Biosensori Sensibilizzati per la Protezione dell'Ambiente e della Salute Umana Le proprietà antibatteriche e antimicotiche dell’argento sono conosciute e apprezzate sin dai tempi antichi. Gli Egiziani utilizzavano l’argento per purificare l’acqua che dovevano conservare per lunghi periodi di tempo. Plinio il Vecchio descrive le proprietà di questo metallo nel rimarginare le ferite. Gli imperatori cinesi utilizzavano utensili in argento per prevenire la trasmissione di malattie. Prima dell’avvento degli antibiotici, l’argento colloidale era considerato uno dei trattamenti fondamentali per le infezioni. Oggi, la medicina moderna lo utilizza per la cura delle ustioni, delle infezioni degli occhi nei neonati etc., mentre la NASA lo ha scelto come sistema di purificazione dell’acqua per le sue navicelle spaziali. HYG: la nanotecnologia applicata per la prima volta in campo tessile. Ci sono casi in cui le dimensioni ridotte possono fare davvero la differenza e la nanotecnologia, un ramo della scienza applicata e della tecnologia che si occupa del controllo della materia su scala dimensionale infinitesimale, è uno di questi casi. In pratica, le nanotecnologie “manipolano” la materia a livello atomico e molecolare, dove il nanometro (un miliardesimo di metro) è la comune unità di misura. In scala così ridotta, infatti, le proprietà della materia cambiano in modo inaspettato: più un oggetto diventa piccolo, più aumenta il suo rapporto superficie/volume, con il risultato che gli atomi di superficie sono molto più reattivi di quelli centrali. Le nanotecnologie hanno un ambito di investigazione e di applicazione altamente multidisciplinare, che va dalla biologia molecolare alla chimica, dalla fisica all’ingegneria meccanica ed elettronica e, oggi, anche alle… fibre tessili. E’ stato questo, infatti, il nuovo campo di applicazione delle nanotecnologie, da cui, dopo cinque anni di studi e di ricerche, è nato l’Hygienic Gusset System (HYG), il primo tessuto che, a contatto con la pelle, è in grado di neutralizzare funghi e batteri, causa di infiammazioni e irritazioni. Ioni d’argento in un reticolo nano strutturato. L’HYG è il primo esempio di nanotecnologia che ha consentito a un tessuto di poter assicurare protezione, freschezza e benessere costante per tutto il tempo in cui viene indossato e per tutta la sua durata di vita. Questa grande innovazione tecnica è stata possibile imprigionando in modo permanente nanomolecole d’argento in un tessuto ultra confortevole (microfibra Sensitive), che acquisisce così la capacità di disattivare i batteri in modo del tutto naturale. Il tessuto, infatti, attira i batteri ed esaurisce la carica elettrica dei loro enzimi, neutralizzandoli. Non solo. Questo nuovo, rivoluzionario tessuto possiede anche altre caratteristiche fisico-chimiche del tutto particolari: conducibilità elettrica, conducibilità termica, assorbimento, radianza, riflettanza, auto-eliminazione dell’umidità, che lo rendono estremamente confortevole, traspirante e antisudore. I biosensori sono dispositivi in crescente applicazione in ragione della loro praticità d'uso, del basso costo, della capacità di lavorare in situ e dell'affidabilità scientifica dei risultati. D'altra parte le numerose applicazioni hanno anche mostrato i limiti di tali dispositivi in termini di limite minimo di rilevabilità, di sensibilità e di selettività. Il presente progetto tende ad instaurare una collaborazione fra gruppi italiani con competenze specifiche e complementari nel campo della fabbricazione, caratterizzazione ed applicazione di biosensori, con il fine di mettere a punto modificazioni e proposte innovative nel campo oggetto della ricerca per tentare di superare i limiti suddetti. Il carattere della ricerca proposta è al tempo stesso metodologico ed applicativo. Si intende mettere a punto una serie di possibili integrazioni e modificazioni alle tecniche mature nel campo dei biosensori per migliorare l'affidabilità e le prestazioni analitiche di tali dispositivi, rilevando su casi di interesse strategico la ricaduta di tali innovazioni. Il numero di biosensori sul quale si opererà per sperimentare le modifiche, sarà ridotto per esigenze operative e comunque rappresentativo delle varie classi. Per i biosensori enzimatici, probabilmente il massimo è stato già ottenuto anche se la stabilità rimane talora un punto