La vicinanza con l’Europa rende il Mediterraneo un elemento vitale per la sicurezza dell’Occidente in termini economici ed energetici, problemi e situazioni che investono l’area delle conseguenze di politiche concorrenti e parallele, le quali acuiscono i contrasti tra attori istituzionali, collettivi ed individuali a causa di soggetti regionali ed extraregionali decisi a perseguire con ogni mezzo i loro interessi. Negli ultimi cinquant’anni il Mediterraneo non è mai stato una realtà geopolitica interna al sistema occidentale, ma una regione di frontiera, nella quale si sono susseguiti conflitti locali che ne hanno acuito l’instabilità politico-economica. Gli stessi confini, non ben definiti, l’hanno sovente trasformato in valvola di sfogo delle pressioni causate dal gioco alternante della guerra fredda, complicato dalle dinamiche dei rapporti Nord-Sud. Negli ultimi anni, quando il mondo islamico ha deciso di giocare un ruolo più attivo, l‘area è divenuta una polveriera non solo per la presenza di paesi produttori di petrolio, ma per la rilevanza strategica nei rapporti tra Vicino e Medio Oriente. Tutto ciò ha determinato radicali trasformazioni, che hanno mutato ritmi della vita quotidiana, credenze, percezione dei valori. Ad esempio, nell’Egitto degli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo l’appartenenza religiosa non era fonte di pregiudizi sociali, perciò il danno mentale e spirituale dei fratelli musulmani e dei wahhabiti sauditi a partire dal 1967, l’anno della guerra dei Sei giorni, è stato irreparabile e deleterio. Il traumatico evento più di altri ha influito sulla sorte dei paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo a causa del grande crollo di credibilità dei regimi e del decadimento dell’ideologia pan-araba, la quale propugnava l’utopia di un’unica nazione dal Marocco all’Iraq. Da allora è cominciata la perentoria sentenza di condanna dell’imperialismo internazionale, colpevole di aver favorito il cancro sionista contro il mondo arabo impedendo la realizzazione del grande progetto d’unità di sangue, lingua, storia, geografia, religione di questi popoli. Le guerre arabo-israeliane successive hanno alimentato i sentimenti antioccidentali ed avvelenato i rapporti tra arabi e stranieri. L’integralismo ha preso piede facilitando l’affermazione di un’ideologia nichilista che, nel fare apologia del terrorismo, disconosce il diritto alla vita propria e altrui giovandosi. Nel diffondere questo messaggio di morte approfitta dell’eccesso di tolleranza nei confronti delle atrocità degli estremisti islamici. In tal modo si moltiplica la coorte di giovani afflitti da schizofrenia identitaria perché lacerati tra il loro vissuto europeo, percepito in modo critico, e la fedeltà a un’ideologia manichea. Restii ad un’autentica integrazione, costoro precipitano in un humus culturale intriso di odio nei confronti della civiltà occidentale, preda del relativismo culturale. Tra tante altre, queste sono riflessioni tratte dalla lettura dei saggi di Magdi Allam, vincitore dell’edizione 2008 del premio di letteratura religiosa di Pagani. Gli organizzatori intendono approfondire tali considerazioni in un seminario dal titolo: La speranza della pace: un uomo del Mediterraneo tra due culture. L’argomento consente di precisare le caratteristiche che contribuiscono a formare l’identità, colta nella sua evoluzione storica e segnata da un processo, nel quale essere e divenire disegnano il tracciato d’insieme di un popolo o dei singoli. Esso va colto senza confondere, come sono soliti fare relativisti e nichilisti, le due dimensioni, dato che oggi colpisce soprattutto gli immigrati trasferitisi dal Nord Africa nelle società occidentali, rendendo difficile la loro integrazione. Il problema è di rilevante risonanza internazionale anche per la progressiva importanza che va riacquistando il Mediterraneo nello scacchiere mondiale. Perciò, vera speranza per quest’area è che torni ad essere il bacino della civiltà umana, centro di una spiritualità unificante ed elaboratrice di valori