Lezione 4 La domanda di lavoro. 1. Il modello-base. Abbiamo suggerito più sopra che dal punto di vista delle imprese il lavoro è "solo" un fattore di produzione, e quindi la teoria della domanda di lavoro è sostanzialmente un caso particolare della domanda dei fattori di produzione, che avete già studiato nel corso di economia. Cominceremo accettando l'ipotesi di concorrenza perfetta, il che vuol dire (a) che il prezzo del lavoro, il salario, è dato per l'impresa; (b) che a quel prezzo l'impresa trova tutta l'offerta di lavoro che vuole; (c) che il prezzo di vendita del prodotto dell'impresa è dato; (d) che a quel prezzo l'impresa può vendere la quantità che vuole. Più avanti complicheremo il modello e passeremo dalla domanda dell'impresa individuale alla domanda aggregata. Il punto di partenza del discorso è che poiché il lavoro è un fattore di produzione, la sua domanda dipende dall'equilibrio del produttore sul mercato dei beni. Ricorderete che da questo punto di vista è importante distinguere fra breve periodo e lungo periodo; nel primo lo stock di capitale è dato. Cominciamo dal breve periodo. 2. La domanda di lavoro nel breve periodo. La domanda di lavoro è una domanda derivata o indiretta, nel senso che essa dipende dalla domanda di prodotti finali per l'impresa; per non appesantire il discorso saltiamo la discussione di come la domanda di lavoro viene dedotta dalla teoria dell'equilibrio del produttore. Partiamo invece più a valle, e cioè dalla figura 1; ricordiamo che in essa assumiamo che lo stock di capitale sia dato1. Figura 1 - Funzioni di produzione del lavoro Il grafico può più correttamente essere riferito a un dato tipo di lavoro, per esempio il lavoro non qualificato, o quello manageriale, ecc. Per semplicità parliamo tuttavia di lavoro in genere. 1 1 Il grafico superiore individua la quantità di produzione in funzione della quantità di lavoro. Inizialmente, all'aumentare della quantità di lavoro la produzione cresce sempre di più (per esempio perché se c'è un solo lavoratore, parte degli impianti saranno inutilizzati, e all'arrivo del secondo la produzione più che raddoppia), quindi sempre di meno; alla fine i lavoratori saranno talmente tanti che cominceranno a "pestarsi i piedi", e l'effetto sulla produzione sarà addirittura negativo. Ciò si riflette nell'andamento della produttività marginale del lavoro, nel grafico inferiore. Naturalmente, il primo tratto ha scarsa rilevanza (si veda l'esercizio 1); escludendo questo tratto, possiamo allora dire che la produttività marginale del lavoro, q', è calante. Questa produttività marginale spesso viene indicata con mpp (marginal physical product). Moltiplichiamo ora i valori di q' (ovvero mpp) nella parte (b) per il prezzo del prodotto, p, in modo da ottenere la funzione della produttività marginale in termini monetari, r, cioè una funzione del ricavo marginale del lavoro. 3. seguito. Poiché p è fisso (siamo in concorrenza perfetta!) il grafico avrà lo stesso andamento. Lo vediamo nella figura 2. Figura 2 - Derivazione della domanda di lavoro dell'impresa nel breve periodo. Nella figura 2, la curva individua appunto il ricavo marginale del lavoro, mentre i segmenti tratteggiati individuano diversi valori del costo marginale del lavoro, che altro non è che il salario unitario, w. Sappiamo che se il ricavo marginale supera il costo marginale conviene estendere l'impiego del fattore, e in caso contrario ridurla; quindi l'intersezione fra il segmento corrispondente a un valore di w e la curva di r individua la quantità di L domandata per quel valore di w. Come si vede, e come ovvio, ceteris paribus la domanda di lavoro cala al crescere di w. 2 In pratica, l'impresa domanda quella quantità di lavoro tale per cui il ricavo marginale del lavoro è eguale a w. L'impresa vorrà cioè quella quantità di lavoro