CONGRESSO ASSOCIAZIONE INFERMIERI CASE MANAGER L’ INFERMIERE CASE MANAGER in SALUTE MENTALE Ospedale Bellaria 23 Maggio 2008 ICM Agostini Silvia 1 Premessa La concezione attuale della malattia mentale è senz’altro più complessa rispetto al passato sia dal punto di vista legislativo che organizzativo e sociale; oggi si parla di un disturbo multifattoriale dove gli elementi biologici, psicologici e sociali, giocano un ruolo fondamentale nella genesi, nella evoluzione e nel trattamento. La malattia mentale non è quindi un semplice disturbo medico, ma una sindrome complessa dove gli elementi sopra elencati, si intrecciano con la storia di ciascuna persona e determinano un disturbo mentale specifico per ogni persona. Studi effettuati sulla devianza hanno dimostrato come gli operatori sanitari in genere, similmente a molti cittadini comuni, considerano i malati mentali la categoria di persone più inaccettabile, se confrontate con altre categorie socialmente marginali (ex detenuti, gli alcolisti, i ritardati mentali), tale considerazione è frutto della scarsa conoscenza della malattia mentale, dei luoghi di cura, di assistenza e delle competenze specifiche dell’infermiere in psichiatria. Lo stigma purtroppo è un fenomeno che si manifesta anche in alcuni operatori della salute mentale, il cambiamento del ruolo infermieristico ha determinato anche grosse difficoltà interne alla professione (nella ricerca di un nuovo modo di essere infermieri) e soprattutto nello scenario dell’opinione pubblica e delle altre figure professionali che affiancano il panorama assistenziale della salute mentale. Carenze conoscitive circa le competenze specifiche, contribuiscono a sviluppare un processo di autostigmatizzazione degli infermieri che operano nell’area della salute mentale, e questo fenomeno, quando esistente, si ripercuote sulla attività assistenziale e quindi sulla qualità di vita della persona che soffre di un disagio psichico, le cause sono numerose e a mio avviso le più importanti sono le seguenti: una formazione incapace, in molti casi, di fornire il necessario incoraggiamento, l’opportuna consapevolezza, l’essenziale supporto e le fondamentali informazioni per intraprendere un “lavoro” così complesso; la mancanza di una supervisione competente e di momenti di feed back con i colleghi, e/o con l’equipé al fine di gestire anche le difficoltà emotive che spesso noi operatori incontrano a seguito di comportamenti oppositivi e riluttanti dei nostri pazienti. Saper gestire l’emotività evita la tendenza a giudicare i comportamenti disfunzionali, la desocializzazione, all’etichettamento diagnostico e il deprezzamento del proprio ruolo professionale. Lo stigma che accompagna le persone sofferenti di un disagio psichico crea un circolo di discriminazione e pregiudizio non solo per le persone malate ma per tutto l’ambiente che le circonda. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto nello stigma un importante ostacolo che si frappone ad una tutela adeguata della salute mentale. “Non voglio dire che la malattia non esiste, ma che noi produciamo una sintomatologia a seconda del modo con il quale pensiamo di gestirla, perché la malattia si costruisce e si esprime sempre a immagine delle misure che si adottano per affrontarla”. (F. Basaglia) Introduzione La concezione della malattia mentale è dunque cambiata nel corso degli anni così come la figura infermieristica. Attualmente gli infermieri in psichiatria, giocano un ruolo importante attraverso l’erogazione di un’assistenza non più “manicomiocentrica”, ma frutto di forti capacità e conoscenze assistenziali, sanitarie, relazionali e psicologiche in grado di recuperare, nelle persone affette da malattie mentali, autonomie, risorse, potenzialità precedentemente negate o inespresse per un sempre più efficace funzionamento sociorelazionale. 