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Vicenza, 18 settembre 2007
GIAMPIETRO BOZZOLA
Avvocato
Studio Legale Bozzola
LA RESPONSABILITA’ CIVILE
DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETA’ DI CAPITALI
Indice.
1.- Introduzione. Contenuto e limiti della responsabilità.
2.- Il principio della insindacabilità, nel merito, delle scelte gestionali e la business
judgement rule.
3.- Responsabilità degli amministratori: verso la società.
4.- L’azione sociale di responsabilità.
5.- L’azione sociale di responsabilità esercitata dalla minoranza dei soci.
6.- Responsabilità degli amministratori: verso i creditori sociali.
7.- Responsabilità degli amministratori: verso i singoli soci o terzi.
- Bibliografia.
1.- Introduzione. Contenuto e limiti della responsabilità.
Negli ultimi dieci anni si è registrata e si assiste tuttora sempre più frequentemente ad
una vera e propria escalation delle azioni giudiziali di responsabilità civile contro gli
amministratori di società di capitali.
Un’azione giudiziale che si potrebbe definire “di nicchia” per lo spazio ristretto in cui
poteva e può essere esercitata, è divenuta una sorta di “arma” o strumento giudiziale che
viene sempre più spesso brandita dai soci e dai creditori della società, ma anche dai terzi
che si ritengono danneggiati dagli atti posti in essere dalla società attraverso gli
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La responsabilità civile degli amministratori di società di capitali
amministratori. A ruota seguono le azioni nei confronti dei membri del collegio
sindacale (che ormai sono divenuti gli internal auditors per distinguerli dagli external
auditors facenti capo alle società esterna di revisione dei bilanci), chiamati a svolgere
attività di controllo e verifica dell’attività degli amministratori.
Sembra ormai che le azioni contro gli amministratori siano diventate il “collo di
bottiglia” delle pretese che chiunque possa far valere contro gli inadempimenti della
società o in caso di insolvenza di quest’ultima.
La società è inadempiente a un contratto? Ecco che parte una causa contro gli
amministratori.
La società è fallita? Il curatore darà inizio ad una causa contro gli amministratori,
chiedendo la condanna degli stessi al risarcimento dei danni nella misura, addirittura,
pari al valore del passivo fallimentare dedotta la stima dei beni aziendali rimasti nella
massa attiva.
La società è in amministrazione straordinaria, in amministrazione controllata o è stata
ammessa ad altra procedura concorsuale? Il commissario giudiziale dà corso ad una
controversia contro gli amministratori.
Gli amministratori, nel torto o nella ragione, sono diventati da qualche tempo i capri
espiatori delle crisi aziendali, se non addirittura vittime dei “capricci” dei soci o delle
“guerre” tra soci, ecc.; o semplicemente –e la circostanza è grave, come si dirà- quando
le performance della società sono negative, spesso non si trova di meglio che perseguire
in giudizio gli amministratori che hanno gestito la società.
E’ vero che pressochè l’intera gestione dell’impresa è competenza specifica dell’organo
amministrativo e pertanto qualsiasi atto che la società pone in essere viene svolto a
mezzo dei suoi amministratori.
Tuttavia imputando agli amministratori tutti gli effetti non positivi o negativi che
possono affliggere una società, si finisce per imputare agli amministratori quello che
invece è il normale rischio d’impresa: se un’azienda è in crisi, ciò non è
necessariamente dovuto alla condotta degli amministratori, ma a mille altre variabili
indipendenti dalla condotta degli amministratori.
Come è noto, invece, la responsabilità degli amministratori non può derivare da errori di
merito nella gestione dell’azienda, che non siano la stipulazione di contratti rovinosi o
da fatti la cui erroneità –nel merito- sia palese. Sindacare i quali errori di merito
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La responsabilità civile degli amministratori di società di capitali
equivarrebbe a compiere un’inammissibile valutazione di merito del modo come essi
amministratori si sono comportati (è circostanza pacifica, su cui si veda, tra le
tantissime pronunce in questo senso, Cass., 16 gennaio 1982, in Giust. Civ., 1983, I,
603).
Il merito gestorio (ossia le scelte gestorie sostanziali) di una amministratore non è
sindacabile.
Altra cosa sono invece –come si dirà diffusamente nei paragrafi seguenti di questa
relazione- le violazioni di legge, di statuto della società, le delibere prese in conflitto di
interessi ed in generale gli atti posti in essere dall’organo amministrativo in violazione
di leggi.
