I PARTE
CAP.2 POPOLAZIONE E RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
di Edward A.Wrigley = professore all’Università di Cambridge, è stato una degli studiosi che più ha contribuito
allo sviluppo della demografia storica. In questo brano, tratto dall’opera “Population and History”, W.espone il processo di
azione-reazione (feed-back) che la riv.industriale ebbe sulla popolazione e sui suoi mutamenti, fornendo sia notizie molto utili
x meglio comprendere l’economia e la società del periodo sia dei criteri valutativi che hanno permesso di rivedere alcune
posizioni che gli studiosi ritenevano ormai assodate.
La riv.industriale ha avuto un forte impatto nella storia demografica per i suoi molteplici
cambiamenti.
Il feed-back negativo tra variabili demografiche ed economiche caratterizzava tutte le società
preindustriali le quali non riuscivano ad accrescere il reddito pro capite. Durante la riv.industriale
tale feed-back negativo fu sostituito da uno positivo in alcuni importanti settori della rete sociale.
Dal punto di vista demografico, nel 1700 Londra contava 550.000 abitanti, nonostante le numerose
morti dovute alla peste, e nel 1800 il numero salì a 900.000. Al contrario delle c.d. città parassite,
xkè ebbero un effetto negativo sull’economia locale, Londra contribuì al miglioramento
dell’economia e alla trasformazione generale della società inglese. La crescita di Londra, il
miglioramento dei suoi mezzi di trasporti e il suo bisogno incessante di derrate alimentari
contribuirono all’espandersi del mercato nazionale e al conseguente miglioramento dell’agricoltura
(i metodi tradizionali furono sostituiti da nuove colture cs la produzione fu maggiore e a minor
prezzo e ciò comportò l’aumento del reddito); si verificarono poi cambiamenti sociali strettamente
collegati tra loro grazie al distacco delle classi inferiori da valori e atteggiamenti tipici dell’élite
tradizionale x assumere atteggiamenti razionali, ciò significa passare dalla posizione ereditata a
quella basata sui risultati individuali, significa sostituire con i contratti commerciali le usanze locali
e soprattutto considerare gli affari economici come il dominio del calcolo e dell’adattamento;
questi atteggiamenti razionali contribuirono a determinare nuove abitudini di consumo e di spreco
e anche questo contribuì all’aumento del reddito. Tutto ciò contribuì a migliorare le condizioni
demografiche: il reddito effettivo aumentava ma la popolazione non si espandeva cs velocemente
xkè Londra, all’inizio del 18°sec, era colpita da numerosi decessi e caratterizzata da una
immigrazione di 8000/10000 persone all’anno, questo significa che lo sviluppo di Londra serviva
da freno allo sviluppo demografico di tutta la nazione.
Quello dei cambiamenti demografici durante la riv.industriale in Inghilterra è un fenomeno di
grande importanza che ha suscitato diverse opinioni: si è pensato, x esempio, che l’ascesa del
numero verificatasi in Inghilterra dopo il 1750, cioè nel 1°stadio della riv.industriale, fosse dovuta
agli stimoli dei cambiamenti economici, ma contro tale opinione si è affermato che il movimento
ascensionale era già in atto prima che la riv cominciasse. Una scuola di pensiero afferma che, dato
che lo sviluppo demografico si presentava piuttosto pigro fin quasi all’ultimo momento, si verificò
una carenza di manodopera che servì da stimolo all’invenzione o al perfezionamento di macchine
atte a sostituire l’uomo in molte operazioni manuali. Secondo un’altra teoria, invece, la pressione
demografica fu una delle cause principali dell’aumento della domanda sul mercato interno e ciò
incoraggiò operazioni economiche su vasta scala. Bisogna precisare che gli economisti storici
hanno troppo facilmente ammesso che nel 18°sec ci fosse qualcosa di eccezionale nello sviluppo
demografico dell’Inghilterra e, nella maggior parte degli scritti su tale fenomeno, si afferma che
nella prima metà del sec. lo sviluppo un po’ pigro fosse comune a tutta l’Europa e che la rapida
accelerazione verificatasi in Inghilterra nella seconda metà non abbia trovato nessun riscontro
altrove, ma questo è falso xkè, nel 18°sec.,troviamo indici pari a quello inglese in molte altre parti
dell’Europa (Ungheria, Francia,Italia, Austria, Boemia). Nel 19°sec. il tasso d’incremento non
cambiò molto e nella prima metà del sec. l’Inghilterra si comportò diversamente dalle altre nazioni
xkè in questo periodo essa fu investita in pieno dalla riv.industriale che solo +tardi investì gli altri
paesi con la stessa forza. In questo periodo ci fu un rapido sviluppo della popolazione nelle zone
rurali di coltura tradizionale, esse furono protette dall’emigrazione interna verso i grandi centri
commerciali e burocratici e da quella esterna verso l’Australia e le nuove zone di insediamento
europeo nelle due Americhe. Come la Germania orientale, anche altre parti d’Europa, prive di
industrie moderne, toccarono lo stesso indice di sviluppo demografico ad un ritmo febbrile: in
Norvegia l’indice di incremento toccò il suo apice all’inizio del sec.e continuò a mantenersi molto
alto anche in seguito. Il 19°sec quindi raddoppiò il tasso prevalente nel sec precedente, anche se
non ci furono cambiamenti nella struttura occupazionale fin dopo il 1860, invece ci furono buoni
progressi nella produttività del terreno pur mantenendo la tecnologia tradizionale (introduzione
della patata).
X quanto riguarda la diversità dei cambiamenti demografici al momento della riv.industriale,
bisogna ricordare che durante i primi decenni della riv., sia in Inghilterra che in altri paesi, i
cambiamenti economici ebbero un carattere locale o regionale, cioè le strutture tradizionali e i
costumi di vita variarono prima in piccole zone e solo col tempo coinvolsero tutto il paese e cs
successe anche x i movimenti demografici.
Il nuovo sviluppo economico aumentò notevolmente la domanda di lavoro (richiesta di
manodopera) e ciò produsse l’aumento di fecondità che doveva procurare la forza di lavoro
addizionale (la domanda stessa produce l’offerta). La domanda di lavoro riguardava i maschi adulti
e condizionava anche l’andamento dei salari, ciò comportava un abbassamento dell’età media al
primo matrimonio dell’uomo e quindi anche quella della donna, di conseguenza aumentò la
fecondità che incrementò lo sviluppo della popolazione: x es. nei bacini carboniferi e soprattutto
nella zona della Ruhr esisteva una forte domanda di lavoro maschile e quindi l’età matrimoniale
della donna era molto bassa. Bisogna anche considerare il rapporto del numero dei maschi con
quello delle femmine: dove esisteva l’industria, che richiedeva forze di lavoro, i maschi
eccedevano x il fenomeno dell’immigrazione interna, qui le ragazze si sposavano tutte quindi un
aumento di fecondità ci sarebbe stato a prescindere dall’abbassamento dell’età matrimoniale
dell’uomo; nelle zone di provenienza dei giovani lavoratori, l’equilibrio tra i sessi risultava
sconvolto dal maggior numero di nubili. Bisogna collegare questi fenomeni anche all’ambiente
diverso in cui tutti vivevano: x es. in Francia e in Germania la fecondità dei matrimoni determinò
un tasso +alto nelle zone industrializzate e +basso in quelle amministrative. Inoltre, andando a
lavorare negli stabilimenti industriali, i giovani evitavano il lungo periodo di apprendistato che li
obbligava al matrimonio tardivo; c’erano poi molti mestieri che offrivano la massima possibilità di
guadagno quando l’uomo era ancora giovane e ciò gli permetteva di sposarsi presto. Tuttavia in
Germania, nel 1880, la percentuale di giovani sposati era superiore nella Prussica Orientale, zona
rurale e depressa, anziché, come ci si poteva aspettare, nelle zone agricole dell’Ovest o nelle zone
industriali (come Ansberg, Minden, ecc), questo sembra imputabile alle confessioni religiose: nelle
zone protestanti si usava sposarsi presto (Prussica Orientale) mentre in quelle cattoliche succedeva
il contrario.
X spiegare l’aumento di fecondità un’altra ipotesi riguarda la domanda di lavoro infantile: i
bambini, già a 5/6anni, contribuivano ad aumentare le entrate familiari, essi rappresentavano un
utile economico già prima della riv.industriale (aiutavano il padre nel lavoro dei campi o la madre
nelle opere di artigianato minore). Più grandi erano le famiglie e +grande era la prosperità ma
maggiori i costi x mantenere le case stesse. Nelle zone industrializzate si registrava una caduta
nell’intervallo medio tra due nascite x 3motivi connessi tra loro:
1) cambiamento delle usanze tradizionali
2) le donne cominciavano a lavorare nelle fabbriche o in case private e x questo costrette a
svezzare i bambini in anticipo
3) questo provocava l’aumento della mortalità infantile: x es. nelle condizioni di sovraffollamento
di certi sobborghi industriali il rischio di infezione portava la mortalità infantile dal 150 al 250%.