debole come pure la selettività soprattutto per i biosensori "ad inibizione"; peraltro tale aspecificità può risultare utile per risposte a carattere integrale. Nel caso di un sensore costituito da organismi viventi sembrano esserci più possibilità suscettibili di ulteriore esplorazione. Per la selettività e per la sensibilità l'ipotesi più attraente è basata sulla modifica genetica del micro-organismo che porti a un aumento di queste proprietà. Un'altra possibilità è rappresentata dall'asportazione, mediante trattamento chimico o lisi enzimatica (ad opera dell'enzima Zymolase), della parete cellulare dell'organismo; i lieviti e le alghe sono organismi tipici per cui questo trattamento può portare a un miglioramento delle caratteristiche analitiche. Per quanto riguarda in particolare i lieviti nei biosensori respirometrici, da diversi anni nel laboratorio del coordinatore vengono eseguiti test di tossicità integrale per i quali risulta di ovvio notevole interesse la possibilità di accrescere i livelli di sensibilità. Alternativo e complementare alla lisi della parete cellulare può essere, l'uso di carrier capaci di trasportare il tossico attraverso la parete cellulare. La possibilità di lavorare su singole cellule è un altro approccio che permette l'uso di cellule umane consentendo in tal modo di superare la difficoltà della trasposizione all'uomo dei risultati ottenuti per sistemi biologici differenti. Infatti l'uso di appropriati sistemi biologici è di fondamentale importanza negli studi di tossicologia ambientale e occupazionale ed è limitato dall'invasività delle procedure. Lo studio sulle colture cellulari e sugli animali sono essenziali, ma al di là degli aspetti etici non sempre i risultati possono essere estrapolati all'uomo. Modelli in vivo sarebbero desiderabili sia per lo studio degli effetti biologici sia per gli studi di dosimetria. Un maggiore livello di qualità analitica può derivare ai biosensori anche da un'opportuna strategia di campionamento, dall'elaborazione del segnale e dalla trattazione chemiometrica dei risultati. Obiettivo del Programma di Ricerca Realizzare ed applicare, a casi di particolare attualità ed interesse, biosensori sensibilizzati che, attraverso opportune modifiche rispetto ai modelli tradizionali nella ingegneria del sensore, nel pretrattamento del componente biologico, nella metodologia del rilevamento sperimentale, nella elaborazione del dato analitico, consentano migliori livelli qualitativi e quantitativi di caratterizzazione, di analisi e di informazione. Base di partenza scientifica nazionale o internazionale La disponibilità di sistemi affidabili per analisi chimiche e biologiche selettive effettuabili "on-line" è una necessità reale per applicazioni in svariati campi come quelli medico, ambientale e di controllo dei bioprocessi. Auspicabile è anche l'avvento di strumenti analitici miniaturizzati ed integrabili capaci di fornire uno "screening" veloce, ad alta prestazione, efficiente e "multiplex" dei campioni. Attualmente la ricerca accademica nonché quella industriale è indirizzata verso lo sviluppo di sistemi analitici per la rivelazione di vapori/gas organici e per analisi in flusso su sistemi biologici. La rivelazione di un partner legante su di un chip o su un array di sensori può essere effettuata per mezzo di sistemi a fluorescenza ottica [1]. Tuttavia, tali sistemi presentano ancora numerosi problemi, sopratutto legati alla mancanza di standardizzazione ed alla mancanza di un adeguato supporto informatico (bioinformatica). Il risultato è che tali bio-chip hanno basse prestazioni sopratutto in termini di qualità, riproducibilità e sensibilità del responso. D'altro canto, parecchi vantaggi possono essere intravisti nell'utilizzo di sensori capaci di fornire una risposta elettrica (chemiresistori) in particolare in termini di trattamento dei dati. n ruolo chiave in questo campo può essere giocato da resistori e transistori ad effetto di campo basati su film sottili organici che diventano sempre più importanti nell'ambito del sensing di tipo chimico e biologico. Il vantaggio più attraente di questa classe di sensori è quello di fornire responsi veloci verso analiti biologici e chimici che interagiscono direttamente con lo strato attivo organico del dispositivo elettrico, e di non richiedere stadi preparativi del campione in