Biosensori Sensibilizzati per la Protezione dell`Ambiente e della

Biosensori Sensibilizzati per la Protezione dell'Ambiente e della Salute
Umana
Le proprietà antibatteriche e antimicotiche dell’argento sono conosciute e
apprezzate sin dai tempi antichi. Gli Egiziani utilizzavano l’argento per
purificare l’acqua che dovevano conservare per lunghi periodi di tempo.
Plinio il Vecchio descrive le proprietà di questo metallo nel rimarginare le
ferite. Gli imperatori cinesi utilizzavano utensili in argento per prevenire la
trasmissione di malattie. Prima dell’avvento degli antibiotici, l’argento
colloidale era considerato uno dei trattamenti fondamentali per le infezioni.
Oggi, la medicina moderna lo utilizza per la cura delle ustioni, delle
infezioni degli occhi nei neonati etc., mentre la NASA lo ha scelto come
sistema di purificazione dell’acqua per le sue navicelle spaziali.
HYG: la nanotecnologia applicata per la prima volta in campo tessile.
Ci sono casi in cui le dimensioni ridotte possono fare davvero la differenza e
la nanotecnologia, un ramo della scienza applicata e della tecnologia che si
occupa del controllo della materia su scala dimensionale infinitesimale, è
uno di questi casi. In pratica, le nanotecnologie “manipolano” la materia a
livello atomico e molecolare, dove il nanometro (un miliardesimo di metro)
è la comune unità di misura. In scala così ridotta, infatti, le proprietà della
materia cambiano in modo inaspettato: più un oggetto diventa piccolo, più
aumenta il suo rapporto superficie/volume, con il risultato che gli atomi di
superficie
sono
molto
più
reattivi
di
quelli
centrali.
Le nanotecnologie hanno un ambito di investigazione e di applicazione
altamente multidisciplinare, che va dalla biologia molecolare alla chimica,
dalla fisica all’ingegneria meccanica ed elettronica e, oggi, anche alle…
fibre tessili. E’ stato questo, infatti, il nuovo campo di applicazione delle
nanotecnologie, da cui, dopo cinque anni di studi e di ricerche, è nato
l’Hygienic Gusset System (HYG), il primo tessuto che, a contatto con la
pelle, è in grado di neutralizzare funghi e batteri, causa di infiammazioni e
irritazioni.
Ioni
d’argento
in
un
reticolo
nano
strutturato.
L’HYG è il primo esempio di nanotecnologia che ha consentito a un tessuto
di poter assicurare protezione, freschezza e benessere costante per tutto il
tempo in cui viene indossato e per tutta la sua durata di vita. Questa grande
innovazione tecnica è stata possibile imprigionando in modo permanente
nanomolecole d’argento in un tessuto ultra confortevole (microfibra
Sensitive), che acquisisce così la capacità di disattivare i batteri in modo del
tutto naturale. Il tessuto, infatti, attira i batteri ed esaurisce la carica elettrica
dei loro enzimi, neutralizzandoli. Non solo. Questo nuovo, rivoluzionario
tessuto possiede anche altre caratteristiche fisico-chimiche del tutto
particolari: conducibilità elettrica, conducibilità termica, assorbimento,
radianza, riflettanza, auto-eliminazione dell’umidità, che lo rendono
estremamente confortevole, traspirante e antisudore.
I biosensori sono dispositivi in crescente applicazione in ragione della
loro praticità d'uso, del basso costo, della capacità di lavorare in situ e
dell'affidabilità scientifica dei risultati. D'altra parte le numerose
applicazioni hanno anche mostrato i limiti di tali dispositivi in termini di
limite minimo di rilevabilità, di sensibilità e di selettività.
Il presente progetto tende ad instaurare una collaborazione fra gruppi
italiani con competenze specifiche e complementari nel campo della
fabbricazione, caratterizzazione ed applicazione di biosensori, con il fine
di mettere a punto modificazioni e proposte innovative nel campo
oggetto della ricerca per tentare di superare i limiti suddetti.
Il carattere della ricerca proposta è al tempo stesso metodologico ed
applicativo. Si intende mettere a punto una serie di possibili integrazioni
e modificazioni alle tecniche mature nel campo dei biosensori per
migliorare l'affidabilità e le prestazioni analitiche di tali dispositivi,
rilevando su casi di interesse strategico la ricaduta di tali innovazioni.
