GIOVANNI M. PROSPERI: FISICA DEL SISTEMA NERVOSO E SOGGETTIVITA’ 1. Gli organismi viventi, e in particolare il corpo dell’uomo e il suo sistema nervoso, sono formati dalle stesse particelle, atomi e molecole che costituiscono il mondo inorganico. Tutti i processi che in essi si svolgono devono quindi poter essere descritti usando la stessa Fisica. 2. La Fisica corrisponde, però, ad un particolare angolo visuale sotto cui guardare la realtà. Per le stesse scelte metodologiche, attuate già con Galileo, tra cui la rinuncia a tentar l’essenza e quella di restringere la propria attenzione alle sole qualità primarie degli oggetti (cioè agli aspetti misurabili e quantificabili degli stessi), essa non può pretendere di fornire una conoscenza esaustiva e in particolare di accedere alla soggettività. Sono queste scelte costitutive, che fanno della Fisica una scienza pubblica, le cui conclusioni teoriche sono sempre controllabili da chiunque abbia gli strumenti matematici necessari, le verifiche sperimentali in linea di principio sempre ripetibili; una scienza le cui affermazioni sono nel proprio ambito in qualche modo incontrovertibili. Sono queste le ragioni del grande successo, ma sono anche quelle che ne fissano i limiti e portano chi voglia tentare di eluderli a inevitabili petizioni di principio e circoli viziosi. 3. In realtà la Fisica presuppone la soggettività. Per precisare il suo metodo, introdurre i suoi concetti, stipulare le sue convenzioni linguistiche, stabilire i protocolli di controllo, essa deve far riferimento al linguaggio naturale e quindi ad un insieme di concetti che si radicano su nostre esperienze primarie, esperienze che ciascuno deve rivivere in proprio, che non possono di per sé neppure essere comunicate. Sono di questo tipo, ad esempio, la percezione del fluire degli eventi, quella della spazialità, della luce, del suono, del calore; ma anche le esperienze che conducono a concetti più fondamentali, come quello di essere, di sentire, di capire, di identità, di verità, di implicazione. Possiamo dire che la soggettività è presupposta nella fondazione ma è poi posta dalla Fisica per così dire tra parentesi. 4. Come risultato una teoria fisica conosce necessariamente solo la terza persona e non vi è posto in essa per la prima. Dal punto di vista della Fisica un qualsiasi essere vivente, un uomo, un animale superiore non è distinto da un automa impersonale. Io ho esperienza del mio corpo come mio corpo, ma non c’è posto nella Fisica per concetti come mio, tuo, suo. Esperienze anche solo come quelle dei qualia, di una coscienza di sé, di una propria identità personale non sono neppure esprimibili nel linguaggio della Fisica. Possiamo descrivere dal punto di vista della Fisica i processi che si svolgono nel nostro cervello in relazione ai nostri stati di coscienza o ad una nostra esperienza sensoriale, ma i concetti attraverso cui lo facciamo sono incommensurabili con la nostra esperienza soggettiva. 5. La nostra soggettiva percezione delle forme e del colore non può essere ritrovata nella descrizione dei processi fisici che si svolgono nel nostro sistema nervoso ad essa correlati, data in termini di potenziali di membrana, flussi di ioni, cambiamenti di conformazione di macromolecole. L’unico modo di trasmettere ad un’altra persona, per esempio un bambino, la nozione del colore è di farle rivivere l’esperienza che l’ha prodotta in noi. Nessuna descrizione dei processi fisici che si svolgono nel nostro occhio e nel nostro cervello in relazione alla visione può servire a comunicare ad un daltonico la differenza tra 6. 7. 8. 