condivisi. La realtà storica indica che tutte le grandi civiltà dell’uomo sono intrinsecamente contaminate. Non è pertanto realistica la concezione di una civiltà occidentale e di una civiltà islamica allo stato puro. Il vero problema è che né l’Occidente, né l’Islam sono davvero consapevoli della loro compenetrazione. Quando prende avvio l’islamizzazione e l’arabizzazione del Mediterraneo, il vissuto dei musulmani non è una tabula rasa. Anche dopo l’imposizione spesso forzata dell’islam, le due sponde hanno continuato ad interagire. Infatti, l’Islam ha sempre accettato la logica del compromesso grazie soprattutto ai suoi intellettuali laici che, abbracciando l’Europa, hanno dinamicizzato il riformismo islamico, erede di una storia millenaria che ha visto il Mediterraneo fondersi in un contesto geopolitico unitario. Infatti, i punti di riferimento geografici e storici tendono sempre ad intersecarsi ed amalgamarsi, confermando che tutte le grandi civiltà sono state realtà multietniche, multiculturali e multiconfessionali per cui non ne esistono di immutabili; esse appaiono sempre intrinsecamente contaminate, pronte ad evolversi nello spazio e nel tempo. Quando si parla del Mediterraneo non è facile individuare valori identitari; occorre saper leggere oltre i riferimenti a stereotipi frutto di speculazione e riferimenti letterari per cogliere situazioni che possono risultare omogenee rispetto a comportamenti nazionali e sopranazionali e descrivere le conseguenze delle dinamiche dualistiche Nord-Sud sulle regioni industrializzate o in via di sviluppo. Di conseguenza, più che un singolo modello, è opportuno considerare contesti omogenei per la costruzione di un codice comune capace di esaltare varietà e frammentarietà nel loro dinamico mutare. Tuttavia, le divisioni interne tra soggetti politici e socio-economici molteplici, oltre che culturali e religiosi, contribuiscono a far aumentare le perplessità, anche perché il modello proposto dalla sponda Nord pecca di eccessivo euro-centrismo, prono al processo di occidentalizzazione frutto dell’attuale fase di globalizzazione. Ogni tentativo di stabilizzazione, di promozione dello sviluppo, di gestione e garanzia dei confini richiede un approccio multidimensionale di difficile implementazione per l’aggravarsi degli squilibri, che s’intrecciano ai problemi politico-istituzionali, demografici, cultural-religiosi. Sovente essi non influiscono positivamente sul processo di nation e statebuilding, la cui realizzazione assegna all’Europa un indubbio ruolo di stimolo per tutta l’area del Mediterraneo allargato. A questo fine, una prima componente cruciale per pervenire ad una soluzione dei contrasti tra le due sponde è la gestione dei flussi umani enfatizzando, rispetto all’attuale posizione di difesa adottata dai paesi europei, la creazione di un mercato integrato del lavoro. La convergenza di progetti e linguaggi può garantire un’efficace gestione del patrimonio comune e incrementare il dialogo culturale utilizzando in modo più equilibrato e non imperialistico tutti gli strumenti di comunicazione. A tale scopo diventa determinante la formazione del ceto dirigente per contribuire a stabilizzare la crescita in termini di strutture produttive e di sistemi sociali. Questo è il quadro geopolitico nel quale inserire, perché determinante, anche la componente religiosa dell’Islam, soprattutto nella versione d’islamismo e di fondamentalismo, i quali tendono a recuperare una forte identità sulla quale fondare l’aspirazione ad un’affermazione politica. Nel confronto con l’Occidente sono emerse due posizioni: quella moderata e quella radicale. La prima cerca di riaffermare la propria identità in una convivenza pacifica; la seconda fonda il suo programma di azione in una contrapposizione netta con l’Occidente e all’interno con chi è favorevole alla convivenza. Crisi economica, conflittualità sociale, contrasti politici e pressione demografica diventano gli strumenti per far proseliti, anche se la loro utilizzazione risulta molto variegata non esistendo unitarietà