Durante il periodo della riv.industriale il regresso della mortalità provocò sensibili cambiamenti
nella fecondità, fatta eccezione x gli scoppi di colera e la grande fame in Irlanda nel 1845. Le cause
di questo fenomeno le ritroviamo nello scongiurato pericolo di carestie grazie ai mezzi di trasporto,
come le ferrovie, che permettevano di trasportare il surplus delle risorse di una regione a quelle
deficitarie. In Europa ciò avveniva anche prima della costruzione delle ferrovie grazie all’aumento
delle strade, alla costruzione dei canali, allo sviluppo della navigazione fluviale e al commercio
transoceanico. L’introduzione della patata arricchì la base alimentare di zone depresse e
densamente popolate: il raccolto della patata rende in media ogni anno molto di + là dove essa
viene sfruttata nel sistema di rotazione agraria, può crescere in zone umide e fredde dove i cereali
non arrivano quasi mai a maturazione; cs vennero allargati i confini delle colture marginali e, dove
la patata fu utilizzata come prodotto base dell’alimentazione, si creò una minore dipendenza dalle
condizioni metereologiche. La patata divenne la coltura principale in Germania, Polonia, Irlanda e
in Norvegia dove le si attribuisce l’abbassamento di mortalità.
La regolarità dei rifornimenti alimentari e l’agricoltura furono migliorate grazie all’introduzione di
radici e trifoglio che assicurava il foraggiamento del bestiame x tutto l’inverno, all’uso di maggiore
concime animale che fornì una duplice spinta alla produttività del suolo xkè ne aumento
l’estensione e il rendimento annuo, ai migliori sistemi di drenaggio, ai nuovi metodi +razionali x la
conservazione delle derrate alimentari, all’introduzione di macchinari agricoli (x es. la seminatrice
meccanica).
Un secondo tratto comune a gran parte dell’Europa occidentale fu il cambiamento degli indici di
mortalità x età specifica: le probabilità di vita aumentarono di + x i bambini e gli adolescenti
mentre la mortalità infantile non segnò notevoli regressi xkè i neonati erano maggiormente esposti
a infezioni gastriche e polmonari contro i quali non erano stati ancora studiati rimedi opportuni,
cosa che avvenne soltanto verso la fine del 19°sec. Tuttavia, anche i primi miglioramenti nelle
condizioni dell’igiene pubblica non influirono molto sulla mortalità infantile: il bambino, se viveva
in condizioni ambientali ed alimentari precarie, era vittima di malattie contagiose quali il tifo, il
colera, la tubercolosi, il vaiolo, ecc. I miglioramenti attuali sono il riflesso di una lunga serie di
progressi continui sia nel campo dell’igiene che in quello della sussistenza. Dopo le grandi
epidemie di colera, quando si capì il legame tra malattie ed inquinamento dell’acqua, iniziarono i
processi di purificazione chimica, furono sistemate le acque di scolo e la rete delle fognature
urbane, i rifornimenti di carbone resero +confortevole l’inverno, migliorò la situazione dell’edilizia
popolare dopo che i governi iniziarono a realizzare progetti di case minime (in questo contesto si
ricorda la legge inglese del 1875 con la quale Chamberlain risanò 500 acri di bassifondi nella sola
Birmingham). L’azione del governo fu efficace anche x quanto riguarda l’istituzione di un sistema
di ufficiali sanitari locali e la legislazione contro i cibi adulterati, l’aumento del reddito effettivo
che permise di acquistare cibo migliore e in maggior quantità. Il livello di nutrizione subì un forte
miglioramento x tutti anche grazie all’introduzione, verso la fine del sec., di oli vegetali a buon
mercato e l’importazione di agrumi.
Terza caratteristica del periodo della riv.industriale è il grande divario nella percentuale dei decessi
tra i gruppi sociali economicamente differenziati: in questo contesto Charles Booth e Rowntree x
l’Inghilterra e Frédéric Le Play x la Francia eseguirono accurate ricerche che rivelarono che nei
paesi industrializzati si continuava a vivere in uno stato di povertà (pauperismo): denutrizione e
malattie erano ampiamente diffuse. Ciò è imputabile non all’industrializzazione stessa ma
all’inurbamento eccessivo (Parigi, Berlino, Marsiglia, Liverpool avevano alti indici di mortalità
xkè tutte si erano sviluppate enormemente).
Recenti esperienze hanno dimostrato che enormi miglioramenti nella probabilità di vita alla nascita
e dell’indice di mortalità si possono ottenere anche senza bisogno di enormi cambiamenti
economici ma grazie all’utilizzo delle tecniche della medicina moderna e dell’igiene pubblica. In
un solo anno a Ceylon le probabilità di vita aumentarono di quasi 10anni, invece questo risultato si
ebbe in Europa nel corso di tutto il 19°. Il contributo +imp della medicina si ebbe alla fine del
19°sec con la conoscenza +completa della natura e dei mezzi di trasmissione delle malattie
infettive quindi con i vaccini; in seguito furono introdotte misure antisettiche negli ospedali, gli
anestetici, il miglioramento della chirurgia. X quasi tutto il 19°sec. l’aumento del benessere
economico e la buona salute andarono di pari passo: le forze produttive delle società crescevano
+rapidamente della popolazione contribuendo alla prosperità individuale. Secondo Malthus né
fecondità né mortalità dipendevano dalla densità demografica.
Durante la riv.industriale, quando l’industria era ancora dipendente dall’agricoltura, si cercò di
risolvere il problema di evitare la riduzione dei profitti marginali in 2modi:
1) con nuove invenzioni, miglioramenti tecnici, sfruttamento +razionale del lavoro,ecc; secondo
un calcolo recente i sette ottavi dell’aumento della produttività pro-capite, e quindi delle entrate,
che si è verificato nella seconda metà del 19°sec negli Stati Uniti, si può attribuire all’inventiva
umana e non all’aumento del capitale investito. L’entrata della tecnologia nell’agricoltura diede
vita a un nuovo impulso di produttività del terreno e ritardò il declino dei profitti, il terreno
agrario produceva di+ e richiedeva meno fatica umana e minore forza lavoro.
2) con la colonizzazione di nuove terre oltremare.
Il miglioramento dei trasporti e l’invenzione di nuove macchine (x es la macchina a vapore)
ridussero il lavoro e la fatica umana procurando cibi e materie prime industriali sempre meno
costose. Se il reddito pro-capite aumentava, aumentava anche la richiesta di prodotti industriali, se
la scala di produzione aumentava, diminuiva il costo di produzione di ogni singolo articolo e di
conseguenza aumentava il potere reale di acquisto dei salari e la richiesta aumentava ancora. Il
reddito resisteva anche se lo sviluppo demografico aumentava. L’industria si rese indipendente
dall’agricoltura. Il vecchio meccanismo, che ostacolò i tentativi di espansione industriale, fu
definitivamente eliminato.
CAP.3 LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
di Carlo M.Cipolla= in questo saggio del 1971 Cipolla illustra i mutamenti economici e socio-culturali che la
riv.industriale ha comportato e sottolinea una serie di problemi (crisi ambientali, aumento continuo della popolazione,
invecchiamento della società,ecc) che oggi si pongono alla nostra attenzione in tutta la loro drammaticità.
La R.I., avvenuta tra il 1780 ed il 1850, è stato un evento senza precedenti che ha cambiato
profondamente il volto dell’Inghilterra. Gli storici hanno spesso usato il termine Rivoluzione x
indicare un mutamento radicale, ma nessuna è stata cs rivoluzionaria come la r.i., ad eccezione
della Riv.Neolitica, entrambe hanno cambiato il corso della storia creando ciascuna una
discontinuità nel processo storico: la Riv.Neolitica trasformò l’umanità da un insieme slegato di
bande di cacciatori in un insieme di società agricole + o meno interdipendenti; la Riv.Industriale
trasformò l’uomo da agricoltore-pastore, che sfruttava l’energia del mondo animale e vegetale, in
manipolatore di macchine azionate da energia inanimata (carbone, petrolio, elettricità, atomo,ecc).
Le sue origini si fanno risalire a quell’insieme di idee e di strutture sociali che accompagnò il
sorgere dei comuni urbani nell’Italia Centro-Settentrionale, nei Paesi Bassi meridionali e nella
Francia del nord-est tra l’11° ed il 13°sec, il sorgere di questi centri urbani fu dovuto alla rivolta
contro il predominante assetto agrario-feudale e ciò segnò il passaggio da una società basata
principalmente sulla proprietà terriera e monopolizzata da gruppi sociali dediti alla guerra, alla
caccia e alla preghiera ad una società basata sull’attività mercantile e manifatturiera dedita alla
praticità e al guadagno. Il posto del cavaliere e del monaco furono presi dal mercante, dal
professionista e dall’artigiano e la civiltà basata su qsti 3personaggi si sviluppò rapidamente
conquistando l’Europa occidentale le cui strutture istituzionali ed umane furono rafforzate da un
processo cumulativo che entrò in crisi nei suoi 2 nuclei originari (l’Italia ed i Paesi Bassi
meridionali) mentre continuò e si sviluppò in altre 2zone d’Europa (i Paesi Bassi settentrionali e
l’Inghilterra) le quali, alla fine del ‘700, erano caratterizzate da una forte espansione del settore
mercantile e manifatturiero, dalla presenza di un folto ceto mercantile con notevoli capacità
imprenditoriali, potenza economica e influenza sociale e politica, da una notevole scorta di
manodopera artigianale qualificata, dall’alta diffusione dell’alfabetismo, dall’abbondanza del
capitale, da una forte e progressiva tendenza verso la misurazione quantitativa e la
sperimentazione; la filosofia baconiana e la concezione meccanicistica dell’universo segnarono il
punto cui era giunto il movimento di idee generatosi secoli prima nei comuni cittadini dell’Italia e
della Fiandra.