esame. Un aspetto nuovo e di crescente importanza in questo ambito di ricerca riguarda i dispositivi elettrici che impiegano molecole di DNA di lunghezza compresa tra pochi nucleotidi e catene lunghe parecchie decine di micrometri. Questo rappresenta il background dei recenti studi [2-4] riguardanti strati attivi biofunzionalizzati per il riconoscimento chimico e biologico. La funzionalizzazione di nanotubi di carbonio, nanoparticelle di metalli e nanofili di silicio al fine di renderli capaci sia di compiere un riconoscimento verso analiti bio-chimici [2-4] sia di condurre carica, è uno scopo nuovo ed ancora inesplorato. Anche nanoparticelle metalliche funzionalizzate con catene di DNA sono studiate per applicazioni nel campo dei dispositivi elettrici [4, 5]. In questo scenario i transistor a film sottile organico (OTFT) possono giocare un ruolo chiave. Il loro primo utilizzo come sensori chimici risale alla fine degli anni ottanta [6], quasi contemporaneamente alla loro comparsa come dispositivi elettronici. Nonostante ciò uno studio sistematico degli OTFT come sensori chimici è iniziato molto più tardi [7, 8]. Negli ultimi anni si è assistito ad un notevole sviluppo dei sensori a base di OTFT e sono stati ottenuti importanti risultati. Infatti il livello delle prestazioni di questi sensori è caratterizzato da un'eccellente ripetibilità di risposta [9], una buona sensibilità e da un limite di rivelabilità nell'intervallo 10-50 ppm [10]. Questa è una figura di merito che prevedibilmente può essere ulteriormente migliorata. Gli OTFT forniscono un responso multi-parametrico in quanto diversi parametri del transistor variano in seguito ad esposizione dello stesso a specie chimiche e biologiche [9, 11]. È stata già provata una buona selettività chimica nei confronti di classi di composti omologhi e sulla base di questo si intravedono interessanti prospettive per la loro implementazione in sistemi microfluidici [10, 12] e di tipo array. Parecchi traguardi sono stati fino ad ora raggiunti in questo campo, anche grazie a precedenti finanziamenti COFIN/PRIN ottenuti dallo stesso gruppo di ricerca, ciononostante questa nuova classe di sensori presenta ancora parecchi importanti aspetti che non sono ancora completamente esplorati come quello di modellizzare il meccanismo di riconoscimento e di spiegare il ruolo della polarizzazione di gate. Ad esempio non è ancora chiaro perché imponendo una polarizzazione di gate inversa sia possibile riportare il sensore alle condizioni iniziali anche dopo un'interazione che abbia prodotto un responso irreversibile, come evidenziato in una nota recentemente pubblicata in Analytical Chemistry [13]. Questa è una proprietà peculiare che gioca un ruolo importante nel conferire importanti caratteristiche di stabilità e affidabilità a questa classe di dispositivi, che possono peraltro così anche operare sempre a temperatura ambiente. Inoltre, molto importante per dare un imput al progresso nel campo dei sensori chimici e biologici è lo sviluppo di polimeri conduttori funzionalizzati con molecole chimiche [12] o biologiche [14] Per quanto detto, per sviluppare sensori tipo chem- e bio-chip altamente miniaturizzati vi è la necessità di progettare e preparare nuovi materiali elettroattivi e dielettrici idonei per la realizzazione di un sensore innovativo a base di transistori ad effetto di campo. Alcuni risultati preliminari sembrano indicare che i polimeri ibridi inorganico-organici sono degli ottimi candidati per la realizzazione di microchips [15]. In particolare, tali materiali potranno consentire in futuro di continuare a far valere la "legge di Moore" secondo cui si possono ridurre le dimensioni di un microchip ogni tre anni aumentando la sua capacità di 4 volte [16]. In generale, è ritenuto che questo aumento di capacità possa essere raggiunto allorquando si realizzino dispositivi diminuendo continuamente le dimensioni. Si possono attendere progressi in questo settore a patto di sviluppare materiali dielettrici alternativi, con bassa costante dielettrica k. In definitiva, le considerazioni sopra descritte suggeriscono che un film sottile ibrido inorganico-organico può diventare un promettente dielettrico per queste applicazioni se esso soddisfa le opportune condizioni [15]. Un'altra classe di dispositivi interessanti sono i cosiddetti sensori biomimetici che sono