9. il verde ed il rosso. L’associazione che viene stabilita tra le nostre percezioni coscienti e l’attivazione di certe aree corticali richiede l’interrogazione del soggetto, e perciò è già di per sé al di la della Fisica; essa presuppone e non dà ragione dell’esistenza di una coscienza. La descrizione dei processi cerebrali secondo la Fisica coglie perciò solo un aspetto della realtà. L’emergere della soggettività non può essere compreso nel contesto della sola Fisica, ma necessariamente lo trascende. Noi abbiamo in particolare coscienza di una nostra identità personale. La nostra persona ci appare come assolutamente singolare, una, irripetibile e irriducibile ad altro. Per analogia e per la possibilità di comunicare con gli altri uomini al livello verbale, noi non possiamo non riconoscere anche in essi una simile identità. Resta invece aperto il problema in quale misura si possa attribuire una sorta di autocoscienza anche ad altri animali superiori, con cui possiamo avere solo una comunicazione non verbale. Il riconoscimento che la nostra soggettività trascende la Fisica non porta, però, necessariamente ad una concezione dualistica del tipo di quella proposta da Cartesio o ripresa in qualche modo ai tempi nostri da Eccles e da Popper. Una tale concezione rifiutata ovviamente dai riduzionisti, è, come è noto, anche avversata dalla maggior parte dei teologi (almeno cattolici) che, riallacciandosi attraverso Tommaso d’Aquino ad Aristotele piuttosto che a Platone, difendono l’unità dell’essere umano. Questi ultimi rimproverano a Cartesio di aver posto le premesse con la sua netta separazione tra res cogitans e res estensa ai tentativi di rifiuto dell’una o dell’altra. Il senso dell’affermazione è che la dimensione della Fisica e quella della soggettività, rivelata dall’introspezione, corrispondano a due angoli visuali distinti che si compongono ad un livello superiore della stessa realtà. Bohr parlava di aspetti complementari, Nicola Dalla Porta di una dimensione orizzontale e di una dimensione verticale, Teilhard de Chardin di un senso esterno e di uno interno presenti in tutte le cose. Insieme alla coscienza di noi stessi noi abbiamo percezione anche di una nostra sfera di libertà (sia pure nel contesto di importanti condizionamenti), che ne è in qualche modo parte integrante. Anche l’esistenza di un tale libero arbitrio è però da molti studiosi contestata e considerata un’illusione. Non esistono e sono difficilmente immaginabili esperimenti che corroborino un tale atteggiamento; certamente non sono di questo tipo, come sostenuto dallo stesso autore, gli esperimenti di Benjamin Libet su una consapevolezza ritardata. La base dell’affermazione è la pretesa che tutto debba poter essere inquadrato nella Fisica e che questa risponda ad una causalità chiusa, rendendo i nostri processi cerebrali rigidamente determinati dagli input esterni e dallo stato del nostro cervello. Ma, se come ho sostenuto, la nostra soggettività è al di là del campo di applicabilità della Fisica, una tale conclusione, oltre che contraria a una nostra insopprimibile esperienza, diviene totalmente immotivata. La Fisica moderna non corrisponde, comunque, ad una causalità chiusa e i processi che si svolgono nel nostro sistema nervoso sono fondamentalmente regolati dal cambiamento di conformazione di alcune specifiche macromolecole per la comprensione dei quali il ricorso alla Teoria Quantistica è essenziale. La complessità del sistema rende poi estremamente plausibile che fluttuazioni quantistiche emergano al livello macroscopico. Se, ponendoci in una prospettiva simile a quella di Laplace, supponessimo di conoscere in tutti i suoi dettagli l’architettura di un certo cervello, il suo stato ad un certo istante iniziale e certi input esterni, se fossimo inoltre in grado di risolvere la relativa complessissima equazione di Schroedinger, non avremmo con ogni plausibilità una risposta univoca sulla sua successiva reazione, ma una pluralità di risposte possibili, ciascuna con una propria probabilità. 10. Se una tale circostanza possa aiutare a risolvere il problema della compatibilità tra libero arbitrio e descrizione fisica dei processi cerebrali è controverso nella letteratura. Con riferimento a quanto detto sopra, io vorrei tuttavia osservare che il verificarsi di una tra le varie risposte possibili risulterebbe casuale dal punto di vita della Fisica, ma apparirebbe intenzionale da quello dell’introspezione. Sarebbe quindi perfettamente coerente con il punto di vista adottato. Un’analisi più approfondita del processo di generazione e trasmissione del segnale nervoso, di quanto in particolare avviene al livello delle sinapsi, conferma poi che l’emergere delle fluttuazioni quantistiche al livello macroscopico é effettivamente, come detto, altamente plausibile.