Verso la fine del ‘700 in Inghilterra ed in Olanda il movimento aveva raggiunto il suo apice. Dal
punto di vista produttivo l’Olanda sopravanzava l’Inghilterra, ma nel corso del 18°sec essa entrò in
una fase involutiva; inoltre l’Inghilterra possedeva il carbone e l’Olanda no, anche se alla fine
dell’800 il possesso di carbone non ebbe +un’importanza decisiva x lo sviluppo industriale xkè era
la R.I. stessa a creare i mezzi di trasporto necessari x rifornire di carbone a basso costo i paesi
sprovvisti. Verso la fine del ‘700, la macchina di Watt determinò la trasformazione dell’energia
chimica del carbone in energia meccanica; dopo il 1820, con l’applicazione della macchina a
vapore nel trasporto ferroviario, il carbone fu utilizzato su vasta scala x i vari processi produttivi;
tra il 1860 ed il 1890 iniziò l’industria dell’estrazione del petrolio ed il perfezionamento del motore
a combustione interna; verso la fine del sec. si affermò l’elettricità; nel 20°sec l’uomo incomincia a
sfruttare l’energia dell’atomo e la produzione di carbone era ancora in aumento mentre la
percentuale di energia da esso prodotta era in diminuzione.
La R.I. fu innanzi tutto un fatto socio-culturale: i primi paesi industrializzati avevano una
percentuale +bassa di analfabeti e caratteri culturali simili a quelli inglesi. Il carbone era un
elemento necessario ma non sufficiente x creare e far muovere le macchine, infatti occorrevano
uomini capaci di estrarre il carbone, di ideare e fabbricare queste macchine. Dalla metà dell’800 in
poi la diminuzione dei costi di trasporto del carbone e lo sfruttamento economico di fonti
alternative di energia permisero lo sviluppo industriale anche a zone prive di carbone contribuendo
alla diffusione geografica della R.I.: verso il 1850 la RI. era penetrata in Belgio, Francia,
Germania, Svizzera e Stati Uniti; verso il 1900 in Svezia, Italia, Russia, Giappone e Argentina; ora
sta penetrando in India, Cina, Africa e paesi dell’America Latina.
Un caso interessante è quello del Giappone: è stato tra i primi paesi ad importare la R.I. e tra quelli
in cui essa si è sviluppata con un ritmo accelerato. Del G. bisogna considerare 2importanti
circostanze:
1) x secoli il G. aveva importato tecniche e cultura della Cina, ma dopo il declino cinese e lo
sviluppo occidentale, ha cambiato modello;
2) studi recenti hanno evidenziato come il G., agli inizi del processo di industrializzazione, fosse
già un paese sviluppato dal punto di vista dell’istruzione
L’economista Galbraith afferma che <i paesi in via di sviluppo possono essere visti un po’ come le
perle che si muovono lungo una collana> ma qsta è un’idea antistorica xkè il processo di
industrializzazione non si è compiuto allo stesso modo in tutti i paesi.
Con la seconda metà dell’800 la R.I. cessò di essere un fenomeno inglese e divenne un fenomeno
mondiale. Parallelamente all’aumento della produzione vi fu l’aumento della popolazione.
Oggi la popolazione mondiale sta crescendo al ritmo di circa 60milioni di persone all’anno.
L’aumento della popolazione fu dovuto non ad un aumento della natalità ma ad una diminuzione
della mortalità: prima della R.I., circa la metà dei nati non raggiungeva il settimo anno d’età, vi
erano frequenti epidemie che scomparvero con la R.I. e la mortalità fu ridotta attorno al 10x1000;
la natalità si ridusse con ritardo rispetto alla mortalità e ancora oggi, in molti paesi, non ha
cominciato a ridursi. Il divario tra bassa mortalità e alta natalità continua a causare l’aumento della
popolazione, tuttavia qst aumento non può durare in eterno.
Negli ultimi 2secoli la produzione è aumentata +della popolazione e ciò significa un aumento del
reddito pro-capite che ha determinato un processo cumulativo x il quale +aumenta la ricchezza,
+aumenta la possibilità di formazione di un surplus che, non consumato e debitamente investito,
serve ad aumentare ulteriormente il reddito.
I risultati di qst accrescimento del reddito pro-capite possono essere cs sintetizzati:
- in un paese pre-indutriale l’aspettativa di vita alla nascita era di meno di 30anni; in un paese
industrializzato essa supera i 65anni.
- In un paese pre-industriale oltre la metà del reddito medio personale era assorbito dalla spesa x
il vitto; in un paese indutr.la fame è scomparsa e la spesa x il vitto non assorbe +di un quarto
della spesa media personale.
L’aumento della popolazione e della produzione mondiale va affiancata al progresso delle
comunicazioni(movimento di merci, di persone, di info) e alla maggiore specializzazione ed
efficienza che ne derivano: le società che x secoli si sono ignorate, oggi possono mettersi
facilmente in contatto. Ciò porta a notare come la R.I. non riguarda solo il mutamento economico e
demografico ma anche quello socio-culturale, ovvero nei paesi industrialmente +avanzati la R.I.
non è finita ma continua e ciò significa che anch’essi, come i paesi sottosviluppati che cercano di
industrializzarsi, si trovano a dover affrontare problemi di ristrutturazioni sociali, di rinnovamento
culturale e politico: questa è la prima fase della R.I.(prima R.I.), ma progresso tecnologico e
sviluppo demografico ora impongono la seconda fase della R.I. (seconda R.I.): ciò che ha risolto i
grossi problemi del passato viene a sollevare ulteriori problemi.
La futura società industriale richiede un nuovo tipo di uomo, non analfabeta, sottoposto ad un
continuo sforzo di aggiornamento. Il lavoro di gruppo implica un rapporto opprimente con i propri
simili infatti la “privacy” era un’abitudine tipica del mondo agricolo non presente in quello
industriale. Inoltre, mentre l’unità familiare pre-industriale era numerosa, patriarcale, che oltre alla
funzione di procreare ed educare i figli, soddisfava nel proprio ambito funzioni economicoproduttive e funzioni oggi dette di “sicurezza sociale” (cura dei membri ammalati e dei vecchi), la
soc.industriale invece è una unità numericamente ristretta, meno stabile, con funzioni +ridotte xkè
qste vengono soddisfatte dalla società e dal mercato.
La R.I. con i suoi ritmi accelerati ha sconvolto l’esistenza e le strutture di tutte le società umane
esistenti in solo otto generazioni ed oggi viene ad imporre nuovi problemi che gli uomini non sono
preparati a risolvere (aumento incontrollato della popolazione,bomba ad idrogeno, avvelenamento
dell’atmosfera e dell’ambiente naturale, esigenza di un’istruzione superiore di massa, presenza di
un numero crescente di anziani, sgretolamento dello Stato tradizionale, nuove possibilità x la
genetica e la biologia di influenzare la natura,ecc). In questo contesto le vecchie strutture sociali e
culturali cedono e devono essere prontamente sostituite.
CAP.3 LA LIBERTA’ DI COMMERCIO
di Bertrand Russell= premio Nobel nel 1950; in questo saggio affronta con originalità uno dei principali temi del
dibattito politico-economico ottocentesco: quello relativo alla libera concorrenza che, secondo R., non era ispirata solo a
motivi materiali ma anche etici xké essa, che fu accettata dai radicali inglesi e americani come il principale incentivo al
progresso, era dettata da considerazioni economiche ma aveva anche un’evidente connessione con il protestantesimo.
Con la legge elettorale del 1832, il Reform Bill, che rafforzò la borghesia industriale e indebolì
l’aristocrazia terriera, la classe media in Gran Bretagna incominciò a modificare le leggi x
accrescere la propria ricchezza. X il progresso del paese occorrevano 2tipi di legislazione: uno x
migliorare le condizioni di lavoro nelle fabbriche e nelle miniere, l’altro x abrogare le leggi che
intralciavano lo sviluppo dell’industrialismo. Solo quest’ultimo tipo concordava con gli interessi
degli industriali ma il suo punto +importante, l’abolizione del dazio sul grano, era contrario agli
interessi dei proprietari terrieri e quindi era avversato dalla maggior parte dell’aristocrazia. La
controversia tra industriali e proprietari terrieri ebbe fortuna xkè obbligò le 2parti a rivolgersi al
tribunale delle persone disinteressate e umanitarie. Gli industriali stavano creando moderni metodi
di produzione mentre i proprietari terrieri stavano soltanto incassando le loro rendite. Gli industriali
inglesi di quel tempo credevano che la concorrenza fosse la forza motrice del progresso ed erano
insofferenti a qualsiasi ostacolo, chiedevano l’abolizione dei dazi protettivi sulle merci che essi
stessi producevano, combattevano x il libero commercio del grano non solo x il proprio interesse
ma anche x quello del paese e del mondo. L’Inghilterra, continuando a produrre soltanto mezzi x il
suo sostentamento, comportava una minor ricchezza da dividere tra la popolazione e inoltre questa
toccava in forma maggiore ai proprietari terrieri, ciò era la conseguenza della legge di Ricardo,
secondo la quale la rendita di un terreno è la differenza tra la sua produzione e la produzione della
terra peggiore in coltivazione. Quindi il libero commercio avrebbe doppiamente beneficiato le
classi che non possedevano terra, vi sarebbe stata +ricchezza nel paese, i paesi dai quali la Gran
Bretagna comprava i generi alimentari si sarebbero arricchiti e si sarebbero placate le rivalità
internazionali favorendo la pace. (Industriali=libero commercio=bene pubblico).
