sociologia del lavoro dott - Digilander

SOCIOLOGIA DEL LAVORO DOTT. PUGLISI E DOTT. STRINGA
Evoluzione dei modelli organizzativi
 Le tre grandi questioni:
1. La questione industriale: dove i temi portanti sono la tecnologia ed il consenso.
2. La questione burocratica: definita dalle funzioni delle norme e dalle strategie dei
soggetti.
3. La questione organizzativa: definita dagli assi decisioni e risorse.
La questione industriale:
 Il tema comune di tutte le teorie è quello di affrontare i problemi connessi agli
effetti della tecnologia sul lavoro umano ed alle condizioni che favoriscono il
consenso dei lavoratori subalterni alla erogazione di sforzo fisico e psichico.
 Il percorso si snoda partendo dalla proposta estrema ed ossessiva di Taylor,
prosegue con le varie teorie del superamento del taylorismo, tra tentativi di
edulcorarlo e chi propone di superarlo con nuovi stili direttivi, sino a giungere al
sistema di produzione snella, il famoso “modello giapponese”.
Il Taylorismo
L’imperioso bisogno di organizzare il lavoro è molto recente. Tanti secoli di artigianato e
manifatture non avevano mai richiesto nulla del genere.
Perché dunque è nata una organizzazione del lavoro detta “ scientifica “ e proprio in USA?
Frederick Winslow Taylor e l’OSL.
Il contesto storico che spiega il sorgere di un movimento per la rivoluzione manageriale ed
esecutiva del lavoro.
 Concentrazione industriale
 Forza lavoro non qualificata
 Spinta a produzione di serie
 Sindacati
Il contesto storico
Progressi tecnico scientifici
Taylorismo
Processo lavorativo
I motivi del successo e gli obiettivi
La Scienza applicata all’industria
Empiria Arbitrio
Metodo
 Usare la scienza come criterio di prassi ma anche come base legittimante delle
nuove proposte
 Razionalizzare le linee di autorità all’interno dell’impresa
 Migliorare produzione e rendimento di impianti e uomini attraverso la
riorganizzazione ma anche con la trasparenza totale di costi, procedure, tempi e
metodi di lavoro
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Si individuano due livelli di studio ed applicazione:
 Antropologico
 Organizzativo
Principi fondamentali dell’OSL
Principio metodologico di base:
ONE BEST WAY: esiste sempre un metodo unico e migliore per risolvere problemi o
eseguire operazioni di qualunque genere.
Studio scientifico dei migliori metodi di lavoro, tenendo presente caratteristiche di
lavoratori e macchine.
1. Formulazione della Misurazione Tempi e Metodi.
2. Selezione ed addestramento scientifico della manodopera
3. Ricerca di collaborazione tra dirigenti e manodopera
4. Riorganizzazione dell’apparato direttivo dell’impresa. Dalla direzione gerarchica di
tipo “militare” alla direzione funzionale. Restringimento dei campi di competenza.
Norme e procedure prestabilite dalla direzione fissano le prestazioni lavorative.
Applicazione del principio di eccezione.(continua) Rigida separazione tra
progettazione ed esecuzione del lavoro. La minuziosa determinazione e
programmazione dei carichi di lavoro (task management), va effettuata dal corpo
dirigenziale. L’obiettivo è ottenere dal corpo esecutivo un lavoro standardizzato e
uniforme con rendimento ottimale.
Riflessioni critiche
 Il Taylorismo rappresenta non solo una applicazione metodologica sul lavoro
operaio, ma anche una concezione organizzativa completa.
 Taylor fonda l’approccio razionalistico al problema organizzativo.
 Una rilettura del Taylorismo passa attraverso la storicizzazione dello stesso.
 I limiti di una impostazione volta ad un totale controllo e determinazione della
condotta umana.
 Il Taylorismo e la questione industriale. Esiste un neo-Taylorismo dei servizi?
Il movimento delle relazioni umane
 Rappresenta la scoperta di un aspetto cui il Taylorismo aveva dato poco o nulla
spazio: quella componente del processo produttivo definita “fattore umano”.
 Non fu però esente da critiche in quanto venne da molti definita una sorta di
ideologia manageriale, ovvero “una costruzione teorica attenta ai problemi dei
lavoratori utilizzabile a scopi pratici per meglio legittimare il loro sfruttamento”.
