne e le regole culturali
e sociali delle comunità di appartenenza. Il rischio + preoccupante del multiculturalismo è che i
risultati del riconoscimento dei diritti delle donne in Occidente siano messi in discussione o possano
subire un rallentamento a causa dello sviluppo del dialogo interculturale ed il riconoscimento di
pratiche delle comunità di immigrati che legittimano il ruolo subalterno delle donne.
Nel suo famoso articolo pubblicato nel 1997 sulla “Boston Review” e tradotto da Maria Chiara
Pietavolo col titolo Multiculturalismo e femminismo. Il multiculturalismo danneggia le donne? la
Okin analizza i complessi rapporti tra i diversi modelli (anche quello Occidentale) segnati dalla
tradizione patriarcale che rende difficile la condizione femminile. In qsto contesto, il diritto è
chiamato a creare le condizioni di equilibrio che permettono di impostare correttamente nella
dimensione pubblica il confronto di condizioni etiche, culturali, religiose secondo una concezione
nuova del principio di laicità. Su qsta scia la Okin ha dato il suo contributo sfidando l’incapacità dei
teorici di ammettere che la razza umana è composta da due sessi e che in tutte le società i sessi hanno
avuto ruoli sociali differenti e gradi differenti di accesso al potere ed alle opportunità.
Il linguaggio dei diritti potrebbe presentarsi come un codice comune fra le culture, in grado di
definire regole x il rispetto delle differenze culturali e dei diritti individuali in una concezione xò
“non assimilazionista” del dialogo interculturale. Dunque la Okin e molte femministe si interrogano
sulla questione dell’universalismo giuridico e sull’idea che una “individualità in relazione” possa
racchiudere tutti gli orientamenti del femminismo.
CAP.2
EQUIVOCI
E
TENSIONI
MULTICULTURALISMO E FEMMINISMO
NEL
RAPPORTO
TRA
Nell’era della globalizzazione e delle grandi migrazioni di massa, si dibatte sempre +
sull’universalità dei diritti umani proprio x l’affermarsi della pluralità culturale.
Alcuni ritengono che i diritti umani sono il prodotto della cultura occidentale e quindi estranei alle
altre culture, soprattutto a quelle del Sud del mondo. In America ed in Europa si pensa che la libertà
politica e la democrazia siano proprie dell’Occidente e quindi non appartengano all’autoritarismo
asiatico.
Nella storia dell’Occidente le differenze sono state gestite in base a due modelli:
1) la “soluzione x sottrazione” x cui le differenze sono rimosse x ricercare una radice comune x gli
uomini e x le culture identificando nei diritti dell’uomo ciò che li unisce tutti;
2) la “soluzione x addizione” che riconosce le differenze e le somma in un’insieme di regole
procedurali di difficile definizione.
Le convinzioni sulla superiorità dell’Occidente accomunano paradossalmente due visioni opposte:
1. visione di coloro che predicano la supremazia dell’Occidente rispetto alle altre culture x
giustificare ogni forma di colonizzazione;
2. visione di coloro che si richiamano al proprio diritto all’autodeterminazione e all’autonomia
culturale x respingere l’imperialismo del sistema internazionale dei diritti umani e giustificare,
nella propria cultura, ogni tipo di violazione dei diritti della persona.
Fra qste due visioni si pongono vari punti di vista in cui si sviluppano nuovi diritti: i diritti delle
minoranze e il diritto dell’identità culturale.
Secondo Ignatieff c’è la necessità di cambiare il senso della costituzionalità dei diritti, non +
determinabili in base alla piena appartenenza al proprio nucleo originario, ma in base all’autonomia
individuale x emancipare la libera capacità di agire (agency) presente in tutte le culture. Dunque i
diritti umani sono diventati globali diventando locali, considerando cioè culture e visioni del mondo
indipendenti dall’Occidente x sostenere le battaglie della gente comune contro gli Stati ingiusti e le
pratiche sociali oppressive.
La Okin afferma che la difesa delle identità culturali, obiettivo centrale del multiculturalismo,
minaccia di “blindare” il contenuto delle identità culturali minoritarie, in qnto gran parte di esse si
basa su costumi tradizionali e patriarcali che pongono le donne in uno stato di subordinazione. In
qsto modo la Okin evidenzia il contrasto tra la difesa delle culture altre dall’estinzione e
dall’inglobamento nella società contemporanea occidentale e la difesa degli individui deboli in
quelle culture che potrebbero guadagnare l’emancipazione dall’inserimento e dall’integrazione.
La convivenza di culture diverse nelle nostre società ha suscitato una serie di questioni alle quali le
società democratiche hanno risposto con l’alternarsi di chiusure e di aperture al dialogo.
X qnto riguarda la teoria politica, è importante distinguere fra problemi interni alle società
democratiche, nati dall’incontro con culture altre, e problemi delle società in via di sviluppo che
spesso non hanno nessun tratto distintivo delle società democratiche e non ne riconoscono i precisi
doveri. Nelle società democratiche vi è l’obbligo di trattare egualmente i cittadini senza fare
distinzioni e da qsti obblighi ne consegue che le istituzioni liberali devono essere aperte ed ospitali x
essere giuste.
Tuttavia bisogna sottolineare che viene data + importanza al rispetto dei diritti fondamentali dei
singoli (il diritto alla vita, all’integrità fisica, all’istruzione) che alla protezione dell’identità
culturale. Inoltre, nelle questioni interne, i conflitti aumentano xkè le culture altre trovano difficoltà
a sopravvivere nella società liberali xkè si sentono estranee ai principi di tale società. Ciò determina
o l’aumento di specifiche domande di tutela delle culture altre o l’uscita di qste dalla cultura in cui si
sentono esclusi.
Con il multiculturalismo si assiste dunque alla convivenza di gruppi di diversa provenienza nello
stesso paese, ma si riscontra una loro impreparazione di fronte alle novità di qsto fenomeno e ciò lo
si evince dalla riflessione delle donne immigrate che ci permette di comprendere il difficile rapporto
tra appartenenza di gruppo, differenza di genere e soggettività individuale.
Le tappe principali che segnano le tensioni tra multiculturalismo e sviluppo dei diritti delle donne
sono abbastanza recenti:
Nella seconda metà degli anni 80 scoppiò in Francia un’aspra disputa sul permesso x le ragazze
maghrebine di frequentare la scuola portando il velo. I difensori dell’educazione laica si schierarono
con alcune femministe e con i nazionalisti dell’estrema destra, gran parte della sinistra tradizionale
rivendicò il rispetto x la diversità accusando gli avversari di razzismo. Nello stesso momento xò
l’opinione pubblica rimase in silenzio su un problema ancora + importante x molte immigrate
francesi di origine araba o africane: la poligamia, che era stata consentita dal governo francese
(secondo le stime 200mila famiglie parigine sono attualmente poligame). Qndo xò i cronisti
intervistarono le mogli si scoprì che qste subivano la poligamia considerandola una istituzione
inevitabile e a malapena sopportabile nei loro paesi come in Francia. Gli appartamenti sovraffollati,
le violenze tra le mogli e tra i figli e la conseguente tensione sul welfare, hanno spinto il governo
francese a riconoscere solo una moglie e nulli tutti gli altri matrimoni. Ma cosa succede a tutte le
altre mogli e agli altri figli? Il governo francese se n’è lavato le mani.
In Germania, nell’agosto del 1997, una ragazza di 18 anni morì bruciata dal padre xkè aveva rifiutato
di sposare l’uomo che lui le aveva scelto. Il tribunale tedesco concesse all’uomo una riduzione di
pena affermando che aveva agito nel rispetto della propria cultura e della propria religione.
Qualche anno fa negli Usa un tribunale assolse un padre di origine siciliana che abusava della figlia
affermando che egli praticava le proprie tradizioni culturali.
Di recente, dopo il divieto del velo in Francia, anche in Gran Bretagna si avvertono crescenti segnali
di intolleranza e di insofferenza x il “diverso” evidenziati dallo spirito antiislamico dopo i fatti
dell’11 settembre.
Nei primi mesi del 2004, l’approvazione in Francia di una legge che proibiva l’ostentazione dei
simboli religiosi nelle scuole (soprattutto il velo islamico) aveva diviso l’opinione pubblica
occidentale: la maggior parte di essa accusava la Francia di eccesso di statalismo ed integralismo
laico e considerava la legge francese illiberale, un attacco al multiculturalismo e alla possibilità di
convivenza fra i gruppi e culture diverse.
Alla Francia si contrapposero l’America e la Gran Bretagna dove l’integrazione non era ancora
entrata in contraddizione col multiculturalismo. Tuttavia, proprio in Gran Bretagna, una delle
roccaforti del multiculturalismo, Trevor Philips, presidente della Commissione x l’eguaglianza delle
razze, afrocaraibico, laburista ed amico di Tont Blair, in un articolo pubblicato sul “Times” ha
espresso la sua opposizione al multiculturalismo indicandone i pericoli ed affermando che
multiculturalismo non significa che ciascuno può fare quel che vuole in nome della sua cultura, tale
fenomeno sta incoraggiando le separazioni tra i gruppi e alimentando i conflitti etnici x qsto bisogna
sostituirlo con una attiva politica di integrazione degli immigrati. Qsta affermazione di Philips è
legata a un episodio verificatosi qualche giorno prima qndo alcuni giovani musulmani avevano
bruciato la bandiera inglese davanti alle moschee. In Italia qsto articolo è stato ripreso dal “Corriere
della Sera” in cui Angelo Panebianco, che ha sostenuto le posizioni di Philips, ha sottolineato che in
Italia si confonde la multietnicità, che è un fatto, con il multiculturalismo che invece è un progetto.
Abbandonare qsto progetto non significa che gli immigrati devono rinunciare a tutte le loro usanze,
ma negare protezione legale solo a quelle usanze che risultano incompatibili con i nostri principi
liberali; cmq fare in modo che gli immigrati adattino i loro costumi e credenze x renderli coerenti
con i principi e le regole della convivenza civile.
Da tutto ciò consegue che il multiculturalismo legittima le + crudeli manifestazioni di razzismo
differenzialista e si lega con gli autoritarismi politici e religiosi che credono di avere il diritto di
decidere x i gruppi omogenei. La pretesa di considerare le culture come sistemi omogenei e
intoccabili indebolisce le opposizioni al loro interno e le voci dei soggetti oppressi.
Il fronte intellettuale delle donne è intervenuto su qste problematiche sostenendo che gli immigrati
non rappresentano + delle minoranze disposte ad integrarsi il + rapidamente possibile nel paese
ospitante, ma hanno sempre + difficoltà a trovare un lavoro, una casa, il benessere. A ciò si
aggiungono la mancanza di spazi e l’odio sempre + profondo verso l’Occidente ricco e incapace di
ridistribuire la ricchezza che porta a chiudersi nella propria comunità e ritornare alle proprie usanze
x proteggersi o, nel caso peggiore, di attaccare quel mondo che si percepisce come estraneo ed ostile.
Tra le proposte x risolvere qsti problemi abbiamo:
- La capacità di mettere in discussione una visione della storia che indica nella civiltà occidentale, al
di sopra di tutte le altre, il punto di confronto obbligato x tutte le culture. Su qsta scia ci si collega a
Selim Abou il quale ha sostenuto che l’Europa, convinta della propria superiorità, ha esteso i
benefici della propria civiltà agli altri continenti: in nome del progresso, ha giustificato la sua opera
annientatrice della colonizzazione che in realtà si alimentava del duplice appetito del dominio
politico e dello sfruttamento economico.
- La possibilità della dialettica, cioè della contraddizione e del conflitto, che sono tra i fattori
indispensabili in una società in cui le diverse culture entrano in contatto in modo + deciso che nel
passato. All’integralismo di alcuni liberali bisogna dunque contrapporre l’idea della possibilità di
costruire il processo di integrazione, pur conservando le differenze.
- Rinnovare la curiosità x il diverso x poter attingere dalla culture altre e da quei loro aspetti che
possono solo arricchire la nostra cultura.