Il numero di biosensori sul quale si opererà per sperimentare le
modifiche, sarà ridotto per esigenze operative e comunque
rappresentativo delle varie classi. Per i biosensori enzimatici,
probabilmente il massimo è stato già ottenuto anche se la stabilità
rimane talora un punto debole come pure la selettività soprattutto per i
biosensori "ad inibizione"; peraltro tale aspecificità può risultare utile per
risposte a carattere integrale. Nel caso di un sensore costituito da
organismi viventi sembrano esserci più possibilità suscettibili di ulteriore
esplorazione. Per la selettività e per la sensibilità l'ipotesi più attraente è
basata sulla modifica genetica del micro-organismo che porti a un
aumento di queste proprietà. Un'altra possibilità è rappresentata
dall'asportazione, mediante trattamento chimico o lisi enzimatica (ad
opera dell'enzima Zymolase), della parete cellulare dell'organismo; i
lieviti e le alghe sono organismi tipici per cui questo trattamento può
portare a un miglioramento delle caratteristiche analitiche. Per quanto
riguarda in particolare i lieviti nei biosensori respirometrici, da diversi
anni nel laboratorio del coordinatore vengono eseguiti test di tossicità
integrale per i quali risulta di ovvio notevole interesse la possibilità di
accrescere i livelli di sensibilità. Alternativo e complementare alla lisi
della parete cellulare può essere, l'uso di carrier capaci di trasportare il
tossico attraverso la parete cellulare. La possibilità di lavorare su singole
cellule è un altro approccio che permette l'uso di cellule umane
consentendo in tal modo di superare la difficoltà della trasposizione
all'uomo dei risultati ottenuti per sistemi biologici differenti. Infatti l'uso
di appropriati sistemi biologici è di fondamentale importanza negli studi
di tossicologia ambientale e occupazionale ed è limitato dall'invasività
delle procedure. Lo studio sulle colture cellulari e sugli animali sono
essenziali, ma al di là degli aspetti etici non sempre i risultati possono
essere estrapolati all'uomo. Modelli in vivo sarebbero desiderabili sia per
lo studio degli effetti biologici sia per gli studi di dosimetria.
Un maggiore livello di qualità analitica può derivare ai biosensori anche
da un'opportuna strategia di campionamento, dall'elaborazione del
segnale
e
dalla
trattazione
chemiometrica
dei
risultati.
Obiettivo del Programma di Ricerca
Realizzare ed applicare, a casi di particolare attualità ed interesse,
biosensori sensibilizzati che, attraverso opportune modifiche rispetto ai
modelli tradizionali nella ingegneria del sensore, nel pretrattamento del
componente biologico, nella metodologia del rilevamento sperimentale,
nella elaborazione del dato analitico, consentano migliori livelli qualitativi
e quantitativi di caratterizzazione, di analisi e di informazione.
Base di partenza scientifica nazionale o internazionale
La disponibilità di sistemi affidabili per analisi chimiche e biologiche
selettive effettuabili "on-line" è una necessità reale per applicazioni in
svariati campi come quelli medico, ambientale e di controllo dei bioprocessi. Auspicabile è anche l'avvento di strumenti analitici
miniaturizzati ed integrabili capaci di fornire uno "screening" veloce, ad
alta prestazione, efficiente e "multiplex" dei campioni. Attualmente la
ricerca accademica nonché quella industriale è indirizzata verso lo
sviluppo di sistemi analitici per la rivelazione di vapori/gas organici e per
analisi in flusso su sistemi biologici. La rivelazione di un partner legante
su di un chip o su un array di sensori può essere effettuata per mezzo di
sistemi a fluorescenza ottica [1]. Tuttavia, tali sistemi presentano
ancora numerosi problemi, sopratutto legati alla mancanza di
standardizzazione ed alla mancanza di un adeguato supporto informatico
(bioinformatica). Il risultato è che tali bio-chip hanno basse prestazioni
sopratutto in termini di qualità, riproducibilità e sensibilità del responso.