Richard Cobden, il condottiero nella battaglia x la libertà di commercio, industriale cotoniero, era
convinto dei vantaggi economici del liberalismo x la sua classe, ma era anche un internazionalista
x il quale la libertà di commercio era un elemento di una causa +grande: la pace mondiale;
sosteneva il pacifismo xkè riteneva che le guerre e la loro preparazione sono economicamente
rovinose e l’internazionalismo xkè riteneva che il nazionalismo diminuisce la ricchezza del genere
umano; come molti riformisti, egli era ispirato dal buon senso: riteneva che le nazioni dovrebbero
cercare la ricchezza nazionale senza troppo riguardo x la gloria e l’ampliamento del territorio;
aveva un cuore tenero e un forte sentimento umanitario; era indifferente alle pessime condizioni
degli operai dell’industria ma la politica della libertà di commercio migliorò enormemente i loro
salari reali, egli riteneva che il libero commercio nei generi alimentari avrebbe migliorato le
condizioni sia dei datori di lavoro sia dei dipendenti dell’industria e l’esperienza dimostrò che
aveva ragione. Ai suoi tempi lo si considerava con disprezzo, come un uomo dall’animo volgare
xkè credeva che nulla fosse cs importante x un paese come la ricchezza materiale. Quando, insieme
a Bright, si oppose alla guerra di Crimea ognuno affermò che ciò mostrava che essi erano uomini
che non potevano sollevarsi al di sopra delle considerazioni di sterline, scellini e pence; anche
l’idealista e nazionalista Tennyson si oppose a C. scrivendo una serie di versi. Il contrasto tra il
buon senso economico e l’idealismo, che raggiunse l’apice nella guerra di Crimea, continuò e si
concluse con la vittoria degli idealisti che contestavano lo scopo politico propugnato da C. quale
quello della comune prosperità materiale. Durante le guerre napoleoniche, i metodisti e gli
evangelici (idealisti) dicevano ai poveri di concentrare tutte le loro speranze nel Cielo di lasciare
indisturbati ai ricchi i loro possedimenti su qsta terra. Quando Palmerston, il +ardito degli
interventisti, diventò l’idolo della classe media, C. perse il suo seggio x essersi opposto alla guerra
di Crimea. C.si illuse che il commercio poteva favorire la pace ma ciò non si verificò x una serie di
motivi che sono tra le ragioni principali del suo fallimento: quando 2paesi non possono comprare
l’uno dall’altro quello che producono, il commercio è benefico x entrambi e si osservano quegli
effetti che C.sperava, cioè l’amicizia tra le nazioni; ai suoi tempi il commercio era di questo tipo.
Ma quando un paese vende a un altro merci che l’altro è capace di produrre da sé, il risentimento
dei concorrenti diventa +forte della soddisfazione dei clienti e l’amicizia si trasforma in ostilità.
Negli anni precedenti la grande guerra, quando x la Legge sulle marche di fabbrica, tutte le merci
straniere vendute nel Regno Unito dovevano essere contrassegnate con il nome del paese di
origine, la continua vista delle parole “Made in Germany” fece credere al popolo che l’Inghilterra
stesse perdendo la sua potenza commerciale a causa della concorrenza tedesca, qsta credenza
suscitò il sentimento bellicoso. L’intensificarsi del commercio portò l’intensificarsi delle ostilità
nazionali, l’opposto di ciò che C.si aspettava e qsto fu uno dei suoi +gravi errori di psicologia
politica.
C. era contrario all’aristocrazia, xkè rappresentava dei privilegi senza cervello, e alla classe
operaia, xkè mancava di istruzione. Ammirava l’America xkè non ostacolata dall’influenza e dalla
tradizione aristocratica. Come motto del suo primo opuscolo scelse il detto di Washington: <la
grande regola di condotta x noi, rispetto alle nazioni straniere, è che, nello sviluppare le nostre
relazioni commerciali, si abbiano con esse quanto meno rapporti politici sia possibile>.
A differenza dei politici del suo tempo, C. riteneva che la fonte della potenza nazionale fosse
l’industria e non gli armamenti e x qsto considerava +importante la pacifica America della Russia
belligerante. C.considerava l’imperialismo come una follia ed analizzò la situazione dell’India sulla
quale mirava l’Inghilterra, ma se qst’ultima si fosse assunta il compito di governarla avrebbe
fallito, inoltre l’India stessa preferiva essere governata male ma dai suoi membri e non da intrusi di
passaggio.
Oggi C.è criticato da 2visuali opposte: dai nazionalisti, x il cosmopolitismo che ispirava i suoi
entusiasmi x il liberalismo; dai socialisti, x la sua avversione al tradunionismo e alle “Leggi sulle
fabbriche”. Egli desiderava migliorare le condizioni delle classi operaie e ci riuscì, infatti, quando
il libero commercio fu adottato, i salari reali aumentarono. L’apertura del Middle West determinò
un nuovo miglioramento dei salari reali. Lord Shaftesbury riuscì a far adottare importanti Leggi
sulle fabbriche, sotto quanto punto di vista ebbe maggior influenza di C anche se fu meno incisivo.
C.era contrario a tutte le restrizioni alla libera concorrenza tra i salariati, era favorevole alla
limitazione delle ore di lavoro dei fanciulli ma contrario alla Legge delle dieci ore (ore di lavoro
dei fanciulli). La limitazione delle ore di lavoro degli adulti gli sembrava discutibile e propose che
ogni lavoratore mettesse da parte 20sterline del suo salario x poter emigrare in America; sostenne
che gli inglesi dovevano alleviare la povertà dei contadini irlandesi ma non considerò mai il fatto
che qsto argomento valeva anche x le condizioni degli industriali in Inghilterra.
C.era ostile ad ogni attività industriale dello Stato, tranne quando fosse assolutamente
indispensabile e sostenne che al governo non dovrebbe essere permesso di fabbricare da sé nessuna
merce che possa essere ottenuta dai produttori privati in un mercato di concorrenza.
La politica generale del governo fu favorevole al libero commercio fino al 1914, nonostante una
campagna protezionista dell’80 e un’altra del 1903 di Chamberlain. Durante la prima parte del
periodo liberista, ogni classe inglese fece rapidi progressi, non solo grazie alla libertà di commercio
ma anche alla supremazia industriale inglese e alla costruzione di ferrovie transcontinentali in
America.
In Francia vi furono maggiori complicazioni: Napoleone III fu indotto da C. ad avviare un
commercio +libero con l’Inghilterra con il trattato commerciale del 1860 che abolì i precedenti
divieti d’importazione di una serie di prodotti e ridusse del 30% i dazi francesi su quasi tutte le
importazioni dall’Inghilterra. L’unica classe francese che abbia aderito volentieri al libero
commercio fu quella dei viticultori xkè contavano sulle esportazioni, ma quando i loro affari
furono rovinati dalla filossera, capirono che una tariffa protettiva li avrebbe messi in condizione di
combatterla. Da quel momento in Francia non vi furono +liberisti.
In Germania la libertà di commercio fu dovuta soprattutto all’istituzione dello Zollverein (unione
doganale) che, grazie specialmente alla Prussica, finì col comprendere tutta la Germania del Nord e
dopo l’intero nuovo Impero, tranne Amburgo e Brema. Nella sua formazione una parte imp.ebbe la
teoria liberista, introdotta tra i tedeschi da Lorenz Stein, inoltre il potere politico era soprattutto
nelle mani dei magnati terrieri x cui gli industriali la pensavano come gli industriali inglesi. Quindi
la Germania liberale e borghese era tutta favorevole alla libertà di commercio fino a quando, nel
1879, Bismarck indusse la Germania ad abbandonare la politica liberista.
In America, una parte della teoria liberista diC. era stata applicata al Nord e l’altra al Sud. Il Sud si
fondava sulla schiavitù dei negri mentre il Nord aveva la democrazia e il lavoro libero e durante la
guerra civile, con l’aiuto di una tariffa di guerra, l’industria del Nord cominciò a diventare +imp e
da qsto momento in poi l’America fu sempre protezionistica.
In Spagna, in Italia e in Germania C.ebbe una popolarità clamorosa. La grande fortuna del
liberalismo verso la metà del 19°sec fu dovuta a C. ma la dottrina era stata proclamata pienamente
già fin dal 1776 da Adam Smith e poi sommersa dalle guerre napoleoniche. S.si basava sul
principio della divisione del lavoro: se A è bravo a fabbricare automobili e B a produrre vino, è
vantaggioso x entrambi che ciascuno si limiti alla sua specialità e scambi con l’altro la sua
produzione.
L’economista tedesco List fornì x primo una difesa teorica del protezionismo secondo l’argomento
famoso delle “industrie infanti”: la protezione, una volta concessa, non può essere ritirata neanche
quando l’infante è diventato adulto. Un argomento +influente sui governi è che una nazione
dovrebbe produrre tutto quello di cui ha bisogno in tempo di guerra, qst’affermazione fa parte della
dottrina del nazionalismo economico che alla fine si mostrò +forte della visione commerciale di C..
A questa dottrina erano avversi gli uomini della scuola di Manchester che si basavano sul principio
della libera concorrenza: la concorrenza tende a sfociare nella vittoria di uno solo; c’è la tendenza a
sostituire la concorrenza fra individui con quella tra i gruppi xkè un certo numero di individui può
accrescere, coalizzandosi, le sue probabilità di vittori. Di qsto principio ci sono 2imp.esempi: il
tradunionismo ed il nazionalismo economico. C. era contrario alle Trade Unions (organizzazioni di
lavoratori, sindacati nella Gran Bretagna e negli Stati Uniti) ma essi erano una conseguenza
inevitabile della lotta tra datori di lavoro e lavoratori x la porzione della produzione totale che
ciascuno tende ad assicurarsi. Era contrario anche al nazionalismo economico ma qsto nacque tra
capitalisti x motivi simili a quelli che provocarono il tradunionismo tra i lavoratori.