2 Il punto cardine dell’assistenza infermieristica è soprattutto il rapporto interpersonale: in particolare il rapporto infermiere-utente-società che può assumere carattere di terapeuticità e crescita per coloro che in questo rapporto entrano a farne parte. L’ultimo decennio per la professione infermieristica è stato un periodo di grandi innovazioni e di grandi conquiste, di seguito riporterò le tappe principali del percorso normativo: Decreto Ministeriale 739/94 Profilo Professionale: l'infermiere “ è responsabile dell'assistenza generale infermieristica ”. Legge 42/99 Abrogazione del mansionario: l’infermiere deve quindi agire in base ai dettami del profilo professionale, DM 14 settembre 1994, 739, al contenuto degli ordinamenti didattici di base e post base e del codice deontologico. La legge 251/2000 verrà con tutta probabilità ricordata come la legge che ha istituito la dirigenza infermieristica e la laurea (domani laurea specialistica), ma contiene norme e affermazioni inerenti anche all’esercizio professionale come ed esempio “l’infermiere agisce con autonomia professionale”, ciò riveste un’importanza tale che travalica l’attribuzione di singoli ambiti. Il fatto che l’affermazione “autonomia professionale”sia diretta e contenuta in una legge ordinaria dello Stato ha l’effetto di un pieno riconoscimento al percorso fino a qui svolto. Altra affermazione – nuova o in realtà parzialmente nuova – è data dalla previsione legislativa della metodologia di lavoro da adottare nell’ambito della professione infermieristica. L’infermiere infatti deve utilizzare “metodologie di lavoro per obiettivi dell’assistenza”. Il legislatore ha voluto mandare un messaggio forte: la classica metodologia di lavoro per compiti deve essere abbandonata e abbracciare quella, che il mondo professionale aveva già in realtà teorizzato da molti anni, di metodologia per obiettivi. Piano Attuativo 2007/2009 “La politica di Salute Mentale in Emilia-Romagna. Documento importante e significativo in campo della Salute Mentale del quale di seguito ho riportato alcuni passaggi: (…) “I Dipartimenti Salute Mentale Dipendenze Patologiche (DSMDP) delle Aziende USL costituiscono il centro di coordinamento del sistema di cura ed assumono una funzione di garanzia dei processi che provvedono alla prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione del disagio psichico, del disturbo mentale, e delle dipendenze patologiche per l’intero arco della vita. Nel perseguire questa missione il DSMDP presta la propria attenzione al benessere psichico, fisico e sociale della persona, alla sua sofferenza, al suo bisogno di esercitare la sua autonomia in qualunque situazione di diversa abilità, ai disagi ed alle sue aspettative, al rispetto della libertà, della dignità e dell’autodeterminazione.” (…) “I CSM mantengono una posizione centrale nella rete dei servizi di psichiatria adulti. Essi costituiscono la sede di accesso ordinario dell’utenza, presso di loro si svolge la maggior parte delle funzioni di valutazione e presa in carico della popolazione e veicolano su di sé la missione di garantire continuità di assistenza per quei progetti che richiedono la collaborazione di più articolazioni o soggetti”. (…) Il Case Management è una modalità particolare del lavoro di équipe che si basa sui seguenti punti: riconoscimento a tutti i membri dell’èquipe della possibilità di essere titolari della relazione di cura; responsabilizzazione del singolo operatore sul progetto di un numero limitato di utenti; corresponsabilizzazione di tutta l’équipe alla sua realizzazione; forte interazione/integrazione con soggetti esterni all’équipe; alta intensità della relazione di cura in termini quantitativi (numero di ore dedicate al paziente) ed attenta modulazione di quelli affettivi; elaborazione in équipe degli aspetti emotivi inerenti il rapporto con gli utenti; Carattere paritetico/democratico della équipe, con leadership basata sulla autorevolezza piuttosto che sulla autorità gerarchica. (…) “L’elemento centrale della organizzazione del sistema è la rete. 3 Nella rete diventa fondamentale contemperare universalità e specializzazione, in un’ottica di equità, sostenibilità e qualificazione. Richiede operatori capaci di rappresentarsi sulla base delle proprie competenze e non solo della appartenenza ad un gruppo, integrati