Le considerazioni di Abou sull’esigenza di individuare un principio etico universale sono arricchite
dalle osservazioni della Okin sul rapporto multiculturalismo-femminismo, rifacendosi in particolare
alla situazione della Francia negli anni 80. La Okin ritiene che la riflessione sul multiculturalismo
abbia trascurato il rapporto tra cultura e genere, cioè il difficile rapporto tra le donne e le regole
culturali e sociali delle comunità di appartenenza fondate su un tradizionale patriarcalismo che
sottopone le donne a pratiche violente e discriminatorie. X qsto motivo nel 1994 le donne
dell’Associazione Women against Fundamentalism (Waf) affermavano l’importanza di resistere agli
attacchi razzisti del multiculturalismo ed opporsi all’autoritarismo delle comunità religiose. Qsto
versante del femminismo laico denuncia l’uso della religione come mezzo di controllo delle persone
e soprattutto delle donne, sottolineando il fatto che l’abuso del multiculturalismo avviene soprattutto
da parte delle destre religiose poikè i governi locali manipolano la religione x opprimere le
minoranze e aggravare i conflitti tra i gruppi. Un altro problema sorto dalla riflessione sul
fondamentalismo e i diritti delle donne è quello che esalta la convinzione che un ambiente laico
possa essere l’unico a costruire uno spazio relativamente sicuro x i diritti umani delle donne.
Tuttavia, il diritto non può contribuire a fissare le identità collettive e impedirne lo sviluppo, ma
deve garantire invece che nel confronto pubblico possano esprimersi anche le differenze individuali,
non completamente riconducibili all’identità di gruppo. Ne consegue che bisogna abbandonare il
presupposto che bisogna limitarsi a promuovere lo sviluppo e il benessere delle comunità o della
famiglia, senza considerare le differenze di capacità tra i singoli membri appartenenti a quella
comunità o a quella famiglia. A tal proposito Latouche sostiene che l’indebolimento sociale
provoca la caduta dello stesso fondamento etico del mondo sociale infatti afferma che la morale è +
una facciata ipocrita che una realtà: l’etica degli affari esalta l’egoismo, il disprezzo x i deboli.
Bisogna invece consentire ai singoli l’autodeteminazione, la possibilità di rivendicare le
caratteristiche della propria identità culturale.
Dal punto di vista teorico, bisogna rafforzare la valorizzazione dell’empowerment contro
l’oppressione sessuale e riconsiderare il discorso sulla violenza contro le donne.
Dal punto di vista giuridico, bisogna creare strumenti giuridici di contrasto alla violenza che
valorizzino la libertà di autodeterminarsi delle donne, soprattutto creare un circuito integrato tra
repressione giudiziaria ed attività di supporto e di assistenza legale x permettere alle donne di
svolgere un ruolo attivo nel processo civile e penale. Su qsta scia, è necessario anche approfondire la
questione della violenza intrafamiliare, xkè ancora poco considerata in ambito penale, oltre che la
questione delle mutilazioni genitali, dei matrimoni forzati, ecc. Su qsti temi la Okin ha assunto il
ruolo di apripista.
CAP.3 IL MULTICULTURALISMO DANNEGGIA LE DONNE?
Nel saggio Multiculturalismo e femminismo. Il multiculturalismo danneggia le donne? la Okin parte
dalla considerazione dei possibili rischi derivanti dall’assimilazionismo fra culture. Prima degli
anni 80 ci si aspettava dai gruppi minoritari che si assimilassero nelle culture di maggioranza. Ora
questa attesa di assimilazione è spesso considerata oppressiva e molti paesi occidentali cercano di
escogitare nuove linee di condotta politica, + sensibili alla persistenza delle differenze culturali.
Paesi che, come l'Inghilterra, hanno chiese nazionali o una educazione religiosa tutelata dallo Stato,
non riescono a resistere alla richiesta di estendere il sostegno statale alle scuole religiose minoritarie;
paesi che, come la Francia, hanno una tradizione di istruzione pubblica laica, sono tormentati da
dispute sul permesso di vestire, nelle scuole pubbliche, gli abiti tipici delle religioni minoritarie.
Ma c’è una questione che ricorre in tutti i contesti, poco considerata nel dibattito attuale: che fare
quando le pretese di culture o religioni minoritarie collidono col principio dell'uguaglianza di genere
che cmq è sottoscritta dagli stati liberal-democratici (per quanto continuino a violarla nella pratica)?
Ad esempio, nella seconda metà degli anni '80 scoppiò in Francia un'aspra controversia sul permesso, per le ragazze
maghrebine, di frequentare la scuola portando il velo tradizionale delle giovani donne musulmane uscite dalla
pubertà. I difensori dell'educazione laica si schierarono con alcune femministe e con i nazionalisti dell'estrema destra,
e gran parte della sinistra tradizionale sostenne le richieste multiculturaliste di flessibilità e rispetto per la diversità,
accusando gli avversari di razzismo o imperialismo culturale. Nello stesso tempo, xò, l'opinione pubblica rimase in
silenzio su un problema + importante per molte immigrate francesi di origine araba o africana: la poligamia. Nel
corso degli anni '80 il governo francese consentì agli immigranti di condurre + di una moglie nel paese, tanto che,
secondo le stime, 200.000 famiglie parigine sono ora poligame. Su tale questione non ci fu un’opposizione politica
reale. Ma quando i cronisti riuscirono a intervistare le mogli, scoprirono che le donne che subivano la poligamia la
consideravano un’istituzione difficile da sopportare. Gli appartamenti sovraffollati e la mancanza di spazio privato,
provocavano ostilità e violenza sia fra le mogli, sia contro i figli dell'una o dell'altra. Anche per la tensione sul
Welfare provocata da famiglie di venti o trenta membri, il governo francese ha recentemente deciso di riconoscere
solo una moglie e considerare nulli tutti gli altri matrimoni. Ma che cosa succede a tutte le altre mogli e ai lori figli? Il
governo francese se ne è lavato le mani.
Secondo la Okin l'accomodamento francese della questione della poligamia evidenzia una tensione
profonda e crescente fra il femminismo e l'ansia multiculturalista di proteggere la diversità culturale.
Tale questione ha evidenziato la necessità di trovare soluzioni efficaci e a breve termine (anche in
Italia dove ci sono tantissimi figli di famiglie poligame, abbandonati e sfruttati) e considerare la
posizione assunta dalle donne e dalle madri vittime di qste usanze crudeli.
La Okin sottolinea che, anche nel gruppo delle femministe in cui si inserisce, è stato sbagliato
assumere da subito che femminismo e multiculturalismo siano entrambi cose buone e facilmente
conciliabili, invece tra essi ci sono molte tensioni.
Per “femminismo” la Okin intende la convinzione che le donne non debbano essere svantaggiate dal
loro sesso, a loro deve essere riconosciuta una pari dignità rispetto agli uomini e la stessa possibilità
degli uomini di vivere una vita soddisfacente e liberamente scelta.
Il “multiculturalismo” è + difficile da definire, ma l’aspetto che + interessa la Okin è la pretesa,
nelle democrazie liberali, che le culture o gli stili di vita minoritari, così come i diritti individuali dei
singoli membri, non sono protetti a sufficienza. Xciò le culture devono essere protette per mezzo di
speciali diritti di gruppo o privilegi. Nel caso francese, ad esempio, il diritto a concludere matrimoni
poligamici è un diritto di gruppo, ostile al resto della popolazione. In altri casi, i gruppi richiedono
diritti per autogovernarsi o l'esenzione da leggi generalmente applicabili.
Le richieste di simili diritti di gruppo sono crescenti (dalle popolazioni indigene, ai gruppi minoritari
etnici o religiosi, ai popoli ex-coloniali). Qsti gruppi hanno le loro "culture sociali" che, come dice
Will Kymlicka, danno "ai loro membri abitudini dotate di significato in tutte le attività umane: nella
vita sociale, educativa, religiosa, ricreativa ed economica, e nella sfera pubblica e privata".
Dunque l’argomento a favore dei diritti di gruppo è: poichè le culture sociali hanno un ruolo così
diffuso e fondamentale nelle vite dei loro membri, e poichè queste culture sono minacciate di
estinzione, le culture minoritarie devono essere protette da diritti speciali.
Alcuni fautori dei diritti di gruppo affermano che anche le minoranze culturali, pur facendosi beffe
dei diritti dei loro singoli membri, dovrebbero ricevere diritti o privilegi se la loro condizione
minoritaria mette a repentaglio la continuità dell'esistenza della cultura. Altri non pretendono che
tutti i gruppi culturali minoritari abbiano diritti speciali, ma che tali gruppi, anche quelli illiberali,
che violano i diritti dei loro singoli membri, abbiano il diritto ad essere "lasciati soli" in una società
liberale. Entrambe le pretese appaiono cmq in contraddizione con il tipico valore liberale della
libertà individuale, il quale comporta che i diritti di gruppo non debbano sopravanzare quelli
individuali.
Ma alcuni difensori del multiculturalismo limitano la difesa dei diritti di gruppo a gruppi che sono
internamente liberali finendo x imporre le restrizioni che la Okin contesta. Come vuole dimostrare la
Okin, in molte circostanze, i diritti di gruppo sono antifemminili xkè tendono a limitare la capacità
delle donne che appartengono a quella determinata cultura e le ostacolano nel processo di crescita e
di autodeterminazione, impedendo loro di vivere con dignità umana e con la stessa libertà di scelta
degli uomini. Il motivo di qsti atteggiamenti è dovuto x la Okin al fatto che la maggior parte delle
culture sono ricche di pratiche e ideologie che hanno a che fare col genere.
I fautori dei diritti di gruppo per le minoranze entro gli stati liberali non hanno affrontato in modo
adeguato questa critica elementare ai diritti di gruppo, per almeno due ragioni:
1. In primo luogo, essi tendono a trattare i gruppi culturali come “monolitici”, cioè a prestare +
attenzione alle differenze fra i gruppi che a quelle entro i gruppi. E in particolare, essi danno un
riconoscimento scarso o nullo al fatto che i gruppi culturali minoritari hanno al loro interno una
struttura di genere, con significative differenze fra uomini e donne.
2. In secondo luogo, essi considerano poco o nulla la sfera privata. Alcune delle migliori difese
liberali dei diritti di gruppo insistono che gli individui hanno bisogno di "una cultura tutta per loro",
e che solo entro una simile cultura è possibile sviluppare autostima o rispetto per se stessi, o la
capacita di decidere quale tipo di vita è buono per loro. Ma tali argomentazioni trascurano i ruoli
differenti che i gruppi culturali impongono ai loro membri e il contesto nel quale si formano
originariamente il senso del sè e le capacità delle persone e in cui ha luogo la prima trasmissione di
cultura, cioè l'ambito della vita familiare o domestica.
Secondo la Okin, quando correggiamo queste manchevolezze, considerando le differenze interne ai
gruppi l'ambito privato, diventano + chiari due nessi particolarmente importanti fra cultura e genere,
che sottolineano la forza della critica elementare ai diritti di gruppo.
1. In primo luogo, la sfera della vita personale, sessuale e riproduttiva è un punto di riferimento
centrale nella maggioranza delle culture e nelle pratiche culturali. Spesso i gruppi religiosi o culturali
si preoccupano particolarmente del "diritto personale" (delle leggi sul matrimonio, sul divorzio, sulla
custodia dei figli, sulla divisione e il controllo della proprietà familiare e sull'eredità). Di regola,
perciò, la difesa delle "pratiche culturali" può avere un impatto maggiore sulle vite delle donne che
su quelle degli uomini, xkè una parte di gran lunga maggiore del tempo e dell'energia delle donne
finisce nella difesa e nel mantenimento dell'aspetto personale, familiare e riproduttivo della vita.