Le scelte gestionali degli amministratori non sono invece sindacabili in sé, purchè svolte
nel rispetto della legge, dello statuto sociale e realizzate con diligenza e prudenza.
Questo è un concetto su cui la giurisprudenza della Cassazione e di alcuni Tribunali e
Corti di appello di merito si è più volte soffermata.
Tra le tante pronunce si vedano le seguenti:
Tribunale Milano, 14 aprile 2004, in Giur. it. 2004, 1897;
Il giudizio sulla diligenza di un amministratore nell'adempimento del suo mandato non
può mai investire le scelte di gestione (o le modalità o le circostanze di tali scelte), ma
solo l'omissione delle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste
per una scelta di quel tipo.
Cassazione civile, sez. I, 23 marzo 2004, n. 5718, in Riv. notariato 2004, 1571:
In tema di responsabilità degli amministratori di società, rileva l'obbligo di
amministrare con diligenza. La responsabilità dell'amministratore deve essere
collegata alla violazione del generico obbligo di diligenza nelle scelte di gestione,
sicché la diligente attività dell'amministratore è sufficiente ad escludere direttamente
l'inadempimento, a prescindere dall'esito della scelta.
Corte appello Milano, 3 marzo 2004, in Giur. merito 2004, 1997:
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La responsabilità civile degli amministratori di società di capitali
Non è sufficiente a configurare la responsabilità dell'amministratore la prova della
mancata o inesatta esecuzione della prestazione, poiché ai fini della configurabilità
dell'inadempimento contrattuale è necessaria anche la prova del requisito soggettivo
della colpa, sia che essa consista nella omissione di uno specifico comportamento
dovuto, sia che attenga a comportamenti censurabili sotto il profilo della negligenza,
imprudenza o imperizia.
Sempre Corte appello Milano, 3 marzo 2004, in Giur. merito 2004, 1997:
Ai fini della valutazione della responsabilità dell'amministratore, colui che afferma
l'inadempimento non può limitarsi a provare un esito deludente o infausto della
gestione sociale, ma deve dimostrare anche che l'amministratore abbia violato il
modello normativo di condotta cui era tenuto, e cioè che non abbia adempiuto
all'obbligo di diligenza.
Tribunale Milano, 20 febbraio 2003, in Società 2003, 1268:
Il merito dell'attività gestoria non è suscettibile di sindacato in quanto attinente alla
discrezionalità imprenditoriale, ma può essere valutato il quadro delle scelte
dell'amministratore al fine di verificare l'omissione di quelle cautele, verifiche o
informazioni normalmente richieste per una scelta di quel genere, tali da configurare la
violazione dell'obbligo di adempiere con diligenza il mandato di amministratore.
E’ chiaro che per ogni scelta gestoria ci può essere senz’altro una scelta migliore.
Ma non per questo si può perseguire in giudizio quell’amministratore che non ha
astrattamente ottenuto il massimo ottenibile dalla gestione dell’azienda.
Giudicare diversamente significherebbe che tutti gli amministratori di società del
mondo sono passibili di responsabilità, perché non hanno adottato la scelta gestoria di
merito la migliore in assoluto.
2.- Il principio della insindacabilità, nel merito, delle scelte gestionali e la business
judgement rule.
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La responsabilità civile degli amministratori di società di capitali
Tale principio della insindacabilità, nel merito, delle scelte gestionali, può essere
riassunta nella regola, di matrice anglosassone, denominata business judgement rule.
Si tratta di un principio che instaura una presunzione di correttezza della gestione
dell’impresa da parte degli amministratori. In sostanza una regola che prevede la non
tangibilità delle scelte gestorie discrezionali assunte dagli amministratori nel decidere le
politiche, appunto di gestione, dell’impresa.
E’ quindi necessario coniugare tale principio con la responsabilità degli amministratori,
istituto giuridico volto a garantire l’adempimento delle mansioni previste dalla legge e a
prevenire e punire gli eventuali conflitti di interesse.
L’aspetto che qui si affronterà sarà la responsabilità degli amministratori nei confronti
della società, dei soci e dei terzi in generale.