in un sistema più ampio e che conoscono approfonditamente. Tutto ciò richiede processi di formazione di base e continua molto accurati”. Differenza tra infermiere “normale” e l’infermiere “psichiatrico”. Attualmente la formazione di base è incentrata in modo tale da affrontare le malattie del corpo, risulta essere appena sufficiente per affrontare problematiche psicologiche, per comprendere e gestire i rapporti umani nell’interesse sia del paziente che dell’infermiere, soprattutto quando, in un servizio di salute mentale, tali rapporti si presentano particolarmente complessi. Per evirare, come già esposto in precedenza, comportamenti stigmatizzanti è fondamentale a mio avviso, la formazione post base, soprattutto se viene fatta prima di essere inseriti in ambiti così specialistici come quelli della Salute Mentale. Mi ricordo le mie personali problematiche nell’affrontare i primi mesi di lavoro presso il Centro di Salute mentale. Un malato affetto da una qualsiasi malattia organica si trova inaspettatamente nella condizione di dover gestire l’ansia che gli deriva dal suo stato di salute, ma nella maggioranza dei casi è consapevole di tutto ciò che avviene attorno a lui, perché il suo “Io”è integro ed in grado di recuperare risorse per far fronte a questo evento o, in caso contrario, è nella condizione di chiedere aiuto. Invece chi soffre di un disturbo mentale è una persona annientata dalla sua stessa sofferenza, “ammalata” in una parte di “sé” che non si può vedere o toccare, e perde la capacità di chiedere aiuto e di far fronte quindi alla sua sofferenza. Sono persone che spesso rifiutano la vicinanza degli operatori che vorrebbero aiutarli, rifiutano i farmaci, rifiutano di lavarsi e di accudire alla propria persona o di farsi accudire. Si pongono in uno stato di apatia, agitazione o di panico tale che ogni tentativo da parte dell’infermiere di offrire aiuto risulta vano. L’infermiere che proviene da altri reparti, nella maggior parte dei casi, è abituato ad assistere pazienti che volentieri si fanno accudire, sono riconoscenti a chi con professionalità si prendono cura di loro e dei loro bisogni. Sono pazienti grati all’infermiere che li incoraggia, li sostiene e li rassicura. Di fronte al paziente psichiatrico che rifiuta aiuto, insulta, non vuole farsi toccare o aggredisce chi si avvicina, l’infermiere non sa come comportarsi. A volte si irrita dinanzi ad un atteggiamento che ritiene essere offensivo nei confronti della sua professionalità e della sua persona. Non capisce, per esempio, perché il paziente voglia a tutti i costi restare sporco, rimanere isolato, mutacico o aggressivo. Pensa di aver perso la capacità di svolgere il suo lavoro, si sente impotente perché il “non saper fare” minaccia la sua identità professionale. La principale difficoltà che l’infermiere riscontra lavorando in psichiatria è quella di dover uscire dallo schematismo e dall’impersonalità dei ruoli professionali fissi cui viene iniziato nel corso della sua formazione. In campo psichiatrico il coinvolgimento emotivo diretto è inevitabile, il paziente non deve essere sottoposto ogni giorno ad esami ematochimici, radiografie ecc, è lì, di fronte a noi, con i suoi problemi, ci sono solo parole o lunghi silenzi. Il coinvolgimento è quindi fondamentale per stabilire la relazione infermiere-paziente, relazione che permette di partecipare in modo empatico al processo interattivo con la mente del paziente, con il suo stato affettivo, emotivo e con i suoi vissuti. Condizione necessaria per entrare in relazione col paziente è il saper instaurare una relazione d’aiuto e il mettere in atto capacità di counselling cioè tecniche e strumenti che non possono e non debbono essere lasciati al caso, ma impongono nell’operatore di salute mentale una preparazione specifica. Altresì importante è non lasciare gli operatori soli con la gestione delle proprie emozioni durante una relazione infermiere-paziente, senza un training adeguato, l’infermiere sente di non riuscire a gestire il proprio coinvolgimento emotivo e prova ansia, rabbia, impulsività. Rischia