I PARTE CAP.2 POPOLAZIONE E RIVOLUZIONE INDUSTRIALE di Edward A.Wrigley = professore all’Università di Cambridge, è stato una degli studiosi che più ha contribuito allo sviluppo della demografia storica. In questo brano, tratto dall’opera “Population and History”, W.espone il processo di azione-reazione (feed-back) che la riv.industriale ebbe sulla popolazione e sui suoi mutamenti, fornendo sia notizie molto utili x meglio comprendere l’economia e la società del periodo sia dei criteri valutativi che hanno permesso di rivedere alcune posizioni che gli studiosi ritenevano ormai assodate. La riv.industriale ha avuto un forte impatto nella storia demografica per i suoi molteplici cambiamenti. Il feed-back negativo tra variabili demografiche ed economiche caratterizzava tutte le società preindustriali le quali non riuscivano ad accrescere il reddito pro capite. Durante la riv.industriale tale feed-back negativo fu sostituito da uno positivo in alcuni importanti settori della rete sociale. Dal punto di vista demografico, nel 1700 Londra contava 550.000 abitanti, nonostante le numerose morti dovute alla peste, e nel 1800 il numero salì a 900.000. Al contrario delle c.d. città parassite, xkè ebbero un effetto negativo sull’economia locale, Londra contribuì al miglioramento dell’economia e alla trasformazione generale della società inglese. La crescita di Londra, il miglioramento dei suoi mezzi di trasporti e il suo bisogno incessante di derrate alimentari contribuirono all’espandersi del mercato nazionale e al conseguente miglioramento dell’agricoltura (i metodi tradizionali furono sostituiti da nuove colture cs la produzione fu maggiore e a minor prezzo e ciò comportò l’aumento del reddito); si verificarono poi cambiamenti sociali strettamente collegati tra loro grazie al distacco delle classi inferiori da valori e atteggiamenti tipici dell’élite tradizionale x assumere atteggiamenti razionali, ciò significa passare dalla posizione ereditata a quella basata sui risultati individuali, significa sostituire con i contratti commerciali le usanze locali e soprattutto considerare gli affari economici come il dominio del calcolo e dell’adattamento; questi atteggiamenti razionali contribuirono a determinare nuove abitudini di consumo e di spreco e anche questo contribuì all’aumento del reddito. Tutto ciò contribuì a migliorare le condizioni demografiche: il reddito effettivo aumentava ma la popolazione non si espandeva cs velocemente xkè Londra, all’inizio del 18°sec, era colpita da numerosi decessi e caratterizzata da una immigrazione di 8000/10000 persone all’anno, questo significa che lo sviluppo di Londra serviva da freno allo sviluppo demografico di tutta la nazione. Quello dei cambiamenti demografici durante la riv.industriale in Inghilterra è un fenomeno di grande importanza che ha suscitato diverse opinioni: si è pensato, x esempio, che l’ascesa del numero verificatasi in Inghilterra dopo il 1750, cioè nel 1°stadio della riv.industriale, fosse dovuta agli stimoli dei cambiamenti economici, ma contro tale opinione si è affermato che il movimento ascensionale era già in atto prima che la riv cominciasse. Una scuola di pensiero afferma che, dato che lo sviluppo demografico si presentava piuttosto pigro fin quasi all’ultimo momento, si verificò una carenza di manodopera che servì da stimolo all’invenzione o al perfezionamento di macchine atte a sostituire l’uomo in molte operazioni manuali. Secondo un’altra teoria, invece, la pressione demografica fu una delle cause principali dell’aumento della domanda sul mercato interno e ciò incoraggiò operazioni economiche su vasta scala. Bisogna precisare che gli economisti storici hanno troppo facilmente ammesso che nel 18°sec ci fosse qualcosa di eccezionale nello sviluppo demografico dell’Inghilterra e, nella maggior parte degli scritti su tale fenomeno, si afferma che nella prima metà del sec. lo sviluppo un po’ pigro fosse comune a tutta l’Europa e che la rapida accelerazione verificatasi in Inghilterra nella seconda metà non abbia trovato nessun riscontro altrove, ma questo è falso xkè, nel 18°sec.,troviamo indici pari a quello inglese in molte altre parti dell’Europa (Ungheria, Francia,Italia, Austria, Boemia). Nel 19°sec. il tasso d’incremento non cambiò molto e nella prima metà del sec. l’Inghilterra si comportò diversamente dalle altre nazioni xkè in questo periodo essa fu investita in pieno dalla riv.industriale che solo +tardi investì gli altri paesi con la stessa forza. In questo periodo ci fu un rapido sviluppo della popolazione nelle zone rurali di coltura tradizionale, esse furono protette dall’emigrazione interna verso i grandi centri commerciali e burocratici e da quella esterna verso l’Australia e le nuove zone di insediamento europeo nelle due Americhe. Come la Germania orientale, anche altre parti d’Europa, prive di industrie moderne, toccarono lo stesso indice di sviluppo demografico ad un ritmo febbrile: in Norvegia l’indice di incremento toccò il suo apice all’inizio del sec.e continuò a mantenersi molto alto anche in seguito. Il 19°sec quindi raddoppiò il tasso prevalente nel sec precedente, anche se non ci furono cambiamenti nella struttura occupazionale fin dopo il 1860, invece ci furono buoni progressi nella produttività del terreno pur mantenendo la tecnologia tradizionale (introduzione della patata). X quanto riguarda la diversità dei cambiamenti demografici al momento della riv.industriale, bisogna ricordare che durante i primi decenni della riv., sia in Inghilterra che in altri paesi, i cambiamenti economici ebbero un carattere locale o regionale, cioè le strutture tradizionali e i costumi di vita variarono prima in piccole zone e solo col tempo coinvolsero tutto il paese e cs successe anche x i movimenti demografici. Il nuovo sviluppo economico aumentò notevolmente la domanda di lavoro (richiesta di manodopera) e ciò produsse l’aumento di fecondità che doveva procurare la forza di lavoro addizionale (la domanda stessa produce l’offerta). La domanda di lavoro riguardava i maschi adulti e condizionava anche l’andamento dei salari, ciò comportava un abbassamento dell’età media al primo matrimonio dell’uomo e quindi anche quella della donna, di conseguenza aumentò la fecondità che incrementò lo sviluppo della popolazione: x es. nei bacini carboniferi e soprattutto nella zona della Ruhr esisteva una forte domanda di lavoro maschile e quindi l’età matrimoniale della donna era molto bassa. Bisogna anche considerare il rapporto del numero dei maschi con quello delle femmine: dove esisteva l’industria, che richiedeva forze di lavoro, i maschi eccedevano x il fenomeno dell’immigrazione interna, qui le ragazze si sposavano tutte quindi un aumento di fecondità ci sarebbe stato a prescindere dall’abbassamento dell’età matrimoniale dell’uomo; nelle zone di provenienza dei giovani lavoratori, l’equilibrio tra i sessi risultava sconvolto dal maggior numero di nubili. Bisogna collegare questi fenomeni anche all’ambiente diverso in cui tutti vivevano: x es. in Francia e in Germania la fecondità dei matrimoni determinò un tasso +alto nelle zone industrializzate e +basso in quelle amministrative. Inoltre, andando a lavorare negli stabilimenti industriali, i giovani evitavano il lungo periodo di apprendistato che li obbligava al matrimonio tardivo; c’erano poi molti mestieri che offrivano la massima possibilità di guadagno quando l’uomo era ancora giovane e ciò gli permetteva di sposarsi presto. Tuttavia in Germania, nel 1880, la percentuale di giovani sposati era superiore nella Prussica Orientale, zona rurale e depressa, anziché, come ci si poteva aspettare, nelle zone agricole dell’Ovest o nelle zone industriali (come Ansberg, Minden, ecc), questo sembra imputabile alle confessioni religiose: nelle zone protestanti si usava sposarsi presto (Prussica Orientale) mentre in quelle cattoliche succedeva il contrario. X spiegare l’aumento di fecondità un’altra ipotesi riguarda la domanda di lavoro infantile: i bambini, già a 5/6anni, contribuivano ad aumentare le entrate familiari, essi rappresentavano un utile economico già prima della riv.industriale (aiutavano il padre nel lavoro dei campi o la madre nelle opere di artigianato minore). Più grandi erano le famiglie e +grande era la prosperità ma maggiori i costi x mantenere le case stesse. Nelle zone industrializzate si registrava una caduta nell’intervallo medio tra due nascite x 3motivi connessi tra loro: 1) cambiamento delle usanze tradizionali 2) le donne cominciavano a lavorare nelle fabbriche o in case private e x questo costrette a svezzare i bambini in anticipo 3) questo provocava l’aumento della mortalità infantile: x es. nelle condizioni di sovraffollamento di certi sobborghi industriali il rischio di infezione portava la mortalità infantile dal 150 al 250%. Durante il periodo della riv.industriale il regresso della mortalità provocò sensibili cambiamenti nella fecondità, fatta eccezione x gli scoppi di colera e la grande fame in Irlanda nel 1845. Le cause di questo fenomeno le ritroviamo nello scongiurato pericolo di carestie grazie ai mezzi di trasporto, come le ferrovie, che permettevano di trasportare il surplus delle risorse di una regione a quelle deficitarie. In Europa ciò avveniva anche prima della costruzione delle ferrovie grazie all’aumento delle strade, alla costruzione dei canali, allo