È utile partire dai compiti affidati in generale al consiglio di amministrazione ai sensi
dell’articolo 2381 del codice civile (in avanti “c.c.”). Il consiglio valuta l’adeguatezza
dell’assetto organizzativo, esamina i piani strategici, industriali e finanziari e valuta il
generale andamento della gestione. Inoltre il consiglio può delegare alcune attribuzioni
ad alcuni componenti che cureranno l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile
in relazione alla dimensione dell’impresa. In quest’ultimo inciso la dottrina e la
giurisprudenza ricomprendono l’obbligo di vigilanza tramite un sistema di controllo
interno tra le cui mansioni siano presenti anche l’adempimento alle leggi (c.d.
compliance). A tali competenze va riferito l’obbligo di comportarsi con la diligenza
richiesta dalla natura del loro incarico e dalle loro specifiche competenze: in questo
modo il dovere copre sia le competenze generali del consiglio d’amministrazione, sia le
specifiche deleghe attribuite dallo stesso consiglio ed infine le conoscenze dei singoli
amministratori indipendenti. L’articolo 2392 aggiunge poi la responsabilità solidale
degli amministratori nel caso in cui non abbiano fatto quanto potevano per impedire un
evento pregiudizievole di loro conoscenza, escluso l’amministratore che ha fatto
annotare senza ritardo il suo dissenso.
Gli amministratori hanno però altri doveri concernenti i loro interessi: infatti essi hanno
l’obbligo di comunicare agli altri organi eventuali loro interessi in determinate
operazioni della società e le deliberazioni col voto determinante dell’amministratore
“interessato”sono impugnabili dagli altri amministratori o dal collegio sindacale entro
novanta giorni. È inoltre utile ricordare che, in caso di operazioni con parti correlate, gli
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amministratori devono adottare regole che assicurino la trasparenza e la correttezza
sostanziale e procedurale degli interventi in questione.
Come si è sopra ricordato, il contenuto della responsabilità degli amministratori ha
subìto un’interpretazione alla luce della giurisprudenza americana la quale ha ormai
metabolizzato la business judgment rule. Secondo tale orientamento non sarebbe
sindacabile il merito delle decisioni gestionali, mentre sono oggetto di azione di
responsabilità solamente le condotte assunte con modalità e procedure adottate per
compiere le scelte criticate. È presente una fitta giurisprudenza al riguardo ma basti
pensare a due casi di segno opposto.
Il caso “Monopoli” aveva ad oggetto la responsabilità degli amministratori per
fallimento della società in quanto la strategia scelta da questi, e cioè l’ingaggio di
giocatori “anziani” di qualità elevata, sebbene si fosse rivelata del tutto inefficiente, era
stata adottata senza trasgredire obblighi di trasparenza e procedurali imposti dalla legge.
Invece nel caso “Rizzoli”, in cui la decisione in oggetto era l’acquisto del “Corriere
della sera” da parte del Banco Ambrosiano, i giudici hanno valutato il merito della
decisione concludendo che gli amministratori erano responsabili dal momento che
l’acquisto del mezzo di stampa non rientrava in una strategia gestionale condivisibile
ma piuttosto rispondeva ad esigenze di favori politici.
Si può quindi concludere che la “mala gestio” degli amministratori, così come dei
sindaci, sia configurabile non tanto per il contenuto delle scelte amministrative ma
soltanto per come tali decisioni sono state prese.
3.- Responsabilità degli amministratori: verso la società.
Gli amministratori sono responsabili del loro operato in una triplice direzione:

nei confronti della società (artt. 2392 – 93 c.c.),

nei confronti dei creditori sociali (art. 2394 c.c.),

nei confronti di singoli soci o singoli terzi (art. 2395 c.c.).
L’art. 2392 comincia con lo stabilire che “gli amministratori devono adempiere i doveri
ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura
dell’incarico e dalle loro specifiche competenze”.
La norma postula la qualificazione dell’obbligazione dell’amministratore come
obbligazione di mezzi, e non come obbligazione di risultato, con la precisazione che la
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diligenza richiesta dall’amministratore di società per azioni è la diligenza professionale
richiesta dall’art. 1176 comma 2; è, insomma, la diligenza esigibile da parte di chi ha
assunto il compito di gestire un’impresa.
Alla diligenza si associano, secondo i principi generali, la prudenza e la perizia.
La prima comporta il dovere di non compiere operazioni arrischiate, che nessun
avveduto imprenditore porrebbe in essere; la seconda chiama in causa la capacità di
gestire un’impresa, tenuto conto delle dimensioni e dello specifico oggetto di questa, ed
il possesso di correlative cognizioni tecniche necessarie per decidere senza errori le
operazioni sociali.