C non comprese le leggi dell’evoluzione industriale e la conseguenza di ciò è che le sue dottrine
ebbero un valore solo temporaneo.
II PARTE
CAP2 LA GRANDE CRISI DEL CAPITALISMO
di Rondo Cameron= storico ed economista. In qst’articolo sostiene la tesi che la grande depressione degli anni 30 e
la conseguente crisi del capitalismo non furono il risultato del processo di sviluppo capitalistico ma di interferenze non
economiche, estranee a qsto processo. La +imp.di qste interferenze esterne fu la prima guerra mondiale che distrusse il
delicato meccanismo dell’integrazione economica internazionale che si era sviluppato nel precedente mezzo secolo.
n.b. in qst capitolo il termine “capitalismo” viene utilizzato x riferirsi all’evoluzione di quel tipo di sistema economico che,
dopo secoli di sviluppo, raggiunse il suo apice nelle nazioni in via di sviluppo industriale del 19°sec. e continuò a
caratterizzare le nazioni industriali progredite del 20°sec.. Fra le sue principali caratteristiche bisogna ricordare: il suo
appoggio ai mercati liberi x il collocamento delle risorse e la distribuzione del reddito, alla proprietà privata dei mezzi di
produzione e all’iniziativa e all’impresa privata come forze basilari del processo produttivo.
La Grande Depressione del 1929-33 suscitò in molti statisti e studiosi di scienze sociali gravi dubbi
sul futuro funzionamento del capitalismo come sistema economico. Molti marxisti videro nella
depressione la conferma della previsione di Marx del crollo del sistema capitalistico. Dopo la II
guerra mondiale, l’assoggettamento dell’Europa orientale ai governi fedeli all’Unione sovietica,
l’elezione di governi socialisti nell’Europa occidentale e la rivoluzione comunista cinese
sembravano preannunciare la fine del capitalismo. Molti avvenimenti degli ultimi venti anni hanno
modificato le previsioni degli anni 30 circa la fine del capitalismo e fanno notare come il
capitalismo di oggi sia diverso da quello del passato: la ripresa dell’Europa occidentale dalle
devastazioni della IIguerra mondiale, il suo continuo appoggiarsi alle forze di mercato, alla
proprietà privata e all’iniziativa individuale, la rinnovata vitalità economica degli Stati Uniti.
La G.D. non fu il prodotto inevitabile del processo di sviluppo capitalistico, né il segno della fine
definitiva dell’economia capitalistica ma fu un incidente storico e le origini di tale crisi non furono
tanto economiche quanto politiche. Le date significative non sono il 1929-33 ma il 1914(I guerra
mondiale) e 1945(IIg.m.).
X comprendere la natura della crisi del capitalismo bisogna far riferimento alle principali
caratteristiche prebelliche(pre-1914) dell’economia mondiale agli inizi del 20°sec.:
- la +imp. fu la relativa libertà accordata agli individui di dedicarsi ad attività economiche: sia a
livello nazionale che internazionale, il ruolo del governo nell’economia si ridusse al minimo xkè i
prezzi delle merci e dei servizi produttivi (come lavoro e capitale) non furono fissati dalla volontà
del governo ma dalla domanda e dall’offerta (mercati). Aumentò rapidamente, con l’emigrazione e
gli investimenti esteri, il movimento internazionale delle persone e dei capitali. La conseguenza di
ciò fu il crescere dei redditi pro-capite ed una +equa distribuzione del reddito fra le nazioni
industriali. Questa relativa libertà negli affari economici fu applicata alle singole economie e a
quelle alle internazionali e ciò fece si che ciascuna nazione tendeva a specializzarsi nella
produzione di merci x le quali era +portata. Qsta divisione internazionale del lavoro fu vantaggiosa
sia x i paesi produttori di beni primari che x quelli altamente industrializzati dell’Europa
occidentale, infatti gli Stati Uniti, il Giappone e la Germania si trasformarono da paesi
prevalentemente produttori di beni primari in paesi esportatori di prodotti industriali e l’argentina,
produttore di beni primari, raggiunse un livello pro-capite di reddito +elevato di quello di molti
paesi dell’Europa occidentale.
- un’altra caratteristica fu una generale adesione al “gold standard”: Il "gold standard" è il sistema
monetario in cui l'oro svolge le funzioni di equivalente generale e viene usato in modo diffuso
come moneta corrente. Con questo sistema le monete nazionali erano convertibili in oro. La
coniazione era libera e l’oro, sia in forma di moneta o di oro grezzo, poteva essere liberamente
importato ed esportato. Il tasso di cambio fra le monete di diversi paesi si manteneva stabile, in
quanto poteva variare solo entro una parità fissa che, oltre alla stabilità dei cambi, assicurava
l’equilibrio degli scambi internazionali. Nel periodo postbellico lo standard monetario è stato
definito come uno standard di sterlina x l’importanza della sterlina nel commercio internazionale e
x la posizione di Londra come banchiere ed assicuratore del mondo.
Dietro a qsti fenomeni favorevoli allo sviluppo e al benessere economico c’erano xò 3fattori di
crisi che posero le basi x l’ultima grande crisi dell’economia capitalistica:
1) il ritorno alla protezione tariffaria: la depressione del 1873, con la crescente concorrenza
internazionale nel campo delle esportazioni sia dei prodotti agricoli che industriali, portò a
pressioni politiche ed economiche all’interno della maggior parte degli Stati x una maggiore
protezione legislativa dell’agricoltura e dell’industria locale; cs cominciò il ritorno alla
protezione che caratterizzò la storia della politica commerciale fino all Iguerra mondiale.
2) il risveglio dell’imperialismo occidentale: fu quasi simultaneo con il ritorno alla protezione, le
cause furono +politiche e psicologiche che economiche. Esso debilitò i paesi capitalistici e
soffocò lo sviluppo dei loro territori coloniali xkè il costo della conquista di tali territori superò
di molto il guadagno. Le tensioni politiche determinate dalla lotta x l’impero condussero alla
guerra fra le potenze imperiali, minacciando l’esistenza stessa del capitalismo.
3) il sorgere del nazionalismo sciovinistico(un atteggiamento politico ispirato dal patriottismo
intransigente) lo scopo delle alleanze europee fu quello di prevenire la guerra e qst sistema di
alleanze divenne opposto al capitalismo che si sviluppava meglio in un ordine internazionale e
non solamente nazionale.
La prima manifestazione della grande crisi del capitalismo fu un evento non economico bensì
politico, quale lo scoppio della prima guerra mondiale: il dissesto economico e lo sconvolgimento
sociale provocati dalla guerra furono così gravi da rendere assai problematica la ripresa dei sistemi
che erano in vigore nel 1914. Danni diretti al meccanismo economico quali milioni di perdite di
vite umane, distruzioni di case, attrezzature industriali, mezzi di comunicazione, impoverimento
dell’agricoltura e dell’industria; danni indiretti, che diversamente da quelli diretti continuarono nel
periodo postbellico, come l’ imposizione di controlli governativi su prezzi, produzione e lavoro che
mise in crisi le normali relazioni economiche.
La conclusione della pace, sottolineò ulteriormente le difficoltà della ripresa e del
risanamento economico. Dai trattati di pace scaturirono due fondamentali categorie di
difficoltà: da una parte la crescita del nazionalismo economico e dall’altra vari disordini
monetari e finanziari: in Europa, nel periodo antecedente alla guerra, l’Impero Austro-Ungarico
svolgeva un’importante funzione sia politica che economica, infatti esso racchiudeva in sé diverse
aree industriali, dalle quali traeva benefici. Quando l’Impero crollò, le regioni che ne emersero
avevano forti basi economiche ed erano desiderose di ottenere una loro autosufficienza,
affermando la loro nazionalità nella sfera economica. Anche in Russia si alimentò una forte spinta
nazionalista sul fronte economico, anche se in maniera differente; qui, infatti, erano i governanti
che decidevano ciò che era strategicamente ed economicamente conveniente. In Occidente, i paesi
che erano soliti dipendere dal commercio internazionale ricorsero a delle restrizioni per diminuire
al massimo le importazioni e al tempo stesso attuarono diverse manovre come la concessione di
sussidi all’esportazione e la fissazione dei cambi esteri delle loro monete a tassi molto bassi per
cercare di stimolare le esportazioni. Ad alimentare ancora di più questa situazione di forte
squilibrio ci furono anche grandi disordini monetari e finanziari rappresentati principalmente dal
cosi detto "PASTICCIO DELLE RIPARAZIONI" ( le riparazioni rappresentano il principio che fa
obbligo al nemico vinto in guerra di pagare un’indennità in denaro o in natura come riparazione per
i danni subiti ). Questo pagamento fu stabilito nel "Trattato di Versailles" nell’art. 232 dove gli
alleati imposero alla Germania un debito molto alto, al tempo stesso gli Stati Uniti esigevano la
restituzione di 10 mld, prestati agli alleati durante il periodo bellico. Per qualche tempo la
Germania tentò di uniformarsi ai trattati, ma alla fine del 1922 annunciò la sospensione dei
pagamenti. In tutta risposta Belgi e Francesi, con l’opposizione Anglo-Americana, occuparono la
Ruhr. Il governo tedesco rispose in maniera passiva inducendo anche uno stato di iperinflazione.