cioè di assumere atteggiamenti che, privi di obiettività, non gli permettono di percepire i veri bisogni del paziente. Si trova nella situazione di dare al paziente risposte inadeguate dettate dal buon senso, oppure tende ad utilizzare prerogative personali come la creatività o l’inventiva sperando che questi reagisca in modo positivo ai suoi tentativi di approccio. In psichiatria così come cambia il tipo di rapporto che si instaura tra infermiere e utente, allo stesso modo 4 cambia il modo di essere infermiere. Non si perde la propria professionalità, ma occorre imparare a modulare e adattare ciò che si è acquisito ai bisogni così diversi dei pazienti psichiatrici. Bisogna avere la capacità di usare se stessi e quindi le proprie emozioni per stabilire una relazione con il paziente, per comprendere i suoi desideri e per formulare una giusta diagnosi infermieristica che consenta di impostare un programma di trattamento integrato con altre figure professionali. Si ribadisce pertanto l’importanza della formazione di base, post base e continua al fine di erogare una assistenza infermieristica priva di elementi stigmatizzanti e pressappochista. A tale proposito la nuova figura del Case Manager è in grado di rispondere alle diverse problematiche, fa sì che attraverso il Case Management vi siano servizi in grado di prendersi cura di ciascun individuo da un punto di vista multidisciplinare, un sistema dove le competenze di ciascun professionista vengano integrate per soddisfare i bisogni e le necessità dell’utente, sgravando la famiglia dal peso dell’assistenza. In questo senso il Case Manager rappresenta per l’utente l’occasione di raccordare e mettere in rete i servizi a disposizione, e qualora non fossero sufficienti, di progettare percorsi individualizzati e specifici. Il Case Management applicato nei servizi psichiatrici Il case management, letteralmente “gestione del caso”, in ambito psichiatrico nasce negli Stati Uniti circa vent’anni fa sulla scia del movimento di deistituzionalizzazione dei malati di mente che spesso si limitava alla chiusura dei reparti ed istituti psichiatrici senza essere accompagnata da interventi idonei ad aiutare la persona a reintegrarsi nella società. L’obiettivo primario del case management era dunque quello di fornire un supporto più personalizzato per rispondere ai bisogni delle persone che erano in difficoltà all’esterno dell’istituzione. L’intervento professionale si rivolgeva alle persone e alla loro rete sociale, i cui bisogni si orientavano attorno al mantenimento e alla reintegrazione nell’ambiente di vita e consisteva nell’assicurarsi che acquisissero o conservassero le competenze necessarie per mantenere una qualità di vita personale e sociale soddisfacente. Questo tipo di intervento, inoltre, si rese necessario anche per assicurare il coordinamento tra le diverse istituzioni e gli operatori coinvolti nell’assistenza di persone che soffrivano di handicap o di malattia mentale. Il case management nei servizi psichiatrici, richiede l’integrazione tra i componenti di un’équipe multidisciplinare e l’identificazione di un operatore che acquisisca il ruolo di case manager. L’individuazione di un referente del caso, il case manager appunto, consente una presa in carico che assicura una maggiore protezione del paziente e della sua famiglia e permette una gestione più attiva del caso stesso. La metodologia clinica della rilevazione dei bisogni specifici, dell’offerta di interventi differenziati e integrati e della garanzia della continuità terapeutica rappresenta il modello di lavoro appropriato per la psichiatria di comunità. Il percorso di presa in carico di tali persone si configura come un progetto caratterizzato da: elevata complessità organizzativa; rilevante specificità professionale; capacità di gestire l’integrazione sociosanitaria. Il case management nei servizi psichiatrici è caratterizzato dal fatto di essere un percorso molto intensivo e relativamente lungo; l’intervento di base è l’accompagnamento della persona affetta da disturbi psichici nel suo contesto di vita per