per cui w = mpp*p dove w è il salario, p è il prezzo (dato) del prodotto e mpp è la produttività marginale in termini fisici del lavoro. Al crescere di w, poiché p è dato la condizione si realizza se cresce mpp; e poiché mpp cresce se cala L, abbiamo che via via che cresce w la condizione è rispettata se cala L. In termini ancora più semplici: se cala w cala il costo marginale del prodotto, e quindi converrà espandere la produzione, e quindi assumere nuovo L. 4. Mercato dei beni non concorrenziale. Supponiamo ora che l'impresa operi ancora in un mercato del lavoro concorrenziale, ma in un mercato dei beni monopolistico. Ricorderete che nel caso della concorrenza perfetta l'impresa può vendere la quantità che vuole (la funzione di domanda è orizzontale), mentre nel caso del monopolio la funzione di domanda è inclinata negativamente. Supponiamo per semplicità una relazione lineare, p = a - bQ. Il ricavo totale è pQ = aQ - bQ2, il ricavo medio a-bQ (cioè, come ovvio il prezzo), e il ricavo marginale è a-2bQ. Il ricavo marginale è quindi, come sappiamo, inferiore al prezzo; chiamiamolo r'. Ora, la condizione di equilibrio che determina la domanda di lavoro è che il costo marginale del lavoro sia eguale al ricavo marginale ad esso imputabile. Nel caso della concorrenza perfetta è quella che abbiamo visto: w=mpp*p. Nel caso del monopolio essa sarà w = mpp*r'. Poiché r'<p, ceteris paribus la condizione si realizzerà a parità di w per un valore di mpp maggiore, e quindi per un valore di L minore. In altri termini: il monopolio domanda meno lavoro di un'impresa concorrenziale. Anche qui è utile fornire la spiegazione "di buon senso" di ciò: il monopolio, sappiamo, produce meno di un'impresa concorrenziale, e vende a prezzi maggiori. Ma se produce meno, avrà anche bisogno di meno lavoro. Poiché questo risultato è dovuto all'inclinazione negativa della curva di domanda di beni fronteggiata dall'impresa, esso si avrà anche nel caso di oligopolio e in quello di concorrenza monopolistica. 5. La domanda di lavoro dell'impresa nel lungo periodo. Nel lungo periodo, l'impresa può modificare la sua dotazione di capitale. Supponiamo allora che l'impresa sia in equilibrio, e che produca una data quantità impiegando quella quantità di capitale per cui la produttività marginale del capitale è eguale al suo prezzo e la produttività marginale del lavoro è eguale a w. Supponiamo ora che w cali. In tal caso, aumenterà L, e poiché una maggiore quantità di lavoro viene applicata allo stesso capitale, aumenterà la 3 produttività marginale del capitale. Questo non aveva conseguenze nel breve periodo, perché l'impresa non poteva modificare lo stock di capitale; qui però si, e l'impresa aumenterà quindi lo stock di capitale. Ciò farà aumentare la produttività marginale del lavoro, e quindi aumenterà ancora L, e così via. Come risultato, e come dovrebbe essere intuitivo, l'effetto di una variazione di w nel lungo periodo è più ampio di quello di breve periodo; ovvero, la funzione di domanda di lungo periodo è più piatta, ovvero ancora più elastica di quella di breve periodo. Graficamente, questo processo è illustrato dalla figura 3. Figura 3 - domanda di lavoro dell'impresa nel breve e nel lungo periodo Inizialmente, il salario è w', e l'impresa acquista quella quantità di lavoro per cui la produttività marginale del lavoro in termini monetari, mpp*p è pari a w, cioè L'. Ora w diminuisce fino a w”, e quindi l'impresa occuperà unita di lavoro con una produttività minore, e quindi espanderà L fino a L". Ma l'aumento di lavoro aumenta la produttività marginale del capitale, e quindi l'impresa acquisterà nuovo capitale. Ciò aumenterà la produttività marginale del lavoro, e quindi in L" questa produttività sarà più alta che w. L'impresa allora aumenterà ancora L, fino a giungere, alla fine del processo, a L"'. Si noti che abbiamo implicitamente supposto che non vi siano vincoli dal lato della domanda; il che è perfettamente sensato a livello di impresa concorrenziale, ma non a livello aggregato. Questo ci porta all'argomento successivo. 