Nel 1924 per ovviare a questa situazione, fu istituito un Comitato guidato dal Generale Dawes che
restituì la Ruhr alla Germania e le concesse un grosso prestito, che permise alla nazione tedesca di
riprendere il pagamento del proprio debito. Per cinque anni, dal 1924 al 1929, sembrò che la
normalità fosse ritornata, tuttavia, questo periodo di serenità poggiava su basi tutt’altro che solide,
infatti, gli equilibri creatisi erano molto fragili. La Germania e la Francia, e in particolare gli Stati
Uniti, attraversarono un periodo di forte prosperità. Ciò dipese dal fatto che, proprio in quegli anni,
ci fu un forte afflusso di capitali dagli Stati Uniti alla Germania, che con questi fondi, fu in grado di
pagare i propri debiti alla Francia e alla Gran Bretagna, che in questo modo potevano rimborsare i
loro debiti di guerra agli U.S.A. Nell’estate del 1928 le banche e gli investitori americani
cominciarono a ridurre i loro acquisti di titoli tedeschi e a investire i loro fondi nella borsa di New
York e di conseguenza iniziò una loro forte ascesa. Il 24 ottobre del ’29 un’ondata di panico fece
precipitare tutte le quotazioni dei titoli e per far fronte alle necessità interne, le banche americane
riportarono in patria i soldi investiti in Europa. Nel 1931 la Gran Bretagna e dei paesi che avevano
con essa intensi scambi commerciali, furono costretti ad abbandonare il “gold standard”. Quando
poi il presidente Roosevelt decise di sospendere x 4giorni ogni attività bancaria come misura di
emergenza, anche gli Stati Uniti furono costretti ad abbandonare il “gold standard” e cs il caos
monetario internazionale fu completo.
In termini di produzione, prezzi e reddito nazionale la depressione raggiunse in molti paesi il punto
di minimo alla fine del 1932 o agli inizi del 1933, ma la disoccupazione rimase alta e i redditi procapite al di sotto fino a dopo lo scoppio della IIguerra mondiale. Con la crisi della cooperazione
internazionale, le nazioni cercarono di promuovere la propria ripresa economica anche a danno
delle altre. La Germania, l’Italia e la Russia adottarono l’autarchia o l’autosufficienza completa e le
+grandi nazioni imperialistiche, soprattutto la Francia e la Gran Bretagna, rafforzarono i legami
economici con le loro colonie.
La II Guerra Mondiale fu più massiccia e distruttiva di tutte le guerre della storia: fu una
Guerra Globale xkè coinvolse direttamente o indirettamente le popolazioni di ogni continente. Solo
in Europa morirono quasi 25 milioni di persone. Popolazioni intere furono sradicate e trasferite
prima dalle politiche della Germania nazista, poi dall’impero degli eserciti in guerra e dalla fuga
degli esuli. I confini politici furono cancellati dalle battaglie e regimi provvisori si sostituirono alle
normali autorità politiche. Alla fine della guerra l’economia dell’Europa occidentale era sconvolta.
La produzione industriale e quella agricola subirono cali catastrofici. La circolazione delle monete
di tutti i paesi crebbe provocando un aumento irregolare dei prezzi. I controlli diretti sui prezzi
portarono all’evasione e ai mercati neri accrescendo la scarsezza delle merci. Nel 1947 il segretario
di Stato americano, Marshall, propose che tutte le nazioni europee, inclusa l’Unione Sovietica, si
unissero in un programma comune di ricostruzione con l’assistenza degli Stati Uniti. L’Unione
Sovietica rifiutò immediatamente l’offerta americana denunciandola come una trappola e
trascinando nella sua scia i paesi dell’Europa dell’Est. La maggior parte delle nazioni exbelligeranti dell’Europa occidentale e centrale costituì l’O.E.C.E.(Organizzazione europea x la
cooperazione economica) con sede a Parigi, che doveva far funzionare il Piano Marshall, assicurare
una ripartizione equa ed efficace dell’aiuto, preparare le economie europee ad un’espansione della
produzione e degli scambi e far migliorare i rapporti fra gli stati beneficiari. Dalla fine del ’48 alla
fine del ’50 il volume della produzione delle nazioni appartenenti all’ O.E.C.E. registrò un
incremento del 25% .
Un altro fattore importante nella ripresa dell’Europa occidentale fu il trattamento della Germania
da parte degli Alleati : infatti essi aiutarono la riabilitazione politica ed economica della Germania
Occidentale esercitando una stretta supervisione ed un assiduo controllo. La Germania, a sua volta,
ha contribuito alla rinascita economica dell’Europa Occidentale. Il periodo compreso tra gli anni
50 e 60 fu un periodo di eccezionale sviluppo per l’Europa Occidentale, gli scambi commerciali tra
l’Europa e il resto del mondo si espansero rapidamente, e crebbero più in fretta della produzione.
Questo sviluppo così rapido e inatteso venne chiamato " MIRACOLO ECONOMICO": questa
espressione dapprima venne usata con riferimento alla Germania Occidentale, ma poi ci si rese
conto che la si doveva applicare all’Europa Occidentale in genere, e in particolare a Francia ed
Italia. A qsto fenomeno vi contribuirono molti fattori: l’aiuto americano che svolse un ruolo
determinante nell’avvio della ripresa economica ma gli europei la sostennero con alti livelli di
risparmio e di investimento, molto importanti furono gli investimenti destinati all’acquisto di
attrezzature per prodotti nuovi e nuovi processi di produzione, contribuì anche l’innovazione
tecnologica, la ricchezza del capitale umano, l’atteggiamento ed il ruolo dei governi che
intervenivano sia direttamente che indirettamente nella vita economica del paese in modo più
incisivo rispetto a prima, ma allo stesso tempo lasciarono ampio spazio all’iniziativa privata e al
libero mercato. A livello internazionale, la gestione dell’economia fu caratterizzata dalla
cooperazione e dalla concorrenza economica internazionale. Fu creato il G.A.T.T. (General
Agreement on Tariffs and Trade ) era un’organizzazione che operava a livello mondiale e aveva lo
scopo di ridurre le tariffe doganali ed altre barriere commerciali, ed aumentare gli scambi
commerciali. Un’altra forma di cooperazione fu l’unione doganale del BENELUX operante nel
1948, che permise il libero movimento delle merci in Belgio, Olanda e Lussemburgo e la creazione
di una tariffa comune verso gli altri paesi. Nel 1950 il Ministro degli Esteri francese Robert
Schumann propose l’intergazione delle industrie del carbone e dell’acciaio della Francia e della
Germania occidentale e la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (C.E.C.A.) che ne derivò
gettò le basi del trattato M.E.C. (Mercato Comune Europeo) che prevedeva la graduale
eliminazione dei dazi sull’importazione, limitazioni quantitative agli scambi tra i paesi membri e la
creazione di una tariffa comune esterna.
Tutte queste organizzazioni ebbero un ruolo fondamentale perché impedirono il ritorno all’anarchia
internazionale, e dimostrarono che il capitalismo con la sua capacità di elevare il tenore di vita
degli individui e il benessere economico della società, in realtà, non stava per finire.
Tutte queste esperienze che si sono verificate in Europa dopo la II Guerra Mondiale, che vanno
dalla cooperazione internazionale, all’uso di efficienti politiche fiscali e monetarie, ai liberi mercati
e all’iniziativa privata dovrebbero essere preziose sia per i paesi industrializzati e, soprattutto, per
quelli in via di sviluppo.
In questi ultimi paesi c’è una certa diffidenza verso il capitalismo; questa deriva dall’esperienza
fatta fra le due Guerre quando il capitalismo non funzionò normalmente. Spesso, i paesi in via di
sviluppo cercano di correggere gli errori delle istituzioni capitalistiche, ma poi finiscono con
l’adottare proprio quei metodi che fra le due Guerre hanno provocato ristagno economico, quindi
adottano i metodi sbagliati. Essi, allora, hanno dimostrato di fraintendere la storia e di imitare le
peggiori politiche del passato.
CAP.4 LA GUERRA COME SCELTA POLITICA
di Alan Milward= in qsto saggio, studiando il fenomeno della guerra ed in particolare della seconda guerra mondiale,
ha notato come questa abbia portato dei profondi turbamenti all'assetto economico internazionale. Per M. il conflitto fu la
"scelta politica" dei paesi economicamente avanzati come Giappone e Germania o anche imperialisti come l'Italia che hanno
visto nella guerra lo strumento ideale x conoscere vantaggi economici, nel breve e nel lungo periodo. In effetti il nazismo il
fascismo rifiutavano il positivismo , l’ individualismo, le idee dell’ illuminismo del settecento e sostituivano questi valori con
la validità di un’ azione guidata da istinti comuni , e la guerra viene considerata come lo strumento che spazza via tutti gli
ostacoli che impediscono la costruzione di una nuova società.
M.inizia la sua riflessione specificando che ci sono 2idee relative alla guerra, comunemente
accettate, ma che trovano scarso fondamento nella storia:
1) la guerra è uno stato di anormalità (idea affermatasi nel 18°sec. quando la teoria del diritto
naturale fu analizzata per dimostrare che la pace discendeva dalla deduzione logica delle leggi
materiali per il funzionamento dell’universo o in altri casi dalle leggi psicologiche che regolavano
il comportamento umano);
2) la guerra, col passare del tempo, è divenuta +costosa in termini economici e di vite umane (idea
affermatasi verso la fine del 19°sec. come rafforzamento della prima, visto che in quel periodo
l’idea di guerra come "stato di anormalità" poteva sembrare indebolita per la testimonianza dei fatti
accaduti).