d’indirizzo. L’Islam antioccidentale si presenta come la reazione ad una fallita modernizzazione per colpa dei ceti dirigenti al potere, a sistemi politici non evolutisi perfettamente, al difficile ricambio delle elite post-coloniali. In questo ambito viene strumentalizzata la religione per mobilitare le masse diseredate, umiliate, disperate, disposte a trovare nelle glorie del passato la compensazione mitica alla difficoltà del presente. La questione si è aggravata, divenendo davvero spinosa, per il ruolo degli Stati Uniti e dell’Europa nel nuovo ordine mondiale. Infatti, mentre l’Occidente tenta di esportare la democrazia, il fondamentalismo islamico pratica il terrorismo grazie anche alle debolezze dei governi occidentali, poco attenti a strategie capaci di porre un argine alla penetrazione dell’integralismo islamico ad opera d’individui nati in paesi europei, ma collocati ai margini della società e senza prospettive concrete. A questo proposito un pericoloso scisma segna le due sponde dell‘Atlantico per la differente prospettiva. Il maggior contrasto è determinato dall'unilateralismo statunitense e dal multilateralismo europeo, manifestatosi nel fallito equilibrio tra la politica di concerto e la concezione offensiva della difesa collettiva. Il nuovo ordine internazionale presuppone un compromesso tra queste due opzioni, eventualità che può consentire all'Europa di esercitare un ruolo valorizzando la natura flessibile della propria politica estera mentre accetta una leadership statunitense senza pretese imperiali. In tal modo è possibile assegnare un ruolo credibile anche l'ONU come tutore dell’equilibrio nella politica internazionale, garantendo adeguati tempi di maturazione ai singoli attori. La storia dell’Europa, realtà meta-geografica e meta-nazionale, ideale e codice di valori, è scandita da conflitti ed integrazioni grazie alla costante circolazione di idee, reiterati scambi economici, costanti flussi di popolazione, tutti elementi tendenti a consolidare i requisiti di una civiltà sensibile agli strumenti del soft power, aperta agli altri grazie alla pratica della koiné, vale a dire la disponibilità ad assimilare esperienze culturali non esclusive, condizionate dalle illusioni dell’hard power, che pretende di rinvenire nella forza militare il proprio fulcro. Perciò, l’Europa rimane un ponte di civiltà, fondamento del mito costitutivo della sua identità, caratterizzata appunto dalla volontà di opporsi alla cultura asiatica, che non riconosce le prerogative dell’uomo; da sempre luogo di confronto e d’integrazione tra la versione latina, ortodossa ed araba dell’umanesimo, almeno fino all’Ottocento, quando vive il proprio apogeo. Allora il concerto europeo disegna i rapporti di forza sviluppando il processo di modernizzazione mondiale con i fasti della prima globalizzazione. La particolare predisposizione degli europei all’uso del soft power, al contrario di quanto si è soliti attribuire alla superpotenza statunitense, rende più credibili i primi nel trattare con gli Stati e indurli a considerare la convenienza della collaborazione per la sicurezza mediorientale. Questo tipo di partenariato, oltre a positive ripercussioni psicologiche, rappresenta un elemento geopolitico e commerciale di rilevante valore. In effetti, l’esperienza veterocontinentale delle sfere d’influenza potrebbe rivelarsi di grande aiuto per gli Stati Uniti; può costituire uno sprone necessario per recuperare l’orgoglio europeo e, quindi, una presa di coscienza della necessità di una maggiore responsabilità per attivarsi nell’area, convinti che testimoniare i valori occidentali costituisce ancora una possibilità per sperimentare la bontà del migliore dei mondi possibili. Ponte tra Asia ed Atlantico, per le origini mitiche del nome l'Europa rimanda al mito della bellezza orientale rapita da Zeus, opportunità per riflettere sul contesto socio-culturale di costante mediazione tra la componente orientale della civiltà mondiale e l’autonoma capacità di rielaborazione; così, ancora oggi, pur essendo un perno del mondo