 Il movimento finalizza, infatti, tutta la sua attività di ricerca verso l’uso manageriale
delle nuove conoscenze.
 Ciò che colpisce, inoltre, è la risonanza che questa scuola riscosse sia negli ambienti
manageriali che nella comunità scientifica a dispetto della esiguità e gracilità delle
prove empiriche su cui si regge.
 Una delle principali spiegazioni di questo successo può essere quello del bisogno di
“consonanza cognitiva” generatosi negli Stati Uniti degli anni 40.
1. Necessità di mantenere il sistema economico in essere
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2. Durezza delle prescrizioni che regolavano il lavoro subalterno in un’economia
di mercato (taylorismo)
3. Nobiltà dei valori esaltati nella democrazia americana
4. M.R.U.
 Ma al di là di alcune evidenti intenzioni manipolatorie presenti nei protagonisti del
movimento atte a legittimare un ordine manageriale in via di consolidamento, vi
sono stati diversi spunti positivi da mettere in evidenza.
 Un concetto che,infatti, risultò estremamente chiaro a tutti gli studiosi del
movimento fu quello che:
i comportamenti organizzativi vanno studiati mettendo a fuoco, prima di tutto,
le regole che le persone riconoscono come operanti e valide.
 Il secondo contributo di queste ricerche sulla comprensione dei comportamenti
lavorativi fu quello di ottenere uno spostamento dell’ottica di chi gestiva il personale
dai ristretti confini dell’attività di mero controllo del reclutamento, del collocamento
e disciplinare a quelli di attività impegnative e coinvolgenti di carattere psicologico e
sociologico.
 In Italia, per esempio, il movimento fu “importato” verso gli anni cinquanta con due
scopi:
1. Ottenere il consenso dei lavoratori, attraverso la creazione di servizi aziendali
quali mense, servizi sanitari, modelli di comunicazione, attività ricreative ecc.
2. Pratica di selezione, addestramento ed analisi delle mansioni del personale.
 Le sue teorie furono travolte dalle critiche che si svilupparono nell’autunno del 69.
 Un ulteriore grosso contributo prodotto dalle ricerche del gruppo fu la scoperta
dell’informale:
un insieme di regole comportamentali non scritte,non sottoposto ad un
sistema formalmente definito ma che non necessariamente lo contrasta
che orienta le azioni dei gruppi sociali in ambito lavorativo
Le vicende del M.R.U.
 Nel 1924 la direzione della Western Electric Company di Hawthorne realizza una
ricerca sul grado di connessione tra illuminazione e rendimento degli operai.
 Era una ricerca evidentemente conforme allo spirito del scientific management, con
il ricorso alla scienza come strumento neutrale di conoscenza di condizioni fisicoambientali e l’assunzione degli operai come soggetti passivi di esperimento.
 Il risultato dell’esperimento condotto su tre gruppi di lavoro sottoposti a variazione
dell’intensità della luce produsse risultati inaspettati e disorientanti per i tecnici
dell’azienda che lo condussero:
esisteva un “fattore umano” fino ad allora trascurato che agiva come
variabile interveniente
 Si decise, quindi, che lo sviluppo delle ricerche sui rapporti tra motivazioni
psicologiche e rendimento lavorativo richiedeva l’intervento prolungato di specialisti.
 I dirigenti della Western Electric affidarono quindi a Elton Mayo, della Graduate
School of Business Administration di Harward il compito di approfondire le ricerche.
 Il programma di ricerca si protrasse per oltre cinque anni attraverso tre distinte
ricerche:
1. sui fattori che favoriscono il rendimento operaio.
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2. sui motivi di lamentela e di soddisfazione operaia all’interno della
fabbrica.
3. sui fattori di solidarietà od antagonismo informale tra gli operai.
1. I fattori che favoriscono il rendimento operaio
 Dei tre questo fu l’esperimento più criticato (condotto in maniera
metodologicamente poco corretta ed interrotto dalla grande crisi del 29).
 Lo scopo fu quello di accertare se i fattori più efficaci nello stimolare il rendimento
operaio siano di natura economica (incentivi alla produzione) o di natura psicosociale (affiatamento nel lavoro di gruppo, supervisione amichevole, pause di
lavoro).