facilitare la riacquisizione delle abilità legate alla vita quotidiana quali: l’igiene personale, l’abbigliamento, i pasti, le faccende di casa, la spesa, le gestione del denaro e dell’alloggio. Il case management si attua con forme di accompagnamento nell’ambiente di vita, ovvero con la “presa in carico”, attraverso: l’offerta di un supporto alla persona e alla famiglia; la costruzione di un progetto che preveda un’organicità di intervento, non frammentato, da parte dei servizi; l’instaurazione di un legame che valorizzi le risorse dell’ambiente. Il case management nei servizi psichiatrici permette di superare la parcellizzazione specialistica e pluriprofessionale e di gestire l’evento malattia e la persona mediante un progetto unitario ed una presa in 5 carico responsabilizzata consentendo la gestione territoriale del paziente, la possibilità di reinserimento sociale riducendo così i costi in quanto vi è un minor ricorso all’ospedalizzazione. La realizzazione di questo percorso comporta necessariamente un forte investimento sul lavoro d’équipe. Il Case Manager Le funzioni di case manager possono essere svolte dai diversi professionisti dell’èquipe: psichiatra, psicologo, assistente sociale, infermiere, tecnico della riabilitazione e educatore. Nella realtà Bolognese all’interno dei Centri di Salute Mentale, la figura professionale chiamata a svolge il Case Management è l’infermiere in quanto risulta essere la figura professionale che riesce ad instaurare la relazione più significativa con i pazienti che gli vengono assegnati diventando il punto di riferimento per il paziente lungo tutto il percorso di cura. La competenza professionale dell’infermiere è formata dalla combinazione di conoscenze professionali, capacità, abilità professionali e di orientamenti per sapere individuare la domanda di assistenza infermieristica (i bisogni) dando ad essa una risposta (la prestazione infermieristica) adeguata in tempi e modalità convenienti. Deve essere in grado di coordinare, attraverso l’attivazione di una rete di interventi formali e informali, l’insieme delle cure erogate, da professionisti e non, allo scopo di migliorare, mantenere e ristabilire il benessere dell’individuo. La rete non è solo uno strumento descrittivo, ma indica un insieme di rapporti tra più servizi e operatori “da attivare e mantenere” per tutelare la salute del cliente globalmente considerata. Coordinare, integrare, “agire in rete” devono essere capacità in primo luogo dell’ Infermiere case manager, ma anche di tutti gli infermieri. Le parole chiave nel ruolo e funzioni degli infermieri case manager sono: integrazione assistenziale, intesa come ciò che è stato progettato con ciò che viene realizzato; coordinamento dell’assistenza, inteso come modalità in cui il progetto assistenziale è seguito da tutti i soggetti coinvolti; continuità assistenziale, intesa come l’estensione del progetto assistenziale in tutti gli ambiti di svolgimento. Il programma di case management è quindi realizzato per ottimizzare l’integrazione, il coordinamento e la continuità dell’assistenza al paziente. Inoltre, in molti ambiti, fornisce la possibilità di focalizzare l’attenzione anche sulla prevenzione della malattia e sulla promozione della salute. Le principali funzioni dell’infermiere case manager possono essere riassunte in: accompagnamento dell’utente nel percorso di cura attraverso una buona relazione e un’alleanza con il paziente; intermediazione tra l’utente e l’esterno: mappatura del territorio e suo utilizzo attraverso la messa in comune delle informazioni con una maggiore conoscenza delle strutture per una migliore presa in carico del paziente e utilizzo della rete anche per gli altri utenti; integrazione dei servizi coinvolti nel percorso di cura attraverso una migliore conoscenza dei servizi per favorirne l’accesso, per superare la frammentarietà, per una maggiore coerenza degli interventi ed una migliore organizzazione del lavoro; coordinamento della micro-équipe dalla condivisione del progetto senza sovrapposizione di ruoli, con attivazione delle risorse al