occidentale, conserva elementi che rimandano agli antichi legami asiatici. Queste considerazioni di lungo periodo autorizzano l’Europa a rivendicare una funzione non solo di supporto, ma anche di ascoltato consigliere degli Stati Uniti. La mediazione soprattutto culturale può contribuire a moderare gli orientamenti eccessivamente radicali dell’unica superpotenza, attualmente decisa a sconfiggere il terrorismo anche a costo di sacrificare alcuni aspetti della propria tradizione politica, in passato ragionevole elemento di credibilità per la bontà delle sue istituzioni democratiche. Una corretta metafora delle differenze tra le due sponde dell’Atlantico non è quella propagandata, con molta superficialità, da chi ha preteso d’individuare negli Stati Uniti i devoti di Marte e negli Europei gli imbelli seguaci di Venere, ma quella racchiusa nell’Iliade e nell’Odissea. Infatti, i primi non esitano ad accollarsi una guerra lunga e defatigante, nella quale s’intravedono eventi fonte di energia, ma anche d’irrazionalità. Epos ed ethos dell’Iliade esaltano la grandiosità della guerra voluta dal fato nel coinvolgere le forze della natura. Achille, il protagonista, trascina gli altri, mentre la coralità dei popoli fa solo da cornice, anche quando sono le nazioni ad essere segnate da sofferenze o da gioie; egli rimane l’eroe delle pulsioni, sovente capricciose nella loro elementarità, celebrato per la forza che, tragicamente, diventa la sua hybris perché priva di sapienza interiore e non affinata dalla sofferenza umana, come quella di cui, invece, è dotato Ulisse. Nell’eroe protetto da Minerva si riflette l’Europa con la sua millenaria odissea, con la tragedia di due guerre mondiali che hanno fatto acquisire la tensione civile ed umana della conoscenza ed una dose di saggezza per tentare nel futuro di evitare il ripetersi di sventure analoghe. Questa percezione contribuisce a generare riverenza ed una simpatetica predisposizione per i deboli; predilige una visione della vita disposta a far tesoro, dopo tante avventure tra genti diverse, della conoscenza diretta della sventura, valutando la sofferenza propria e degli altri come occasione di autocoscienza. In tal modo, arricchendo la propria identità grazie alla dialettica del rapporto con gli altri, l’Europa dimostra di preferire una visione più domestica, quindi più umana, rispetto alla solarità di chi cerca ad ogni costo l’atto eroico; si sostanzia, quindi, di una cultura tollerante, rispettosa della libertà, pronta a temperare gli individualismi con interventi sociali per garantire un minimo d’eguaglianza nelle opportunità e difendere i più deboli. Condannato il ricorso alla guerra, emerge l’insostituibile funzione della comunità internazionale, recuperando elementi tradizionali del dibattito politico-culturale. Invece di accentuare i contrasti tra multiculturalismi, che potrebbero sconvolgere fragili equilibri ed imporre un’integrazione percepita come mezzo per far prevalere una cultura sulle altre, è utile ricordare che la civiltà non è stata mai statica, ma soggetta a scambi e ravvivata da continue evoluzioni. Le capacità di ricambio e di aggiornamento con riferimento a valori tendenzialmente universali dovrebbero rassicurare sull’impegno a rispettare i diritti della persona. E’ una condizione che accomuna, ad esempio, tutti gli uomini che si riconoscono nel cristianesimo. Essi provengono da terre geograficamente lontane ed esperienze non sempre riconducibili ad un unico schema. Ma la varietà di forme e di atteggiamenti, collegati alle condizioni spaziali e a scansioni temporali diverse, esalta la ricchezza di prospettiva nella coscienza di possedere qualcosa che accomuna per vita spirituale, prassi, costumi, religione. E’ un mondo che si sostanzia innanzitutto nella scoperta e nella valorizzazione della persona e dei suoi diritti, collegati al forte senso del dovere verso la comunità perché, se non vuole soccombere, l’individuo deve restare fermamente unito al koinòn di un Mediterraneo allargato da sempre teatro e forgiatore di civiltà. Luigi Rossi