Alla conclusione dell’esperimento la produzione media oraria delle operaie
sottoposte all’esperimento era aumentata del 30%.
2. Conclusioni M.R.U.
1. L’aumento del rendimento operaio dipende soprattutto dall’instaurarsi di una
supervisione amichevole e quindi di migliorate relazioni umane nel gruppo.
2. Un effetto minore è dato dall’introduzione di pause di lavoro.
3. Effetto molto limitato dell’incentivo economico calcolato sul lavoro di gruppo
Critiche per aspetti non considerati nella ricerca:
1. Interventi disciplinari del management.
2. Effetti della depressione economica in corso.
3. Manipolazione psicologica degli aspetti informali.
3. I fattori di solidarietà e di antagonismo informale
L’esperienza delle prime due ricerche aveva suggerito l’importanza dei gruppi
informali nella vita aziendale; i risultati di questa indagine avrebbero esercitato una
notevole influenza sui successivi sviluppi della Sociologia industriale e del lavoro.
Conclusioni della ricerca:
A. I soggetti posti in un gruppo di lavoro vanno considerati come membri di
un sistema sociale dotato di norme in parte elaborate dal gruppo stesso.
Tutte le attività svolte, infatti, erano regolate da norme informali che
prescrivevano solidarietà ed omogeneità interna.
B. La distinzione tra aspetti formali ed informali è fondamentale per
comprendere le dinamiche di gruppo, e in particolare le pressioni alla
omogeneità interna.
C. Il gruppo attiva dei meccanismi di autodifesa contro pressioni ed
interferenze esterne miranti ad eliminare benefici informalmente
acquisiti (aumento della produzione)
Effetto della ricerca:
Superamento dell’assunto tayloriano della cosiddetta “ipotesi della plebaglia” e quindi
dell’organizzazione scientifica del lavoro come strumento necessario per ottenere la
massima quota di produzione.
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La restrizione della produzione non è che l’espressione di norme sociali che agiscono a
livello informale per cercare di eludere il controllo organizzativo
Critiche alla ricerca:
L’aver riconosciuto la natura sociale del restringimento dell’output e l’enfasi sugli
aspetti emozionali potevano far generare il sospetto di favorire tentazioni manipolative dei
lavoratori da parte della direzione aziendale.
Accorte iniziative psicologiche potevano essere un ben poco costoso surrogato
a mutamenti sostanziali nel livello delle paghe o del contenuto e delle
condizioni di lavoro.
L’ideologia delle Relazioni Umane
Con tutti i limiti più volte accennati i contributi e gli stimoli verso una nuova cultura
dell’agire organizzativo indotti dagli studi del movimento, si possono ricondurre a tre temi:
1. Il fattore umano.
2. L’anomia della società industriale e la fabbrica come istituzione
reintegratrice.
3. Gli aspetti informali.
1. Il fattore umano:
A. La polemica con lo scientific management accusato di considerare i lavoratori come
puri erogatori di forza lavoro.
B. Recupero del fattore umano (complesso dei fattori psicologici latenti che
condizionano il comportamento manifesto).
C. Una maggiore attenzione dell’azienda alle esigenze psicologiche dei soggetti ed
all’ambiente micro-sociale può aumentare il rendimento lavorativo più di incentivi
economici.
D. Creare un ambiente di lavoro privo di tensioni tra dipendenti e dipendenti e gli
stessi e l’azienda, con l’intervento di psicologi aziendali.
1. Descrizione della personalità dell’uomo priva di dimensioni macro-sociali o di
influenze strutturali capaci di fornire identità collettive difformi da quelle
dell’azienda.
2. Chiunque sviluppi una “coscienza di appartenenza” che trascende il piccolo
mondo quotidiano, non sarà considerato come un individuo che aderisce ad
un progetto sociale alternativo ma un essere afflitto da turbe psico-emotive
generate da frustrazioni micro-ambientali.
3. Chi protesta e lotta contro il sistema aziendale (sempre che questo si sia
“umanizzato”) è sostanzialmente un disadattato per motivi psicologici.