sviluppo della navigazione fluviale e al commercio transoceanico. L’introduzione della patata arricchì la base alimentare di zone depresse e densamente popolate: il raccolto della patata rende in media ogni anno molto di + là dove essa viene sfruttata nel sistema di rotazione agraria, può crescere in zone umide e fredde dove i cereali non arrivano quasi mai a maturazione; cs vennero allargati i confini delle colture marginali e, dove la patata fu utilizzata come prodotto base dell’alimentazione, si creò una minore dipendenza dalle condizioni metereologiche. La patata divenne la coltura principale in Germania, Polonia, Irlanda e in Norvegia dove le si attribuisce l’abbassamento di mortalità. La regolarità dei rifornimenti alimentari e l’agricoltura furono migliorate grazie all’introduzione di radici e trifoglio che assicurava il foraggiamento del bestiame x tutto l’inverno, all’uso di maggiore concime animale che fornì una duplice spinta alla produttività del suolo xkè ne aumento l’estensione e il rendimento annuo, ai migliori sistemi di drenaggio, ai nuovi metodi +razionali x la conservazione delle derrate alimentari, all’introduzione di macchinari agricoli (x es. la seminatrice meccanica). Un secondo tratto comune a gran parte dell’Europa occidentale fu il cambiamento degli indici di mortalità x età specifica: le probabilità di vita aumentarono di + x i bambini e gli adolescenti mentre la mortalità infantile non segnò notevoli regressi xkè i neonati erano maggiormente esposti a infezioni gastriche e polmonari contro i quali non erano stati ancora studiati rimedi opportuni, cosa che avvenne soltanto verso la fine del 19°sec. Tuttavia, anche i primi miglioramenti nelle condizioni dell’igiene pubblica non influirono molto sulla mortalità infantile: il bambino, se viveva in condizioni ambientali ed alimentari precarie, era vittima di malattie contagiose quali il tifo, il colera, la tubercolosi, il vaiolo, ecc. I miglioramenti attuali sono il riflesso di una lunga serie di progressi continui sia nel campo dell’igiene che in quello della sussistenza. Dopo le grandi epidemie di colera, quando si capì il legame tra malattie ed inquinamento dell’acqua, iniziarono i processi di purificazione chimica, furono sistemate le acque di scolo e la rete delle fognature urbane, i rifornimenti di carbone resero +confortevole l’inverno, migliorò la situazione dell’edilizia popolare dopo che i governi iniziarono a realizzare progetti di case minime (in questo contesto si ricorda la legge inglese del 1875 con la quale Chamberlain risanò 500 acri di bassifondi nella sola Birmingham). L’azione del governo fu efficace anche x quanto riguarda l’istituzione di un sistema di ufficiali sanitari locali e la legislazione contro i cibi adulterati, l’aumento del reddito effettivo che permise di acquistare cibo migliore e in maggior quantità. Il livello di nutrizione subì un forte miglioramento x tutti anche grazie all’introduzione, verso la fine del sec., di oli vegetali a buon mercato e l’importazione di agrumi. Terza caratteristica del periodo della riv.industriale è il grande divario nella percentuale dei decessi tra i gruppi sociali economicamente differenziati: in questo contesto Charles Booth e Rowntree x l’Inghilterra e Frédéric Le Play x la Francia eseguirono accurate ricerche che rivelarono che nei paesi industrializzati si continuava a vivere in uno stato di povertà (pauperismo): denutrizione e malattie erano ampiamente diffuse. Ciò è imputabile non all’industrializzazione stessa ma all’inurbamento eccessivo (Parigi, Berlino, Marsiglia, Liverpool avevano alti indici di mortalità xkè tutte si erano sviluppate enormemente). Recenti esperienze hanno dimostrato che enormi miglioramenti nella probabilità di vita alla nascita e dell’indice di mortalità si possono ottenere anche senza bisogno di enormi cambiamenti economici ma grazie all’utilizzo delle tecniche della medicina moderna e dell’igiene pubblica. In un solo anno a Ceylon le probabilità di vita aumentarono di quasi 10anni, invece questo risultato si ebbe in Europa nel corso di tutto il 19°. Il contributo +imp della medicina si ebbe alla fine del 19°sec con la conoscenza +completa della natura e dei mezzi di trasmissione delle malattie infettive quindi con i vaccini; in seguito furono introdotte misure antisettiche negli ospedali, gli anestetici, il miglioramento della chirurgia. X quasi tutto il 19°sec. l’aumento del benessere economico e la buona salute andarono di pari passo: le forze produttive delle società crescevano +rapidamente della popolazione contribuendo alla prosperità individuale. Secondo Malthus né fecondità né mortalità dipendevano dalla densità demografica. Durante la riv.industriale, quando l’industria era ancora dipendente dall’agricoltura, si cercò di risolvere il problema di evitare la riduzione dei profitti marginali in 2modi: 1) con nuove invenzioni, miglioramenti tecnici, sfruttamento +razionale del lavoro,ecc; secondo un calcolo recente i sette ottavi dell’aumento della produttività pro-capite, e quindi delle entrate, che si è verificato nella seconda metà del 19°sec negli Stati Uniti, si può attribuire all’inventiva umana e non all’aumento del capitale investito. L’entrata della tecnologia nell’agricoltura diede vita a un nuovo impulso di produttività del terreno e ritardò il declino dei profitti, il terreno agrario produceva di+ e richiedeva meno fatica umana e minore forza lavoro. 2) con la colonizzazione di nuove terre oltremare. Il miglioramento dei trasporti e l’invenzione di nuove macchine (x es la macchina a vapore) ridussero il lavoro e la fatica umana procurando cibi e materie prime industriali sempre meno costose. Se il reddito pro-capite aumentava, aumentava anche la richiesta di prodotti industriali, se la scala di produzione aumentava, diminuiva il costo di produzione di ogni singolo articolo e di conseguenza aumentava il potere reale di acquisto dei salari e la richiesta aumentava ancora. Il reddito resisteva anche se lo sviluppo demografico aumentava. L’industria si rese indipendente dall’agricoltura. Il vecchio meccanismo, che ostacolò i tentativi di espansione industriale, fu definitivamente eliminato. CAP.3 LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE di Carlo M.Cipolla= in questo saggio del 1971 Cipolla illustra i mutamenti economici e socio-culturali che la riv.industriale ha comportato e sottolinea una serie di problemi (crisi ambientali, aumento continuo della popolazione, invecchiamento della società,ecc) che oggi si pongono alla nostra attenzione in tutta la loro drammaticità. La R.I., avvenuta tra il 1780 ed il 1850, è stato un evento senza precedenti che ha cambiato profondamente il volto dell’Inghilterra. Gli storici hanno spesso usato il termine Rivoluzione x indicare un mutamento radicale, ma nessuna è stata cs rivoluzionaria come la r.i., ad eccezione della Riv.Neolitica, entrambe hanno cambiato il corso della storia creando ciascuna una discontinuità nel processo storico: la Riv.Neolitica trasformò l’umanità da un insieme slegato di bande di cacciatori in un insieme di società agricole + o meno interdipendenti; la Riv.Industriale trasformò l’uomo da agricoltore-pastore, che sfruttava l’energia del mondo animale e vegetale, in manipolatore di macchine azionate da energia inanimata (carbone, petrolio, elettricità, atomo,ecc). Le sue origini si fanno risalire a quell’insieme di idee e di strutture sociali che accompagnò il sorgere dei comuni urbani nell’Italia Centro-Settentrionale, nei Paesi Bassi meridionali e nella Francia del nord-est tra l’11° ed il 13°sec, il sorgere di questi centri urbani fu dovuto alla rivolta contro il predominante assetto agrario-feudale e ciò segnò il passaggio da una società basata principalmente sulla proprietà terriera e monopolizzata da gruppi sociali dediti alla guerra, alla caccia e alla preghiera ad una società basata sull’attività mercantile e manifatturiera dedita alla praticità e al guadagno. Il posto del cavaliere e del monaco furono presi dal mercante, dal professionista e dall’artigiano e la civiltà basata su qsti 3personaggi si sviluppò rapidamente conquistando l’Europa occidentale le cui strutture istituzionali ed umane furono rafforzate da un processo cumulativo che entrò in crisi nei suoi 2 nuclei originari (l’Italia ed i Paesi Bassi meridionali) mentre continuò e si sviluppò in altre 2zone d’Europa (i Paesi Bassi settentrionali e l’Inghilterra) le quali, alla fine del ‘700, erano caratterizzate da una forte espansione del settore mercantile e manifatturiero, dalla presenza di un folto ceto mercantile con notevoli capacità imprenditoriali, potenza economica e influenza sociale e politica, da una notevole scorta di manodopera artigianale qualificata, dall’alta diffusione dell’alfabetismo, dall’abbondanza del capitale, da una forte e progressiva tendenza verso la misurazione quantitativa e la sperimentazione; la filosofia baconiana e la concezione meccanicistica dell’universo segnarono il punto cui era giunto il movimento di idee generatosi secoli prima nei comuni cittadini dell’Italia e della Fiandra. Verso la fine del ‘700 in Inghilterra ed in Olanda il movimento aveva raggiunto il suo apice. Dal punto di vista produttivo l’Olanda sopravanzava l’Inghilterra, ma nel corso del 18°sec essa entrò in una fase involutiva; inoltre l’Inghilterra possedeva il