I 'musici onorati' e la cura delle anime Il 17 e il 18 febbraio 2006 si è svolto a Roma il convegno internazionale di studi “Musica e strategie pastorali in età moderna”, organizzato dalla professoressa Stefania Nanni dell’università “La Sapienza”. L’incontro si è giovato del contributo di molti studiosi di diverse discipline, offrendo la possibilità di affrontare il tema trattato da vari punti di vista. L’esito del concilio tridentino aveva imposto alla Chiesa di Roma un’attenzione particolare al disciplinamento della società (B. Dompnier, B. Majorana, S. Botta, M. Caffiero). La musica, nelle sue manifestazioni dotte e popolari, si offrì allora come strumento privilegiato nell’educazione della comunità dei fedeli. Accompagnando la liturgia e le pratiche devozionali della pietà popolare, la musica scandiva i tempi e i ritmi di vita, consentendo la partecipazione intima e diretta del cristiano al sacro (B. Michel, P. Petrobelli, X. Bisaro, B. Majorana, G. Orlandi, B. Treffers). Egli rispondeva con semplici cori, nel proprio dialetto, alle intonazioni del clero, che pur conservando il latino come lingua liturgica, presto rese in volgare le pratiche laudative. La musica assolveva un compito fondamentale: accompagnare il fedele nel percorso dal peccato alla salvezza. Egli partecipava alla messa con il canto, accentuando il proprio legame spirituale con il rito (S. Nanni, D. Zardin, B. Majorana). Le confraternite religiose e i missionari, nelle grandi città italiane come nel resto d’Europa e oltre oceano, fecero dell’elemento musicale uno degli assi portanti dell’opera di cura delle anime. Gli studiosi convenuti hanno proposto nei loro interventi numerosi esempi: dalle confraternite napoletane a quelle milanesi, dalle strategie della chiesa gallicana alle riduciones gesuitiche in Paraguay. I cori devozionali e le pratiche liturgiche mostravano incessantemente quella “vicinanza al cielo”, di cui i fedeli stessi divenivano protagonisti, e il clero stesso definiva criteri tecnici e tipologie vocali per assisterli nel canto (X. Bisaro, D. Zardin. B. Illari). L’attenzione alle comunità di fedeli a cui si rivolgeva l’opera pastorale permise al clero di scegliere con accuratezza i linguaggi musicali da proporre; e così, a manifestazioni di musica dotta, come quelle della processione del Cristo morto a Milano o i cori nella cappella del tesoro di San Gennaro a Napoli, si affiancarono i canti rivolti alla povera gente, come quelli promossi dai redentoristi di Sant’Alfonso dei Liguori, o le straordinarie proposte musicali delle missioni gesuitiche sudamericane, nelle quali i motivi di provenienza europea vennero arrangiati alle possibilità vocali degli indios, adattando nel contempo gli strumenti musicali in uso presso quelle popolazioni, e creando un insolito terreno dialettico e sincretico (P. Maione, D. Zardin, P. Saturno, B. Illari, J. Herczog, B. Dompnier, F. Cantù, M. Boiteux, S. Botta, G. Giuriati). Il legame fra l’opera di evangelizzazione e l’uso strategico della musica fu possente e gravido di significato. La partecipazione delle comunità al canto, attraverso 'brani semplici ma pieni di buoni sentimenti', come quelli composti dalla congregazione dei Pii Operai, oltrepassava il fatto liturgico e la pratica devota occasionale, scandendo i tempi di vita delle congregazioni, delle missioni, delle comunità. Presto, anche nelle scuole si manifestò la consuetudine di intervallare i momenti didattici con canti e salmi appositamente composti. (F. Piperno, S. Nanni, P. Vismara). Eppure, non sempre l’uso consapevole della musica nelle strategie pastorali fu consentito o reso accessibile a tutti. Talvolta, esso sostenne l’opera di conversione anche nei momenti più difficili, come ai tempi della predicazione di Grignon Monfort, ma in altre circostanze la musica fu vietata. Durante la peste a Roma di metà ‘600 essa venne praticamente abolita, per quanto negli stessi mesi, nei comuni vicini, si componevano opere laudative di grande valore, come la «Preneste liberata» o la «Rieti liberata per intercessione della santa Colomba, sua protettrice»; ma ovunque, l’uso della musica fu disciplinato, e furono severamente vietate le canzoni definite indecentes. E non sempre la si ritenne uno strumento di conversione adatto; nei confronti degli ebrei ad esempio, che pure venivano costretti ad ascoltare periodicamente lunghi ed appassionati sermoni, non fu mai usata (L. Châtellier, S. Franchi, F. Piperno, M. Caffiero, D. Rocciolo). E non fu permessa neanche tra le monache, e più in generale fra le donne. Coloro che si dedicavano all’arte della musica dovevano rispondere a severi criteri selettivi, al punto che negli statuti di alcune confraternite si leggeva che 'i confratelli devono essere musici onorati' (D. Rocciolo, P. Maione). L’arco temporale affrontato dai relatori è compreso circa tra la prima metà del ‘600 e la fine del ‘700, con una parentesi novecentesca relativa ai canti in uso nel periodo della settimana santa a Mesoraca, in provincia di Crotone (A. Ricci). Molti di loro, commentando l’esito generale del convegno, hanno sottolineato la necessità di specificare e problematizzare la questione cronologica. Così come, nel dibattito, si è ripetutamente lodato l’impianto multidisciplinare del convegno, che si è avvalso tra l’altro della presentazione di suggestive opere pittoriche e architettoniche, come quelle degli angeli musicanti o dell’oratorio di San Filippo Neri (S. Macioce, A. Zuccari). Il convegno è dunque stato, oltre alla grande ricchezza è varietà di interventi, uno spazio formidabile di discussione. Certamente, ha contribuito non solo allo sviluppo e all’approfondimento delle ricerche presentate, ma anche a ribadire l’importanza dell’incontro di discipline diverse nel perseguire i medesimi obiettivi scientifici.