momento e nei tempi adeguati; referente del percorso di cura quale garante del progetto e della qualità delle prestazioni erogate; monitoraggio del Progetto Terapeutico Individuale: raccolta di informazioni, conoscenza accurata del paziente, confronto sugli interventi e obiettivi intermedi per la garanzia dell’efficacia e della continuità del progetto; valutazione del progetto attraverso la riformulazione degli obiettivi, l’adeguamento al programma con una costante verifica della congruità della presa in carico, oltre alla revisione delle risorse investite (personale ed economiche) e l’utilizzo appropriato dei servizi. La presa in carico 6 La realizzazione della presa in carico del paziente affetto da disturbi psichici gravi e portatore di bisogni “complessi” rappresenta una mission specifica del Dsm. L’identificazione di tali utenti avviene attraverso una valutazione multidimensionale che considera le diverse aree che concorrono a definire il “profilo di salute”: diagnosi nosografia (diagnosi elettive: disturbi psicotici, gravi disturbi affettivi, gravi disturbi di personalità); gravità clinica; funzionamento psicosociale; caratteristiche della rete familiare e psicosociale; precedenti trattamenti psichiatrici. La presa in carico si rivolge ad un soggetto che è riconosciuto comunque parte attiva di una relazione di cura e si fonda su un rapporto di alleanza e di fiducia con l’utente, i suoi familiari e le persone del suo ambiente di vita. Il servizio psichiatrico che si assume la titolarità della presa in carico di un utente deve comunque offrire un supporto complessivo in tutto il percorso del paziente (interventi territoriali, ospedalieri, di emergenza/urgenza, residenziali e semiresidenziali) ed assumere la responsabilità di tutte le fasi del trattamento. Dal punto di vista operativo, un percorso di presa in carico si fonda sull’integrazione di attività specifiche, di seguito sintetizzate: Attività clinica: attività psichiatrica e psicologica (colloqui, psicoterapia, farmacoterapia), Attività ambulatoriale e domiciliare, centrate sull’utente e i suoi bisogni, orientate allo sviluppo della relazione e del contratto terapeutico. Attività riabilitativa: attività di riabilitazione, risocializzazione, reinserimento nel contesto sociale; attività semiresidenziale (o di Centro Diurno) che favorisca un ancoraggio forte al progetto di cura attraverso il legame fondamentale con la rete territoriale primaria (naturale) e secondaria (servizi). Attività di assistenza: attività di sostegno al paziente nei suoi aspetti deficitari, attività finalizzata a sostenere e migliorare il funzionamento psicosociale, attività domiciliare. Attività di intermediazione: attività per contrastare gli effetti di deriva sociale connessi con la patologia e con lo stigma: o utilizzo di opportunità fornite dalle agenzie territoriali (servizi sociali, realtà cooperativistiche e di lavoro protetto, gruppi di volontariato); o individuazione di potenziali reti informali, valorizzando i cosiddetti facilitatori o aiutanti naturali; o sostegno e informazione alla famiglia. Attività di coordinamento: attività sul singolo caso che garantisca integrazione delle diverse aree di attività, dei diversi erogatori che partecipano al progetto di cura, e garantisca continuità al piano di trattamento individuale. Conclusioni La dimensione del ruolo manageriale assegna all’infermiere case manager che opera nell’ambito psichiatrico, la responsabilità di facilitare e coordinare l’assistenza del paziente durante tutto il percorso di presa in carico assumendosi un’ampia responsabilità personale in un contesto che richiede una stretta collaborazione con altri operatori sociali e sanitari operando consapevolmente all’interno di una società etnicamente e culturalmente differenziata. Vi sono tuttavia alcuni punti critici da tenere presente rispetto all’assunzione del ruolo di case manager da parte degli infermieri. Tali criticità sono riferite sia all’infermiere che assume il ruolo, sia all’équipe che prende in carico il paziente psichiatrico: Criticità relative al ruolo