carbone e l’Olanda no, anche se alla fine dell’800 il possesso di carbone non ebbe +un’importanza decisiva x lo sviluppo industriale xkè era la R.I. stessa a creare i mezzi di trasporto necessari x rifornire di carbone a basso costo i paesi sprovvisti. Verso la fine del ‘700, la macchina di Watt determinò la trasformazione dell’energia chimica del carbone in energia meccanica; dopo il 1820, con l’applicazione della macchina a vapore nel trasporto ferroviario, il carbone fu utilizzato su vasta scala x i vari processi produttivi; tra il 1860 ed il 1890 iniziò l’industria dell’estrazione del petrolio ed il perfezionamento del motore a combustione interna; verso la fine del sec. si affermò l’elettricità; nel 20°sec l’uomo incomincia a sfruttare l’energia dell’atomo e la produzione di carbone era ancora in aumento mentre la percentuale di energia da esso prodotta era in diminuzione. La R.I. fu innanzi tutto un fatto socio-culturale: i primi paesi industrializzati avevano una percentuale +bassa di analfabeti e caratteri culturali simili a quelli inglesi. Il carbone era un elemento necessario ma non sufficiente x creare e far muovere le macchine, infatti occorrevano uomini capaci di estrarre il carbone, di ideare e fabbricare queste macchine. Dalla metà dell’800 in poi la diminuzione dei costi di trasporto del carbone e lo sfruttamento economico di fonti alternative di energia permisero lo sviluppo industriale anche a zone prive di carbone contribuendo alla diffusione geografica della R.I.: verso il 1850 la RI. era penetrata in Belgio, Francia, Germania, Svizzera e Stati Uniti; verso il 1900 in Svezia, Italia, Russia, Giappone e Argentina; ora sta penetrando in India, Cina, Africa e paesi dell’America Latina. Un caso interessante è quello del Giappone: è stato tra i primi paesi ad importare la R.I. e tra quelli in cui essa si è sviluppata con un ritmo accelerato. Del G. bisogna considerare 2importanti circostanze: 1) x secoli il G. aveva importato tecniche e cultura della Cina, ma dopo il declino cinese e lo sviluppo occidentale, ha cambiato modello; 2) studi recenti hanno evidenziato come il G., agli inizi del processo di industrializzazione, fosse già un paese sviluppato dal punto di vista dell’istruzione L’economista Galbraith afferma che <i paesi in via di sviluppo possono essere visti un po’ come le perle che si muovono lungo una collana> ma qsta è un’idea antistorica xkè il processo di industrializzazione non si è compiuto allo stesso modo in tutti i paesi. Con la seconda metà dell’800 la R.I. cessò di essere un fenomeno inglese e divenne un fenomeno mondiale. Parallelamente all’aumento della produzione vi fu l’aumento della popolazione. Oggi la popolazione mondiale sta crescendo al ritmo di circa 60milioni di persone all’anno. L’aumento della popolazione fu dovuto non ad un aumento della natalità ma ad una diminuzione della mortalità: prima della R.I., circa la metà dei nati non raggiungeva il settimo anno d’età, vi erano frequenti epidemie che scomparvero con la R.I. e la mortalità fu ridotta attorno al 10x1000; la natalità si ridusse con ritardo rispetto alla mortalità e ancora oggi, in molti paesi, non ha cominciato a ridursi. Il divario tra bassa mortalità e alta natalità continua a causare l’aumento della popolazione, tuttavia qst aumento non può durare in eterno. Negli ultimi 2secoli la produzione è aumentata +della popolazione e ciò significa un aumento del reddito pro-capite che ha determinato un processo cumulativo x il quale +aumenta la ricchezza, +aumenta la possibilità di formazione di un surplus che, non consumato e debitamente investito, serve ad aumentare ulteriormente il reddito. I risultati di qst accrescimento del reddito pro-capite possono essere cs sintetizzati: - in un paese pre-indutriale l’aspettativa di vita alla nascita era di meno di 30anni; in un paese industrializzato essa supera i 65anni. - In un paese pre-industriale oltre la metà del reddito medio personale era assorbito dalla spesa x il vitto; in un paese indutr.la fame è scomparsa e la spesa x il vitto non assorbe +di un quarto della spesa media personale. L’aumento della popolazione e della produzione mondiale va affiancata al progresso delle comunicazioni(movimento di merci, di persone, di info) e alla maggiore specializzazione ed efficienza che ne derivano: le società che x secoli si sono ignorate, oggi possono mettersi facilmente in contatto. Ciò porta a notare come la R.I. non riguarda solo il mutamento economico e demografico ma anche quello socio-culturale, ovvero nei paesi industrialmente +avanzati la R.I. non è finita ma continua e ciò significa che anch’essi, come i paesi sottosviluppati che cercano di industrializzarsi, si trovano a dover affrontare problemi di ristrutturazioni sociali, di rinnovamento culturale e politico: questa è la prima fase della R.I.(prima R.I.), ma progresso tecnologico e sviluppo demografico ora impongono la seconda fase della R.I. (seconda R.I.): ciò che ha risolto i grossi problemi del passato viene a sollevare ulteriori problemi. La futura società industriale richiede un nuovo tipo di uomo, non analfabeta, sottoposto ad un continuo sforzo di aggiornamento. Il lavoro di gruppo implica un rapporto opprimente con i propri simili infatti la “privacy” era un’abitudine tipica del mondo agricolo non presente in quello industriale. Inoltre, mentre l’unità familiare pre-industriale era numerosa, patriarcale, che oltre alla funzione di procreare ed educare i figli, soddisfava nel proprio ambito funzioni economicoproduttive e funzioni oggi dette di “sicurezza sociale” (cura dei membri ammalati e dei vecchi), la soc.industriale invece è una unità numericamente ristretta, meno stabile, con funzioni +ridotte xkè qste vengono soddisfatte dalla società e dal mercato. La R.I. con i suoi ritmi accelerati ha sconvolto l’esistenza e le strutture di tutte le società umane esistenti in solo otto generazioni ed oggi viene ad imporre nuovi problemi che gli uomini non sono preparati a risolvere (aumento incontrollato della popolazione,bomba ad idrogeno, avvelenamento dell’atmosfera e dell’ambiente naturale, esigenza di un’istruzione superiore di massa, presenza di un numero crescente di anziani, sgretolamento dello Stato tradizionale, nuove possibilità x la genetica e la biologia di influenzare la natura,ecc). In questo contesto le vecchie strutture sociali e culturali cedono e devono essere prontamente sostituite. CAP.3 LA LIBERTA’ DI COMMERCIO di Bertrand Russell= premio Nobel nel 1950; in questo saggio affronta con originalità uno dei principali temi del dibattito politico-economico ottocentesco: quello relativo alla libera concorrenza che, secondo R., non era ispirata solo a motivi materiali ma anche etici xké essa, che fu accettata dai radicali inglesi e americani come il principale incentivo al progresso, era dettata da considerazioni economiche ma aveva anche un’evidente connessione con il protestantesimo. Con la legge elettorale del 1832, il Reform Bill, che rafforzò la borghesia industriale e indebolì l’aristocrazia terriera, la classe media in Gran Bretagna incominciò a modificare le leggi x accrescere la propria ricchezza. X il progresso del paese occorrevano 2tipi di legislazione: uno x migliorare le condizioni di lavoro nelle fabbriche e nelle miniere, l’altro x abrogare le leggi che intralciavano lo sviluppo dell’industrialismo. Solo quest’ultimo tipo concordava con gli interessi degli industriali ma il suo punto +importante, l’abolizione del dazio sul grano, era contrario agli interessi dei proprietari terrieri e quindi era avversato dalla maggior parte dell’aristocrazia. La controversia tra industriali e proprietari terrieri ebbe fortuna xkè obbligò le 2parti a rivolgersi al tribunale delle persone disinteressate e umanitarie. Gli industriali stavano creando moderni metodi di produzione mentre i proprietari terrieri stavano soltanto incassando le loro rendite. Gli industriali inglesi di quel tempo credevano che la concorrenza fosse la forza motrice del progresso ed erano insofferenti a qualsiasi ostacolo, chiedevano l’abolizione dei dazi protettivi sulle merci che essi stessi producevano, combattevano x il libero commercio del grano non solo x il proprio interesse ma anche x quello del paese e del mondo. L’Inghilterra, continuando a produrre soltanto mezzi x il suo sostentamento, comportava una minor ricchezza da dividere tra la popolazione e inoltre questa toccava in forma maggiore ai proprietari terrieri, ciò era la conseguenza della legge di Ricardo, secondo la quale la rendita di un terreno è la differenza tra la sua produzione e la produzione della terra peggiore in coltivazione. Quindi il libero commercio avrebbe doppiamente beneficiato le classi che non possedevano terra, vi sarebbe stata +ricchezza nel paese, i paesi dai quali la Gran Bretagna comprava i generi alimentari si sarebbero arricchiti e si sarebbero placate le rivalità internazionali favorendo la pace. (Industriali=libero commercio=bene pubblico). Richard Cobden, il condottiero nella battaglia x la libertà di commercio, industriale cotoniero, era convinto dei vantaggi economici del liberalismo x la sua classe, ma era anche un internazionalista x il quale la libertà di commercio era un elemento di una causa +grande: la pace mondiale; sosteneva il pacifismo xkè riteneva che le guerre e la loro preparazione sono economicamente