2. In secondo luogo, uno degli scopi principali della maggior parte delle culture è il controllo delle
donne da parte degli uomini. La Okin considera, ad esempio, i miti di fondazione dell'antichità greca
e romana, e del giudaismo, del cristianesimo e dell'Islam che sono pieni di tentativi di giustificare il
controllo e la subordinazione delle donne. In questi miti si trovano la negazione del ruolo femminile
nella riproduzione, l'appropriazione da parte degli uomini del potere di riprodursi da sè, la
caratterizzazione delle donne come eccessivamente emotive, malvagie o sessualmente pericolose,
nonchè il rifiuto di riconoscere i diritti della madre sui suoi figli: si pensi ad Atena, scaturita dalla
testa di Zeus, o a Romolo e Remo, allevati senza una madre umana. O ad Adamo, creato da un Dio
maschio, che poi plasma Eva da una parte di Adamo. Si consideri Eva, la cui debolezza corruppe
Adamo. Si pensi agli infiniti "generò" della Genesi, in cui il ruolo primario delle donne nella
riproduzione è completamente ignorato, o alle giustificazioni testuali della poligamia, praticata in
passato dal giudaismo, e ancora diffusa in molte parti del mondo islamico e in alcune zone degli Usa
(sebbene illegalmente) fra i mormoni. Si consideri anche il racconto di Abramo, punto di svolta
fondamentale nello sviluppo del monoteismo: Dio comanda ad Abramo di sacrificare il suo
amatissimo figlio Isacco. Abramo si prepara a fare di lui esattamente ciò che Dio gli domanda, senza
dire né chiedere nulla alla madre di Isacco, Sara.
La Okin riscontra che la tendenza a controllare le donne, ed a punirle per le difficoltà degli uomini a
controllare i propri impulsi sessuali, si è molto attenuata nelle versioni + progressive e riformate del
giudaismo, del cristianesimo e dell'Islam, ma rimane forte nelle loro versioni + ortodosse o
fondamentaliste. Per di +, qsta tendenza non si limita alle culture occidentali o monoteistiche. Sono
patriarcali molte delle tradizioni e culture del mondo, comprese quelle praticate negli stati in passato
conquistati o colonizzati dagli europei, che comprendono la maggior parte dei popoli dell'Africa, del
Medio Oriente, dell'America Latina e dell'Asia.
Coloro che praticano alcune delle usanze + discusse (la clitoridectomia, i matrimoni imposti, o la
poligamia) talvolta le difendono come necessarie al controllo delle donne e riconoscono apertamente
che simili usanze perdurano per insistenza degli uomini.
In una intervista con la giornalista del "New York Times" Celia Dugger, coloro che praticano la
clitoridectomia in Costa d'Avorio e in Togo spiegavano che questa usanza "contribuisce ad
assicurare la verginità delle ragazze prima del matrimonio e la loro fedeltà dopo, riducendo il sesso
ad un obbligo coniugale". In Egitto, dove una legge che proibiva la mutilazione genitale femminile è
stata di recente annullata da un tribunale, i fautori della pratica dicono che essa "frena l'appetito
sessuale delle ragazze, e le rende + adatte per il matrimonio".
Anche gli uomini di culture poligame riconoscono prontamente che la poligamia si accorda col loro
interesse personale ed è un mezzo per controllare le donne. Si consideri anche la pratica, comune in
gran parte dell'America Latina, delle campagne dell'Indocina e di parti dell'Africa occidentale, di
pretendere che la vittima di uno stupro sposi lo stupratore, così qst’ultimo si libera giuridicamente da
ogni colpa. In queste culture lo stupro non è visto come una aggressione violenta alla donna stessa,
ma come una grave offesa alla sua famiglia e al suo onore. Sposando la sua vittima, lo stupratore può
contribuire a restaurare l'onore della famiglia e a liberarla da una figlia che, come una "merce
danneggiata", è diventata inadatta al matrimonio.
Ma in alcune culture esistono sorti peggiori (in Pakistan e in parte del Medio Oriente arabo), dove le
donne che presentano una denuncia di stupro sono di frequente accusate del grave delitto musulmano
della zina, o sesso fuori dal matrimonio. Il diritto permette di frustare o imprigionare una simile
donna e la cultura perdona l'omicidio o l'induzione al suicidio di una donna stuprata da parte di
parenti interessati a restaurare l'onore della famiglia.
Secondo un reportage recente su una piccola comunità di ebrei ortodossi delle montagne dello
Yemen, l'anziano capo di qsta piccola setta poligamica afferma: "Siamo ebrei ortodossi, molto
attaccati alle nostre tradizioni. Se andassimo in Israele, ci lasceremmo sfuggire di mano le nostre
figlie, mogli e sorelle". Dunque, l'asservimento delle donne è presentato come un sinonimo virtuale
delle "nostre tradizioni".
Mentre tutte le culture del mondo hanno un passato chiaramente patriarcale, alcune culture
occidentali liberali si sono distaccate da questo passato + di altre. Esse praticano ancora molte forme
di discriminazione sessuale, danno + importanza alla bellezza, alla magrezza e alla gioventù per le
donne, e al successo intellettuale, alla capacità e alla forza per i maschi; si attendono che le donne
facciano + della metà del lavoro non pagato all'interno della famiglia, a prescindere dal fatto che
abbiamo o no un lavoro stipendiato; sia per questo, sia per la discriminazione sessuale sul posto di
lavoro, la povertà è un destino molto + probabile per le donne che per gli uomini; e le donne sono
esposte ad una grande quantità di violenza (illegale), anche sessuale.
Ma, nello stesso tempo, in numerose culture liberali alle donne sono giuridicamente garantite molte
delle libertà e possibilità degli uomini. In +, in tali culture, molte famiglie non trasmettono alle figlie
l'idea che esse siano di valore inferiore rispetto ai ragazzi, che la loro vita debba essere confinata alla
sfera domestica e al servizio degli uomini e dei figli, e che la loro sessualità non debba limitarsi al
matrimonio, al servizio degli uomini e solo a scopi riproduttivi.
La Okin ritiene che la maggior parte delle culture sono patriarcali e molte delle comunità culturali
che reclamano diritti di gruppo sono + patriarcali delle culture circostanti. Tuttavia, nonostante ciò
sia evidente, qsto tema viene di rado affrontato in modo preciso.
Sebastian Poulter nel suo saggio sulle pretese culturali di vari gruppi di immigrati e zingari in
Gran Bretagna ricorda il ruolo e lo status delle donne come un "esempio chiarissimo" del "contrasto
fra culture". Alcune di queste pretese non sono legate al genere: un insegnante musulmano chiede il
permesso di restare assente dal lavoro una parte del venerdì pomeriggio per la preghiera, e i bambini
zingari di avere un obbligo scolastico meno rigoroso a causa della loro vita nomade. Ma la grande
maggioranza degli esempi riguardano disuguaglianze di genere: matrimoni precoci o imposti,
regolamenti di divorzio pregiudicati contro le donne, poligamia e clitoridectomia. Quasi tutte le
cause giudiziarie trattate sono derivate da richieste di donne o ragazze secondo le quali le pratiche
dei loro gruppi culturali hanno diminuito o violato i loro diritti individuali.
La Okin cerca di dimostrare come nei processi penali americani, coinvolgenti membri di minoranze
culturali, una schiacciante maggioranza delle “difese culturali” adottate sono legate al genere, e in
particolare al controllo maschile su donne e bambini. Spesso nel gruppo culturale dell’imputato le
donne non vengono considerate esseri di valore umano pari a quello maschile.
Per qsto la Okin analizza quattro tipi di casi in cui le difese culturali sono state impiegate con +
successo. Come mostrano questi esempi, gli imputati non sono sempre maschi, nè le vittime sempre
femmine. Sia un immigrato cinese a New York che aveva percosso a morte la moglie adultera, sia
una immigrata giapponese in California che aveva annegato i figli e tentato ella stessa di annegarsi
xkè l'adulterio del marito aveva disonorato la famiglia, si sono affidati a difese culturali per ottenere
una riduzione della gravità delle accuse (da omicidio volontario a omicidio colposo). In entrambi i
casi, il messaggio culturale è compromesso in modo analogo rispetto al genere: le donne (e i
bambini, nel secondo caso) sono in una posizione inferiore rispetto all'uomo. Chiunque sia l'infedele,
è la moglie a soffrirne le conseguenze. In molte affermazioni in difesa delle pratiche culturali emerge
l'idea che le donne sono principalmente schiave sessuali degli uomini, le cui virtù fondamentali sono
la verginità prima del matrimonio e la fedeltà nel matrimonio.
La critica della Okin alla specificazione di genere negli ordinamenti di common law appare xò
ambigua xkè i caratteri della specificità si trovano maggiormente nel civil law, ciò che invece è
necessario criticare nel common law è l’arbitraria attività di interpretazione del giudice e quindi la
sua flessibilità.
Va anche detto che molti esempi lasciano capire come le culture occidentali maggioritarie hanno di
recente compiuto sforzi significativi x eliminare o limitare i trattamenti diseguali verso le donne. Ma
x la Okin la preoccupazione principale è che, astenendosi dal proteggere le donne e i bambini delle
culture minoritarie dalla violenza maschile e talvolta materna, le difese culturali violano il loro
diritto di uguale protezione da parte della legge. Quando una donna di una cultura + patriarcale
giunge negli Usa o in qualche altro stato occidentale liberale, xkè dovrebbe essere meno protetta
dalla violenza maschile rispetto ad altre donne? Molte donne di culture minoritarie hanno protestato
xkè viene applicata, a favore dei loro aggressori, una unità di misura meno severa.
Xò, come afferma Sarah Song, se la cultura maggioritaria è patriarcale qnto le culture di minoranza
l’approccio dell’integrazione suggerito dalla Okin può non produrre la maggiore uguaglianza di
genere sperata. La Song propone delle considerazioni personali sulle particolari forme di interazione
tra norme culturali di maggioranza e quelle di minoranza avvenute nel contesto americano.
Esamina 2 casi particolari di difesa culturale x considerare gli effetti dell’accomodamento culturale
voluto dalla Corte degli USA nell’applicare la legge penale, sostenendo che l’uso dell’evidenza
culturale x limitare la colpa non solo fornisce riconoscimento legale al patriarcato delle culture di
minoranza, ma conferma i principi patriarcali nella legge americana, istituendo cs dei precedenti x
limitare la colpa ogni volta che un imputato chiederà di riconoscere le proprie tradizioni.
In qsto modo vuole dimostare che gli ostacoli al raggiungimento dell’eguaglianza di genere negli
USA consistono non solo nelle norme di genere applicate nelle culture di minoranza, ma anche in
quelle applicate dalla cultura di maggioranza. Quindi gli argomenti di difesa culturale delle
minoranze risultano credibili, non xkè provengono da gruppi stranieri, ma xkè tali pratiche sono
frequenti anche nella cultura di maggioranza.
Nonostante tutte le prove di pratiche culturali che subordinano le donne, nessuno dei + importanti
difensori dei diritti di gruppo ha affrontato adeguatamente le difficili connessioni fra genere e
cultura. Invece, x la Okin, la trattazione di Will Kymlicka rappresenta un’eccezione: le sue
argomentazioni a favore dei diritti di gruppo si basano sul riconoscimento dei diritti individuali, x
favorire un clima di confronto tra le diverse etnie che coabitano nello stesso territorio.
Infatti da alcuni anni è sorto il problema del conflitto identitario (cioè la richiesta del
riconoscimento delle proprie identità culturali da parte dei gruppi che vogliono inserirsi nel sistema
politico e sociale): i gruppi non vogliono uscire dalla società in cui sono inseriti, ma vogliono
diventarvi membri effettivi. Si sta quindi affermando un’istanza di cittadinanza che difende il diritto
di essere donne e uomini liberi ed uguali, senza essere discriminati x determinate caratteristiche.
E’ necessaria xò una “prospettiva ecologica”, come la definisce Taylor, cioè il diritto a mantenere le
proprie usanze x salvaguardare le proprie caratteristiche etniche (portare il turbante, il velo, diritto
degli ebrei a festeggiare determinati giorni dell’anno secondo le prescrizioni religiose, ecc). X
Kymlicka il rispetto dei diritti culturali determina una “cittadinanza differenziata” (termine coniato
da Young), ma il legame del singolo con la propria cultura non deve essere obbligatorio, né imposto
dai capifamiglia, dunque lo Stato multinazionale deve offrire protezioni speciali ai singoli contro le
costrizioni interne.
Seguendo John Rawls, Kymlicka evidenzia l'importanza del rispetto di sè nella vita di una persona,
grazie all'appartenenza ad una "ricca e stabile struttura culturale" con la sua lingua e la sua storia.
Inoltre afferma che le minoranze culturali hanno bisogno di diritti speciali, xkè altrimenti le loro
culture potrebbero essere minacciate di estinzione e l'estinzione culturale metterebbe a repentaglio la
libertà e il rispetto per se stessi.