L’art. 2392 esige la diligenza richiesta, oltre che dalla natura dell’incarico assunto dagli
amministratori, “dalle loro specifiche competenze”. Il concetto è che gli amministratori
possono venire scelti in ragione delle loro competenze professionali (ingegneri,
avvocati, dottori commercialisti) o tecniche (chimici, biologi ecc.). Il grado di diligenza,
prudenza, perizia richiesto va perciò rapportato alla particolare competenza
professionale o tecnica di ciascuno di essi.
Poi aggiunge che gli amministratori “sono solidalmente responsabili verso la società
dei danni derivanti dall’inosservanza di tali doveri”. La responsabilità degli
amministratori verso la società ha, per opinione unanime, natura di responsabilità
contrattuale; ma non è responsabilità per inadempimento di un asserito, ma inesistente,
“contratto di amministrazione”: è responsabilità per violazione, da parte loro, dello
statuto della società.
Non basta, perché sorga la loro responsabilità, che si sia verificato un danno a carico
della società e che questo danno sia in qualche modo riferibile alla condotta degli
amministratori; occorre, invece, che agli amministratori possa essere imputato lo
specifico inadempimento – ossia la mancata esecuzione o una esecuzione non conforme
al canone della prescritta diligenza – di un obbligo imposto loro dal contratto di società,
sia che si tratti di obbligo derivante dal contenuto legale di questo contratto (“doveri ad
essi imposti dalla legge”), sia che si tratti di obbligo derivante dallo statuto (“doveri ad
essi imposti dallo statuto”); ed occorre, inoltre, che il danno subito dalla società sia
conseguenza del loro inadempimento (conseguenza “immediata e diretta”, ai sensi
dell’art. 1223 c.c.).
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La responsabilità civile degli amministratori di società di capitali
La responsabilità dei singoli amministratori non è concepita dall’art. 2392 come
derivante dal fatto, in sé considerato, della loro appartenenza al consiglio di
amministrazione.
La responsabilità investe ciascun amministratore in ragione del fatto di avere
personalmente partecipato all’atto che ha causato il danno o, se non vi ha partecipato
(ad esempio, perché si trattava di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o del
consigliere delegato o in concreto assegnate a uno o più amministratori: art. 2392,
comma 1°), di non aver fatto quanto poteva per impedirne il compimento o per
eliminare o attenuarne le conseguenze dannose (art. 2392, comma 2°). In questo
secondo caso egli sarà responsabile per la violazione, valutabile alla stregua della
dovuta diligenza, di quel generale dovere di vigilanza sull’andamento della gestione che
è imposto dallo stesso art. 2381, comma 3°, e del quale si è già detto. Per liberarsi dalla
personale responsabilità per gli atti o le omissioni degli altri il singolo amministratore
potrà far annotare il suo dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni del
consiglio, dandone altresì immediata notizia scritta al presidente del collegio sindacale
(art. 2392, comma 3°); ma ciò lo libera solo se “immune da colpa”, ossia solo se non
abbia omesso quanto poteva per impedire il compimento dell’atto dannoso o per
eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose.
Se, alla stregua di questi criteri, più amministratori appaiono responsabili, la loro
responsabilità sarà solidale (art. 2392, comma 1°): la società potrà, perciò, agire nei
confronti di uno fra essi senza che si dia luogo a litisconsorzio necessario, salva
naturalmente l’applicazione delle norme sul regresso nelle obbligazioni solidali. L’avere
eseguito una deliberazione consiliare non libera da responsabilità l’amministratore:
semmai involge la responsabilità degli altri componenti il consiglio di amministrazione,
esclusi quelli che abbiano fatto constatare a verbale il proprio dissenso.
4.- L’azione sociale di responsabilità.
L’azione sociale di responsabilità è deliberata dall’assemblea, anche se la società è in
liquidazione (art. 2393, comma 1°), esclusi dal voto gli amministratori della cui
responsabilità si tratta (art. 2373, comma 2°); e può essere deliberata, se l’assemblea era
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stata convocata per la discussione del bilancio, anche se la materia non era indicata
all’ordine del giorno, purchè si tratti di fatti di competenza dell’esercizio cui si riferisce
il bilancio (art. 2393, comma 2°). La deliberazione dell’azione di responsabilità da parte
dell’assemblea non importa automaticamente la revoca degli amministratori: essa
importa la loro revoca solo se la deliberazione è presa con il voto favorevole di almeno
un quinto del capitale sociale; nel qual caso l’assemblea stessa provvede alla loro
sostituzione (art. 2393, comma 4°).