rovinose e l’internazionalismo xkè riteneva che il nazionalismo diminuisce la ricchezza del genere umano; come molti riformisti, egli era ispirato dal buon senso: riteneva che le nazioni dovrebbero cercare la ricchezza nazionale senza troppo riguardo x la gloria e l’ampliamento del territorio; aveva un cuore tenero e un forte sentimento umanitario; era indifferente alle pessime condizioni degli operai dell’industria ma la politica della libertà di commercio migliorò enormemente i loro salari reali, egli riteneva che il libero commercio nei generi alimentari avrebbe migliorato le condizioni sia dei datori di lavoro sia dei dipendenti dell’industria e l’esperienza dimostrò che aveva ragione. Ai suoi tempi lo si considerava con disprezzo, come un uomo dall’animo volgare xkè credeva che nulla fosse cs importante x un paese come la ricchezza materiale. Quando, insieme a Bright, si oppose alla guerra di Crimea ognuno affermò che ciò mostrava che essi erano uomini che non potevano sollevarsi al di sopra delle considerazioni di sterline, scellini e pence; anche l’idealista e nazionalista Tennyson si oppose a C. scrivendo una serie di versi. Il contrasto tra il buon senso economico e l’idealismo, che raggiunse l’apice nella guerra di Crimea, continuò e si concluse con la vittoria degli idealisti che contestavano lo scopo politico propugnato da C. quale quello della comune prosperità materiale. Durante le guerre napoleoniche, i metodisti e gli evangelici (idealisti) dicevano ai poveri di concentrare tutte le loro speranze nel Cielo di lasciare indisturbati ai ricchi i loro possedimenti su qsta terra. Quando Palmerston, il +ardito degli interventisti, diventò l’idolo della classe media, C. perse il suo seggio x essersi opposto alla guerra di Crimea. C.si illuse che il commercio poteva favorire la pace ma ciò non si verificò x una serie di motivi che sono tra le ragioni principali del suo fallimento: quando 2paesi non possono comprare l’uno dall’altro quello che producono, il commercio è benefico x entrambi e si osservano quegli effetti che C.sperava, cioè l’amicizia tra le nazioni; ai suoi tempi il commercio era di questo tipo. Ma quando un paese vende a un altro merci che l’altro è capace di produrre da sé, il risentimento dei concorrenti diventa +forte della soddisfazione dei clienti e l’amicizia si trasforma in ostilità. Negli anni precedenti la grande guerra, quando x la Legge sulle marche di fabbrica, tutte le merci straniere vendute nel Regno Unito dovevano essere contrassegnate con il nome del paese di origine, la continua vista delle parole “Made in Germany” fece credere al popolo che l’Inghilterra stesse perdendo la sua potenza commerciale a causa della concorrenza tedesca, qsta credenza suscitò il sentimento bellicoso. L’intensificarsi del commercio portò l’intensificarsi delle ostilità nazionali, l’opposto di ciò che C.si aspettava e qsto fu uno dei suoi +gravi errori di psicologia politica. C. era contrario all’aristocrazia, xkè rappresentava dei privilegi senza cervello, e alla classe operaia, xkè mancava di istruzione. Ammirava l’America xkè non ostacolata dall’influenza e dalla tradizione aristocratica. Come motto del suo primo opuscolo scelse il detto di Washington: <la grande regola di condotta x noi, rispetto alle nazioni straniere, è che, nello sviluppare le nostre relazioni commerciali, si abbiano con esse quanto meno rapporti politici sia possibile>. A differenza dei politici del suo tempo, C. riteneva che la fonte della potenza nazionale fosse l’industria e non gli armamenti e x qsto considerava +importante la pacifica America della Russia belligerante. C.considerava l’imperialismo come una follia ed analizzò la situazione dell’India sulla quale mirava l’Inghilterra, ma se qst’ultima si fosse assunta il compito di governarla avrebbe fallito, inoltre l’India stessa preferiva essere governata male ma dai suoi membri e non da intrusi di passaggio. Oggi C.è criticato da 2visuali opposte: dai nazionalisti, x il cosmopolitismo che ispirava i suoi entusiasmi x il liberalismo; dai socialisti, x la sua avversione al tradunionismo e alle “Leggi sulle fabbriche”. Egli desiderava migliorare le condizioni delle classi operaie e ci riuscì, infatti, quando il libero commercio fu adottato, i salari reali aumentarono. L’apertura del Middle West determinò un nuovo miglioramento dei salari reali. Lord Shaftesbury riuscì a far adottare importanti Leggi sulle fabbriche, sotto quanto punto di vista ebbe maggior influenza di C anche se fu meno incisivo. C.era contrario a tutte le restrizioni alla libera concorrenza tra i salariati, era favorevole alla limitazione delle ore di lavoro dei fanciulli ma contrario alla Legge delle dieci ore (ore di lavoro dei fanciulli). La limitazione delle ore di lavoro degli adulti gli sembrava discutibile e propose che ogni lavoratore mettesse da parte 20sterline del suo salario x poter emigrare in America; sostenne che gli inglesi dovevano alleviare la povertà dei contadini irlandesi ma non considerò mai il fatto che qsto argomento valeva anche x le condizioni degli industriali in Inghilterra. C.era ostile ad ogni attività industriale dello Stato, tranne quando fosse assolutamente indispensabile e sostenne che al governo non dovrebbe essere permesso di fabbricare da sé nessuna merce che possa essere ottenuta dai produttori privati in un mercato di concorrenza. La politica generale del governo fu favorevole al libero commercio fino al 1914, nonostante una campagna protezionista dell’80 e un’altra del 1903 di Chamberlain. Durante la prima parte del periodo liberista, ogni classe inglese fece rapidi progressi, non solo grazie alla libertà di commercio ma anche alla supremazia industriale inglese e alla costruzione di ferrovie transcontinentali in America. In Francia vi furono maggiori complicazioni: Napoleone III fu indotto da C. ad avviare un commercio +libero con l’Inghilterra con il trattato commerciale del 1860 che abolì i precedenti divieti d’importazione di una serie di prodotti e ridusse del 30% i dazi francesi su quasi tutte le importazioni dall’Inghilterra. L’unica classe francese che abbia aderito volentieri al libero commercio fu quella dei viticultori xkè contavano sulle esportazioni, ma quando i loro affari furono rovinati dalla filossera, capirono che una tariffa protettiva li avrebbe messi in condizione di combatterla. Da quel momento in Francia non vi furono +liberisti. In Germania la libertà di commercio fu dovuta soprattutto all’istituzione dello Zollverein (unione doganale) che, grazie specialmente alla Prussica, finì col comprendere tutta la Germania del Nord e dopo l’intero nuovo Impero, tranne Amburgo e Brema. Nella sua formazione una parte imp.ebbe la teoria liberista, introdotta tra i tedeschi da Lorenz Stein, inoltre il potere politico era soprattutto nelle mani dei magnati terrieri x cui gli industriali la pensavano come gli industriali inglesi. Quindi la Germania liberale e borghese era tutta favorevole alla libertà di commercio fino a quando, nel 1879, Bismarck indusse la Germania ad abbandonare la politica liberista. In America, una parte della teoria liberista diC. era stata applicata al Nord e l’altra al Sud. Il Sud si fondava sulla schiavitù dei negri mentre il Nord aveva la democrazia e il lavoro libero e durante la guerra civile, con l’aiuto di una tariffa di guerra, l’industria del Nord cominciò a diventare +imp e da qsto momento in poi l’America fu sempre protezionistica. In Spagna, in Italia e in Germania C.ebbe una popolarità clamorosa. La grande fortuna del liberalismo verso la metà del 19°sec fu dovuta a C. ma la dottrina era stata proclamata pienamente già fin dal 1776 da Adam Smith e poi sommersa dalle guerre napoleoniche. S.si basava sul principio della divisione del lavoro: se A è bravo a fabbricare automobili e B a produrre vino, è vantaggioso x entrambi che ciascuno si limiti alla sua specialità e scambi con l’altro la sua produzione. L’economista tedesco List fornì x primo una difesa teorica del protezionismo secondo l’argomento famoso delle “industrie infanti”: la protezione, una volta concessa, non può essere ritirata neanche quando l’infante è diventato adulto. Un argomento +influente sui governi è che una nazione dovrebbe produrre tutto quello di cui ha bisogno in tempo di guerra, qst’affermazione fa parte della dottrina del nazionalismo economico che alla fine si mostrò +forte della visione commerciale di C.. A questa dottrina erano avversi gli uomini della scuola di Manchester che si basavano sul principio della libera concorrenza: la concorrenza tende a sfociare nella vittoria di uno solo; c’è la tendenza a sostituire la concorrenza fra individui con quella tra i gruppi xkè un certo numero di individui può accrescere, coalizzandosi, le sue probabilità di vittori. Di qsto principio ci sono 2imp.esempi: il tradunionismo ed il nazionalismo economico. C. era contrario alle Trade Unions (organizzazioni di lavoratori, sindacati nella Gran Bretagna e negli Stati Uniti) ma essi erano una conseguenza inevitabile della lotta tra datori di lavoro e lavoratori x la porzione della produzione totale che ciascuno tende ad assicurarsi. Era contrario anche al nazionalismo economico ma qsto nacque tra capitalisti x motivi simili a quelli che provocarono il tradunionismo tra i lavoratori. C non comprese le leggi dell’evoluzione industriale