attualmente riconosciuti come potenziali alternative ai biosensori. La scelta della trasduzione piezoelettrica implica la selezione di elementi di riconoscimento altamente selettivi: a tal proposito sarebbe molto importante la presenza di siti nanodimensionati, che si adattano alle molecole che devono essere rivelate. In quest'ottica, l' "imprinting" molecolare (MI) è un promettente approccio, essendo in grado di produrre materiali che hanno possibilità di riconoscimento molecolare verso qualsiasi analita selezionato (anche microrganismi). Questa tecnica consiste nella sintesi di materiale macromolecolare solido, prodotto in presenza di un analita scelto (stampo), che è incluso nel materiale prodotto. Rimuovendo lo stampo dal solido, questo conserva delle cavità che hanno forma e gruppi funzionali complementari all'analita. Diverse classi di analiti sono state utilizzate come stampi: pesticidi, farmaci, peptidi, carboidrati, ecc. Particolarmente interessante sembra essere l'applicazione di MI per un derivato dell'adenina [17], preludio alla rivelazione di mono- e oligonucleotidi con sensori biomimetici basati su MIP. Un ulteriore elemento interessante in questo caso è rappresentato dalla preparazione del MIP mediante copolimerizzazione e l'uso di metalloporfirine opportunamente sostituite (MPO) come co-monomero. Tale approccio può essere considerevolmente esteso poiché numerose e diverse metalloporfirine e metalloftalocianine (MPC) sono state descritte. Un ulteriore ambito di interesse è l'integrazione della nanotecnologia con la biologia e la medicina, fenomeno che ci si attende possa offrire nuove prospettive nel campo della diagnostica e della biologia molecolare, nonché della bioingegneria. Inoltre queste nuove strutture risultano interessanti anche per essere usate come strati attivi in sensori. Questi studi hanno portato allo sviluppo di nanostrutture funzionali (con specifiche proprietà elettroniche, ottiche, magnetiche, ecc.) covalentemente legate a molecole biologiche quali peptidi, proteine e acidi nucleici. Tali strutture, grazie alle proprietà correlate alle dimensioni e alle similitudini con le biomacromolecole, offrono la possibilità di essere utilizzate come "carrier" di farmaci o come scheletro per l'ingegneria tissutale. Inoltre, esse possono essere impiegate come una nuova classe di nanostrutture bioconiugate per la rivelazione specifica di sequenze peptidiche oppure di DNA. Un obiettivo ambizioso è il combinare la stabilità e la funzionalità delle nanostrutture inorganiche con la varietà e la capacità di self-organizing di molecole e macromolecole di origine biologica [18,19]. Grazie a queste caratteristiche è possibile pensare alla realizzazione di strutture altamente organizzate da utilizzare in diversi campi I procedimenti per la sintesi di nanostrutture portano in generale ad un prodotto estremamente complesso. La complessità è dovuta sia alla polidispersità intrinseca di proprietà del nano-oggetto, quali ad esempio dimensioni, morfologia, proprietà chimiche, attività biologica, sia al fatto che la sintesi è spesso poco efficiente, con conseguenti scarse rese. Oltre al prodotto di interesse, sottoprodotti sono sempre presenti. Essi devono essere eliminati allo scopo di sottoporre il nano-oggetto agli stadi che seguono la sintesi e che portano, alla fine, ad una specifica applicazione [20]. I campioni di nanotubi di carbonio spesso contengono meno del 50% di nanotubi, mentre il resto consiste di impurezze, come fullereni, carbonio amorfo e residui di catalisi [21]. Di recente è stata riportata in letteratura la separazione ad alta risoluzione di SWNTs (Single Wallet Carbon Nanotubes) mediante l'uso dell'elettroforesi capillare (CE) [22]. Data la complessità del prodotto di una sintesi di nanostrutture [20] e data la complessità dei sistemi biologici, i quali sono fatti di nanostrutture quali biomolecole e organuli cellulari [23], è indubbio che esista il problema di semplificare la matrice che contiene il nano-oggetto di interesse. I metodi analitici separativi in flusso sono tra i migliori candidati a risolvere il problema della purificazione delle matrici contenenti nano-analiti. In sostanza, i nano-analiti vengono separati in un canale FFF grazie ad una "linearizzazione" del moto diffusivo (browniano) per azione di un campo di forze che si oppone a tale