6. La domanda di lavoro aggregata. La domanda di lavoro aggregata non è la semplice somma delle domande individuali: infatti, a livello di settore produttivo (ovvero di industria, come si usa anche dire) non si può supporre che la domanda venga esercitata da un soggetto interamente price-taker. Se w -per esempiodiminuisce, tutte le imprese aumenteranno l'occupazione, la produzione aumenterà e il prezzo del bene diminuirà; questo effetto di ritorno non si aveva a livello di singola impresa, dove il prezzo non reagiva a una variazione della produzione. 4 Possiamo intuire cosa succederà. Supponiamo appunto una diminuzione di w. Le imprese aumenteranno la produzione e l'occupazione. Allora il prezzo del bene scenderà, e quindi anche la produttività marginale del lavoro (che, ricordiamo, è mpp*p). Le imprese si troveranno in una situazione in cui pagano un salario più alto della produttività marginale del lavoro. Come risultato, dovranno ridurre L. Quindi alla fine l'aumento complessivo di L è minore di quello che avremmo sommando l'aumento di ciascuna impresa concorrenziale. La domanda di lavoro aggregata è quindi meno elastica, ovvero più ripida, di quella individuale, come illustrato nella figura 4. Figura 4 - domanda di lavoro aggregata e individuale Inizialmente un'impresa tipica (una di un insieme di imprese tutte eguali) è in equilibrio in x, con w=w'=r' e L=L'. w diminuisce, e l'impresa si sposta in y, con w=w" e L=L". Ma poiché tutte le imprese fanno così, p diminuisce, e quindi anche r'=mpp*p. La funzione di r' si separa da quella di w, e diventa la linea rossa. Come si vede, in corrispondenza di L" w (=w") è maggiore di r'(=r"); l'impresa dovrà dunque spostarsi in z, con L=L"' e w=r'. Sommando i valori di L per le n imprese, abbiamo come domanda aggregata di L inizialmente nL', e alla fine non nL" ma nL"'. Abbiamo già osservato come questo risultato fa sì che non sia possibile generalizzare all'intera economia gli effetti espansivi di una riduzione del costo del lavoro che un imprenditore prevede per la sua impresa. 7. Il costo quasi-fisso del lavoro. Fin qui abbiamo supposto che il costo del lavoro sia solo w, e quindi che esso sia assolutamente variabile. Nella realtà ci sono dei costi fissi del lavoro, che fanno sì che (secondo la definizione di Oi, Labour as a quasi-fixed factor, Journal of Political Economy, 1962) il lavoro sia un fattore "quasi fisso". Una parte del costo del lavoro varia infatti con la quantità di lavoro, ma una parte no. Fra questi ci sono: a) I costi di turnover. Assumere e licenziare un lavoratore ha dei costi amministrativi e umani, che non dipendono da quanto il lavoratore lavorerà o avrà lavorato; b) La gestione della posizione del lavoratore entro l'impresa (tenuta della busta paga, gestione degli accantonamenti, ecc.) 5 c) I contributi che dipendono dal numero di lavoratori e non dalla quantità di ore lavorate; d) La parte di retribuzione propriamente fissa, che non dipende dal "timbrare il cartellino", se c'è; si tratta una voce particolarmente rilevante per i quadri elevati, spesso sotto la veste di c.d. fringe benefits, ma rientrano in questa categoria anche le ferie pagate, nella misura in cui non dipendono dalle ore effettivamente lavorate; e) I costi di addestramento; f) I costi opportunità connessi alle assenze per malattie. Come si vede, si tratta di un insieme piuttosto fluttuante, e di difficile quantificazione, ma piuttosto rilevante. Alcuni studi hanno cercato di misurarne l'incidenza; il più noto, anche se piuttosto vecchio, è quello di Hart e altri (1988), relativo