e la conseguenza di ciò è che le sue dottrine ebbero un valore solo temporaneo. II PARTE CAP2 LA GRANDE CRISI DEL CAPITALISMO di Rondo Cameron= storico ed economista. In qst’articolo sostiene la tesi che la grande depressione degli anni 30 e la conseguente crisi del capitalismo non furono il risultato del processo di sviluppo capitalistico ma di interferenze non economiche, estranee a qsto processo. La +imp.di qste interferenze esterne fu la prima guerra mondiale che distrusse il delicato meccanismo dell’integrazione economica internazionale che si era sviluppato nel precedente mezzo secolo. n.b. in qst capitolo il termine “capitalismo” viene utilizzato x riferirsi all’evoluzione di quel tipo di sistema economico che, dopo secoli di sviluppo, raggiunse il suo apice nelle nazioni in via di sviluppo industriale del 19°sec. e continuò a caratterizzare le nazioni industriali progredite del 20°sec.. Fra le sue principali caratteristiche bisogna ricordare: il suo appoggio ai mercati liberi x il collocamento delle risorse e la distribuzione del reddito, alla proprietà privata dei mezzi di produzione e all’iniziativa e all’impresa privata come forze basilari del processo produttivo. La Grande Depressione del 1929-33 suscitò in molti statisti e studiosi di scienze sociali gravi dubbi sul futuro funzionamento del capitalismo come sistema economico. Molti marxisti videro nella depressione la conferma della previsione di Marx del crollo del sistema capitalistico. Dopo la II guerra mondiale, l’assoggettamento dell’Europa orientale ai governi fedeli all’Unione sovietica, l’elezione di governi socialisti nell’Europa occidentale e la rivoluzione comunista cinese sembravano preannunciare la fine del capitalismo. Molti avvenimenti degli ultimi venti anni hanno modificato le previsioni degli anni 30 circa la fine del capitalismo e fanno notare come il capitalismo di oggi sia diverso da quello del passato: la ripresa dell’Europa occidentale dalle devastazioni della IIguerra mondiale, il suo continuo appoggiarsi alle forze di mercato, alla proprietà privata e all’iniziativa individuale, la rinnovata vitalità economica degli Stati Uniti. La G.D. non fu il prodotto inevitabile del processo di sviluppo capitalistico, né il segno della fine definitiva dell’economia capitalistica ma fu un incidente storico e le origini di tale crisi non furono tanto economiche quanto politiche. Le date significative non sono il 1929-33 ma il 1914(I guerra mondiale) e 1945(IIg.m.). X comprendere la natura della crisi del capitalismo bisogna far riferimento alle principali caratteristiche prebelliche(pre-1914) dell’economia mondiale agli inizi del 20°sec.: - la +imp. fu la relativa libertà accordata agli individui di dedicarsi ad attività economiche: sia a livello nazionale che internazionale, il ruolo del governo nell’economia si ridusse al minimo xkè i prezzi delle merci e dei servizi produttivi (come lavoro e capitale) non furono fissati dalla volontà del governo ma dalla domanda e dall’offerta (mercati). Aumentò rapidamente, con l’emigrazione e gli investimenti esteri, il movimento internazionale delle persone e dei capitali. La conseguenza di ciò fu il crescere dei redditi pro-capite ed una +equa distribuzione del reddito fra le nazioni industriali. Questa relativa libertà negli affari economici fu applicata alle singole economie e a quelle alle internazionali e ciò fece si che ciascuna nazione tendeva a specializzarsi nella produzione di merci x le quali era +portata. Qsta divisione internazionale del lavoro fu vantaggiosa sia x i paesi produttori di beni primari che x quelli altamente industrializzati dell’Europa occidentale, infatti gli Stati Uniti, il Giappone e la Germania si trasformarono da paesi prevalentemente produttori di beni primari in paesi esportatori di prodotti industriali e l’argentina, produttore di beni primari, raggiunse un livello pro-capite di reddito +elevato di quello di molti paesi dell’Europa occidentale. - un’altra caratteristica fu una generale adesione al “gold standard”: Il "gold standard" è il sistema monetario in cui l'oro svolge le funzioni di equivalente generale e viene usato in modo diffuso come moneta corrente. Con questo sistema le monete nazionali erano convertibili in oro. La coniazione era libera e l’oro, sia in forma di moneta o di oro grezzo, poteva essere liberamente importato ed esportato. Il tasso di cambio fra le monete di diversi paesi si manteneva stabile, in quanto poteva variare solo entro una parità fissa che, oltre alla stabilità dei cambi, assicurava l’equilibrio degli scambi internazionali. Nel periodo postbellico lo standard monetario è stato definito come uno standard di sterlina x l’importanza della sterlina nel commercio internazionale e x la posizione di Londra come banchiere ed assicuratore del mondo. Dietro a qsti fenomeni favorevoli allo sviluppo e al benessere economico c’erano xò 3fattori di crisi che posero le basi x l’ultima grande crisi dell’economia capitalistica: 1) il ritorno alla protezione tariffaria: la depressione del 1873, con la crescente concorrenza internazionale nel campo delle esportazioni sia dei prodotti agricoli che industriali, portò a pressioni politiche ed economiche all’interno della maggior parte degli Stati x una maggiore protezione legislativa dell’agricoltura e dell’industria locale; cs cominciò il ritorno alla protezione che caratterizzò la storia della politica commerciale fino all Iguerra mondiale. 2) il risveglio dell’imperialismo occidentale: fu quasi simultaneo con il ritorno alla protezione, le cause furono +politiche e psicologiche che economiche. Esso debilitò i paesi capitalistici e soffocò lo sviluppo dei loro territori coloniali xkè il costo della conquista di tali territori superò di molto il guadagno. Le tensioni politiche determinate dalla lotta x l’impero condussero alla guerra fra le potenze imperiali, minacciando l’esistenza stessa del capitalismo. 3) il sorgere del nazionalismo sciovinistico(un atteggiamento politico ispirato dal patriottismo intransigente) lo scopo delle alleanze europee fu quello di prevenire la guerra e qst sistema di alleanze divenne opposto al capitalismo che si sviluppava meglio in un ordine internazionale e non solamente nazionale. La prima manifestazione della grande crisi del capitalismo fu un evento non economico bensì politico, quale lo scoppio della prima guerra mondiale: il dissesto economico e lo sconvolgimento sociale provocati dalla guerra furono così gravi da rendere assai problematica la ripresa dei sistemi che erano in vigore nel 1914. Danni diretti al meccanismo economico quali milioni di perdite di vite umane, distruzioni di case, attrezzature industriali, mezzi di comunicazione, impoverimento dell’agricoltura e dell’industria; danni indiretti, che diversamente da quelli diretti continuarono nel periodo postbellico, come l’ imposizione di controlli governativi su prezzi, produzione e lavoro che mise in crisi le normali relazioni economiche. La conclusione della pace, sottolineò ulteriormente le difficoltà della ripresa e del risanamento economico. Dai trattati di pace scaturirono due fondamentali categorie di difficoltà: da una parte la crescita del nazionalismo economico e dall’altra vari disordini monetari e finanziari: in Europa, nel periodo antecedente alla guerra, l’Impero Austro-Ungarico svolgeva un’importante funzione sia politica che economica, infatti esso racchiudeva in sé diverse aree industriali, dalle quali traeva benefici. Quando l’Impero crollò, le regioni che ne emersero avevano forti basi economiche ed erano desiderose di ottenere una loro autosufficienza, affermando la loro nazionalità nella sfera economica. Anche in Russia si alimentò una forte spinta nazionalista sul fronte economico, anche se in maniera differente; qui, infatti, erano i governanti che decidevano ciò che era strategicamente ed economicamente conveniente. In Occidente, i paesi che erano soliti dipendere dal commercio internazionale ricorsero a delle restrizioni per diminuire al massimo le importazioni e al tempo stesso attuarono diverse manovre come la concessione di sussidi all’esportazione e la fissazione dei cambi esteri delle loro monete a tassi molto bassi per cercare di stimolare le esportazioni. Ad alimentare ancora di più questa situazione di forte squilibrio ci furono anche grandi disordini monetari e finanziari rappresentati principalmente dal cosi detto "PASTICCIO DELLE RIPARAZIONI" ( le riparazioni rappresentano il principio che fa obbligo al nemico vinto in guerra di pagare un’indennità in denaro o in natura come riparazione per i danni subiti ). Questo pagamento fu stabilito nel "Trattato di Versailles" nell’art. 232 dove gli alleati imposero alla Germania un debito molto alto, al tempo stesso gli Stati Uniti esigevano la restituzione di 10 mld, prestati agli alleati durante il periodo bellico. Per qualche tempo la Germania tentò di uniformarsi ai trattati, ma alla fine del 1922 annunciò la sospensione dei pagamenti. In tutta risposta Belgi e Francesi, con l’opposizione Anglo-Americana, occuparono la Ruhr. Il governo tedesco rispose in maniera passiva inducendo anche uno stato di iperinflazione. Nel 1924 per ovviare a questa situazione, fu istituito un Comitato guidato dal Generale Dawes che restituì la Ruhr alla Germania e le concesse un grosso prestito, che permise alla nazione