dell’infermiere 7 consapevolezza di ruolo: scarsa autoconsapevolezza di ruolo da parte del singolo professionista; formazione specifica: necessità di formazione specifica rispetto al ruolo e alle funzioni del case manager, (nel Piano Regionale Salute Mentale sono identificati i bisogni formativi specifici per le diverse figure professionali ed è indicata la necessità di una formazione al ruolo di case-manager sia come funzione professionale sia come ulteriore qualifica professionale); riconoscimento: necessità di un riconoscimento istituzionale della funzione di case manager. Criticità all’interno dell’équipe: conflittualità tra i membri: conflittualità all’interno dell’équipe per mancanza di comunicazione tra le diverse professionalità, difficoltà nella costruzione della rete interna ed esterna al servizio psichiatrico; delega delle problematiche al case manager: deresponsabilizzazione da parte degli altri membri dell’équipe e secondaria inefficacia delle azioni del case manager; mancato riconoscimento istituzionale del ruolo: non chiarezza rispetto ai ruoli, mancato riconoscimento dell’autonomia professionale e scarso riconoscimento del ruolo del case manager all’interno dell’équipe. Risulta essere sempre più fondamentale aumentare attraverso una adeguata formazione il ruolo dell’infermiere all’interno dei servizi psichiatrici, ma altrettanto fondamentale è il cambiamento che le organizzazioni devono fare in favore dei nuovi bisogni e delle nuove consapevolezze dell’utenza. Ugualmente importante risulta essere a mio avviso, la documentazione infermieristica, in quanto riflette in modo significativo lo stato dell’esercizio professionale e della cultura infermieristica presenti nei singoli contesti. La categoria infermieristica ha vissuto il passaggio da un ruolo tecnico a un ruolo professionale, tale passaggio, per quanto riguarda la trasmissione delle informazioni, può essere definito secondo un’espressione di Manacorda: dal ruolo di raccoglitore a quello di decisore di azioni. Esemplare, in tal senso, la tipologia della cosiddetta consegna, lo strumento a tutt’oggi più diffuso nella prassi: il termine adottato indica con chiarezza la natura sostanziale di questo strumento informativo, che consiste nell’atto di consegnare ad altri professionisti le informazioni in possesso dell’infermiere, il cui ruolo gestionale si limita perciò alle sole fasi di raccolta e organizzazione. Con la trasmissione delle informazioni, non solo agli altri infermieri ma anche al medico, viene ceduta ad un’altra professione la base cognitiva che consente di prendere alcune decisioni importanti inerenti alla salute delle persone assistite. L’utilizzo della cartella infermieristica può, invece, fornire una integrale documentazione dell’intero processo di assistenza infermieristica, comprensiva non solo e non tanto dell’attività infermieristica di supporto alla diagnosi e alla terapia medica, ma piuttosto delle prestazioni infermieristiche prescritte in relazione a specifici problemi di salute di competenza infermieristica ( modello di M. cantarelli). Una documentazione infermieristica basata su contenuti e metodo scientifico propri della disciplina infermieristica, su linee assistenziali standardizzate, valutabili e riproducibili, risulta essere quindi fondamentale nel documentare un importante processo di assistenza infermieristica di gestione del caso come il Case Management e nel valorizzare la professione infermieristica attraverso la elaborazione di dati e di studi di ricerca infermieristica. Bibliografia M.A.Tacchini. Professione infermieristica nei servizi psichiatrici. Dalla teoria alla pratica. Masson; pag.21-26.P. Carozza. Principi di riabilitazione psichiatrica. F. Angeli 2007;pag 435-459. Agostini, Argondizzo, Prando “documentazione, informatizzazione e ricerca: gli elementi che valorizzano la professione infermieristica” ,tesi Master di I° livello “Infermiere di Sanità Pubblica e di Comunità” indirizzo Salute Mentale. Anni accademici 2005/2007. Cassis. L’infermiere Case Manager in psichiatria. Professione Infermiere n°7 2006. 8