X Kymlicka un gruppo che reclama diritti speciali deve autogovernarsi secondo principi liberali,
senza ledere le libertà fondamentali dei suoi membri con restrizioni interne, nè discriminarli sulla
base del sesso, della razza. I diritti di rappresentanza possono costituire un “provvedimento
temporaneo nell’attesa che nella società si realizzi una situazione in cui non c’è ne è + bisogno”.
X la Okin qsto requisito è molto importante xkè una cultura "chiusa" o discriminatoria non può
permettere lo sviluppo individuale voluto dal liberalismo e perchè altrimenti i diritti collettivi
potrebbero produrre una subcultura oppressiva all'interno delle società liberali e col loro appoggio.
Infatti Kymlicka distingue 2 tipi di diritti di gruppo:
- diritti di “restrizioni interne”= limitano la capacità degli individui all’interno del gruppo
(soprattutto le donne) di mettere in questione o abbandonare ruoli e pratiche culturali tradizionali.
Una teoria liberale x K non può accettare tali diritti xkè violano l’autonomia degli individui e creano
ingiustizia all’interno del gruppo.
- diritti di “tutele esterne”= diritti rivendicati da un gruppo minoritario x ridurre la propria
vulnerabilità verso il potere economico e politico della società in generale; tali diritti possono
assumere la forma di diritti linguistici, di rappresentanza politica garantita, di compensi x le
ingiustizie storiche, ecc. Tali diritti possono essere accettati dalla teoria liberale xkè promuovono la
giustizia tra i gruppi etnoculturali e assicurano che i membri della minoranza abbiano la stessa
capacità di promuovere i propri interessi rispetto a quelli della maggioranza.
In qsto modo Kymlicka cerca di rendere compatibili certi aspetti della visione comunitarista del
rapporto tra individuo e gruppo con il principio di autonomia tipico del liberalismo.
I comunitaristi ammettono la “politica del bene comune” applicata solo a gruppi ristretti detti
sottonazionali, costituiti da chiese, quartieri, famiglie, ecc, e non alla società intera, cioè alla
nazione.
Invece K difende la sua idea liberale: impedire alle persone di mettere in discussione le loro norme
sociali ereditarie può condannarle a vite insoddisfacenti o addirittura oppressive.
La Okin critica la concezione di K delle “restrizioni interne” in qnto sostiene che la capacità delle
donne di mettere in questione e abbandonare i loro ruoli tradizionali può essere drasticamente
ridotta, anche se i loro diritti sono formalmente protetti nella sfera pubblica.
Kymlicka ritiene che le culture che discriminano le donne in modo manifesto e formale, negando
loro l'istruzione, o l'elettorato attivo e passivo, non meritano diritti speciali. Ma la discriminazione
sessuale è poco evidente xkè avviene soprattutto in ambito privato, x qsto la Okin afferma che coloro
che difendono i diritti di gruppo con fondamenti liberali devono prendere in considerazione questa
discriminazione privata
In qsto modo Kymlicka cerca di rendere compatibili certi aspetti della visione comunitarista del
rapporto tra individuo e gruppo con il principio di autonomia tipico del liberalismo. I comunitaristi
ammettono la “politica del bene comune” applicata solo a gruppi ristretti detti sottonazionali,
costituiti da chiese, quartieri, famiglie, ecc, e non alla società intera, cioè alla nazione. Invece
Kymlicka difende la sua idea liberale e x qsto afferma che impedire alle persone di mettere in
discussione le loro norme sociali ereditarie può condannarle a vite insoddisfacenti o addirittura
oppressive.
X la Okin i diritti delle minoranze possono addirittura aggravare il problema, x cui sostiene che la
condizione delle donne di una minoranza culturale + patriarcale in una cultura maggioritaria meno
patriarcale potrebbe migliorare molto se tale cultura dovesse estinguersi, lasciando integrare i suoi
membri nella cultura circostante meno sessista.
Afferma inoltre che quando si producono argomentazioni liberali a favore dei diritti di gruppo,
occorre una attenzione particolare per le disuguaglianze interne al gruppo, soprattutto quelle fra i
sessi, e considerare la necessità di dare una rappresentanza adeguata ai membri meno potenti di tali
gruppi, infatti è ingiustificato assumere che i capi di qsti gruppi (i membri anziani e
maschi)rappresentino gli interessi di tutti i membri del gruppo.
Nel suo testo Compiacimenti liberali, Kymlicka apporta alcune varianti alle tesi espresse dalla Okin
nel suo saggio Il multiculturalismo danneggia le donne?: K è d’accordo con la tesi del prestare
attenzione particolare alle disuguaglianze di genere.
Invece, al contrario della filosofa, la quale sostiene che le femministe dovrebbero vedere il
multiculturalismo non come un alleato nella lotta x la giustizia globale, ma come una minaccia alle
loro conquiste degli ultimi decenni, K pensa che opporre cs femminismo e multiculturalismo non sia
giusto xkè entrambi affermano l’inadeguatezza della concezione liberale tradizionale dei diritti
individuali: la Okin sostiene che l’eguaglianza delle donne non può essere raggiunta solo
concedendo loro gli stessi diritti individuali degli uomini, così i multiculturalisti sostengono che la
giustizia tra gruppi etnoculturali non può essere raggiunta solo dando ai gruppi minoritari gli stessi
diritti della maggioranza.
Inoltre sia le femministe che i multiculturalisti danno la stessa spiegazione sul perché le teorie
liberali tradizionali non sono soddisfacenti: la Okin ha mostrato che i teorici liberali partono
dall’assunto che il cittadino è un uomo e non si chiedono mai che tipo di istituzioni o principi
sceglierebbero le donne cs come non si chiedono mai che tipo di istituzioni verrebbero scelte dalle
minoranze etnoculturali. Dunque il liberalismo si è mostrato cieco verso le ingiustizie che limitano la
libertà e l’autostima delle donne e delle minoranze etnoculturali.
Su qsto punto, sia le femministe che i multiculturalisti pensano a soluzioni simili x raggiungere una
concezione + globale della giustizia: diritti e benefici specifici x le donne e x i gruppi.
CONCEZIONI CRITICHE VERSO LA OKIN
Più polemiche rispetto a quelle di Kymlicka sono le posizioni di Leti Volpp nei confronti della
Okin: x la Volpp vedere il multiculturalismo opposto al femminismo è una falsa contrapposizione
basata sul razzismo.
Secondo la Volpp le argomentazioni delle “femministe antimulticulturalismo” poggiano su 4 errori
principali:
1. Il postulato secondo cui le immigrate non bianche sarebbero x definizione vittime della cultura
patriarcale;
2. Una visione della cultura statica e monolitica;
3. Il guardare le comunità immigrate attraverso le lenti del razzismo culturale;
4. La convinzione che permettere agli immigrati imputati in un processo pensale di presentare a loro
discolpa informazioni sulla loro cultura e il loro contesto sociale sia antifemminista (cioè la Volpp
critica la necessità da parte delle “femministe antimulticulturalismo” di dover eliminare le attenuanti
di tipo culturale nei processi xkè in qsto modo verrebbero violati i diritti di donne e bambini
immigrati di ricevere protezione uguale ai non immigrati).
Inoltre x la Volpp il fatto che la Okin ammette che tutte le culture del mondo hanno un passato
patriarcale, mentre le culture liberali occidentali se ne siano liberate, non vuol dire che la cultura
degli immigrati non europei sia maschilista mentre la cultura americana sia femminista e che la
cultura occidentale si sia definitivamente sottratta alla cultura patriarcale.
La testimonianza di Fatima Mernissi sembra rafforzare la posizione della Okin sul fatto che le
donne, tra grandi difficoltà e contraddizioni, faticano a contestare quelle pratiche tradizionali e
religiose che variano da Stato a Stato e dalla diversa configurazione del potere politico.
Un altro postulato erroneo x la Volpp è rappresentato dalla separazione scorretta fra dimensione di
razza e dimensione di genere: nello stabilire che il femminismo è euro-americano e che le culture
non europee sono dominate dai maschi, le “femministe antimulticulturalismo” guardano alla
differenza di genere senza tener conto di altri fattori sociali, come la razza, lo status di immigrato, la
povertà, la sessualità o l’imperialismo. Ciò convalida la convinzione che gli Stati Uniti siano la terra
promessa per la liberazione delle donne immigrate, e che siano i maschi misogini a determinare la
“cultura” delle comunità immigrate. Questa interpretazione ignora la possibilità che le donne
immigrate abbiano resistito all’oppressione esercitata su di loro.
Ancora un altro postulato ricorrente è quello secondo cui il femminismo dovrebbe sempre essere
dalla parte dei diritti della vittima. La cultura femminista ha sviluppato il concetto moderno di
“donna” ponendo la differenza sessuale al di sopra di ogni altro fattore di oppressione, e ha
affermato l’esistenza di una subordinazione di genere che è universale e che attraversa spazio e
tempo. Questa versione del femminismo è stata criticata come “essenzialismo di genere”.
L’incapacità di analizzare la subalternità di un’immigrata non europea a volte interagisce in modo
preoccupante con il modo di intendere i concetti di vittima, azione e resistenza. Invece x la Volpp
una visione più legata al contesto delle immigrate interpreterebbe le loro azioni all’interno di un
complesso di fattori sociali variegati, senza negare loro una piena umanità. X esempio, se si
considerano + attentamente i casi giudiziari, come quelli in cui una madre ha tentato il suicidio
trascinando con sé il proprio bambino, si vedrebbe qsto crimine non come la risposta obbligata della
donna al disonore, ma come la conseguenza della sua emarginazione e degli abusi subiti, cioè
un’azione esercitata dalla donna dentro quel contesto.
Attraverso le considerazione di Chiara Ingrao si può comprendere come le posizioni della Volpp non
siano poi così distanti da quelle della Okin. Dare al multiculturalismo il volto della violenza contro
le donne, rappresenta, come ricorda la Volpp, un modo di vedere che ignora come, della stessa
cultura, si possano fare esperienze diverse all’interno delle diverse comunità. Aggiunge la Okin che
quando si producono argomentazioni liberali a favore dei diritti di gruppo, occorre una attenzione
particolare per le disuguaglianze interne al gruppo, soprattutto x le disuguaglianze fra i sessi, perché
esse sono meno facilmente visibili.
La Volpp sottolinea che la cultura non è una qualche essenza statica, monolitica. Ma la Ingrao
afferma che non è vero che le “femministe antimulticulturalismo” non lo riconoscono.
Tuttavia la Ingrao afferma che sono convidivisibili le affermazioni della Volpp sulla pericolosa
tendenza che accomuna molti studiosi nel descrivere la cultura non europea con parole come
“secolare”, “tradizione” e “costume”, ritraendo i membri di una comunità come se il loro
comportamento fosse dettato esclusivamente da rituali ancestrali. Questo non prende affatto in
considerazione l’influenza che lo Stato o la comunità dominante esercitano sulla loro cultura. Per
esempio, quando si definiscono i cosiddetti sweatshop (cioè l’estremo sfruttamento degli immigrati
da parte di altri immigrati) come un fenomeno culturale, non vengono prese in considerazione la
complicità delle imprese transnazionali (i produttori dell’industria dell’abbigliamento e i
commercianti) e quella dello Stato. Le attenuanti culturali dovrebbero comprendere informazioni
sugli effetti che lo Stato e la comunità dominante hanno su un immigrato: la condizione di immigrato
regolare o irregolare, la scarsa familiarità con il locale dipartimento di polizia, il razzismo, la
mancanza di rifugi per le immigrate vittime di violenza domestica.
Inoltre la Volpp contesta le “femministe antimulticulturalismo” anche xkè insistono sull’escludere
totalmente dai processi penali qualsiasi riferimento alla diversità culturale, eccetto che nella fase in
cui viene formulata la sentenza, quando l’imputato può presentare, come circostanze attenuanti, delle
prove sull’influenza che il contesto culturale ha avuto sulla sua condotta. Comunque, data la
completa discrezionalità del giudice in questa fase del processo, limitare a questa fase l’accoglienza
di informazioni di tipo culturale significa rischiare la discriminazione nei confronti delle persone di
colore.
Hugues Fulchiron sottolinea che non bisogna fossilizzarsi sulle tradizioni, infatti egli cita alcuni
episodi avvenuti nel Maghreb o a Mashrek in cui sono sorti movimenti che si battono x i diritti delle
donne, quindi anche qui il diritto sta cambiando.