tedesca di riprendere il pagamento del proprio debito. Per cinque anni, dal 1924 al 1929, sembrò che la normalità fosse ritornata, tuttavia, questo periodo di serenità poggiava su basi tutt’altro che solide, infatti, gli equilibri creatisi erano molto fragili. La Germania e la Francia, e in particolare gli Stati Uniti, attraversarono un periodo di forte prosperità. Ciò dipese dal fatto che, proprio in quegli anni, ci fu un forte afflusso di capitali dagli Stati Uniti alla Germania, che con questi fondi, fu in grado di pagare i propri debiti alla Francia e alla Gran Bretagna, che in questo modo potevano rimborsare i loro debiti di guerra agli U.S.A. Nell’estate del 1928 le banche e gli investitori americani cominciarono a ridurre i loro acquisti di titoli tedeschi e a investire i loro fondi nella borsa di New York e di conseguenza iniziò una loro forte ascesa. Il 24 ottobre del ’29 un’ondata di panico fece precipitare tutte le quotazioni dei titoli e per far fronte alle necessità interne, le banche americane riportarono in patria i soldi investiti in Europa. Nel 1931 la Gran Bretagna e dei paesi che avevano con essa intensi scambi commerciali, furono costretti ad abbandonare il “gold standard”. Quando poi il presidente Roosevelt decise di sospendere x 4giorni ogni attività bancaria come misura di emergenza, anche gli Stati Uniti furono costretti ad abbandonare il “gold standard” e cs il caos monetario internazionale fu completo. In termini di produzione, prezzi e reddito nazionale la depressione raggiunse in molti paesi il punto di minimo alla fine del 1932 o agli inizi del 1933, ma la disoccupazione rimase alta e i redditi procapite al di sotto fino a dopo lo scoppio della IIguerra mondiale. Con la crisi della cooperazione internazionale, le nazioni cercarono di promuovere la propria ripresa economica anche a danno delle altre. La Germania, l’Italia e la Russia adottarono l’autarchia o l’autosufficienza completa e le +grandi nazioni imperialistiche, soprattutto la Francia e la Gran Bretagna, rafforzarono i legami economici con le loro colonie. La II Guerra Mondiale fu più massiccia e distruttiva di tutte le guerre della storia: fu una Guerra Globale xkè coinvolse direttamente o indirettamente le popolazioni di ogni continente. Solo in Europa morirono quasi 25 milioni di persone. Popolazioni intere furono sradicate e trasferite prima dalle politiche della Germania nazista, poi dall’impero degli eserciti in guerra e dalla fuga degli esuli. I confini politici furono cancellati dalle battaglie e regimi provvisori si sostituirono alle normali autorità politiche. Alla fine della guerra l’economia dell’Europa occidentale era sconvolta. La produzione industriale e quella agricola subirono cali catastrofici. La circolazione delle monete di tutti i paesi crebbe provocando un aumento irregolare dei prezzi. I controlli diretti sui prezzi portarono all’evasione e ai mercati neri accrescendo la scarsezza delle merci. Nel 1947 il segretario di Stato americano, Marshall, propose che tutte le nazioni europee, inclusa l’Unione Sovietica, si unissero in un programma comune di ricostruzione con l’assistenza degli Stati Uniti. L’Unione Sovietica rifiutò immediatamente l’offerta americana denunciandola come una trappola e trascinando nella sua scia i paesi dell’Europa dell’Est. La maggior parte delle nazioni exbelligeranti dell’Europa occidentale e centrale costituì l’O.E.C.E.(Organizzazione europea x la cooperazione economica) con sede a Parigi, che doveva far funzionare il Piano Marshall, assicurare una ripartizione equa ed efficace dell’aiuto, preparare le economie europee ad un’espansione della produzione e degli scambi e far migliorare i rapporti fra gli stati beneficiari. Dalla fine del ’48 alla fine del ’50 il volume della produzione delle nazioni appartenenti all’ O.E.C.E. registrò un incremento del 25% . Un altro fattore importante nella ripresa dell’Europa occidentale fu il trattamento della Germania da parte degli Alleati : infatti essi aiutarono la riabilitazione politica ed economica della Germania Occidentale esercitando una stretta supervisione ed un assiduo controllo. La Germania, a sua volta, ha contribuito alla rinascita economica dell’Europa Occidentale. Il periodo compreso tra gli anni 50 e 60 fu un periodo di eccezionale sviluppo per l’Europa Occidentale, gli scambi commerciali tra l’Europa e il resto del mondo si espansero rapidamente, e crebbero più in fretta della produzione. Questo sviluppo così rapido e inatteso venne chiamato " MIRACOLO ECONOMICO": questa espressione dapprima venne usata con riferimento alla Germania Occidentale, ma poi ci si rese conto che la si doveva applicare all’Europa Occidentale in genere, e in particolare a Francia ed Italia. A qsto fenomeno vi contribuirono molti fattori: l’aiuto americano che svolse un ruolo determinante nell’avvio della ripresa economica ma gli europei la sostennero con alti livelli di risparmio e di investimento, molto importanti furono gli investimenti destinati all’acquisto di attrezzature per prodotti nuovi e nuovi processi di produzione, contribuì anche l’innovazione tecnologica, la ricchezza del capitale umano, l’atteggiamento ed il ruolo dei governi che intervenivano sia direttamente che indirettamente nella vita economica del paese in modo più incisivo rispetto a prima, ma allo stesso tempo lasciarono ampio spazio all’iniziativa privata e al libero mercato. A livello internazionale, la gestione dell’economia fu caratterizzata dalla cooperazione e dalla concorrenza economica internazionale. Fu creato il G.A.T.T. (General Agreement on Tariffs and Trade ) era un’organizzazione che operava a livello mondiale e aveva lo scopo di ridurre le tariffe doganali ed altre barriere commerciali, ed aumentare gli scambi commerciali. Un’altra forma di cooperazione fu l’unione doganale del BENELUX operante nel 1948, che permise il libero movimento delle merci in Belgio, Olanda e Lussemburgo e la creazione di una tariffa comune verso gli altri paesi. Nel 1950 il Ministro degli Esteri francese Robert Schumann propose l’intergazione delle industrie del carbone e dell’acciaio della Francia e della Germania occidentale e la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (C.E.C.A.) che ne derivò gettò le basi del trattato M.E.C. (Mercato Comune Europeo) che prevedeva la graduale eliminazione dei dazi sull’importazione, limitazioni quantitative agli scambi tra i paesi membri e la creazione di una tariffa comune esterna. Tutte queste organizzazioni ebbero un ruolo fondamentale perché impedirono il ritorno all’anarchia internazionale, e dimostrarono che il capitalismo con la sua capacità di elevare il tenore di vita degli individui e il benessere economico della società, in realtà, non stava per finire. Tutte queste esperienze che si sono verificate in Europa dopo la II Guerra Mondiale, che vanno dalla cooperazione internazionale, all’uso di efficienti politiche fiscali e monetarie, ai liberi mercati e all’iniziativa privata dovrebbero essere preziose sia per i paesi industrializzati e, soprattutto, per quelli in via di sviluppo. In questi ultimi paesi c’è una certa diffidenza verso il capitalismo; questa deriva dall’esperienza fatta fra le due Guerre quando il capitalismo non funzionò normalmente. Spesso, i paesi in via di sviluppo cercano di correggere gli errori delle istituzioni capitalistiche, ma poi finiscono con l’adottare proprio quei metodi che fra le due Guerre hanno provocato ristagno economico, quindi adottano i metodi sbagliati. Essi, allora, hanno dimostrato di fraintendere la storia e di imitare le peggiori politiche del passato. CAP.4 LA GUERRA COME SCELTA POLITICA di Alan Milward= in qsto saggio, studiando il fenomeno della guerra ed in particolare della seconda guerra mondiale, ha notato come questa abbia portato dei profondi turbamenti all'assetto economico internazionale. Per M. il conflitto fu la "scelta politica" dei paesi economicamente avanzati come Giappone e Germania o anche imperialisti come l'Italia che hanno visto nella guerra lo strumento ideale x conoscere vantaggi economici, nel breve e nel lungo periodo. In effetti il nazismo il fascismo rifiutavano il positivismo , l’ individualismo, le idee dell’ illuminismo del settecento e sostituivano questi valori con la validità di un’ azione guidata da istinti comuni , e la guerra viene considerata come lo strumento che spazza via tutti gli ostacoli che impediscono la costruzione di una nuova società. M.inizia la sua riflessione specificando che ci sono 2idee relative alla guerra, comunemente accettate, ma che trovano scarso fondamento nella storia: 1) la guerra è uno stato di anormalità (idea affermatasi nel 18°sec. quando la teoria del diritto naturale fu analizzata per dimostrare che la pace discendeva dalla deduzione logica delle leggi materiali per il funzionamento dell’universo o in altri casi dalle leggi psicologiche che regolavano il comportamento umano); 2) la guerra, col passare del tempo, è divenuta +costosa in termini economici e di vite umane (idea affermatasi verso la fine del 19°sec. come rafforzamento della prima, visto che in quel periodo l’idea di guerra come "stato di anormalità" poteva sembrare indebolita per la testimonianza dei fatti accaduti). Qste idee non sono mai state completamente accolte dagli economisti ma hanno influenzato enormemente l’analisi economica