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2. L’anomia della società industriale e la fabbrica come istituzione
reintegratrice:
1. La società industriale turbata da crisi e tensioni.
2. Il concetto durkheimiano di anomia.
3. La restaurazione di antichi valori attraverso istituzioni secondarie
caratteristiche del mondo moderno e liberista: le fabbriche.
4. Essa dovrà occuparsi delle conseguenze sociali derivanti dalla concentrazione
urbana della manodopera, impegnandosi in programmi sociali anche al di
fuori del lavoro.
3. Gli aspetti informali:
1. La fitta rete di rapporti informali ed il loro rapporto con l’integrazione sociale degli
individui e la produzione.
2. La conseguenza pratica dell’importanza accordata agli aspetti informali è una politica
aziendale volta a favorire la creazione di gruppi di lavoro armonici e privi di grossi
conflitti.
3. Sviluppo di una professionalità della dirigenza adatta all’ascolto, a saper consigliare, ad
essere sensibili agli aspetti non sempre evidenti delle interazioni nei gruppi e
consultarsi con gli psicologi d’azienda per la gestione delle situazioni “delicate”.
 Gli esperimenti condotti alla Western Electric aprirono negli U.S.A una intensa
stagione di ricerche sul mondo della fabbrica: il morale dei dipendenti, le
motivazioni al lavoro, le relazioni informali nei gruppi, i fattori psico-sociologici di
integrazione o conflitto furono gli argomenti più dibattuti.
 Il lavoro operaio continuò però a rimanere stupido ed oppressivo, le gerarchie
intatte, le relazioni industriali addomesticate ed i benefici frutto di concessioni
unilaterali e non contrattazione su base paritaria.
Si comprende come al declino del taylorismo come formula di produzione
seguì quello delle Relazioni Umane come formula di controllo politico del
lavoro.
Chester Barnard
L’azienda come sistema cooperativo
Presupposti del pensiero di C. Barnard:
1. La fondazione etica della società, ovvero il progressivo declinare del individualismo
utilitaristico a favore di una filosofia che considera la società come un’entità
cooperativa regolata da principi morali.
2. Il management non proprietario, cioè il modificarsi della classe dirigente in campo
economico, con la progressiva distinzione tra proprietari e management.
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La fondazione etica della società
Il darwinismo sociale come massima forma di individualismo: la società come l’arena
di lotta per la sopravvivenza.
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 La lotta per l’esistenza come presupposto per giustificare sia la ricerca sfrenata del
successo che il dominio autoritario sulla manodopera, considerata massa infida ed
ostile.
 Questi presupposti teorici, con la crescente complessità economica e sociale non
erano più sostenibili come strumenti di legittimazione e comprensione dell’agire
organizzativo.
 Al commiato dal darwinismo sociale, contribuiscono dapprima Taylor con il tentativo
di assumere un metodo scientifico come principio regolativo dell’agire
imprenditoriale e poi E. Mayo con la scoperta delle solidarietà informali del piccolo
gruppo (e quindi con il superamento dell’ipotesi della plebaglia).
 Barnard rappresenta un’altra tappa di questo percorso con l’elaborazione di un
pensiero manageriale fondato su una concezione cooperativa del sistema aziendale.
 Nel suo pensiero risultano molto chiari i riferimenti alle teorie funzionaliste di T.
Parsons (La struttura dell’azione sociale, 1937), massimo contributo teorico di
quegli anni ad una costruzione morale e non utilitaristica della società.
2. Il management non proprietario
 La crescente complessità delle strutture e delle funzioni organizzative nell’industria
porta all’avvento di una figura sociale nuova: il manager non proprietario.
 La sua comparsa rende più complesse le strategie in azienda, passando da uno
schema dicotomico padronato-dipendenti ad uno proprietà-managementdipendenti, dove il management svolge una funzione autonoma che non
necessariamente coincide con il volere della proprietà.
Il pensiero di C. Barnard:
 Uno delle caratteristiche dell’uomo e quella di proporsi degli scopi per trasformare
l’ambiente in cui vive, incontrando, però, sempre nuovi limiti (fisica, biologica,
conoscitivi ecc.).
 Il modo più efficace per superare tali limiti è quello di passare dallo sforzo
dell’individuo isolato alla cooperazione tra più persone.