diffusione [24]. L'azione combinata del flusso di trasporto e del campo esterno applicato perpendicolare a tale flusso costringe gli analiti verso una direzione preferenziale, il flusso campione, con differenti velocità. In particolare, la variante FFF con campo applicato di tipo idrodinamico (Flow FFF, FlFFF) è in grado di separare nano-analiti proprio in base a differenze nel loro coefficiente di diffusione, il quale dipende dal diametro idrodinamico e dalla morfologia degli analiti. Lo sviluppo della tecnologia dei biosensori negli ultimi decenni si è avvalso di un progresso interdisciplinare della ricerca che riguarda l'integrazione di biomateriali con trasduttori elettronici [1]. La strategia di tale ricerca consiste da un lato nell'applicazione di tecnologie avanzate nel campo della microelettronica, dell'elettrochimica, dell'ottica, dell'acustica, della meccanica; dall'altro, nell'utilizzo di migliorate tecniche di sintesi chimica e di nuove importanti tecnologie quali le ingegnerie molecolare, proteica e genetica per l'ottenimento di "biosensing materials" con molteplici proprietà e quindi utili per numerose differenti applicazioni [2-8]. La sensibilità e la selettività di un biosensore dipendono in larga misura dalle caratteristiche strutturali e funzionali della biomolecola utilizzata; altrettanta importanza rivestono la sua immobilizzazione sulla superficie del dispositivo prodotto, la corretta orientazione e omogeneità [9]. Con l'ingegnerizzazione del sistema biologico è possibile renderlo funzionale, in quanto più reattivo, al substrato da analizzare conseguendo sensibilità, selettività e limiti di rivelabilità migliori e quindi più in linea con le reali esigenze dell'attività di controllo e di monitoraggio [10] sempre più orientate verso concentrazioni minori dei ppm. La superficie del sensore deve presentarsi omogenea in modo che lo strato del materiale biologico risulti compatto e ordinato; la tecnica di immobilizzazione deve inoltre permettere di poter orientare la biomolecola nel modo giusto per poter poi reagire con l'analita. Questo discorso, valido in generale per tutte le proteine, diventa essenziale quando si utilizzano anticorpi e enzimi: in entrambi i casi è necessaria una corretta esposizione del sito di riconoscimento nel primo caso e del sito catalitico nel secondo. Risultano pertanto essenziali studi organici sullo stato superficiale dei biosensori in funzione delle condizioni sperimentali e finalizzati al miglioramento delle sue prestazioni [11]. A tal proposito sono state individuate ed elaborate molteplici tecniche di immobilizzazione di molecole biologiche su svariati materiali, tra cui polimeri, grafite e oro, che si basano sostanzialmente sull'utilizzo di composti bifunzionali quali glutaraldeide, lisina, carbodiimmide, in grado di reagire specificamente sia con la superficie elettrodica opportunamente attivata, che con un gruppo funzionale della biomolecola. Tra le metodiche più recenti si devono citare, per l'importanza che vanno man mano rivestendo, la produzione di films monomolecolari di proteine (Langmuir films) e la creazione di immunoliposomi, ossia di strutture fosfolipidiche sferiche sulla cui superficie sono immobilizzati anticorpi o parti degli stessi [12].Una biomolecola adatta all'utilizzo in un biosensore deve possedere due importanti caratteristiche: una specificità di legame nei confronti di un analita e un appropriato sistema di trasduzione al suo interno. Tale trasduzione può giovarsi in relazione all'applicabilità del dato fornito delle applicazioni della chemometria e dei suoi risultati operativi [13].Negli ultimi anni le ingegnerie molecolare e proteica hanno dato un notevole impulso al miglioramento e all'ampliamento del "material design" muovendosi proprio su questi due fronti, ossia cercando di introdurre, dove necessario a seconda dei casi particolari siti di legame o funzioni caratteristiche di trasduzione del segnale. Attraverso sintesi chimica o funzionalizzazione con tioli, ad esempio, possono essere inseriti gruppi prostetici all'interno della proteina; o ancora, ottenere l'accoppiamento con sistemi fluorofori come la green fluorescent protein (GFP), approccio utilizzato con successo nella realizzazione di sensori ottici [14-16]. Per quanto riguarda i sensori elettrochimici in particolare si può ricordare la