tanto che gli sforzi teorici si sono concentrati soprattutto sul funzionamento dell’economia soltanto in tempo di pace xkè essa è stata considerata come la condizione +favorevole al raggiungimento degli obiettivi economici e, all’inizio del 19°sec, è stata addirittura considerata come il fine a cui la teoria economica deve tendere. Questa forte frequenza della guerra costituisce il miglior argomento per rifiutare la prima idea data alla guerra ossia il suo stato di anormalità mentre quando analizziamo la seconda idea di guerra, molto spesso si parla di una errata semplificazione della storia .La guerra in sé alla fine del 19°sec. comportò un importante stimolo allo sviluppo tecnologico in molti settori industriali come quello delle costruzioni navali ,della produzione dell’ acciaio, delle macchine utensili. La costruzione di armamenti complessi ,cmq, poteva essere realizzata solo da paesi con un livello di sviluppo economico elevato, ecco perché incominciò a cambiare l’idea che la guerra potesse dare vantaggi economici positivi a tutti i paesi. In effetti l’aumento delle capacità produttive che lo sviluppo economico aveva portato ai paesi avanzati provocò l’aumento delle conseguenze della guerra sia in termini economici che di mortalità su una scala prima impossibile da concepire. In questo modo l’idea della guerra come strumento economico sarebbe scomparsa. Queste idee furono sintetizzate dall’economista De Molinari che cercò di spiegare e unire la guerra con la teoria economica classica .De Molinari verificò che i costi della guerra nell’ arco di alcuni secoli era cresciuti progressivamente deducendo che la guerra costa al paese vincente più di quanto le possa fruttare. Però dopo tali affermazioni seguirono i due conflitti mondiali che costarono più delle guerra precedente. La guerra veniva considerata come uno strumento politico frutto di scelte di investimento fatti dai vari governi . Le origini della II guerra mondiale nascono dalla decisione di 2 paesi economicamente avanzati che videro in essa la migliore soluzione, infatti il governo tedesco e quello giapponese erano convinti che il conflitto avrebbe potuto portare loro enormi guadagni economici, infatti pensare che la guerra venisse utilizzata solo in caso di necessità, come fecero gli altri Paesi, fece capire alle potenze del Giappone e della Germania come si sarebbero potuti ottenere benefici economici e sociali a breve scadenza grazie ad una condotta vittoriosa della guerra. Il governo italiano aveva fatto già una scelta simile quando aveva attaccato l’Etiopia. Governo nazionalsocialista in Germania e partito nazionale fascista in Italia possono essere accomunati sotto il termine “fascisti” x la similitudine delle loro vedute politiche, delle concezioni di purezza razziale e dal rifiuto delle idee dell’illuminismo settecentesco x cui, sia Hitler che Mussolini, vedevano la guerra come lo strumento x sanare il trauma che l’illuminismo aveva provocato nella società umana e x riportare l’umanità stessa al suo stato originale. Lo stesso Mussolini scrisse che <il fascismo +osserva gli sviluppi futuri dell’umanità, lasciando da parte le considerazioni politiche del momento, meno crede alla possibilità e all’utilità della pace perpetua, soltanto la guerra porta le energie umane alla massima tensione e imprime un marchio di nobiltà sui popoli che hanno il coraggio di affrontarla>. Hitler parlò della guerra come di uno strumento per la rigenerazione del popolo tedesco, un mezzo per eliminare lo spirito egoistico di autoaffermazione, il fondamento dell'esistenza e' rappresentato dalla lotta dei forti e perciò la guerra costituisce un aspetto ineluttabile e necessario della condizione umana. Ciò che rese, purtroppo, le idee fasciste e naziste particolarmente pericolose fu il modo nel quale vennero sviluppate, difatti si arrivò addirittura al tragico sterminio degli ebrei considerati una razza inferiore rispetto a quella tedesca: tant'é che vennero eliminate milioni di vite umane nei campi di concentramento e nei forni crematori. La civiltà europea aveva subito un trauma in seguito all’ affermazione dell’idee dell’ illuminismo, ciò poteva essere superato mediante un processo di rigenerazione spirituale avviato da una minoranza incorrotta che aveva anche il carattere di un elite razziale. La rigenerazione tedesca richiedeva un grande ampliamento dello spazio territoriale il cui obiettivo finale avrebbe dovuto essere la conquista dell’ Ucraina. Tale scelta fu dettata da considerazioni di carattere economico .Il programma di riarmo aveva fatto si che, dopo il 1933, la Germania adottasse una politica economica diversa da quella degli altri paesi europei con un elevato livello di spesa pubblica e un’ampia gamma di controlli economici. Le idee politiche del nazionalsocialismo seguirono un ordine economico autarchico, opposto a quello liberale internazionale, con una politica di espansione territoriale. I cambiamenti dell’ economia dopo il 1933 seguono queste linee: a) disponibilità ad affrontare la guerra in vista di profitti, e non tanto x la rigenerazione di civiltà; b)realizzare un completo dominio imperialistico sulle altre economie(economia dei grandi spazi). Gli economisti nazionalsocialisti sostennero che l’epoca dello Stato nazionale, frutto del liberalismo, aveva fatto il suo tempo e doveva lasciare il posto ai grandi spazi come unità geografiche ed economiche che dovevano offrire un ampio mercato in una fase di caduta della domanda e avrebbero essi stessi soddisfatto tale domanda con le proprie risorse e produzioni. Si sentì il bisogno di riconsiderare la geografia mondiale secondo grandi spazi economici naturali. Stati Uniti e Unione Sovietica rappresentavano da soli due di questi spazi. Hitler voleva grandi spazi x la Germania. Esisteva una stretta correlazione fra l’economia dei grandi spazi e l' idea razziale, infatti i grandi spazi erano considerati unita' razziali. Cio' comportava uno sviluppo dell' economia centrale dell'Europa per la superiorità razziale dei suoi abitanti: gli Ariani;la periferia sarebbe rimasta soltanto una semplice fornitrice di materie prime per l' incapacità dei suoi abitanti a svolgere attività economiche più complesse. X un certo periodo sembrava che la Germania fosse in grado di creare la propria economia dei grandi spazi e di dominare gli scambi economici internazionali con mezzi pacifici; dopo il 1933 venne firmata una serie di accordi commerciali tra la Germania e i paesi sottosviluppati dell’Europa sud-orientale con i quali la Germania poté ottenere condizioni + favorevoli di qualle che poteva ottenere con le economie europee +avanzate. Il commercio russo-tedesco invece divenne insignificante e, senza la Russia, l’Europa sud-orientale poteva solo in minima parte contribuire all’emancipazione tedesca, cs la Germania entrò in guerra con l’Unone Sovietica. Lo studioso Eichholtz ha notare come col crescere del suo potenziale economico il movimento fascista tedesco aumentava anche la forza e l’aggressività necessarie all’espansione; con il fascismo è stata creata una forma di capitalismo monopolistico di Stato al potere che aspirava al superamento della crisi del capitalismo x mezzo del terrore all’interno e di una spartizione del mondo all’esterno. X trarre profitto da ciò, le maggiori industrie tedesche appoggiarono il partito nazionalsocialista in molti dei suoi obiettivi economici, ma tale appoggio provenne anche dai settori della popolazione e soprattutto dai settori di classe media di reddito +basso come gli impiegati, gli artigiani, i negozianti ai quali si aggiunsero contadini e protestanti. Per quanto riguarda i progressi relativi all'Italia si può dire che ci furono vari tentativi economici e sociali che cercarono di avvicinare la teoria dei grandi spazi, ma a causa della forte espansione dell' economia tedesca questi tentativi fallirono. Se il governo italiano guardò alla guerra come un desiderabile strumento di azione politica, certo non considerò la possibilità di una dura e prolungata guerra europea e non fece per essa nessun preparativo adeguato a differenza della Germania. Infine per il Giappone la scelta a favore della guerra si basò sulle stesse aspettative economiche di Germania e Italia. Nonostante la mancanza di implicazioni razziali e sociali di carattere radicale si era convinti che una guerra strategicamente ben impostata avrebbe rafforzato l' economia giapponese e avrebbe liberato il Paese dalla forza oppressiva degli Stati Uniti. Il Giappone basò la sua economia sulla Sfera di CoProsperità, questo schema prevedeva una struttura interna di scambi simile a quella dei grandi spazi e di un nucleo manifatturiero rifornito da una periferia di produttori di materie prime che esportavano i loro prodotti in Giappone:riso dalla Corea,stagni e gomme dalla Malesia,ecc. Di fronte ad un atteggiamento cs favorevole alla guerra da parte di Germania e Giappone, gli altri Paesi si dimostrarono alquanto riluttanti: in particolar modo U.S.A. e U.R.S.S. Le differenze di atteggiamento verso la guerra da un punto di vista economico contribuirono a dare forma ai piani strategici di conduzione delle operazioni di ogni potenza belligerante e ciò mostra la varietà e complessità con cui la guerra può presentarsi sotto il profilo economico. CAP.5 L’ASCESA DEL FASCISMO di Federico Chabod= ha dato grandi contributi agli