A tal proposito si ricordano le valutazioni della politologa Bonnie Honig rispetto alla
preoccupazione della Okin sul fatto che le fragili conquiste del femminismo possano essere attenuate
da una accresciuta sensibilità multiculturale: la Honig afferma che le femministe devono davvero
preoccuparsi di perdere il terreno conquistato in qnto in breve tempo i diritti di gruppo si possono
estendere non solo alle minoranze nazionali (come auspica Kymlicka) e agli immigrati, ma anche a
gruppi culturali e religiosi, così che tutta la popolazione sarà coperta da qualche tipo di esenzione
culturale.
La Hogin evidenzia i limiti dell’approccio della Okin evidenti nella sua lettura delle tre religioni
maggiori:
1. Contro qnto sostiene la Okin, l’ebraismo, il cristianesimo e l’Islam controllano la sessualità
femminile x controllare la sessualità maschile: qndo viene fornito un minimo spazio di indipendenza
delle donne dagli uomini cs viene fornito un po’ di spazio agli uomini x vivere in maniera
indipendente dalle donne;
2. Come suggerisce la Okin, si può considerare l’ebraismo come una serie di scioglimenti di legami
materni ma x far ciò si deve sottovalutare il fatto che l’ebraismo si è affermato x via patrilineare;
3. Atena, Romolo e Remo possono rappresentare una tendenza accettata tra gli antichi ad istigare
l’idea di una nascita non materna, ma la nascita di Gesù da una vergine attenua il ruolo del padre
nella riproduzione;
4. La pratica del velo può essere un segno della sottomissione forzata e sessista delle donne, come
lamenta la Okin, ma può essere anche parte di un + ampio complesso di sforzi volti verso entrambi i
sessi x controllare la vita sessuale di una comunità, cosi come avviene x altri rapporti. X la Hogin
bisogna sapere come funziona la pratica del velo, cosa significa in un particolare contesto prima di
decidere che x chiunque significa la stessa cosa;
5. Si può considerare la poligamia come un espediente con cui gli uomini controllano le donne, ma
la poligamia non sempre può soddisfare gli interessi del marito. Per contro, l’istituzione della
monogamia, che la Okin preferisce alla poligamia, isola le donne le une dalle altre e le confina in
uno spazio privato.
La Hogin sostiene che pensare come la Okin che i regimi liberali occidentali siano meno patriarcali e
+ avanti nella marcia verso la parità fa sì che non ci si impegni in un’analisi + selettiva delle pratiche
particolari e dei contesti che potrebbero ampliare la nostra consapevolezza critica sui limiti e sui
benefici della tradizione liberale.
Al di là della polemica contro la Okin, l’intervento della Hogin è volto a chiarire che nel dibattito sul
multiculturalismo i termini di eguaglianza e tradizione non sono contraddittori fra loro, esistono xò
società in cui i rapporti fra i sessi non si reggono sul concetto di eguaglianza, ma sulla
complementarità fra uomini e donne, x cui i primi svolgono funzioni separate nella famiglia e nella
società e le seconde sono sottoposte all’autorità del marito. Qsta situazione spesso si riflette anche
nelle leggi che continuano a seguire la tradizione culturale.
In qsto contesto Alessandra Facchi indica 3 dimensioni di differenza che vanno considerate x
una donna immigrata: donna rispetto all’uomo; straniera rispetto agli autoctoni; donna straniera
rispetto a donna occidentale.
Spesso l’oppressione in qnto donna si accompagna all’oppressione in qnto membro di una comunità
minoritaria, ma nelle vite individuali qste due forme di oppressione si sommano rendendo difficile
individuare l’interesse delle singole persone e tradurlo in diritti e tutele. Tuttavia, partendo dal
presupposto che è proprio il benessere dell’individuo a dover costituire l’obiettivo primario, al di là
delle appartenenze collettive, si nota che la tutela dei diritti culturali può costringere ancora di + le
donne ad essere discriminate. Partendo dalla conoscenza delle varie situazioni femminili si possono
leggere meglio molti aspetti che scaturiscono nella convivenza multiculturale:
- il concetto di “tradizione” che in realtà è ricco di ambiguità e x qsto è meglio parlare di
“tradizioni”. X Fulchiron con la parola “tradizione” si indicano una serie di regole e di prassi che si
rifanno a norme religiose, morali o sociali e che vengono trasmesse nel tempo da una generazione
all’altra. X qsto in ogni momento e in ogni società possono esistere contemporaneamente diversi
livelli di tradizione/tradizioni: caso tipico è quello delle soc. musulmane in cui coesistono tradizioni
sia islamiche che preislamiche che sono difficili da distinguere.
- La “tradizione” è soggetta a evolversi nel tempo e nello spazio e ciò si fa + complesso qndo entra
in gioco l’immigrazione, ovvero qndo la tradizione viene esposta alle influenze della società in cui
viene inserita e quindi viene modificata. Il contatto con una società diversa può spingere l’immigrato
a seguire ancora di + le regole del suo paese d’origine. A ciò si aggiunge anche il rischio di una
visione troppo semplificata delle regole della società di provenienza.
La Hogin, nella seconda parte dell’intervento Complicating Culture, esprime la sua posizione
contrastante alle considerazione della Okin nel suo saggio (Il mult danneggia le donne?) esprimendo
la concezione narrativa della cultura: “cultura”=stile di vita, un insieme di narrazioni diverse e
spesso conflittuali in cui vengono negoziate incomprensioni comuni, ruoli e responsabilità; quindi la
“cultura” è un sistema vivo e pulsante x la distribuzione e l’applicazione del potere e dei privilegi tra
i suoi membri. Raramente i privilegi sono distribuiti differentemente tra uomini e donne xkè la razza,
la classe, il luogo di provenienza, comportano privilegi. Anche coloro che sono meno potenti in un
certo contesto godono di una certa forma di rappresentanza legata alle culture, alle istituzioni e alle
pratiche che l’hanno generata. Quindi estinguere le culture non è la risposta giusta. E’ + promettente
l’alternativa della Okin di sostenere gli sforzi di una cultura di modificarsi x rafforzare l’uguaglianza
e non la disuguaglianza delle donne, ma ciò dipende dalla capacità delle femministe occidentali di
ascoltare tutte le voci femminili e imparare da qste mettendo da parte i pregiudizi verso quelle
pratiche che sono considerate offensive. Dunque, secondo la Hogin, è necessario che le femministe
mettano sempre in discussione la questione sulla disuguaglianza di genere.
Infatti non bisogna concepire la cultura come realtà omogenea, xkè ciò nn ci fa comprendere che il
mondo è locale e globale insieme, ma bisogna invece riconoscere che identità e culture differenti
costituiscono aree di scambio, cioè spazi in cui dei “noi” particolari vivono in mezzo a dei “loro”
altrettanto particolari, ciascuno con la sua storia.
Seyla Bhenhabib propone una concezione narrativa della cultura simile a quella della Honig:
“cultura”=spazio di scambio, un “sistema poroso” che ci permette di comprendere la diversità delle
società umane senza trasformarle in sistemi rigidi ai cambiamenti; “cultura”=sinonimo di identità.
Il termine cultura è stato spesso applicato alla società occidentale x la sua superiorità, ma oggi qsta
credenza è stata ribaltata.
La stessa Martha Nussbaum sostiene che i due mondi, l’Oriente e l’Occidente, ritenuti separati da
Kipling, si possano invece riavvicinare e comprendere senza conflitti: bisogna approfondire la
conoscenza delle culture non occidentali, non solo xkè si affermino un’idea di cittadinanza e una
capacità deliberativa adeguate e un mondo unificato da relazioni profonde, ma anche x migliorare la
percezione di noi stessi in qnto americani, x definire meglio la nostra tradizione occidentale.
Lo stesso vale x la Okin: qndi bisogna comprendere ciò che non si può accettare e avvicinarsi ai
valori diversi, senza necessariamente avvertire il bisogno di condividerli. Se, dunque, l’intercultura è
la capacità di riconoscere le culture e le appartenenze, tenendo sempre presente che esse non sono
realtà omogenee, ma spazi di scambi, narrazioni condivise, l’incompatibilità fra l’eguaglianza delle
persone e la differenza culturale costituisce un falso problema che nasce se si considera la cultura
come un sistema chiuso.
Su qsta scia si deve considerare l’intervento di Bhikhu Parekh, studioso di teorie politiche e molto
sensibile alle condizioni delle donne indù, il quale condivide con la Honig il rifiuto dell’opposizione
tra multiculturalismo e femminismo; egli considera quella parte del saggio della Okin in cui si
evidenzia il rischio che nelle soc liberali il rispetto x la cultura venga preso x “scudo x il sessimo”.
Come la Okin, Parekh afferma che le disuguaglianze tra i sessi sono difficili da distinguere, tuttavia
non è possibile misurarle, non abbiamo alcun mezzo x sapere se una comunità soddisfi i nostri
standard di uguaglianza.
La Okin afferma che il modo in cui una cultura tratta le donne è molto importante, xò x Parekh
bisogna considerare altri aspetti (il modo in cui uno dovrebbe vivere, rapportarsi con gli altri, il
modo in cui ognuno dovrebbe trovare un senso alla vita). X Parekh non è sufficiente dire che le
minoranze, poiché vivono in una società liberale, devono accettarne i principi xkè esse non sono
liberali. Invece c’è una crescente tendenza tra i liberali a far equivalere il liberalismo con il bene,
cioè i liberali vogliono liberalizzare il multiculturalismo, mentre i multiculturalisti vogliono
multiculturalizzare il liberalismo evidenziando come esso sia solo una cultura tra molte altre.
Entrambi contengono il pericolo di restringere un ricco mondo morale in una singola dottrina
politica.
Tracce di qsta riflessione si trovano anche nell’intervento di Homi Bhabha il quale afferma che
l’idea centrale della Okin sul conflitto fra femminismo e multiculturalismo produce categorizzazioni
unitarie e stereotipate delle culture minoritarie migranti.
La Frazer, invece, parla del modo superficiale con cui i mass media trattano i problemi delle donne,
affermando che la stampa e i media sono una risorsa inestimabile x dar voce alle rivendicazioni, ma
essi lavorano x un’industria la cui logica di mercato può addirittura minacciare la comunicazione
interculturale (crosscultural). Tuttavia la Frazer non tiene conto dell’intento della Okin di ricavare
uno spazio libero di contrattazione x le donne in cui esse possono assumere un ruolo da vere
protagoniste, dubitando della possibile conciliabilità dei principi liberali con l’autodeterminazione e
la dignità delle donne.
Anche Katha Pollit, nel suo intervento Whose culture? apparso sulla “Boston Review”, si interroga
sull’argomento della Okin sostenendo che qndo una cultura diventa “una tra tante” in un sistema
politico ed economico integrato, alcune pratiche ordinarie possono mutarsi entrando in conflitto con
le aspirazioni incoraggiate dalla + vasta società in cui i membri di quella comunità si trovano ora a
vivere.
Qsta è l’idea espressa da Joseph Raz in Reform or Destroy in cui egli esprime alcune
considerazioni diverse da quelle della Okin, come il fatto che molte culture occidentali possiedono in
sé germi di intolleranza non soltanto verso i non membri ma anche verso i membri stessi: Raz
sostiene che la Okin sottovaluta il problema del multiculturalismo xkè è vero che ci sono stati dei
miglioramenti alla situazione delle donne in società, ma è anche verso che siamo ancora lontani
dall’eliminare altri tipi di ingiustizie (l’omossessualità, l’indifferenza verso i bisogni fisici e psichici,
ecc). X Raz lo Stato deve riconoscere e sostenere tutte le culture rappresentate in esso,
incoraggiandone il rispetto; deve proteggere i suoi membri dall’ingiustizia sia sessista che di altro
genere. Secondo Raz la Okin da un lato mostra una grande sensibilità verso il significato delle
pratiche sociali, ma dall’altro sembra cieca soprattutto sul fatto che gli stessi assetti sociali possono
avere diverso contenuto morale x la presenza delle diverse culture, e ciò la porta a giustificare +
duramente le altre culture dalla propria.