D'altro canto, parecchi vantaggi possono essere intravisti nell'utilizzo di
sensori capaci di fornire una risposta elettrica (chemiresistori) in
particolare in termini di trattamento dei dati. n ruolo chiave in questo
campo può essere giocato da resistori e transistori ad effetto di campo
basati su film sottili organici che diventano sempre più importanti
nell'ambito del sensing di tipo chimico e biologico. Il vantaggio più
attraente di questa classe di sensori è quello di fornire responsi veloci
verso analiti biologici e chimici che interagiscono direttamente con lo
strato attivo organico del dispositivo elettrico, e di non richiedere stadi
preparativi del campione in esame. Un aspetto nuovo e di crescente
importanza in questo ambito di ricerca riguarda i dispositivi elettrici che
impiegano molecole di DNA di lunghezza compresa tra pochi nucleotidi e
catene lunghe parecchie decine di micrometri. Questo rappresenta il
background dei recenti studi [2-4] riguardanti strati attivi biofunzionalizzati per il riconoscimento chimico e biologico. La
funzionalizzazione di nanotubi di carbonio, nanoparticelle di metalli e
nanofili di silicio al fine di renderli capaci sia di compiere un
riconoscimento verso analiti bio-chimici [2-4] sia di condurre carica, è
uno scopo nuovo ed ancora inesplorato. Anche nanoparticelle metalliche
funzionalizzate con catene di DNA sono studiate per applicazioni nel
campo
dei
dispositivi
elettrici
[4,
5].
In questo scenario i transistor a film sottile organico (OTFT) possono
giocare un ruolo chiave. Il loro primo utilizzo come sensori chimici risale
alla fine degli anni ottanta [6], quasi contemporaneamente alla loro
comparsa come dispositivi elettronici. Nonostante ciò uno studio
sistematico degli OTFT come sensori chimici è iniziato molto più tardi [7,
8]. Negli ultimi anni si è assistito ad un notevole sviluppo dei sensori a
base di OTFT e sono stati ottenuti importanti risultati. Infatti il livello
delle prestazioni di questi sensori è caratterizzato da un'eccellente
ripetibilità di risposta [9], una buona sensibilità e da un limite di
rivelabilità nell'intervallo 10-50 ppm [10]. Questa è una figura di merito
che prevedibilmente può essere ulteriormente migliorata. Gli OTFT
forniscono un responso multi-parametrico in quanto diversi parametri
del transistor variano in seguito ad esposizione dello stesso a specie
chimiche e biologiche [9, 11]. È stata già provata una buona selettività
chimica nei confronti di classi di composti omologhi e sulla base di
questo
si
intravedono
interessanti
prospettive
per
la
loro
implementazione in sistemi microfluidici [10, 12] e di tipo array.
Parecchi traguardi sono stati fino ad ora raggiunti in questo campo,
anche grazie a precedenti finanziamenti COFIN/PRIN ottenuti dallo
stesso gruppo di ricerca, ciononostante questa nuova classe di sensori
presenta ancora parecchi importanti aspetti che non sono ancora
completamente esplorati come quello di modellizzare il meccanismo di
riconoscimento e di spiegare il ruolo della polarizzazione di gate. Ad
esempio non è ancora chiaro perché imponendo una polarizzazione di
gate inversa sia possibile riportare il sensore alle condizioni iniziali anche
dopo un'interazione che abbia prodotto un responso irreversibile, come
evidenziato in una nota recentemente pubblicata in Analytical Chemistry
[13]. Questa è una proprietà peculiare che gioca un ruolo importante nel
conferire importanti caratteristiche di stabilità e affidabilità a questa
classe di dispositivi, che possono peraltro così anche operare sempre a
temperatura ambiente. Inoltre, molto importante per dare un imput al
progresso nel campo dei sensori chimici e biologici è lo sviluppo di
polimeri conduttori funzionalizzati con molecole chimiche [12] o
biologiche
[14]
Per quanto detto, per sviluppare sensori tipo chem- e bio-chip altamente
miniaturizzati vi è la necessità di progettare e preparare nuovi materiali
elettroattivi e dielettrici idonei per la realizzazione di un sensore
innovativo a base di transistori ad effetto di campo. Alcuni risultati
preliminari sembrano indicare che i polimeri ibridi inorganico-organici
sono degli ottimi candidati per la realizzazione di microchips [15]. In
particolare, tali materiali potranno consentire in futuro di continuare a
far valere la "legge di Moore" secondo cui si possono ridurre le
dimensioni di un microchip ogni tre anni aumentando la sua capacità di
4 volte [16]. In generale, è ritenuto che questo aumento di capacità
possa essere raggiunto allorquando si realizzino dispositivi diminuendo
continuamente le dimensioni. Si possono attendere progressi in questo
settore a patto di sviluppare materiali dielettrici alternativi, con bassa
costante dielettrica k. In definitiva, le considerazioni sopra descritte
suggeriscono che un film sottile ibrido inorganico-organico può diventare
un promettente dielettrico per queste applicazioni se esso soddisfa le
opportune
condizioni
[15].