 Nel momento in cui cominciano a cooperare per il raggiungimento di fini comuni, gli
uomini entrano in una realtà sociale qualitativamente diversa da quella definita
dall’agire isolato.
Essi entrano nella realtà delle organizzazioni formali
 La parabola del masso:
1. L’azione individuale.
2. L’azione cooperativa con fine personale che coincide con quello comune.
3. Fine collettivo (dell’organizzazione nel suo complesso) e movente personale.
4. L’azione cooperativa con fine personale che non coincide con quello comune.
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I due elementi centrali della costruzione teorica di C. Barnard:
1. Livello informale e livello formale dei rapporti umani.
2. Distinzione tra fini organizzativi e moventi personali
1. Livello informale e formale dei rapporti umani:
 Pur riconoscendo il contributo della scuola delle Relazioni Umane, ne evidenzia i
limiti in quanto essa pone l’accento solo sulle relazioni informali, da sole insufficienti
a generare il comportamento cooperativo.
 Inoltre Barnard restituisce all’organizzazione formale la funzione della sede nella
quale gli uomini, con consapevolezza, stabiliscono una cooperazione e quindi anche
una rete di relazioni informali.
 E’ la stessa organizzazione formale ad essere generatrice di rapporti informali.
2. Fini organizzativi e moventi personali:
 Nel momento in cui il fine comune viene perseguito tramite l’organizzazione
formale, esso diventa il fine dell’organizzazione e da esso vanno distinti i moventi
per cui gli uomini partecipano all’organizzazione.
 Il fine dell’organizzazione non ha alcun significato per l’individuo, ciò che lo ha è
quali sacrifici gli impone e il beneficio tratto.
 Da questa distinzione ne consegue che non ci si può limitare a perseguire solo i fini
impersonali dell’organizzazione ma che vanno tenuti presenti anche i moventi dei
singoli membri.
Il problema quindi è quello di riuscire a mobilitare consensualmente un insieme di
individui per un fine che non è il loro e di offrire al contempo a tali individui incentivi
sufficienti a soddisfare la loro motivazione a partecipare
Altri tre concetti della teoria di C. Barnard:
1. Efficacia ed efficienza
2 .Il primato degli incentivi non materiali.
3.Caratteristiche dell’autorità e funzioni del dirigente.
A. Efficacia ed efficienza
 Efficacia: misura in cui l’organizzazione raggiunge i propri obiettivi. Avere un fine e
riuscire a realizzarlo.
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 Efficienza: misura in cui si soddisfano le motivazioni individuali a far parte di un
sistema cooperativo. Non quindi un rapporto tra costo economico e risultato
raggiunto, come di consueto.
B. Il primato degli incentivi non materiali.
 Comprendono gratificazioni morali, stima, prestigio, familiarità di metodi e di
atteggiamenti all’interno del sistema cooperativo ecc.
 Seguendo una tesi fortemente “antimaterialistica”, Barnard afferma che, una volta
soddisfatte le necessità minime, “la pura forza degli incentivi materiali è per la
maggior parte degli uomini estremamente debole… il denaro senza prestigio,
distinzione, posizione è chiaramente inefficace”.
 Si tratta dunque di gestire l’insieme dei diversi incentivi secondo modelli
personalizzati, tra preferenze soggettive, vincoli di risorse e scopi organizzativi.
C. Caratteristiche dell’autorità:
 La fonte dell’autorità non risiede nella forza di imposizione di colui che dirige ma nel
fatto di essere accettata dai sottoposti.
 L’autorità non consiste nell’occupare una posizione gerarchica superiore, ma nel
fatto che i sottoposti riconoscono un carattere di “ordine” a particolari tipi di
comunicazione che provengono da quella posizione.
 Colui il quale detiene posizioni di responsabilità deve conoscere ed esercitare in
maniera corretta la pratica della comunicazione.
C. Funzioni del dirigente:
 Assicurare un efficiente sistema di comunicazione.
 Garantire l’acquisizione regolare e costante delle risorse necessarie per il
funzionamento dell’organizzazione.
 Determinare i fini dell’organizzazione.
Le doti di comando consistono in una complessità morale e in un senso di
responsabilità superiori alla media
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