Anche Sander Gilman critica la Okin x l’abolizione dei rituali di altri popoli, come la circoncisione
praticata nel Sud Africa, sostenendo che la Okin non vede che quelli presenti nella sua cultura sono
limitanti e ripugnanti.
La stessa provocazione è data da Azizan Y.Al-Hibri (presidente e fondatrice di Karamah, associazione di
giuriste musulmane x i diritti umani) che si mostra scettica nei confronti della Okin xkè ritiene che la
filosofa si sia impostata su una prospettiva basata su un “io” culturale superiore, condannando così
l’“altro culturale” senza sforzarsi di comprenderlo. Al-Hibri contesta la confusione con cui la Okin
assimilerebbe gli aspetti religiosi e quelli civili dell’Islam e le sue imprecisioni nel riportare credenze
musulmane che riguardano la donna dovute all’uso di citazioni tratte da fonti secondarie. Al-Hibri
cerca di conciliare multiculturalismo e femminismo in 3 punti:
1. separare le pratiche tradizionali da quelle religiose e ciò ridurrebbe la resistenza dei musulmani
nei confronti de cambiamenti culturali;
2. riesaminare criticamente la giurisprudenza esistente x scoprire gli elementi culturali che sono da
eliminare;
3. portare nella giurisprudenza islamica contributi moderni che tengano conto del tempo, del luogo,
dell’interesse pubblico dei musulmani, la metà dei quali sono donne.
Tuttavia al-Hibri chiede che si riconosca la santità dell’Islam, xò qsto significa non riconoscere i
diritti delle altre religioni.
RISPOSTE DELLA OKIN ALLE CRITICHE
X la Okin l’unico luogo dove i conflitti possono essere negoziati è quello del dialogo (l’etica del
discorso), non come compromesso fra parti diverse che dopo faticose negoziazioni raggiungono un
accordo, ma come spazio in cui continuamente avviene la costruzione sociale di un senso x le
ambigue e spesso caotiche situazioni della vita umana. Da qui la prima necessità dell’autrice è di
chiarire le sue posizioni rispondendo alle critiche di tutti gli autori che sono intervenuti nel dibattito
della “Boston Review”:
- La Okin non sostiene la causa del «lottare x eliminare altre culture» (come afferma Raz) e x
«estinguere le culture» (Honig) e critica quelle proposte che mirano a garantire speciali diritti a un
gruppo x assicurare la continuità della sua cultura: bisogna considerare quei fattori in competizione
tra loro prima di concludere che i diritti di gruppo sono il modo migliore di promuovere
l’autorispetto e l’autonomia di tutti i membri.
- Diversi interventi riguardano la difficile questione del modo in cui le femministe dovrebbero
rispondere qndo le donne, soprattutto le + anziane, subalterne all’interno di una cultura, non si
lamentano delle loro condizioni e anzi contribuiscono a riprodurle. X es Parekh vede come una
forma di protezione il considerare le donne che non condividono la visione femminista come
indottrinate, come se avessero ricevuto il lavaggio del cervello. La Okin invece afferma che bisogna
intrattenere discussioni fatte in piena autonomia con le donne di ogni cultura non x un impulso a
dividere e regolare (come afferma Bhabha), ma xkè si riconosce l’importanza di ascoltare i veri
locali fermenti di libertà.
- La Okin sostiene che alcuni partecipanti al dibattito non sembrano capire che “clitoridectomia”
significa la rimozione del clitoride, così come la “penidectomia” significa la rimozione di tutto o
parte del pene. A tal proposito Parekh che dice che una donna che chiede la rimozione del clitoride
dopo la nascita del suo ultimo figlio lo fa x poter regolare la sua sessualità e concentrarsi sull’essere
una madre + che una moglie, ma la Okin suggerisce di rispondere nello stesso modo in cui si
risponderebbe ad un uomo che chiedesse la rimozione del pene x le stesse ragioni: prima di andare
dal chirurgo, deve parlare con uno psichiatra o un consulente matrimoniale.
- La Okin è d’accordo con Kymlicka secondo cui il femminismo e il multiculturalismo costituiscono
battaglie correlate, tuttavia c’è una importante differenza: gli speciali diritti rivendicati dalle donne
non danno alle donne + potenti il diritto di controllare quelle meno potenti; x contrasto, i diritti dei
gruppi culturali spesso rafforzano le gerarchie esistenti. Ciò che la Okin non intravede è un
multiculturalismo x il quale effettivamente le donne e gli uomini siano egualmente trattati sul piano
morale.
PARTE SECONDA
CAP.4 MULTICULTURALISMO O FEMMINISMO? VERSO NUOVI SPAZI DI
CONTRATTAZIONE FEMMINILE – CAP.5 MULTICULTURALISMO E FEMMINISMO:
NON UNA SEMPLICE DOMANDA, NON SEMPLICI RISPOSTE (ho unito qsti 2 capitoli
xkè dicono la stessa cosa!!)
Qndo ci si chiede se il multiculturalismo danneggia le donne, la Okin afferma che bisogna far
riferimento al contesto in cui tale domanda si pone e a tutte le situazioni specifiche. X qsto è
importante cercare di dar vita ad un multiculturalismo che non collida con gli interessi delle donne,
ma arrechi loro vantaggi. In tal senso la sfida è quella di recuperare un senso di identità comune (in
modo da comprendere lo status reale delle donne) e scardinare la concezione dominante della donna
legata alla tradizione patriarcale e attuata anche dall’atteggiamento conservatore della Chiesa.
Proprio sulla base delle critiche (dal 99 in poi) al titolo Il Multiculturalismo danneggia le donne? da
parte di alcuni commentatori della “Boston Review”, la Okin pubblica nel 2002 il saggio
Multiculturalismo e Femminismo: Non una semplice domanda, Non semplici risposte. Dunque la
Okin sostiene che poichè la domanda non è semplice, di conseguenza non vi possono essere risposte
semplici. Qsto è un testo importante xkè non solo ribadisce le tesi del 99, ma soprattutto risponde
alle critiche ed elabora i suoi suggerimenti iniziali su come risolvere le tensioni.
Ella inizia affermando che molti teorici politici riconoscono le tensioni tra multuculturalismo e
femminismo, infatti, essendo presenti varie pratiche e credenze sia all’interno che tra le culture sullo
status della donna (che cos’è la donna) e i suoi ruoli (che cosa fa la donna), è inevitabile un conflitto
tra il desiderio di sostenere e proteggere molte culture e quello di promuovere l’uguale dignità ed il
rispetto x le donne. Dunque il dibattito tende ad estremizzarsi: chi vuole il rispetto delle culture
(multiculturalismo) non vuole l’uguaglianza delle donne (femminismo) e viceversa.
L’opera + estesa sull’argomento è quella di Ayelet Shachar, Multicultural Jurisdictions: Cultural
Differences and Women’s Rights. La Shachar analizza le origini del “paradosso della vulnerabilità
multiculturale” e i modi in cui esso è stato indicato nei vari regimi liberali1, offrendo poi proposte sul
modo in cui esso potrebbe essere meglio definito. La Shachar afferma che l’accomodamento
multiculturale2 fa si che i diritti dei soggetti vulnerabili (donne, bambini) possono essere messi in
pericolo dai diritti di gruppo e dai tentativi di conciliare i gruppi, in qsto modo l’ospitalità dello
Stato(che è ospitale x i gruppi ma non x i singoli) può esporre i membri dei gruppi minoritari alle
1
2
REGIMI LIBERALI= valorizzano i diritti individuali su quelli di gruppo
ACCOMODAMENTO MULTICULTURALE= il multiculturalismo è accettato come se fosse una realtà inattaccabile
ingiustizie all’interno del gruppo stesso e può portare anche a consolidare alcuni elementi gerarchici
di una cultura.
Anche Jeff Spinner-Halev e Chandran Kukathas si sono concentrati sul problema: il 1°, come
Jacob Levy, ha affermato che la critica femminista ha ragione a sostenere che l’autonomia dei
gruppi può danneggiare le donne; il 2° ammette che non ci sono dubbi sul conflitto tra
multiculturalismo e femminismo a livello tale che ci sono alcuni gruppi che negano l’interesse delle
donne e che cercano l’accomodamento all’interno del sistema.
Più recentemente Marilyn Friedman e Monique Deveaux, come la Shachar, hanno fatto passi in
avanti x qnto riguarda il problema delle tensioni tra diritti di gruppo multiculturale e uguaglianza
delle donne, proponendo ognuna il proprio modo in cui esso dovrebbe essere affrontato all’interno
degli Stati liberali che non tutelano i diritti delle donne nel gruppo:
- Marilyn Friedman in un capitolo del suo libro Autonomy, Gender, Politics, sottolinea un
paradosso= non è possibile non considerare il fatto che le donne e le ragazze sono le principali
vittime della pratiche culturali minoritarie; le minoranze culturali presenti negli Stati democratici
liberali comprendono di poter esercitare le loro capacità decisionali e le loro tradizioni culturali
senza ostacoli dove non c’è l’interferenza politica, cioè nella sfera privata (sfera domestica), proprio
là dove invece dovrebbero prevalere le libertà individuali che invece in qsto modo vengono lese
(qndi lesi i diritti delle donne).
- Monique Deveaux nel suo libro A Deliberative Approach to Conflits of Culture, contro i
contributi al dibattito di Brian Barry, di Will Kymlicka e di Martha Nussbaum, sostiene che il
criterio liberale non va + bene, ci vuole la democrazia che si basa sull’uguaglianza: dunque presenta
un approccio democratico, pluralista e politico x la mediazione delle sfide poste dalle pratiche
culturali non liberali nell’ambito delle democrazie liberali. Fa un passo ulteriore affermando che non
basta rispettare i diritti di tutti i gruppi (dir.liberali), ma bisogna riconoscere i diritti personali
garantiti dalla democrazia.
Dunque la Okin nota che alcune soluzioni al paradosso della vulnerabilità multiculturale sostengono
che gli Stati liberali richiedono ai sottogruppi culturali che vivono al loro interno di adottare norme
liberali e pratiche non discriminatorie verso i propri membri, soprattutto le donne (Friedman); altre
evidenziano l’opportunità di allentare la tensione tra i diritti del gruppo multiculturale e
l’eguaglianza delle donne indirizzandosi verso processi democratici, anche se non dovessero sempre
produrre soluzioni liberali (Deveaux). Vi è anche un terzo approccio che tenta di conciliare le 2
posizioni precedenti, ovvero combinando la fiducia nei valori liberali e nelle procedure
democratiche.
SOLLEVARE UN QUESITO PRESUPPONENDO UNA RISPOSTA?
Secondo la Okin le letture imprecise dei suoi primi articoli sull’argomento possono derivare dalla
loro sincerità e dal loro tono provocatorio. Alcuni lo hanno definito arrogante e Behabib come
“ostinatamente insensibile”. In entrambe le argomentazioni ha affermato che in certe circostanze sia
addirittura preferibile x le donne di una cultura minoritaria di integrarsi nella cultura di maggioranza
lasciando estinguere la propria cultura. Molti lettori sono stati portati fuori strada da qsto
suggerimento:
- Spinner-Halev sottolinea che qsto è compreso nella maggior parte delle comunità di immigrati
negli Stati Uniti e pone la domanda «Perché l’identità ndi gruppo dovrebbe essere preservata se i
membri del gruppo vi si oppongono?»;
- Kukathas sembra non provare fastidio x la frase della Okin ma critica la priorità che la Okin dà al
femminismo sul multiculturalismo.
- Levy risponde alla Okin affermando che desiderare l’estinzione culturale tende a produrre violenza
interetnica e crudeltà senza diminuire la crudeltà intrinseca.
- Ayelet Shachar (prof.ssa di diritto) afferma che la Okin pensa che le società dovrebbero
completamente abolire le pratiche dei gruppi di minoranza che non aderiscono alle norme giuridiche
dello Stato o addirittura dovrebbero richiedere che qste pratiche si “trascendano” fino a conformarsi
alle norme e alle percezioni delle comunità di maggioranza. Ma la Okin non ha affatto parlato
dell’abolizione delle pratiche delle culture di minoranza né della richiesta di trascendersi. La Okin ha
semplicemente affermato che alcuni fattori possono essere migliorati se la cultura in cui si sono
affermati dovessero o venire gradualmente ad estinguersi (qndo i suoi membri si integrano nella
cultura circostante) o venire incoraggiata e sostenuta affinché modifichi se stessa x rafforzare
l’uguaglianza delle donne.
