IL SOGGETTO PROPRIO E LA DIFFERENZA
Il soggetto mi si dà con certezza verso me medesima.
Il soggetto mi si dà come appartenenza, proprietà. Non ho appartenenza a un
mondo di idee, convinzioni o principi all’origine della mia soggettività. So di
me, di ciò che mi sub-giace
Ho suggerito all’inizio del testo di rilevare l’inizio. Una posizione che sforza l’interno
del soggetto su una linea temporale, lasciando fuori la fenomenologia
tradizionale della verità. Questa definizione dell’inizio è una convenzione data
dalla precarietà del legame che lega la conoscenza al vero e all’esistere. La
verità in questa circostanza è la definizione del rilievo, il contorno dell’inizio, la
forma che accoglie un contenuto scelto in sintonia con la propria ragione.
L’inizio girovagando intorno a un di piu’ di effetti o situazioni si configura avendo il
desiderio di con-formarsi su una filosofia dell’origine.
Attribuisco carattere di convenzione a questa ricerca della verità: individuare l’inizio
di una serie di cause ed effetti e fermarne il senso eletto a causa e origine.
La convenzione non è una falsa affermazione uguale a un’altra. E’ la scelta ottima
che unisce la realtà interna al soggetto con la realtà esterna. Entrambe si
presentano come realtà oggettive: la mia percezione del tempo attraverso i
possibili inizi allineati e non più confusi. Il soggetto se individua una origine
conviene con la stessa e si riunisce con la realtà. Questo procedimento è solo
apparentemente interno. In realtà è uno stare dentro per spostarsi fuori. Stare
‘fuori di me’ Simone Weil la indica come posizione del soggetto, l’unica
situazione afferrabile, appartenenza all’io nella realtà combinata dell’azione
indiretta e del lavoro. Se non si afferra e rileva un inizio il soggetto è messo
fuori gioco, e so di averne fatto esperienza come donna. Scrive Maria
Zambrano (Confessioni come genere letterario citato M.Rivera Garretas pag.
67 ed. spagnola pag 4)
La tragedia di queste creature è in definitiva la mancanza di spazio interiore. Se
guardiamo da vicino, la prima cosa che avvertiamo è il loro eccesso di
pienezza, un mondo compresso, affollato di cose: personaggi in embrione,
speranze e nostalgie, abbozzi e progetti, orme e presentimenti di realtà senza
nome, un mondo che confina o sta nell’ineffabile, ma non per questo è meno
reale
Infatti occorre accettare che con-veniamo, andiamo insieme noi e le percezioni
verso un’origine parziale che rischiara e dichiara il senso dell’agire femminile.
Questa strategia implica rilevare da sè un ordine temporale causale. Stare in un
tempo creato e oggettivo, un vero tempo storico. Il soggetto che decide di
rilevare questo inizio è il soggetto che mi appartiene, profondamente. Lo
definisco il soggetto proprio.
Il soggetto proprio si disfa del livello zero dell’origine il quale non esiste. Il livello zero
rileva un di più e dallo scarto da uno a zero permette all’essere di evidenziare
la presenza. Oltre il livello zero che definisce i fenomeni che gli si aggiungono
c’è il livello uno di partenza. La filosofia della differenza femminile va da una o
addirittura due e mirando all’oltre si disfa del livello zero che scopre
l’esistenza dell’una. L’una è già iscritta nella realtà come soggetto proprio che
ha la facoltà di ordinare temporalmente l’inizio, anzi un inizio possibile e
convenuto.
Il soggetto non è dunque un soggetto neutro e non è neppure persona, maschera
del sè attribuita dal corpo dell’identità. Perchè?
La filosofia della differenza attribuisce all’essere donna e all’essere uomo la qualità
del fondamento.
Abitiamo un mondo determinato dalla relazione e dal conflitto fra i sessi.
La storia delle donne definisce ‘’trasparente’’ la categoria dell’essere uomini e donne
Ma che cosa ha a che vedere tutto ciò con il soggetto proprio ?
Cosa ha che vedere con me che mi parlo, penso, mi penso, rilevo l’inizio ?
E’ questa posizione di partenza di rilevare l’inizio e chiamarla origine che mi mette di
fatto a contatto con la differenza sessuale. Questo primo contatto con il
mondo delle cause non è neutro ma come dire: inseminato dalla differenza
sessuale. Il mondo è come è perchè ha ricevuto l’inseminazione dei due sessi.
Rilevare l’origine è collocarmi nel soggetto e appropriarmene e questo constatare attivamente conosciuto - avviene in un universo di significati sessuati. Con
questa posizione mi sono già trasferita sull’ordine dei simboli e so che tu
scegli fra un sesso e un altro oppure - tentando – li tieni in coppia. C’è già un
salto. Posso scegliere allora o di stare nel mondo del prima e del dopo e
quindi trasferirmi nell’ordine del simbolico determinato e pre-stabilito o di stare
da subito davanti alle cause e ai miei inizi sapendo che sono entrambi
sessuati.