ai paesi sviluppati più importanti. L'incidenza era minima in Italia (15%) e massima nel Regno Unito (26%). Dal punto di vista analitico, la condizione che individua la domanda di lavoro r' (=mpp*p) =w diventa, nel caso più semplice, r' (=mpp*p) = w+Z dove Z è il costo fisso connesso a un'unità di lavoro; e quindi la produttività marginale del lavoro deve essere maggiore di w. 8. Costi fissi e domanda di lavoro. Quale è l'effetto presenza di costi fissi di lavoro sulla sua domanda? della a) Il principale è quello di rendere l'andamento dell'occupazione meno sensibile all'andamento ciclico della produzione (figura 5). Infatti, l'imprenditore sarà riluttante a licenziare lavoratori nella fase calante del ciclo perché ciò ha dei costi, e sarà riluttante ad assumerli nella fase crescente, per lo stesso motivo. Inoltre, all'inizio della fase ascendente del ciclo l'imprenditore tenderà a non assumere subito lavoro aggiuntivo, e si avrà quindi una tendenza all'espansione del lavoro straordinario. Figura 5 - Ciclo della produzione e ciclo dell'occupazione 6 b) La maggiore stabilità occupazionale del lavoro qualificato. Man mano che si approfondisce la fase calante l'imprenditore licenzierà lavoratori in funzione inversa dei costi cui andrà incontro se e quando dovrà riassumerli: questa è la spiegazione della maggiore insicurezza del lavoro non qualificato rispetto a quello qualificato. c) L'importanza dell'anzianità. I costi di sostituzione sono presenti anche se è il lavoratore a licenziarsi. Quindi converrà all'imprenditore cercare di garantirsi contro l'abbandono dei lavoratori, soprattutto di quelli più qualificati e quindi costosi. Un criterio largamente adottato è quello di legare parte dei guadagni del lavoratore all'anzianità di servizio. d) la rilevanza del lavoro straordinario: il ricorso al lavoro straordinario sarà tanto più elevato quanto più alta è la componente fissa del costo del lavoro. 9. Seguito. Un'ultima considerazione. Poiché, come abbiamo visto, la produttività marginale del lavoro cresce al calare di L, la condizione di equilibrio in presenza di costi fissi implica che l'occupazione sarà minore di quella che si avrebbe se non ci fossero costi fissi. Tuttavia, ciò non può portare automaticamente a concludere che sia giusto abolire i costi fissi del lavoro: infatti, la loro trasformazione da costi fissi a costi variabili costituirebbe comunque un aumento di w. Si tratta di una problematica molto interessante dal punto di vista teorico e con notevole importanza pratica. Per esempio, gran parte del costo di licenziamento è dovuto al fatto che il lavoratore deve essere tutelato per i periodi di transizione fra un lavoro e l'altro. Se la retribuzione cessasse del tutto al momento del licenziamento, invece di continuare con la cosiddetta "liquidazione" o con istituti analoghi, il salario dovrebbe essere sufficientemente elevato da consentire al lavoratore un'autoassicurazione; si è dimostrato che ciò sarebbe più costoso per l'impresa, a parità di garanzie, a causa della maggiore avversione al rischio del lavoratore rispetto all'impresa. Il discorso tuttavia è troppo complesso perché possiamo affrontarlo qui in modo esauriente. 10. Salario e produttività del lavoro. Fin qui abbiamo supposto che r' (la produttività marginale del lavoro) e w (il costo unitario del lavoro) siano indipendenti. Sia la teoria che l'evidenza empirica suggeriscono che non è così; l'analisi che ne consegue è nota come teoria del salario-efficienza. In pratica, si ammette (e si verifica) che normalmente al variare di w la produttività marginale varia nella stessa direzione. Il motivo di ciò è triplice. 