Qste idee non sono mai state completamente accolte dagli economisti ma hanno influenzato
enormemente l’analisi economica tanto che gli sforzi teorici si sono concentrati soprattutto sul
funzionamento dell’economia soltanto in tempo di pace xkè essa è stata considerata come la
condizione +favorevole al raggiungimento degli obiettivi economici e, all’inizio del 19°sec, è stata
addirittura considerata come il fine a cui la teoria economica deve tendere.
Questa forte frequenza della guerra costituisce il miglior argomento per rifiutare la prima idea data
alla guerra ossia il suo stato di anormalità mentre quando analizziamo la seconda idea di guerra,
molto spesso si parla di una errata semplificazione della storia .La guerra in sé alla fine del 19°sec.
comportò un importante stimolo allo sviluppo tecnologico in molti settori industriali come quello
delle costruzioni navali ,della produzione dell’ acciaio, delle macchine utensili. La costruzione di
armamenti complessi ,cmq, poteva essere realizzata solo da paesi con un livello di sviluppo
economico elevato, ecco perché incominciò a cambiare l’idea che la guerra potesse dare vantaggi
economici positivi a tutti i paesi. In effetti l’aumento delle capacità produttive che lo sviluppo
economico aveva portato ai paesi avanzati provocò l’aumento delle conseguenze della guerra sia in
termini economici che di mortalità su una scala prima impossibile da concepire. In questo modo
l’idea della guerra come strumento economico sarebbe scomparsa.
Queste idee furono sintetizzate dall’economista De Molinari che cercò di spiegare e unire la guerra
con la teoria economica classica .De Molinari verificò che i costi della guerra nell’ arco di alcuni
secoli era cresciuti progressivamente deducendo che la guerra costa al paese vincente più di quanto
le possa fruttare. Però dopo tali affermazioni seguirono i due conflitti mondiali che costarono più
delle guerra precedente. La guerra veniva considerata come uno strumento politico frutto di scelte
di investimento fatti dai vari governi .
Le origini della II guerra mondiale nascono dalla decisione di 2 paesi economicamente avanzati
che videro in essa la migliore soluzione, infatti il governo tedesco e quello giapponese erano
convinti che il conflitto avrebbe potuto portare loro enormi guadagni economici, infatti pensare che
la guerra venisse utilizzata solo in caso di necessità, come fecero gli altri Paesi, fece capire alle
potenze del Giappone e della Germania come si sarebbero potuti ottenere benefici economici e
sociali a breve scadenza grazie ad una condotta vittoriosa della guerra. Il governo italiano aveva
fatto già una scelta simile quando aveva attaccato l’Etiopia. Governo nazionalsocialista in
Germania e partito nazionale fascista in Italia possono essere accomunati sotto il termine “fascisti”
x la similitudine delle loro vedute politiche, delle concezioni di purezza razziale e dal rifiuto delle
idee dell’illuminismo settecentesco x cui, sia Hitler che Mussolini, vedevano la guerra come lo
strumento x sanare il trauma che l’illuminismo aveva provocato nella società umana e x riportare
l’umanità stessa al suo stato originale. Lo stesso Mussolini scrisse che <il fascismo +osserva gli
sviluppi futuri dell’umanità, lasciando da parte le considerazioni politiche del momento, meno
crede alla possibilità e all’utilità della pace perpetua, soltanto la guerra porta le energie umane alla
massima tensione e imprime un marchio di nobiltà sui popoli che hanno il coraggio di affrontarla>.
Hitler parlò della guerra come di uno strumento per la rigenerazione del popolo tedesco, un mezzo
per eliminare lo spirito egoistico di autoaffermazione, il fondamento dell'esistenza e' rappresentato
dalla lotta dei forti e perciò la guerra costituisce un aspetto ineluttabile e necessario della
condizione umana. Ciò che rese, purtroppo, le idee fasciste e naziste particolarmente pericolose fu
il modo nel quale vennero sviluppate, difatti si arrivò addirittura al tragico sterminio degli ebrei
considerati una razza inferiore rispetto a quella tedesca: tant'é che vennero eliminate milioni di vite
umane nei campi di concentramento e nei forni crematori.
La civiltà europea aveva subito un trauma in seguito all’ affermazione dell’idee dell’ illuminismo,
ciò poteva essere superato mediante un processo di rigenerazione spirituale avviato da una
minoranza incorrotta che aveva anche il carattere di un elite razziale. La rigenerazione tedesca
richiedeva un grande ampliamento dello spazio territoriale il cui obiettivo finale avrebbe dovuto
essere la conquista dell’ Ucraina. Tale scelta fu dettata da considerazioni di carattere economico .Il
programma di riarmo aveva fatto si che, dopo il 1933, la Germania adottasse una politica
economica diversa da quella degli altri paesi europei con un elevato livello di spesa pubblica e
un’ampia gamma di controlli economici. Le idee politiche del nazionalsocialismo seguirono un
ordine economico autarchico, opposto a quello liberale internazionale, con una politica di
espansione territoriale. I cambiamenti dell’ economia dopo il 1933 seguono queste linee: a)
disponibilità ad affrontare la guerra in vista di profitti, e non tanto x la rigenerazione di civiltà;
b)realizzare un completo dominio imperialistico sulle altre economie(economia dei grandi spazi).
Gli economisti nazionalsocialisti sostennero che l’epoca dello Stato nazionale, frutto del
liberalismo, aveva fatto il suo tempo e doveva lasciare il posto ai grandi spazi come unità
geografiche ed economiche che dovevano offrire un ampio mercato in una fase di caduta della
domanda e avrebbero essi stessi soddisfatto tale domanda con le proprie risorse e produzioni. Si
sentì il bisogno di riconsiderare la geografia mondiale secondo grandi spazi economici naturali.
Stati Uniti e Unione Sovietica rappresentavano da soli due di questi spazi. Hitler voleva grandi
spazi x la Germania. Esisteva una stretta correlazione fra l’economia dei grandi spazi e l' idea
razziale, infatti i grandi spazi erano considerati unita' razziali. Cio' comportava uno sviluppo dell'
economia centrale dell'Europa per la superiorità razziale dei suoi abitanti: gli Ariani;la periferia
sarebbe rimasta soltanto una semplice fornitrice di materie prime per l' incapacità dei suoi abitanti
a svolgere attività economiche più complesse.
X un certo periodo sembrava che la Germania fosse in grado di creare la propria economia dei
grandi spazi e di dominare gli scambi economici internazionali con mezzi pacifici; dopo il 1933
venne firmata una serie di accordi commerciali tra la Germania e i paesi sottosviluppati
dell’Europa sud-orientale con i quali la Germania poté ottenere condizioni + favorevoli di qualle
che poteva ottenere con le economie europee +avanzate. Il commercio russo-tedesco invece
divenne insignificante e, senza la Russia, l’Europa sud-orientale poteva solo in minima parte
contribuire all’emancipazione tedesca, cs la Germania entrò in guerra con l’Unone Sovietica. Lo
studioso Eichholtz ha notare come col crescere del suo potenziale economico il movimento fascista
tedesco aumentava anche la forza e l’aggressività necessarie all’espansione; con il fascismo è stata
creata una forma di capitalismo monopolistico di Stato al potere che aspirava al superamento della
crisi del capitalismo x mezzo del terrore all’interno e di una spartizione del mondo all’esterno. X
trarre profitto da ciò, le maggiori industrie tedesche appoggiarono il partito nazionalsocialista in
molti dei suoi obiettivi economici, ma tale appoggio provenne anche dai settori della popolazione e
soprattutto dai settori di classe media di reddito +basso come gli impiegati, gli artigiani, i
negozianti ai quali si aggiunsero contadini e protestanti. Per quanto riguarda i progressi relativi
all'Italia si può dire che ci furono vari tentativi economici e sociali che cercarono di avvicinare la
teoria dei grandi spazi, ma a causa della forte espansione dell' economia tedesca questi tentativi
fallirono. Se il governo italiano guardò alla guerra come un desiderabile strumento di azione
politica, certo non considerò la possibilità di una dura e prolungata guerra europea e non fece per
essa nessun preparativo adeguato a differenza della Germania. Infine per il Giappone la scelta a
favore della guerra si basò sulle stesse aspettative economiche di Germania e Italia. Nonostante la
mancanza di implicazioni razziali e sociali di carattere radicale si era convinti che una guerra
strategicamente ben impostata avrebbe rafforzato l' economia giapponese e avrebbe liberato il
Paese dalla forza oppressiva degli Stati Uniti. Il Giappone basò la sua economia sulla Sfera di CoProsperità, questo schema prevedeva una struttura interna di scambi simile a quella dei grandi spazi
e di un nucleo manifatturiero rifornito da una periferia di produttori di materie prime che
esportavano i loro prodotti in Giappone:riso dalla Corea,stagni e gomme dalla Malesia,ecc. Di
fronte ad un atteggiamento cs favorevole alla guerra da parte di Germania e Giappone, gli altri
Paesi si dimostrarono alquanto riluttanti: in particolar modo U.S.A. e U.R.S.S. Le differenze di
atteggiamento verso la guerra da un punto di vista economico contribuirono a dare forma ai piani
strategici di conduzione delle operazioni di ogni potenza belligerante e ciò mostra la varietà e
complessità con cui la guerra può presentarsi sotto il profilo economico.