studi storici con le sue ricerche sulle signorie italiane del 300, interessandosi al Rinascimento, alla Controriforma, al Risorgimento. Fu allievo di Croce. Il tema centrale di qsto brano è il fascismo che C, come Croce, considerava come “una malattia morale”. Egli sottolinea come il profondo sconvolgimento che la guerra produsse nella vita italiana, offendendo tutti i sentimenti, la crisi sociale, le paure provocate dai disordini nelle campagne e dagli scioperi, il timore della rivoluzione condussero alla formazione di un “blocco di interessi” su cui fece leva il fascismo. Come sostiene Valiani, C.ricostruisce la storia del regime fascista con imparzialità senza tuttavia nascondere le sue convinzioni antifasciste. Il Fascismo fu fondato a Milano il 23 marzo 1919 da Mussolini e divenne una forza politica di primo piano solo alla fine del 1920. Inizialmente non fu un partito ma un semplice movimento politico, come reazione e conseguenza della grave crisi politica ed economica seguita alla prima guerra mondiale. Nell’articolo sul fascismo dell’“Enciclopedia italiana” Mussolini stesso scrisse che la sua era la dottrina dell’azione, il fascismo nacque da un bisogno di azione e fu azione. Dal 1912 al 1914 Mussolini fu molto influente nel partito socialista e direttore del giornale l’”Avanti!” ma fu espulso dopo aver pubblicato il giornale “Il Popolo d’Italia” schierato su posizioni favorevoli all’entrata in guerra dell’Italia contro l’Austria e la Germania. In Mussolini si avverte la marcata influenza della dottrina della violenza di Georges Sorel; in lui c’era sempre un bisogno di agire, cioè il desiderio di aprirsi una strada personale; la sua forza consisteva soprattutto nella capacità oratoria che scuoteva le folle con toni sempre polemici e violenti. Accanto a lui si trovavano gruppi di ex combattenti spinti da un desiderio di rivolta contro tutto ciò che umiliava la patria, uomini spinti da desiderio di azione e di avventura e i c.d. “ras” del fascismo, cioè i capi che hanno saputo crearsi una forza personale influenzando le decisioni del partito (Farinacci a Cremona, Balbo a Ferrara, ecc), dietro di loro c’erano le “squadre d’azione” o “professionisti della violenza” che partecipavano alle spedizioni punitive contro i socialisti. Il primo scontro tra fascisti e socialisti si verificò a Milano, nel 1919: la maggior parte erano studenti del Politecnico di Milano, ex combattenti che devastarono la sede del giornale socialista l’”Avanti!”. Una delle roccaforti del fascismo fu la campagna fra Bologna e Ferrara, dove vivevano capi come Balbo, che darà al fascismo un’organizzazione militare, e Grandi, che valuterà l’importanza dei problemi sindacali. Uno dei primi progressi sociali del fascismo riguarda l’aumento dei salari imposto dai sindacati ai proprietari che migliorò le condizioni dei contadini e incoraggiò la produzione xkè i proprietari furono costretti a perfezionare le loro tecniche. Ma accanto a qsti progressi ci furono anche atti di violenza soprattutto in Emilia, in Romagna, e poi in Toscana, tant’è che lo stesso Mussolini, nel 1921, spinse a porre fine alle violenze, fu cs stipulato da ambo le parti un patto di pacificazione che fu poi denunciato dai fascisti. Con l’avvento dei sindacati fascisti, scesero in campo i possidenti agrari che non accettavano +il controllo dei contadini sulla terra; essi furono appoggiati dai sindacati che appoggiarono anche gli industriali i quali non accettavano l’idea del controllo operaio sulle fabbriche, quindi ci fu un capovolgimento xkè, mentre prima i fascisti agivano in favore dei braccianti, ora agiscono a favore dei proprietari. Gli interessi degli industriali e dei grandi proprietari terrieri furono i primi fattori che permisero il successo fascista. A questi si aggiunse la piccola borghesia (impiegati, piccoli commercianti, professioni liberali) nella quale il fascismo aveva trovato molte delle sue prime reclute e ne troverà altre: quando Giolitti lasciò che gli operai occupassero le fabbriche affinkè si rendessero conto della loro incapacità di dirigerle, dal punto di vista politico fu una scelta molto giusta ma, dall’altro, era destinata a produrre ripercussioni nella mentalità e nei sentimenti borghesi. Infatti la piccola e la media borghesia incominciarono a domandarsi quale fosse la reazione dello Stato di fronte a qsti avvenimenti, in quanto esso aveva l’obbligo di proteggere la vita e i beni dei cittadini. Lo Stato, invece, rimase a guardare e ciò suscitò un profondo malcontento, disagi e paura x i continui scioperi e sommosse che portò la borghesia contro gli operai che, con i loro comportamenti, offendevano la patria. Il fascismo è un fenomeno molto complesso, che non può essere spiegato solo come semplice espressione della grande industria e della grande proprietà fondiaria. E’cmq palese che abbia voluto difendere gli interessi di classe e ciò è dimostrato da alcuni dei suoi primi decreti: nel 1920 Giolitti impose la normatività dei titoli azionari x colpire i redditi dei ricchi e fronteggiare il deficit del bilancio statale; con un’altra legge, avente lo stesso scopo, stabilì, in materia di successione, delle tasse che arrivavano alla confisca totale nel caso di grandi eredità e di eredi lontani. Il 10novembre1922, dopo 3giorni dalla marcia su Roma, il governo fascista abolì la normatività dei titoli e la legge sulle successioni e le imposte di successione non solo furono diminuite ma x le successioni dirette (figli, mogli,ecc) furono addirittura soppresse. Ma nel fascismo non c’è solo qsto, c’è anche quella che l’autore chiama un’accentuazione piccolo borghese dal punto di vista sentimentale ed economico. Non borghesia come classe sociale, come fenomeno economico che si discute, ma è il suo stato d’animo che viene evidenziato: essendo dei cattolici, provavano un senso di malcontento x il fatto che, nonostante i Patti lateranensi con la Santa Sede dell’11febbraio1929, la Chiesa non si era ancora fortemente riconciliata col governo regio; essi amavano la patria, l’Italia unita e in pace col papato, l’ordine e la tranquillità e Mussolini cercò di soddisfare qste loro esigenze. Ma negli ultimi anni del fascismo si verificò una frattura fra il regime e la borghesia, l’innesco furono le leggi razziali e le leggi contro gli ebrei del 1938 che non furono accettate, addirittura la popolazione italiana cercò di aiutare i perseguitati e +nessuno seguirà Mussolini. Un grande industriale ha dichiarato <noi non volevamo la dittatura ma solo che Mussolini riportasse l’ordine e la tranquillità nel paese, dopo di che saremmo ritornati al vecchio sistema>. Molti fra gli uomini di governo non riuscirono a capire che il fascismo era pericoloso a differenza di Giolitti che, accortosi del suo errore, non mancò di coraggio e dignità fronteggiando da solo Mussolini: 4mesi prima di morire dichiarò la sua opposizione al progetto di legge che rappresentava la definitiva rottura del regime fascista con l’ordinamento basato sullo Statuto del 1848. Il suo grande errore è stato quello di pensare di poter assorbire pian piano il fascismo, egli stesso pensava: <gli darò due o tre ministri, la polizia e i prefetti dovranno obbedirmi, col tempo il movimento si svuoterà e la crisi sarà risolta>. Nel 1921 addirittura Giolitti fece entrare i fascisti nella Camera come deputati x potersene servire contro i socialisti o contro il partito popolare. L’errore di valutazione della maggior parte degli uomini consisteva nel pensare al fascismo come una forza politica vecchio stile, invece esso non aveva niente in comune con i principi che regolavano il vecchio Stato liberale: non si preoccupava della legalità degli atti e se lo faceva era solo x motivi tattici; cercò di occupare nella vita pubblica un posto durevole di primo piano; dalla semplice reazione contro gli antipatrioti si trasformò in strumento di conquista del potere. Qsto desiderio fu concretizzato con la “marcia su Roma”, il 28ottobre1922,quando il fascismo si trasformò da semplice movimento in partito con una forte organizzazione militare, i cui ispiratori furono Balbo, De Vecchi e De Bono. La conquista del potere ad opera del fascismo non ha richiesto una vera e propria rivoluzione, infatti, quando giunse a Roma la notizia della marcia sulla capitale, il re Vittorio Emanuele III rifiutò di firmare la dichiarazione di stato d’assedio e decise di affidare il compito di costituire il nuovo governo prima a Calandra e subito dopo a Mussolini. Cs le camice nere entrarono a Roma già a cose fatte, x cui non fu una rivolta ma una sorta di sfilata. Fu il presidente del Consiglio Facta a sconsigliare al re di firmare il decreto di stato d’assedio proposto dal Consiglio dei ministri, il quale avrebbe provocato l’intervento dell’esercito contro i fascisti. Facta aveva trattato con uno dei capi delle camice nere, Michele Bianchi, x far entrare i fascisti nel suo governo e sperò fino alla fine di evitare la rivolta assorbendo i fascisti (lo stesso errore di Giolitti!). Il fascismo incontrò simpatie anche presso la casa reale, nel duca d’Aosta, il cugino del re, che mirava alla corona reale; poiché il re non voleva aiutarli, allora i fascisti si dissero disposti ad estrometterlo dal Quirinale e a mettere al suo posto il duca. Anche la regina madre Margherita nutriva una grande simpatia x il fascismo. Qsto aiutò molto il fascismo.