Un'altra classe di dispositivi interessanti sono i cosiddetti sensori
biomimetici che sono attualmente riconosciuti come potenziali
alternative ai biosensori. La scelta della trasduzione piezoelettrica
implica la selezione di elementi di riconoscimento altamente selettivi: a
tal proposito sarebbe molto importante la presenza di siti
nanodimensionati, che si adattano alle molecole che devono essere
rivelate. In quest'ottica, l' "imprinting" molecolare (MI) è un promettente
approccio, essendo in grado di produrre materiali che hanno possibilità
di riconoscimento molecolare verso qualsiasi analita selezionato (anche
microrganismi). Questa tecnica consiste nella sintesi di materiale
macromolecolare solido, prodotto in presenza di un analita scelto
(stampo), che è incluso nel materiale prodotto. Rimuovendo lo stampo
dal solido, questo conserva delle cavità che hanno forma e gruppi
funzionali complementari all'analita. Diverse classi di analiti sono state
utilizzate come stampi: pesticidi, farmaci, peptidi, carboidrati, ecc.
Particolarmente interessante sembra essere l'applicazione di MI per un
derivato dell'adenina [17], preludio alla rivelazione di mono- e oligonucleotidi con sensori biomimetici basati su MIP. Un ulteriore elemento
interessante in questo caso è rappresentato dalla preparazione del MIP
mediante copolimerizzazione e l'uso di metalloporfirine opportunamente
sostituite (MPO) come co-monomero. Tale approccio può essere
considerevolmente esteso poiché numerose e diverse metalloporfirine e
metalloftalocianine
(MPC)
sono
state
descritte.
Un ulteriore ambito di interesse è l'integrazione della nanotecnologia con
la biologia e la medicina, fenomeno che ci si attende possa offrire nuove
prospettive nel campo della diagnostica e della biologia molecolare,
nonché della bioingegneria. Inoltre queste nuove strutture risultano
interessanti anche per essere usate come strati attivi in sensori. Questi
studi hanno portato allo sviluppo di nanostrutture funzionali (con
specifiche
proprietà
elettroniche,
ottiche,
magnetiche,
ecc.)
covalentemente legate a molecole biologiche quali peptidi, proteine e
acidi nucleici. Tali strutture, grazie alle proprietà correlate alle
dimensioni e alle similitudini con le biomacromolecole, offrono la
possibilità di essere utilizzate come "carrier" di farmaci o come scheletro
per l'ingegneria tissutale. Inoltre, esse possono essere impiegate come
una nuova classe di nanostrutture bioconiugate per la rivelazione
specifica di sequenze peptidiche oppure di DNA. Un obiettivo ambizioso
è il combinare la stabilità e la funzionalità delle nanostrutture
inorganiche con la varietà e la capacità di self-organizing di molecole e
macromolecole di origine biologica [18,19]. Grazie a queste
caratteristiche è possibile pensare alla realizzazione di strutture
altamente
organizzate
da
utilizzare
in
diversi
campi
I procedimenti per la sintesi di nanostrutture portano in generale ad un
prodotto estremamente complesso. La complessità è dovuta sia alla
polidispersità intrinseca di proprietà del nano-oggetto, quali ad esempio
dimensioni, morfologia, proprietà chimiche, attività biologica, sia al fatto
che la sintesi è spesso poco efficiente, con conseguenti scarse rese.
Oltre al prodotto di interesse, sottoprodotti sono sempre presenti. Essi
devono essere eliminati allo scopo di sottoporre il nano-oggetto agli
stadi che seguono la sintesi e che portano, alla fine, ad una specifica
applicazione [20]. I campioni di nanotubi di carbonio spesso contengono
meno del 50% di nanotubi, mentre il resto consiste di impurezze, come
fullereni, carbonio amorfo e residui di catalisi [21]. Di recente è stata
riportata in letteratura la separazione ad alta risoluzione di SWNTs
(Single Wallet Carbon Nanotubes) mediante l'uso dell'elettroforesi
capillare (CE) [22]. Data la complessità del prodotto di una sintesi di
nanostrutture [20] e data la complessità dei sistemi biologici, i quali
sono fatti di nanostrutture quali biomolecole e organuli cellulari [23], è
indubbio che esista il problema di semplificare la matrice che contiene il
nano-oggetto di interesse. I metodi analitici separativi in flusso sono tra
i migliori candidati a risolvere il problema della purificazione delle matrici
contenenti nano-analiti. In sostanza, i nano-analiti vengono separati in
un canale FFF grazie ad una "linearizzazione" del moto diffusivo
(browniano) per azione di un campo di forze che si oppone a tale
diffusione [24]. L'azione combinata del flusso di trasporto e del campo
esterno applicato perpendicolare a tale flusso costringe gli analiti verso
una direzione preferenziale, il flusso campione, con differenti velocità. In
particolare, la variante FFF con campo applicato di tipo idrodinamico
(Flow FFF, FlFFF) è in grado di separare nano-analiti proprio in base a
differenze nel loro coefficiente di diffusione, il quale dipende dal
diametro idrodinamico e dalla morfologia degli analiti.