7 Da una parte, migliori salari corrispondono a una maggiore soddisfazione che si ricava dal lavoro, e quindi a una disponibilità a lavorare di più e meglio. Nel caso più brutale di un'economia molto povera, un salario più alto vuol dire potere disporre di più calorie; nelle economie più sviluppate il meccanismo è più sottile, ma comunque intuibile (e bene espresso, nel caso contrario di una paga troppo bassa, dal brutale slogan sindacale degli anni 50 "a salario di merda, lavoro di merda")2. Dall'altra, l'aumento del costo del lavoro obbliga il management a migliorare l'efficienza in altri settori. Questo è particolarmente vero nel caso di aumenti improvvisi, come può succedere nel caso di un rinnovo contrattuale. Infine, salari più alti attireranno i lavoratori migliori, con effetti positivi sulla produttività. L'effetto di tutto ciò è che la funzione di domanda di lavoro, sia aggregata che individuale, è in genere meno elastica di quanto potrebbe essere suggerito dalla trattazione precedente. In effetti, è stata proprio la verifica di questa bassa elasticità che ha indotto all'elaborazione delle teorie discusse negli ultimi paragrafi. La teoria del salario-efficienza ha altre implicazioni rilevanti, in particolare per quanto riguarda la teoria della disoccupazione. Di essa ci occuperemo quindi ancora più avanti, in particolare nella lezione 6. Recenti studi sperimentali hanno inoltre dimostrato che considerazioni di fairness hanno una notevole rilevanza nei contratti di lavoro. Il lavoratore che si considera "trattato bene" lavorerà sovente più e meglio, ceteris paribus, di uno che non si consideri tale, e ciò può tradursi in un vantaggio per l'imprenditore. Di ciò ci occuperemo nella lezione 6. 2 8 Esercizi 1. Perché la domanda di lavoro di equilibrio non ascendente della produttività marginale del lavoro? può trovarsi nel tratto 2. Sia la produttività marginale del lavoro in termini fisici data da mpp = 20L. w è pari a 10, e il prezzo del bene venduto dall'impresa, p, è pari a 2. Quanto vale la domanda di lavoro? 3. Sia la funzione di produzione Q = q(L) Q = 100 + 10L - 5L2. = 12 e p = 3. Quanto L domanda l'impresa? 4. Dato l'esercizio precedente, calcolate di quanto varia se w cresce del 10%. Siano inoltre w la domanda di lavoro 5. Supponiamo un'impresa monopolistica che operi con gli stessi dati dell'esercizio 3, vale a dire con w=12 e Q = 100 + 10L - 5L2; la funzione di domanda sia p = 4.042 -0.01Q, di modo che per p=3 Q valga 104.2, come nell'esercizio 38. Si verifichi che l'impresa domanderà una quantità di L inferiore a 0.6, la quantità domandata nell'esercizio 3. 6. Quale è la differenza fra monopolio, oligopolio e concorrenza monopolistica? Soluzioni 1. Perché essendo il prezzo del bene e quello del lavoro costanti, ed essendo l'impresa in grado di vendere la quantità di prodotto che vuole (siamo in concorrenza perfetta) un aumento della quantità di lavoro porta necessariamente a maggiori profitti. 2. Dobbiamo porre 2(20-L) = 10, da cui L = 15. 3. La funzione di mpp è mpp = 10 - 10L. L'impresa domanderà quella quantità di L per cui 3(10 - 10L) = 12, cioè 0.6, e produrrà 104.2; mpp varrà 4. 5. La funzione di mpp è ancora 10-10L, mentre il ricavo marginale è la derivata del ricavo totale, cioè di 4.042Q-0.01Q2, ed è quindi pari a 4.042-0.02Q. la produttività marginale in termini di valore sarà allora data da (10-10L)(4.0420.02Q). Poiché Q è una funzione di secondo grado di L, questa è una funzione di terzo grado di L. Per evitare il complicato calcolo della soluzione di un'equazione di terzo grado, possiamo ragionare come segue. Supponiamo che l'impresa si trovi nella stessa situazione di un'impresa di concorrenza, con L = 0.6 e quindi Q = 104.2, come sappiamo dall'esercizio 3. Il ricavo marginale del lavoro, mpp*r', vale allora 7.832, che è inferiore a 12. L'impresa deve quindi aumentare il valore di mpp*r'; per fare ciò deve ridurre il valore di L: così facendo aumenterà mpp, e inoltre si ridurrà Q, e quindi aumenterà r'. 9