X qnto riguarda la domanda se il multiculturalismo danneggia le donne, Kukathas afferma che la
Okin risponde di “si” e che, laddove i due concetti sono incompatibili, tanto peggio x il
multiculturalismo. Ma la Okin afferma che K. sbaglia a ritenere che lei risponde “si”, senza
considerare il suo tentativo di risolvere l’incompatibilità tra femminismo e multiculturalismo.
X Shachar con tale domanda la Okin sembra affermare che il multiculturalismo è semplicemente
nocivo x le donne, ma la Okin risponde affermando che la sua domanda non nasconde nessun intento
di lanciare un appello alle donne delle culture di minoranza di scegliere fra la loro cultura e i loro
diritti. Certo x la Okin non possono avere entrambe le cose simultaneamente. Rispetto
all’interpretazione della Shachar, la Okin rivendica l’apertura di uno spazio vitale x le donne dove si
possa consultare con loro x decidere se un gruppo culturale patriarcale debba godere di speciali
esenzioni, privilegi che avranno impatti differenziali sulle vite dei suoi vari membri. Da qui la
ragione x cui anche i membri femminili devono prendere parte alle discussioni e ciò non significa
obbligarli a scegliere tra la loro cultura e i loro diritti. Se qsto avviene è dovuto ai membri maschili
che scelgono x tutti, mettendo in discussione la lealtà di altri membri che sostengono una qualunque
altra prospettiva (soprattutto se femminista) sulle norme culturali. Tuttavia la Okin è contenta di
avere in comune con la S il fatto di ritenere che ogni modello liberale legittimo di multiculturalismo
è costretto a stare a sentire le donne.
La Okin, dunque, afferma non è lei stessa a dover dare una risposta a tale domanda, ma le donne che
si trovano al centro del problema.
Verso la fine di entrambe le versioni dell’articolo, la Okin sostiene in primo luogo che coloro che
sostengono argomentazioni liberali a favore dei diritti di gruppo dovrebbero considerare soprattutto
le disuguaglianza all’interno del gruppo di appartenenza, specialmente quelle tra i sessi che sono
difficilmente discernibili.
In secondo luogo, sostiene che a causa di qsto le politiche a favore dei bisogni e delle rivendicazioni
di gruppi culturali o religiosi + patriarcali (gruppi nomoi3) in un contesto liberale meno patriarcale
devono garantire la partecipazione o un’adeguata rappresentanza dei membri meno potenti di tali
gruppi (soprattutto delle donne + giovani). Infatti x la Okin i sedicenti leader (membri + anziani e
maschili del gruppo) non possono essere considerati i rappresentanti degli interessi di tutti i loro
membri. In qsto modo ella mette degli elementi di democrazia non presenti nello Stato liberale.
Ella inoltre sostiene che la riflessione sui diritti dei gruppi all’interno degli Stati liberali, la cui
cultura di maggioranza è meno patriarcale, dovrebbe tenere conto non soltanto dello status e del
modo di trattare le donne ma anche altri fattori seri come le differenze linguistiche o la
discriminazione razziale.
La Okin si sofferma poi su 2 recenti proposte di risoluzione delle tensioni tra multiculturalismo e
femminismo in contesti liberali:
1. APPROCCIO BASATO SULL’AUTONOMIA DI MARILYN FRIEDMAN: PROPENDO X IL
LIBERALISMO.
Nel capitolo finale del suo libro recente su autonomia e genere, Cultural Minorities and Women’s
Rights (2003), la Friedman applica la sua teoria dell’autonomia liberale alla discussione sulle
rivendicazioni dei diritti del gruppo multiculturale negli Stati liberali x trovare un “terreno comune”
tra il liberalismo e i valori a cui aderiscono le varie minoranze culturali, arrivando ad una soluzione
alle tensioni tra le rivendicazioni dei diritti di gruppo e la norma liberale contemporanea
3
GRUPPI NOMOI= parola greca, plurale di nomos: legge – qndi “gruppi che stabiliscono le leggi”
dell’eguaglianza sessuale. Ella fa riferimento alle argomentazioni di Jeffrey Reiman secondo il quale
le rivendicazioni dei multiculturalisti dipendono spesso da valori liberali, come la sovranità
individuale (la capacità di vivere la vita liberi dalla dominazione degli altri). E cita Uma Narayan
secondo cui i critici del liberalismo occidentale spesso mirano agli ideali di eguaglianza e ai diritti
proprio come i liberali. Dunque negare qsti valori liberali da parte dei membri + vulnerabili dei
sottogruppi culturali è una posizione ipocrita.
La Friedman trova un terreno comune nell’idea della legittimità politica basata sul consenso e
sostiene che ciò è voluto anche da quei multiculturalisti che difendono le pratiche sessuali che
violano i diritti delle donne che sono giustificate qndo le donne stesse vogliono vivere sotto quelle
pratiche o lo scelgono volontariamente. La Friedman afferma che nessuna istituzione o pratica
sociale in cui le persone possono violare i diritti altrui è legittima a meno che tutti i gruppi che
devono viverci non vi acconsentono. Dunque bisogna considerare i punti di vista di ogni donna.
Secondo la Okin qsta soluzione sembra + democratica che liberale e si avvicina al suo suggerimento
di consultare le donne dei gruppi culturali o religiosi qndo i diritti di ogni gruppo vengono negoziati
tra qsti gruppi e gli Stati liberali. Tuttavia l’approccio della Friedman favorisce il liberalismo sulla
democrazia. Infatti, sulla scia della concezione dell’autonomia liberale, la Friedman sostiene che le
scelte e i punti di vista delle donne sono indicatori attendibili di consenso solo se vengono rispettate
3 condizioni:
1) le donne devono essere capaci di scegliere tra una gamma significativa e moralmente accettabile
di alternative;
2) devono essere capaci di fare le loro scelte in maniera relativamente libera da coercizione,
manipolazione e inganno;
3) devono essere state capaci di sviluppare presto nella vita le capacità necessarie e riflettere sulle
loro situazioni e a prendere decisioni su di esse.
Da qui la Friedman distingue tra una concezione “neutrale” (content-neutral) ed una concezione
“sostanziale” (substantive) di autonomia, sostenendo che solo la prima è richiesta x il consenso.
L’autonomia sostanziale di una scelta dipende dai contenuti di ciò che è scelto e richiede che qti
contenuti siano coerenti con il valore di autonomia. Invece l’autonomia neutrale di una scelta
dipende solo dal suo essere fatta in condizioni di autonomia, quindi si può scegliere autonomamente
di vivere in condizioni che non permettono di essere sostanzialmente autonomi. A tal proposito la
Friedman afferma che il semplice consenso delle donne in una cultura minoritaria alle proprie
pratiche che sembrano violare i loro diritti può essere sufficiente a giustificare tali pratiche. Così il
rispetto di una società liberale x la concezione neutrale di autonomia delle donne che partecipano
alle pratiche culturali che influiscono negativamente sulla loro autonomia sostanziale dà alla società
una buona ragione x compiere tali pratiche (x es una donna adulta può scegliere la clitoridectomia in
accordo con i suoi valori senza coercizione o manipolazione da parte di altri). La Friedman chiarisce
che se le società liberali si occupano di situazioni in cui le donne scelgono con convinzione di vivere
secondo modi che violano i loro diritti, devono anche chiedersi se esse hanno una reale alternativa,
se le loro scelte sono sottoposte a coercizione, manipolazione o inganno, se sono capaci nel loro
contesto di sviluppare le capacità sufficienti x ottenere l’autonomia e se condizioni come la povertà,
la mancanza di istruzione, gli abusi indeboliscono tali capacità.
E se prevalgono i fattori di scelta che annullano l’autonomia? La Friedman risponde affermando che
lo Stato liberale non deve + permettere pratiche che violano i diritti delle donne da parte del gruppo
di cui sono membri.
X la Friedman le sue conclusioni sono applicabili sia alle pratiche dei gruppi minoritari che a tutte le
pratiche che violano i diritti individuali e sono appropriate x alcuni tipi di cultura dominante come la
cultura battista del Sud, ogni gruppo immigrato o etno-culturale indigeno negli Stati Uniti, in qnto x
lei nessuna tradizione culturale dovrebbe essere esclusa dai tentativi di capire e di valutare il ruolo
delle donne e degli uomini al suo interno.
La Okin ha molte riserve sulla soluzione della Friedman:
- In primo luogo, è trattato con vaghezza un caso molto frequente, cioè l’età dei soggetti che
compiono pratiche che violano i diritti (come la mutilazione genitale o i matrimonio molto precoci).
Tali pratiche non dovrebbero essere ammesse xkè i bambini non posseggono quelle capacità utili x
un’autonomia content-neutral.
- In secondo luogo, la Friedman non risponde ad alcune delle domande da lei stessa poste, ovvero se
il consenso di una semplice maggioranza delle donne interessate è adeguato o se c’è bisogno invece
di una specie di super-maggioranza, o se il consenso di ogni persona è necessario a giustificare la
continuità delle norme e pratiche culturali che ne violano i diritti.
- In terzo luogo, le condizioni poste dalla Friedman x giungere ad una autonomia content-neutral
sono così rigorose che sembra improbabile che molte donne possano uniformarsi. La Okin infatti si
chiede quale forma di socializzazione può sostenere la capacità di autonomia delle persone tanto da
fornire alternative valide sul modo di pianificare le loro scelte? E qnte persone sono libere da
manipolazioni nel fare le loro scelte? Qnte persone sono realmente capaci di riflettere sulle loro
pratiche culturali?
Dunque x la Okin la Friedman sembra non concedere alcuna opportunità a coloro che non rientrano
nei suoi standard, x qsto la sua soluzione non è democratica visto che le donne che non possono
accettare l’alto standard di autonomia (content-neutral) sembrano dover essere escluse da ogni
decisione sulle pratiche del loro gruppo.
2. L’APPROCCIO DELIBERATIVO DI MONIQUE DEVEAUX: ENFATIZZARE E
DIFFONDERE LA DEMOCRAZIA.
La Deveaux ha proposto un approccio impegnativo ma + praticabile al problema della
riconciliazione dei fini multiculturali con quelli femministi in una società liberale. Ella rifiuta gli
approcci liberali a priori di altri (come quello della Okin) x 3 ragioni:
1) non comprendono la forma attuale delle pratiche culturali;
2) sembrano portare a risultati non democratici;
3) possono aggravare la condizione dei membri vulnerabili dei gruppi culturali rendendola +
oppressiva.
La Deveaux propone un approccio democratico, pluralista e politico x risolvere i conflitti di cultura
nelle democrazie liberali, soprattutto di quelli riguardanti i ruoli di genere. Secondo la studiosa in
qsta mediazione è importante che le donne dei gruppi culturali abbiano una parola diretta e siano
inserite nei processi formali di decisione.
Qste soluzioni non sono solo vantaggiose ma sembrano avere anche maggiore legittimità, tuttavia x
la stessa Deveaux non c’è garanzia che esse portino a risultati liberali e non discriminatori.
La Deveaux richiede una forma di deliberazione democratica di tipo politico piuttosto che un
modello discorsivo ed etico idealizzato, soprattutto xkè si preoccupa che le varie voci di una
minoranza culturale siano ascoltate, giungendo così ad un compromesso tra le varie visioni
interculturali su argomenti come il matrimonio, il divorzio, le regolamentazione sessuale e la
riproduzione. Ella ritiene che sia preferibile lasciare emergere interessi parziali e riconoscerli come
tali nel corso delle deliberazioni, piuttosto che tentare di neutralizzarli, richiedendo che le
discussioni vengano condotte in termini accettabili x tutti. Inoltre afferma che la deliberazione
democratica sulle pratiche contestate dovrebbe assumere la forma di un processo politico
trasparente, giungendo a produrre compromessi politici negoziati.
Del modello della Deveaux bisogna considerare 3 principi normativi:
1) il principio della non-dominazione o non-coercizione: i leader tradizionali o le élite dei gruppi
culturali non devono poter ridurre al silenzio i dissidenti mediante forme parte o nascoste di
oppressione;
2) l’eguaglianza politica: la presenza di opportunità reali x tutti i cittadini di partecipare ai dibattiti e
ai processi decisionali;
3) il principio della rivedibilità: non arrivare ad una soluzione dei conflitti culturali x sempre.