L’azione è esercitata in giudizio dai nuovi amministratori o, se quelli contro i quali si
agisce non sono stati revocati, da un curatore speciale nominato dal tribunale a norma
dell’art. 78 c.p.c.. L’azione di responsabilità contro gli amministratori può essere
esercitata anche se la società è stata dichiarata fallita o è stata sottoposta a liquidazione
coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria: in tal caso l’azione è
esercitata dal curatore, previa autorizzazione del giudice delegato (art. 2394 bis; art.
146, comma 2°, legge fall.) o dal commissario liquidatore, previa autorizzazione
dell’autorità che vigila sulla liquidazione (art. 206, comma 1°, legge fall.) oppure dai
commissari straordinari (d. lgs. 270 del 1999).
La responsabilità degli amministratori può formare materia di transazione o di rinuncia
all’azione da parte della società: occorre però che transazione o rinuncia siano approvate
dall’assemblea e purchè non via sia il voto contrario di una minoranza di soci che
rappresenti almeno il quinto del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al
mercato del capitale del rischio, almeno un ventesimo, o la diversa misura prevista dallo
statuto, comunque non superiore ad un terzo (art. 2393, comma 5°).
Conseguenza della natura contrattuale della responsabilità degli amministratori è,
secondo i principi generali, che la società - o, in caso di fallimento, il curatore – dovrà
provare in giudizio solo l’inadempimento degli amministratori ad un obbligo previsto
dalla legge e il danno che ne è conseguenza immediata e diretta, mentre incombe sugli
amministratori l’onere di provare i fatti che valgano ad escludere o ad attenuare la loro
responsabilità, ossia la sopraggiunta impossibilità, totale o parziale, della loro
prestazione, dovuta a causa ad essi non imputabile (art. 1218).
Amministratori di fatto. Si discute se la responsabilità investa, oltre che gli
amministratori regolarmente nominati dall’assemblea, anche i cosiddetti amministratori
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di fatto: coloro cioè che senza titolo, o senza valido titolo, gestiscono o concorrono nella
gestione della società, con un potere di fatto corrispondente a quello che la legge
riconosce agli amministratori di diritto. Il problema trova soluzione affermativa
indiscussa nella giurisprudenza penale (nonostante il principio della tipicità dell’illecito
penale) riguardo ai reati previsti dagli artt. 2621 ss. a carico degli amministratori; trova,
invece, una risposta articolata nella giurisprudenza civile: l’azione contrattuale ex artt.
2392 – 93 è giudicata come esperibile nei confronti degli amministratori irregolarmente
nominati, ossia nominati con deliberazione invalida; chi abbia, invece, usurpato i poteri
di gestione o li abbia ricevuti da un terzo (come in quella sorta di “amministrazione
controllata stragiudiziale” per la quale il gestore della società in crisi è imposto dai
creditori sociali, quale condizione della loro rinuncia a chiedere il fallimento) è
sottoposto alla ordinaria azione di danni da fatto illecito ex art. 2043. Si è però fatto un
passo avanti quando si è ritenuto che l’azione contrattuale possa essere esercitata anche
nei confronti di coloro che abbiano amministrato (come nel caso della predetta
“amministrazione controllata stragiudiziale”) in forza di una nomina quanto meno tacita
dell’assemblea.
Il punto è che il contratto, che qualifica come contrattuale la responsabilità degli
amministratori, non è l’asserito contratto di amministrazione, formato dalla nomina
assembleare e dall’accettazione dei nominati, ma è il contratto di società, come sopra si
è avvertito. Perciò, la responsabilità degli amministratori di fatto è da considerare
sempre come responsabilità contrattuale, basata sull’inadempimento ai doveri che
derivano dal contratto di società, a nulla rilevando a questi effetti la circostanza che
all’adempimento dei doveri nascenti da tale contratto essi si siano accinti a seguito di
nomina assembleare o altrimenti.
Il termine quinquennale di prescrizione ex art. 2949, comma 1°, cui è sottoposta
l’azione sociale di responsabilità, comincia a decorrere non dal momento in cui si è
prodotto il danno lamentato dalla società, ma dalla cessazione dell’amministratore dalla
carica (art. 2393, comma 3°).
