E’ morto Pietro,
eravamo veramente giovani, allora, giovani e con tanta voglia di cambiare il
mondo. Piazza Fontana arrivò su di noi come un ciclone, come forse Genova
e la morte di Giuliani. Sbigottimento, angoscia, terrore.
Vorrei far capire ai giovani, che forse non siamo troppo lontani da loro,
vorrei far capire agli adulti che non dobbiamo dimenticarci delle stragi,
dei depistaggi, dei misfatti della strategia della tensione. Le
macchinazioni fasciste sono esistite – non solo nel 1935, ma anche nel
1971, nel 1980, nel 1985, nel 2001. Esistono, esiste il fascismo, ed esiste
una storia – non lontana da noi – che dobbiamo testimoniare, siamo padri e
madri di questa nuova generazione che attende da noi il coraggio dei
valori, il cappello gettato in aria e il garofano rosso all’occhiello. Dobbiamo
testimoniare che questa storia non si è scritta con la penna rossa, ma
l’unico colore che ci ha invaso era il nero, un nero che ci ha macchiato,
disgustato e che riappare. Riappare con le impronte digitali, riappare
contro l’art. 18, riappare a Genova e a Napoli, riappare con i suoi abiti
impiegatizi e ordinati, riappare contro i colori e la diversità.
Pietro era un uomo, Valpreda era il mito, l’anarchico, il puro, l’innocente
che ha pagato per più di vent’anni per una strage voluta e organizzata dai
fascisti, talmente ben organizzata e protetta dai depistaggi dei servizi
segreti e dai vertici dello stato da fare di Pietro il “capro espiatorio”.
Babbo, mamma passa parola
7.7.02
Nadia Conti