Lo sviluppo della tecnologia dei biosensori negli ultimi decenni si è
avvalso di un progresso interdisciplinare della ricerca che riguarda
l'integrazione
di
biomateriali
con
trasduttori
elettronici
[1].
La strategia di tale ricerca consiste da un lato nell'applicazione di
tecnologie
avanzate
nel
campo
della
microelettronica,
dell'elettrochimica, dell'ottica, dell'acustica, della meccanica; dall'altro,
nell'utilizzo di migliorate tecniche di sintesi chimica e di nuove importanti
tecnologie quali le ingegnerie molecolare, proteica e genetica per
l'ottenimento di "biosensing materials" con molteplici proprietà e quindi
utili
per
numerose
differenti
applicazioni
[2-8].
La sensibilità e la selettività di un biosensore dipendono in larga misura
dalle caratteristiche strutturali e funzionali della biomolecola utilizzata;
altrettanta importanza rivestono la sua immobilizzazione sulla superficie
del dispositivo prodotto, la corretta orientazione e omogeneità [9].
Con l'ingegnerizzazione del sistema biologico è possibile renderlo
funzionale, in quanto più reattivo, al substrato da analizzare
conseguendo sensibilità, selettività e limiti di rivelabilità migliori e quindi
più in linea con le reali esigenze dell'attività di controllo e di
monitoraggio [10] sempre più orientate verso concentrazioni minori dei
ppm.
La superficie del sensore deve presentarsi omogenea in modo che lo
strato del materiale biologico risulti compatto e ordinato; la tecnica di
immobilizzazione deve inoltre permettere di poter orientare la
biomolecola nel modo giusto per poter poi reagire con l'analita. Questo
discorso, valido in generale per tutte le proteine, diventa essenziale
quando si utilizzano anticorpi e enzimi: in entrambi i casi è necessaria
una corretta esposizione del sito di riconoscimento nel primo caso e del
sito catalitico nel secondo. Risultano pertanto essenziali studi organici
sullo stato superficiale dei biosensori in funzione delle condizioni
sperimentali e finalizzati al miglioramento delle sue prestazioni [11].
A tal proposito sono state individuate ed elaborate molteplici tecniche di
immobilizzazione di molecole biologiche su svariati materiali, tra cui
polimeri, grafite e oro, che si basano sostanzialmente sull'utilizzo di
composti bifunzionali quali glutaraldeide, lisina, carbodiimmide, in grado
di
reagire
specificamente
sia
con
la
superficie
elettrodica
opportunamente attivata, che con un gruppo funzionale della
biomolecola.
Tra le metodiche più recenti si devono citare, per l'importanza che
vanno man mano rivestendo, la produzione di films monomolecolari di
proteine (Langmuir films) e la creazione di immunoliposomi, ossia di
strutture fosfolipidiche sferiche sulla cui superficie sono immobilizzati
anticorpi o parti degli stessi [12].Una biomolecola adatta all'utilizzo in un
biosensore deve possedere due importanti caratteristiche: una
specificità di legame nei confronti di un analita e un appropriato sistema
di trasduzione al suo interno. Tale trasduzione può giovarsi in relazione
all'applicabilità del dato fornito delle applicazioni della chemometria e dei
suoi risultati operativi [13].Negli ultimi anni le ingegnerie molecolare e
proteica hanno dato un notevole impulso al miglioramento e
all'ampliamento del "material design" muovendosi proprio su questi due
fronti, ossia cercando di introdurre, dove necessario a seconda dei casi
particolari siti di legame o funzioni caratteristiche di trasduzione del
segnale.