5.- L’azione sociale di responsabilità esercitata dalla minoranza dei soci.
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E’ ammessa l’azione di responsabilità della minoranza (art. 2393 bis): tanti soci, che
rappresentino almeno un quinto del capitale sociale, o la diversa misura prevista dallo
statuto, comunque non superiore al terzo, oppure, nelle società che fanno ricorso al
mercato del capitale del rischio, che rappresentino un ventesimo del capitale sociale, o
la diversa misura prevista dallo statuto, possono esercitare l’azione sociale di
responsabilità contro gli amministratori, i sindaci e i direttori generali, anche se la
società è in liquidazione. La società deve essere chiamata in giudizio. Se l’azione è
esercitata nei confronti degli amministratori o dei direttori generali, l’atto di citazione è
notificato alla società anche in persona del presidente del collegio sindacale.
Si noti che l’azione, sebbene promossa dalla minoranza, è azione sociale di
responsabilità: essa va a vantaggio della società, non dei soci che l’hanno promossa, ed
anche sotto questo aspetto l’azione in parola differisce da quella che i singoli soci
possono promuovere nei confronti degli amministratori a norma dell’art. 2395.
I soci che intendono promuovere l’azione nominano, a maggioranza del capitale
posseduto, uno o più rappresentanti comuni per l’esercizio della stessa o per il
compimento degli atti conseguenti. La società può rinunziare all’azione o transigere,
purchè ricorrano le condizioni di cui all’art. 2393, comma 5°; possono rinunciare a
transigere anche i soci che hanno agito, ma essi hanno promosso un’azione surrogatoria
(art. 2900), sicchè il corrispettivo della rinuncia o della transazione va a vantaggio della
società.
6.- Responsabilità degli amministratori: verso i creditori sociali.
Gli amministratori sono responsabili, oltre che nei confronti della società, anche nei
confronti dei creditori sociali. Verso questi ultimi sono responsabili “per l’inosservanza
degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”.
A differenza della responsabilità verso la società, che ha natura contrattuale, quella nei
confronti dei creditori sociali ha natura di responsabilità da fatto illecito, essendo
applicazione, ad un caso specifico, della regola generale posta dall’art. 2043 c.c.
(secondo il quale “qualunque fatto doloso o colposo che provoca ad altri un danno
ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”).
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La responsabilità civile degli amministratori di società di capitali
Il “danno ingiusto” che in tal caso gli amministratori provocano è costituito dalla
lesione della aspettativa di prestazione dei creditori sociali: il patrimonio della società è,
nella società per azioni, la sola garanzia che la società offre ai propri creditori: gli
amministratori pregiudicano, pertanto, la garanzia patrimoniale dei creditori sociali e
commettono , nei loro confronti un danno ingiusto ai sensi dell’art. 2043 c.c., se violano
gli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. La lesione
dell’aspettativa di prestazione può farsi rientrare nella più generale figura della lesione
del credito: questa non ricorre solo quando il fatto doloso o colposo altrui abbia
provocato l’estinzione del credito; ricorre anche quando l’aspettativa del creditore sia
lesa “pur non venendo definitivamente meno la possibilità per il debitore di esigere nel
futuro le proprie prestazioni”.
La colpa degli amministratori che, a norma dell’art. 2043 c.c., incombe sul creditore
provare, è costituita dall’inosservanza degli obblighi inerenti la conservazione del
patrimonio della società amministrata. In tal caso i canoni della diligenza, prudenza,
perizia, possono essere sostituiti da specifiche prescrizioni di legge, la cui violazione
integra di per sé sola gli estremi della colpa.
Gli obblighi degli amministratori inerenti alla conservazione del patrimonio sociale
sono posti a tutela di una duplice serie di interessi: in quanto rientranti nei più generali
obblighi di cui all’art. 2392 c.c., tutelano l’interesse della società, che ha azione
contrattuale nel caso di loro violazione, in quanto specificazione, per gli amministratori
di società, del generico dovere di neminemlaedere (ossia di “non cagionare danni a
nessuno”), tutelano l’interesse dei creditori sociali, che al danno subito reagiscono con
l’azione da fatto illecito.
Il secondo comma dell’art. 2394 c.c. limita la proponibilità dell’azione all’ipotesi in cui
“il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti”: ciò si
giustifica con la considerazione ovvia che solo in tali ipotesi i creditori sociali possono
lamentare di avere subito un danno, come conseguenza del comportamento illecito degli
amministratori.