alfa-haemolysin, una proteina transmembrana batterica molto particolare in quanto può fornire una corrente elettrica derivante dall'apertura/chiusura dei pori transmembrana. Inserendo all'estremità del canale tre residui di istidine si costruisce facilmente un sito di coordinazione e dunque un rivelatore di metalli, la cui presenza cambia la conformazione del poro e di conseguenza il passaggio di corrente attraverso lo stesso [17]. Un approccio utilizzato è anche quello di creare proteine redox artificiali per un facile trasferimento degli elettroni alla superficie elettrodica: come esempi si possono citare esperimenti fatti sull'albumina serica bovina (BSA) modificata chimicamente con acido ferrocenoilpropionico e la creazione di una streptavidina mutante in cui la Tyr 83 è sostituita con antrachinonilalanina [18,19]. Un altro valido metodo è l'assemblaggio di proteine con differenti caratteristiche per formare una struttura macromolecolare con varie proprietà. Ingegnerie molecolare e proteica si avvalgono oggi dei progressi di una disciplina moderna e potente quale l'ingegneria genetica. In effetti, la modificazione o la funzionalizzazione di una proteina tramite pura sintesi chimica risultano processi alquanto limitati perché complessi e laboriosi, quando non risultino completamente impraticabili [20]. D'altra parte sono crescenti le richieste per test di tossicità affidabili. Sono stati perciò standardizzati una serie di test di tossicità, basati sull'osservazione degli effetti biologici delle sostanze sugli animali ad esse esposti. I test sugli animali superiori, particolarmente quelli acquatici, richiedono però tempi di osservazione molto lunghi, infatti sono necessari giorni, mesi, e in caso di tossicità cronica anche anni per ottenere risposte significative ed inoltre gli aspetti etici ne suggeriscono la completa sostituzione. Utilizzando un ciclo vitale relativamente più breve, quale quello dei microorganismi, è possibile ridurre notevolmente i tempi di analisi, in modo da poter conoscere in tempo reale, il livello di tossicità di un campione incognito, e poter intervenire tempestivamente, soprattutto nel caso si presenti un problema di allarme ambientale [2130]. Il recente sviluppo di tecnologie laser ad alta velocità capaci di quantificare a livello di singola cellula e su un numero elevato di cellule, parametri fluorescenti, parametri morfologici (light scatter) e misure di impedenza elettrica ha aperto un nuovo fronte nello studio della tossicologia degli agenti chimici. A questo riguardo, la citofluorimetria e la citometria laser scanning sono delle tecnologie emergenti particolarmente potenti. Molto recentemente sono stati proposti nuovi biosensori per lo studio delle alterazioni delle funzioni cellulari mediante citofluorimetria (e.g. flussi di calcio capacitivi e reticolari, esclusione di glutatione, espressione di proteine heat-schock, espressione di oncogeni ed oncosoppressori) e per lo studio della modulazione immunitaria (e.g. attivazione dei linfociti T) su un numero elevato di cellule (20000 e oltre) in tempi brevissimi (alcuni minuti). Il nostro gruppo si è già accreditato in passato per lo sviluppo e l'uso di marker strutturali come biosensori di effetti tossicologici di agenti chimico/fisici. Allo stato attuale, stiamo sviluppando probes fisiologici come biosensori, atti a monitorare gli effetti funzionali precoci a livello cellulare e molecolare per il rilevamento o la previsione di danno. Infatti, le alterazioni funzionali sono segnali precoci di attivazione cellulare in risposta a uno stress chimico/fisico. Il rilevamento di queste risposte fisiologiche permette la diagnosi precoce del danno subito e/o la previsione dei possibili danni successivi. Questi parametri funzionali includono: il rilevamento dei livelli di glutatione (GSH) in risposta a stress ossidativi, conseguente a una eccessiva produzione di radicali liberi; localizzazione del glutatione e della sua correlazione con la morfologia apoptotica (buddig versus cleavage) come risposta ai diversi agenti chimici; immunomodulazione, etc [31-34]. Aizawa M., Yanagida Y., Haruyama T., Kobatake E., Genetically engineered molecular networks for biosensing systems, Sensors and Actuators B 52 (1998) 204-211 Assadi A., G. Gustafsson, M. Willander, C. Svensson, O. 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