Attraverso sintesi chimica o funzionalizzazione con tioli, ad esempio,
possono essere inseriti gruppi prostetici all'interno della proteina; o
ancora, ottenere l'accoppiamento con sistemi fluorofori come la green
fluorescent protein (GFP), approccio utilizzato con successo nella
realizzazione di sensori ottici [14-16]. Per quanto riguarda i sensori
elettrochimici in particolare si può ricordare la alfa-haemolysin, una
proteina transmembrana batterica molto particolare in quanto può
fornire una corrente elettrica derivante dall'apertura/chiusura dei pori
transmembrana. Inserendo all'estremità del canale tre residui di istidine
si costruisce facilmente un sito di coordinazione e dunque un rivelatore
di metalli, la cui presenza cambia la conformazione del poro e di
conseguenza il passaggio di corrente attraverso lo stesso [17].
Un approccio utilizzato è anche quello di creare proteine redox artificiali
per un facile trasferimento degli elettroni alla superficie elettrodica:
come esempi si possono citare esperimenti fatti sull'albumina serica
bovina (BSA) modificata chimicamente con acido ferrocenoilpropionico e
la creazione di una streptavidina mutante in cui la Tyr 83 è sostituita con
antrachinonilalanina [18,19]. Un altro valido metodo è l'assemblaggio di
proteine con differenti caratteristiche per formare una struttura
macromolecolare con varie proprietà. Ingegnerie molecolare e proteica
si avvalgono oggi dei progressi di una disciplina moderna e potente
quale l'ingegneria genetica. In effetti, la modificazione o la
funzionalizzazione di una proteina tramite pura sintesi chimica risultano
processi alquanto limitati perché complessi e laboriosi, quando non
risultino
completamente
impraticabili
[20].
D'altra parte sono crescenti le richieste per test di tossicità affidabili.
Sono stati perciò standardizzati una serie di test di tossicità, basati
sull'osservazione degli effetti biologici delle sostanze sugli animali ad
esse esposti. I test sugli animali superiori, particolarmente quelli
acquatici, richiedono però tempi di osservazione molto lunghi, infatti
sono necessari giorni, mesi, e in caso di tossicità cronica anche anni per
ottenere risposte significative ed inoltre gli aspetti etici ne suggeriscono
la completa sostituzione. Utilizzando un ciclo vitale relativamente più
breve, quale quello dei microorganismi, è possibile ridurre notevolmente
i tempi di analisi, in modo da poter conoscere in tempo reale, il livello di
tossicità di un campione incognito, e poter intervenire tempestivamente,
soprattutto nel caso si presenti un problema di allarme ambientale [2130].
Il recente sviluppo di tecnologie laser ad alta velocità capaci di
quantificare a livello di singola cellula e su un numero elevato di cellule,
parametri fluorescenti, parametri morfologici (light scatter) e misure di
impedenza elettrica ha aperto un nuovo fronte nello studio della
tossicologia degli agenti chimici. A questo riguardo, la citofluorimetria e
la citometria laser scanning sono delle tecnologie emergenti
particolarmente potenti. Molto recentemente sono stati proposti nuovi
biosensori per lo studio delle alterazioni delle funzioni cellulari mediante
citofluorimetria (e.g. flussi di calcio capacitivi e reticolari, esclusione di
glutatione, espressione di proteine heat-schock, espressione di oncogeni
ed oncosoppressori) e per lo studio della modulazione immunitaria (e.g.
attivazione dei linfociti T) su un numero elevato di cellule (20000 e
oltre) in tempi brevissimi (alcuni minuti). Il nostro gruppo si è già
accreditato in passato per lo sviluppo e l'uso di marker strutturali come
biosensori di effetti tossicologici di agenti chimico/fisici. Allo stato
attuale, stiamo sviluppando probes fisiologici come biosensori, atti a
monitorare gli effetti funzionali precoci a livello cellulare e molecolare
per il rilevamento o la previsione di danno. Infatti, le alterazioni
funzionali sono segnali precoci di attivazione cellulare in risposta a uno
stress chimico/fisico. Il rilevamento di queste risposte fisiologiche
permette la diagnosi precoce del danno subito e/o la previsione dei
possibili danni successivi. Questi parametri funzionali includono: il
rilevamento dei livelli di glutatione (GSH) in risposta a stress ossidativi,
conseguente a una eccessiva produzione di radicali liberi; localizzazione
del glutatione e della sua correlazione con la morfologia apoptotica
(buddig versus cleavage) come risposta ai diversi agenti chimici;
immunomodulazione, etc [31-34].
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