Essendo l’azione contro gli amministratori ad iniziative dei creditori di natura autonoma
rispetto all’azione sociale di responsabilità, essa si presenta come un’azione esperibile,
fino alla concorrenza del proprio credito, da ciascun creditore e diretta ad ottenere la
condanna degli amministratori nei confronti dei singoli creditori agenti; e senza la
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La responsabilità civile degli amministratori di società di capitali
possibilità, per gli amministratori, di opporre ai creditori agenti le eccezioni opponibili
alla società.
Che si tratti di azione autonoma è chiarito dal primo comma dell’art. 2394 c.c., per il
quale “gli amministratori rispondono verso i creditori sociali”, mentre la responsabilità
sarebbe pur sempre, se si trattasse di esercizio surrogatorio dell’azione sociale, una
responsabilità verso la società. A conferma dell’autonomia tra le due azioni, depone il
quarto comma dell’art. 2394 c.c., secondo il quale “la rinuncia dell’azione da parte della
società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali”: per effetto
della rinuncia, l’azione sociale di responsabilità si estingue; i creditori non potrebbero
esercitarla se fosse loro riconosciuta, anziché un’azione autonoma, una mera
legittimazione surrogatoria all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità.
Argomento decisivo sull’autonomia dell’azione in esame deriva dall’art. 2494 bis c.c. e
dall’art. 146 legge fallimentare, i quali consentono al curatore, in caso di fallimento
della società, di agire contro gli amministratori “a norma degli art.li 2393 e 2394 c.c.”,
confermando così la persistenza, durante la procedura concorsuale, della duplicità di
azioni: contrattuale l’una, extracontrattuale l’altra.
Significativo, per la tesi della autonomia dell’azione, è il regime della prescrizione:
l’art. 2949 c.c., dopo avere previsto al primo comma il generale termine quinquennale di
prescrizione in materia societaria (includente quindi la prescrizione quinquennale
dell’azione sociale di responsabilità), aggiunge al comma secondo che “nello stesso
termine si prescrive l’azione di responsabilità che spetta ai creditori sociali verso gli
amministratori nei casi stabiliti dalla legge”, mostrando così di concepirla –anche al fine
di assoggettarla alla medesima disciplina- come azione autonoma rispetto all’azione
sociale. Tuttavia la disciplina della prescrizione non è del tutto identica per le due azioni
(sociale e dei creditori): la prescrizione dell’azione sociale non opera, finchè gli
amministratori sono in carica; ma questa causa di sospensione del decorso della
prescrizione non opera sull’azione di responsabilità da iniziarsi ad opera dei creditori.
La responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali è quanto mai estesa: l’art.
2394, comma primo, c.c., li rende responsabili verso i creditori non per l’inosservanza
degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del capitale sociale, bensì più
genericamente, del patrimonio sociale. Gli amministratori diventano, in tal modo,
responsabili verso i creditori della società per la diligenza con la quale gestiscono
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La responsabilità civile degli amministratori di società di capitali
l’impresa sociale, gicchè ogni atto di impresa è atto di disposizione del patrimonio
sociale e, quindi, atto suscettibile di essere valutato sotto l’aspetto del pregiudizio al
patrimonio della società. Lo si osserva bene, questo aspetto, nella disciplina penalistica
fallimentare, la quale prevede i reati di bancarotta che sono a tutela, alla fin fine, del
patrimonio e quindi dei creditori che su di esso si devono soddisfare.
La circostanza che ai creditori sociali sia stata legislativamente riconosciuta, nei
confronti degli amministratori, una protezione autonoma rispetto a quella spettante alla
società non significa poi che la legge abbia inteso tutelare i creditori sociali in quanto
tali. La protezione di questi è lo strumento per la responsabilizzazione degli
amministratori. Tale responsabilità li espone a diverse azioni di responsabilità per una
migliore garanzia di buona amministrazione. L’interesse protettoè quello generale, che
va al di là di quello delle singole società, ad una corretta gestione delle imprese: appunto
perché tale interesse va al di là di un interesse solo della società interessata, si reputa
insufficiente la sola responsabilità verso la società, ma tale responsabilità viene allargata
ai creditori della società amministrata ed anche a tutti i terzi che possono avere subito
un danno dalla condotta degli amministratori (come vedremo nel successivo paragrafo
di questa relazione).