CAP.5 L’ASCESA DEL FASCISMO
di Federico Chabod= ha dato grandi contributi agli studi storici con le sue ricerche sulle signorie italiane del 300,
interessandosi al Rinascimento, alla Controriforma, al Risorgimento. Fu allievo di Croce. Il tema centrale di qsto brano è il
fascismo che C, come Croce, considerava come “una malattia morale”. Egli sottolinea come il profondo sconvolgimento che
la guerra produsse nella vita italiana, offendendo tutti i sentimenti, la crisi sociale, le paure provocate dai disordini nelle
campagne e dagli scioperi, il timore della rivoluzione condussero alla formazione di un “blocco di interessi” su cui fece leva il
fascismo. Come sostiene Valiani, C.ricostruisce la storia del regime fascista con imparzialità senza tuttavia nascondere le sue
convinzioni antifasciste.
Il Fascismo fu fondato a Milano il 23 marzo 1919 da Mussolini e divenne una forza politica di
primo piano solo alla fine del 1920. Inizialmente non fu un partito ma un semplice movimento
politico, come reazione e conseguenza della grave crisi politica ed economica seguita alla prima
guerra mondiale.
Nell’articolo sul fascismo dell’“Enciclopedia italiana” Mussolini stesso scrisse che la sua era la
dottrina dell’azione, il fascismo nacque da un bisogno di azione e fu azione. Dal 1912 al 1914
Mussolini fu molto influente nel partito socialista e direttore del giornale l’”Avanti!” ma fu espulso
dopo aver pubblicato il giornale “Il Popolo d’Italia” schierato su posizioni favorevoli all’entrata in
guerra dell’Italia contro l’Austria e la Germania. In Mussolini si avverte la marcata influenza della
dottrina della violenza di Georges Sorel; in lui c’era sempre un bisogno di agire, cioè il desiderio di
aprirsi una strada personale; la sua forza consisteva soprattutto nella capacità oratoria che scuoteva
le folle con toni sempre polemici e violenti. Accanto a lui si trovavano gruppi di ex combattenti
spinti da un desiderio di rivolta contro tutto ciò che umiliava la patria, uomini spinti da desiderio di
azione e di avventura e i c.d. “ras” del fascismo, cioè i capi che hanno saputo crearsi una forza
personale influenzando le decisioni del partito (Farinacci a Cremona, Balbo a Ferrara, ecc), dietro
di loro c’erano le “squadre d’azione” o “professionisti della violenza” che partecipavano alle
spedizioni punitive contro i socialisti. Il primo scontro tra fascisti e socialisti si verificò a Milano,
nel 1919: la maggior parte erano studenti del Politecnico di Milano, ex combattenti che
devastarono la sede del giornale socialista l’”Avanti!”. Una delle roccaforti del fascismo fu la
campagna fra Bologna e Ferrara, dove vivevano capi come Balbo, che darà al fascismo
un’organizzazione militare, e Grandi, che valuterà l’importanza dei problemi sindacali. Uno dei
primi progressi sociali del fascismo riguarda l’aumento dei salari imposto dai sindacati ai
proprietari che migliorò le condizioni dei contadini e incoraggiò la produzione xkè i proprietari
furono costretti a perfezionare le loro tecniche. Ma accanto a qsti progressi ci furono anche atti di
violenza soprattutto in Emilia, in Romagna, e poi in Toscana, tant’è che lo stesso Mussolini, nel
1921, spinse a porre fine alle violenze, fu cs stipulato da ambo le parti un patto di pacificazione che
fu poi denunciato dai fascisti. Con l’avvento dei sindacati fascisti, scesero in campo i possidenti
agrari che non accettavano +il controllo dei contadini sulla terra; essi furono appoggiati dai
sindacati che appoggiarono anche gli industriali i quali non accettavano l’idea del controllo operaio
sulle fabbriche, quindi ci fu un capovolgimento xkè, mentre prima i fascisti agivano in favore dei
braccianti, ora agiscono a favore dei proprietari.
Gli interessi degli industriali e dei grandi proprietari terrieri furono i primi fattori che permisero il
successo fascista. A questi si aggiunse la piccola borghesia (impiegati, piccoli commercianti,
professioni liberali) nella quale il fascismo aveva trovato molte delle sue prime reclute e ne troverà
altre: quando Giolitti lasciò che gli operai occupassero le fabbriche affinkè si rendessero conto
della loro incapacità di dirigerle, dal punto di vista politico fu una scelta molto giusta ma,
dall’altro, era destinata a produrre ripercussioni nella mentalità e nei sentimenti borghesi. Infatti la
piccola e la media borghesia incominciarono a domandarsi quale fosse la reazione dello Stato di
fronte a qsti avvenimenti, in quanto esso aveva l’obbligo di proteggere la vita e i beni dei cittadini.
Lo Stato, invece, rimase a guardare e ciò suscitò un profondo malcontento, disagi e paura x i
continui scioperi e sommosse che portò la borghesia contro gli operai che, con i loro
comportamenti, offendevano la patria.
Il fascismo è un fenomeno molto complesso, che non può essere spiegato solo come semplice
espressione della grande industria e della grande proprietà fondiaria. E’cmq palese che abbia
voluto difendere gli interessi di classe e ciò è dimostrato da alcuni dei suoi primi decreti: nel 1920
Giolitti impose la normatività dei titoli azionari x colpire i redditi dei ricchi e fronteggiare il deficit
del bilancio statale; con un’altra legge, avente lo stesso scopo, stabilì, in materia di successione,
delle tasse che arrivavano alla confisca totale nel caso di grandi eredità e di eredi lontani. Il
10novembre1922, dopo 3giorni dalla marcia su Roma, il governo fascista abolì la normatività dei
titoli e la legge sulle successioni e le imposte di successione non solo furono diminuite ma x le
successioni dirette (figli, mogli,ecc) furono addirittura soppresse. Ma nel fascismo non c’è solo
qsto, c’è anche quella che l’autore chiama un’accentuazione piccolo borghese dal punto di vista
sentimentale ed economico. Non borghesia come classe sociale, come fenomeno economico che si
discute, ma è il suo stato d’animo che viene evidenziato: essendo dei cattolici, provavano un senso
di malcontento x il fatto che, nonostante i Patti lateranensi con la Santa Sede dell’11febbraio1929,
la Chiesa non si era ancora fortemente riconciliata col governo regio; essi amavano la patria,
l’Italia unita e in pace col papato, l’ordine e la tranquillità e Mussolini cercò di soddisfare qste loro
esigenze. Ma negli ultimi anni del fascismo si verificò una frattura fra il regime e la borghesia,
l’innesco furono le leggi razziali e le leggi contro gli ebrei del 1938 che non furono accettate,
addirittura la popolazione italiana cercò di aiutare i perseguitati e +nessuno seguirà Mussolini.
Un grande industriale ha dichiarato <noi non volevamo la dittatura ma solo che Mussolini
riportasse l’ordine e la tranquillità nel paese, dopo di che saremmo ritornati al vecchio sistema>.
Molti fra gli uomini di governo non riuscirono a capire che il fascismo era pericoloso a differenza
di Giolitti che, accortosi del suo errore, non mancò di coraggio e dignità fronteggiando da solo
Mussolini: 4mesi prima di morire dichiarò la sua opposizione al progetto di legge che
rappresentava la definitiva rottura del regime fascista con l’ordinamento basato sullo Statuto del
1848. Il suo grande errore è stato quello di pensare di poter assorbire pian piano il fascismo, egli
stesso pensava: <gli darò due o tre ministri, la polizia e i prefetti dovranno obbedirmi, col tempo il
movimento si svuoterà e la crisi sarà risolta>. Nel 1921 addirittura Giolitti fece entrare i fascisti
nella Camera come deputati x potersene servire contro i socialisti o contro il partito popolare.
L’errore di valutazione della maggior parte degli uomini consisteva nel pensare al fascismo come
una forza politica vecchio stile, invece esso non aveva niente in comune con i principi che
regolavano il vecchio Stato liberale: non si preoccupava della legalità degli atti e se lo faceva era
solo x motivi tattici; cercò di occupare nella vita pubblica un posto durevole di primo piano; dalla
semplice reazione contro gli antipatrioti si trasformò in strumento di conquista del potere. Qsto
desiderio fu concretizzato con la “marcia su Roma”, il 28ottobre1922,quando il fascismo si
trasformò da semplice movimento in partito con una forte organizzazione militare, i cui ispiratori
furono Balbo, De Vecchi e De Bono. La conquista del potere ad opera del fascismo non ha
richiesto una vera e propria rivoluzione, infatti, quando giunse a Roma la notizia della marcia sulla
capitale, il re Vittorio Emanuele III rifiutò di firmare la dichiarazione di stato d’assedio e decise di
affidare il compito di costituire il nuovo governo prima a Calandra e subito dopo a Mussolini. Cs le
camice nere entrarono a Roma già a cose fatte, x cui non fu una rivolta ma una sorta di sfilata. Fu il
presidente del Consiglio Facta a sconsigliare al re di firmare il decreto di stato d’assedio proposto
dal Consiglio dei ministri, il quale avrebbe provocato l’intervento dell’esercito contro i fascisti.
Facta aveva trattato con uno dei capi delle camice nere, Michele Bianchi, x far entrare i fascisti nel
suo governo e sperò fino alla fine di evitare la rivolta assorbendo i fascisti (lo stesso errore di
Giolitti!). Il fascismo incontrò simpatie anche presso la casa reale, nel duca d’Aosta, il cugino del
re, che mirava alla corona reale; poiché il re non voleva aiutarli, allora i fascisti si dissero disposti
ad estrometterlo dal Quirinale e a mettere al suo posto il duca. Anche la regina madre Margherita
nutriva una grande simpatia x il fascismo. Qsto aiutò molto il fascismo.