La questione mi turba ma come ho detto nel capitolo precedente la differenza
sessuale puo’ essere una convenzione. Deliberatamente scelta e proprio per
questo atto di scelta ancora piu’ vera.
Ho fatto l’esempio della differenza sociale o meglio della disparità. Una disparità è
tale se la riconosco, ne ho coscienza. Non esiste disparità sociale se non mi
colloco chiaramente con la mia soggettività al suo fianco, e così per la
differenza sessuale. All’altro sono così vicina da essere una parte di un tutto
ma da questa altra parte sono anche separata per una mancanza di essere.
Se in qualsiasi epoca storica possiamo dimostrare che la disparità sociale è
riconosciuta solo se i soggetti la vedono, la differenza sessuale non da meno
chiede di essere vista e riconosciuta. Convenzionalmente scelta
e tolta dalla neutralità. Ma il soggetto proprio è neutro o è sessuato per via del corpo
a cui guarda. E questo soggetto se si sporge sui valori comuni neutri
altrettanto consapevolmente neutralizza l’altra parte di sè che è sessuata.
Questa convenzione della differenza sessuale quindi è una opzione, una scelta
oltre una neutralità che non è neanche tale e l’essere del vivere nel tutto come
nella parzialità.
Come si presenta il soggetto alla differenza sessuale? Si presenta sessuato.
Soggetto è essere femminile e/o maschile e slittare fra i due percorsi.
Nella mia esperienza la sessuazione ha avuto un percorso tracciato in maniera
abbastanza chiara da mia madre.
Ho molto chiaro che nella mia educazione alcune esperienze mi erano estranee, per
esempio prendere a calci un pallone. Faccio questo esempio proprio perché
non era estranea alla mia famiglia, mio padre aveva giocato a calcio, amava il
calcio. Prendere a calci un pallone era un’attività che non mi divertiva. Ricordo
di avere partecipato a delle partite di calcio, ricordo anche che in casa non si
poteva tirare a calci una palla. Era ovvio che non sapevo tirare, colpire,
mirare. In compenso con la palla avevo una vera relazione d’amore, la tiravo
sul muro e mi allenavo a prenderla con due mani poi con una, poi girandosi
all’indietro. E via via secondo una progressione di difficoltà. Ovviamente
giocavo da sola. Mi piaceva anche giocare in squadra, a palla prigioniera,
anche se non era mai abbastanza appagante la mia partecipazione, perché
non sono mai stata brava nell’esercizio fisico.
Che deduzione trarre da questa considerazione? Esistono attività maschili e
femminili? Il calcio è un gioco maschile, fino alla mia generazione, perché solo
in seguito si sono formate le squadre di calcio femminile? Non è esatto
anzitutto perché la palla è sempre stata un’attività anche femminile. Ricordo
che mia madre raccontava di una sua amica che a diciottanni giocava a calcio
con i ragazzi, e siamo negli anni ’30 e ’40 durante il periodo degli sfollamenti
nelle campagne.
Quello però che mi riguarda è una appropriazione creativa del gioco della palla. Probabilmente
mi era inconsciamente proibito gareggiare con mio padre nel prendere a calci la palla.
Non mi era affatto proibito toccarla con le mani e di questa attività ne facevo un uso
soverchio, erotico e piacevole. Questa considerazione mi ha portato a chiedermi e
convincermi che il ‘tanto’ di essere che c’è in ognuna e in ognuno di noi è sempre uguale
nel tempo e che la direzione che prende questo esercizio di essere che è la nostra vita
cambia con il tempo in cui viviamo e tuttavia designa delle attività comunemente chiamate
‘maschili’ e ‘femminili’ delle quali va indagata la fitta trama, prima di giudicarle e destinarle
alla politica del genere. Probabilmente c’è molto più eros nell’esercizio di un ricamo che
non in un viaggio avventuroso. Voglio dire che la proibizione a viaggiare che accompagna
la vita delle donne nella società patriarcale, e il modello che stabilisce, costruito sul viaggio
di scoperta maschile e sulla stanzialità femminile, dà luogo a un investimento erotico molto
forte delle donne sulla vita domestica, ed è questo eventuale spostamento di desiderio, in
seguito alla proibizione tacita o esplicita che potrebbe essere indagata. Ottenendo un
frutto storico molto più allettante della visione tradizionale del rapporto fra i due sessi.
E’ da questo punto di vista che Fatima Mernissi, sociologa, ha spiegato la vita
dell’harem e confutato le convinzioni dell’occidente. Nell’harem c’è recinzione
e però è questa situazione che promette un esercizio della mente molto
raffinato e erotico, uno spostamento molto più sul versante della mente che
del corpo. Diversamente dice la scrittrice in occidente l’harem è percepito solo
come un luogo di sessualità libera, quindi senza pensiero, discorso,
elaborazione e invenzione: le destrezze in cui si esercitano popolazioni
confinate, oppresse e prive della libertà politica.