Le pretese risarcitorie riconosciute ai creditori sociali è, soprattutto, destinata ad operare
come stimolo ad una oculata amministrazione per quegli amministratori che, avendo il
controllo azionario della società da essi stessi amministrata, non hanno nulla da temere
da una azione sociale di responsabilità (che non potrà mai essere contro di loro
proposta, in quanto essi controllano l’assemblea della società, ossia l’organo deputato,
come si è visto, per la deliberazione dell’azione sociale di responsabilità).
In sostanza la legge fa leva su interessi privati (quelli dei creditori) per realizzare
indirettamente interessi generali, come quello a che le società vengano correttamente
amministrate, così inducendo gli amministratori –se non vogliono sottostare all’azione
di responsabilità dei creditori- ad amministrare con la massima diligenza.
7.- Responsabilità degli amministratori: verso i singoli soci o terzi.
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La terza, ed ultima, azione civilistica cui gli amministratori sono esposti è quella
prevista dall’art. 2395 c.c.. Secondo tale norma, le disposizioni dei precedenti articoli relative alla responsabilità degli amministratori verso la società e verso i creditori
sociali- “non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio
o al terzo che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli
amministratori”.
L’azione è riconosciuta al socio in quanto sia stato, come singolo socio, danneggiato
dagli amministratori e danneggiato da questi direttamente (si fa l’esempio
dell’esclusione del socio dalla divisione degli utilidi esercizio). Non spetta tale azione,
invece, al socio che lamenti un danno riflesso, ossia la conseguenza sul suo patrimonio
di un danno che gli amministratori hanno cagionato alla società (in tal caso lo strumento
è l’azione sociale di responsabilità).
L’azione in esame è altresì riconosciuta a qualsivoglia terzo, anche diverso dal creditore
sociale, cui spetta l’azione prevista dall’art. 2394 c.c., e per ogni possibile danno che,
nell’esercizio delle loro funzioni gli amministratori gli abbiano provocato.
Deve
trattarsi
di
danni
direttamente
cagionati
al
terzo
dalla
condotta
dell’amministratore. In tal modo l’art. 2395 c.c. non può essere invocato dal terzo
contraente con la società che lamenti un danno derivante dall’inadempimento della
società, dovuto al comportamento colposo o doloso dei suoi amministratori: in tal
casonon vi è che una responsabilità contrattuale della società e questa non può che
essere riferita alla società e non direttamente al suo amministratore in proprio (come
invece prevede l’art. 2395 c.c.).
L’art. 2395 c.c. integra in sostanza la disciplina generale della responsabilità civile di
cui agli art.li 2043-2059 c.c. : la integra precisando che quando un danno ingiusto è
provocato, con colpa o dolo, dagli amministratori di una società, l’obbligazione di
risarcimento grava, oltre che sulla società (sempre responsabile per le condotte degli
amministratori in base al rapporto organico ed ai sensi dell’art. 2049 c.c.), anche sugli
amministratori in proprio, a cui la colpa o il dolo siano riferibili.
In tal modo viene ad essere superata
quella sorta di immunità riconosciuta agli
amministratori di società di capitali ed in genere agli organi di persone giuridiche: si
sosteneva infatti un tempo che l’organo della persona giuridica, appunto perché organo,
impersona l’ente e non può, quindi, risentire in proprio le conseguenze dei propri atti, i
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quali sono solo materialmente suoi atti ma sonono, giuridicamente, atti della persona
giuridica in quanto solo ad essa imputabili.
L’azione in esame si prescrive in cinque anni dal compimento dell’atto che ha
pregiudicato il socio o il terzo.
- BIBLIOGRAFIA.
Numerosi sono le opere ed i contributi dedicati al tema della responsabilità civile degli
amministratori. Tra di essi ci limitiamo a ricordare i seguenti:
-
F. Bonelli, Gli amministratori di società per azioni, Milano, 2004.
-
V.
Allegri,
Contributo
allo
studio
della
responsabilità
civile
degli
amministratori, Milano, 1979.
-
F. Galgano, Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia,
Vol. 29°, Il Nuovo diritto societario, Padova, 2003.
-
R. Weigmann, Responsabilità e potere legittimo degli amministratori, Torino,
1979.
-
M. Franzoni, Gli amministratori ed i sindaci, in Le società trattato diretto da
Galgano, Torino, 2002.
-
Dellacasa, Dalla diligenza alla perizia come parametri per sindacare l’attività di
gestione degli amministratori, in Contratto e impresa, 1999.
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