La Deveaux chiarisce il funzionamento della sua soluzione esaminando i tentativi e le consultazioni
che in Sud Africa hanno portato al Customary Marriage Act del 1998 x la riconciliazione dei due
provvedimenti conflittuali della Costituzione del paese, recentemente adottata, e che hanno visto la
partecipazione di rappresentanti e leader di vari gruppi ed anche un sufficiente numero di donne.
La Costituzione, da un lato, sostiene che dovrebbero esserci uguali diritti individuali e proibisce la
discriminazione in 17 forme diverse (tra cui le discriminazione razziali e quelle sessiste), dall’altro
xò riconosce i diritti dei gruppi culturali, compresi i vari sistemi del diritto consuetudinario 4 africano
e della leadership tradizionale che erano sia patrilineari (prevalenza della progenitura maschile) sia
altamente patriarcali. In molti sistemi tribali le donne venivano considerate come minori legali,
incapaci di ereditare la terra, stipulare contratti o avviare un divorzio, erano forzate a vivere
matrimoni che funzionavano male e a subire la pratica del lobolo o prezzo della sposa che doveva
essere ripagato dalla propria famiglia se la sposa metteva fine al suo matrimonio.
Dunque la Deveaux chiarisce che mentre il diritto consuetudinario e il diritto alla cultura sono
protetti costituzionalmente in linea con i diritti garantiti dalla Carta dei diritti (tra cui il diritto
all’eguaglianza), la relazione tra diritto consuetudinario ed eguaglianza sessuale in Sud Africa
rimane in qualche modo indeterminata e piena di incertezza politica.
Le consultazioni tenute prima del Customary Marriage Act sono un esempio chiaro del conflitto tra
propositi femministi e multiculturalisti, infatti c’erano due tipi di oppressione da superare:
- l’apartheid che aveva oppresso il popolo del Sud Africa e le sue leggi consuetudinarie: i matrimoni
consuetudinari non erano mai stati legalmente riconosciuti anche se praticati da + della metà degli
africani che si sposavano;
- il patriarcato della maggior parte delle leggi consuetudinarie che opprimeva le donne.
Non era xò possibile risolvere qsti due tipi di oppressione nello stesso tempo xkè se le leggi
consuetudinarie fossero state trasformate al momento del loro riconoscimento, così da diventare nonsessiste, poteva sembrare che non fossero mai state riconosciute.
Da qui si comprendono anche le origini coloniali del paradosso della vulnerabilità multiculturale,
infatti in Sud Africa, come in altri contesti, i colonizzatori hanno rafforzato, contro i colonizzati, le
loro leggi riguardanti i contratti, i crimini, ma hanno consentito loro di conservare le leggi sul
matrimonio, il divorzio ed altre questioni che meno li interessavano.
Il risultato delle deliberazioni è stata una parziale riforma: alle mogli è stato riconosciuto, almeno
formalmente, un pari status con i mariti (proprietà comune nel matrimonio, la possibilità x le donne
di avviare le pratiche x il divorzio, entrambi i genitori riconosciuti come custodi dei figli) e solo ai
tribunali familiari, e non alle corti tribali, la possibilità di trattare importanti materie di diritto
familiare; ai capi è stato concesso il riconoscimento del lobolo o prezzo della sposa, anche se non è +
indispensabile x riconoscere un matrimonio consuetudinario; la poliginia5 è stata preservata sia xkè
vista come un’importante variante del diritto consuetudinario, sia xkè si temeva che le donne in
matrimoni poliginici sarebbero state peggio che senza, la poliginia è stata modificata così che ad un
uomo che cerca di sposare un’altra moglie viene richiesto di sottoscrivere un contratto con la moglie
attuale con sui si proteggono i suoi interessi finanziari x la durata di vita del marito e si garantisce
l’equa ripartizione dei beni in caso di divorzio o alla sua morte.
La Okin si trova d’accordo con il modello della Deveaux e con la sua approvazione del processo in
Sud Africa xkè risponde alle richieste di legittimazione democratica e dimostra rispetto x i diversi
obblighi e legami religiosi e culturali dei cittadini. Tuttavia nutre dei dubbi se il processo, così
concretizzato, risponda a due dei suoi 3 criteri x l’affermazione della democrazia in tali contesti: la
non-dominazione e l’eguaglianza. Infatti la Okin fa riferimento alla presenza nella consultazione di
leader tribali scelti con pratiche non democratiche (cioè non eletti democraticamente) in numero
maggiore rispetto a qnto li ha autorizzati il mandato popolare e ciò ostacola la soluzione democratica
al conflitto femminismo/multiculturalismo. La Deveaux, citando Bohman, sostiene che x ottenere
4
DIRITTO CONSUETUDINARIO= si intende il diritto vincolante, tramandato oralmente, formatosi con la tradizione e
la pratica nell'ambito di una comunità giur. Nelle fonti tale diritto viene indicato come Consuetudine o costume. Si
contrappone al diritto scritto, statuito (diritto statutario), creato da un'autorità attraverso una procedura formale (Leggi ).
5
POLIGINIA= consente all'uomo di sposarsi con più di una moglie alla volta. La differenza con la poligamia è che
quest'ultimo termine è generico e non intende esclusivamente la possibilità per gli uomini di avere più mogli, ma
include anche la possibilità delle donne di avere più mariti.
l’uguaglianza politica bisogna prevenire forme di influenza extrapolitiche o endogene, come il
potere, la ricchezza e le disuguaglianze preesistenti che abbiano un impatto sulla deliberazione ed i
suoi risultati. Ma nella sua discussione sulle deliberazioni africane ella cita solo di passaggio alcuni
dei leader tradizionali che hanno con forza resistito alle proposte che le donne avrebbero dovuto
godere di maggiori ruoli decisionali nella società africana. Qsta resistenza deve aver influenzato la
dinamica di potere nel processo, soprattutto quella tra le donne (che difficilmente sono state
considerate da qsti leader come uguali a loro dal punto di vista politico) e i leader (che alcune delle
donne avranno visto come + che uguali). Cmq se i leader tribali non avessero prevalso (proprio x la
loro influenza in qnto leader) non sarebbero sopravvissute le pratiche sessualmente discriminatorie
della poliginia e del lobolo e quindi si sarebbero raggiunti risultati + liberali che democratici.
Il criterio della non-dominanza della Deveaux riporta alla mente della Okin il film “Sister Wife” che
rappresenta un serrato esame della poliginia nella cultura neotradizionale degli ebrei israeliti, una
comunità di afroamericani emigrati verso Israele negli anni 60 e 70. Essi vivono come una comunità
ben organizzata che segue i costumi e le norme dell’ebraismo arcaico. Durante una delle prime
scene, ad una donna che è stata sposata x 20 anni ed è la madre di 9 bambini, viene chiesto qual è la
sua reazione dell’imminente secondo matrimonio del marito con una donna giovane qnto la sua
primogenita. Intervistata in compagnia del marito e della seconda moglie, la donna afferma che qsta
x lei è una sfida e che le sfide fanno bene al carattere della persona. Qndo la camera la inquadra la
donna sorride, invece dietro appare triste. Nella scena successiva, la prima moglie viene filmata
mentre cuce il vestito della sposa in compagnia di un’amica intima la quale le chiede che cosa darà
alla sposa e la donna risponde “le darò lui”. La domanda che ne scaturisce è «Come può il processo
democratico deliberativo della Deveaux assicurare che il reale punto di vista delle donna sulla
poliginia emerga durante il processo deliberativo? Cosa significa che le donne devono poter parlare
liberamente senza coercizioni?».
La Okin, durante una conferenza internazionale a Singapore alla fine degli anni 90, chiese a una
donna indonesiana in abbigliamento musulmano tradizionale che cosa pensasse della difesa da parte
di alcune femministe occidentali di pratiche come la poliginia sulla base del fatto che le stesse donne
implicate difendono e sostengono la pratica. La donna, prima non comprese la domanda, ma poi
qndo capì rispose senza esitazione che «A nessuna donna piace la poliginia». Qndi si capiva che qsto
non fosse un segreto, ma un punto di vista condiviso, xò solo tra le donne.
Il risultato della soluzione della Deveaux è che, durante un processo democratico con compromessi,
contrattazioni e deliberazione sulle norme, i vari punti di vista dei diversi sottogruppi di gruppi
culturali hanno la stessa possibilità di emergere xkè nascono da motivazioni reali.
CONCLUSIONI
Secondo la Okin le società a base liberale sono quelle che meglio rispondono al problema delle tensioni tra
multiculturalismo e femminismo, ma si chiede anche come si deve comportare uno Stato liberale nell’ambito di
negoziazioni in cui sia stata verificata la disponibilità di un numero consistente di donne del gruppo, consultate e
adeguatamente rappresentate, ad appoggiare norme e pratiche liberali. In qsto caso, la democrazia sembra richiedere
che le rivendicazione dei diritti di gruppo non siano ostacolate ma rafforzate da qsti rimedi politici, anche se la
volontà di garantirle produce la continuazione della subordinazione e negazione di eguali diritti x le donne del
gruppo. Invece, in uno Stato che fa riferimento a principi liberali, che difendono i diritti individuali, e che dimostra di
rispettare i membri + vulnerabili della società, i diritti non dovrebbero essere garantiti o negati sulla base del risultato
raggiunto dalle procedure democratiche, ma dovrebbero essere garantiti x tutti, anche x chi li sconfessa. Nella sua
risposta in Is Multiculturalism Bad for Women? la Okin propende x la soluzione liberale nel caso delle religioni
patriarcali che propongono rivendicazioni inaccettabili x la loro passata oppressione, infatti critica il fatto cha la
Chiesa cattolica deve godere di privilegi come l’esenzione dalle tasse xkè essa discrimina le donne nei suoi processi
decisionali + importanti e nella distribuzione del potere istituzionale. Secondo l’autrice il consenso apparente che le
donne cattoliche conferiscono a un trattamento così ingiusto nei loro confronti non giustifica l’approvazione da parte
dello Stato liberale delle forme di discriminazione nei confronti delle donne in quei gruppi che traggono beneficio dal
sostegno pubblico.
Invece la Okin favorisce la democrazia sul liberalismo nel caso di gruppi culturali o religiosi che hanno recentemente
patito l’oppressione da parte dei poteri coloniali o della + vasta società e afferma che le donne di qsti gruppi devono
essere prese sul serio qndo sostengono in situazioni non minacciose di preferire il loro stato di subordinazione
tradizionale p0iuttosto che un’eguaglianza immediata nel loro gruppo.
Cmq la Okin afferma che la soluzione democratica ha il difetto di dare alla generazione presente il controllo delle
condizioni che saranno vissute dalle generazioni future e tale problema è in parte affrontato dalla Deveux qndo
sostiene che le posizioni devono essere riviste. Ma è anche possibile che la soluzione democratica, ponendo
attenzione ai + vulnerabili, porti ad osservare il contesto e la specifiche situazioni che la soluzione liberale potrebbe
invece ignorare. Nel caso delle negoziazioni in Sud Africa analizzate dalla Deveux, è attraverso la consultazione che
si è compreso che le donne delle varie popolazioni africane preferivano la continuazione della poliginia e che ciò non
si basava su una convinta adesione ma su ragioni economiche mirate a proteggere le donne e i bambini + vulnerabili.
Mentre, come dimostrano i risultati delle preferenze adattabili, non c’è garanzia che un sottogruppo apparentemente
oppresso si considererà tale, è + probabile capire le condizioni reali di oppressione consultando le persone che
sembrano essere oppresse piuttosto che coloro che sembra li stiano opprimendo. Inoltre la Okin afferma che chi
proponete x la soluzione democratica deve considerare anche la sfida verso la + vasta società ospite: infatti si chiede
come ci si può aspettare che i gruppi di minoranza pratichino gli ideali democratici se la + vasta società sta venendo
meno a tali ideali? La Okin fa riferimento ad una foto del Congresso degli Stati Uniti in cui si notano file di uomini
bianchi intervallate da qualche donna bianca, nera e da alcuni uomini latini o asiatici.