ordinazione dei presbiteri

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OMELIA DEL VESCOVO CESARE
NELLA LITURGIA PER L’ORDINAZIONE DEI PRESBITERI
(Vicenza, Cattedrale, 5 giugno 2010)
“Non abbiamo che cinque pani e due pesci” (Lc 9,13).
Lo stupore e la meraviglia dei discepoli davanti al comando di
Gesù, “date voi stessi da mangiare” ad una folla di cinquemila uomini,
manifestano gli stessi atteggiamenti che
accompagnano ogni
presbitero, quando riflette sul suo ministero al quale il Signore lo ha
chiamato. Perché le difficoltà di essere preti, oggi, nascono sempre più
spesso dalla coscienza di essere troppo deboli e impotenti di fronte al
compito grande che il Signore ci affida nell’ordinazione sacerdotale.
Cari amici, che state per ricevere il sacramento dell’Ordine,
che vi farà presbiteri nella Chiesa, non dovrei, in questo momento,
parlare delle difficoltà legate al ministero, perché la partenza è
sempre bella, entusiasmante, serena e positiva. Poi, si dice, le cose
cambiano, come in tutte le esperienze della vita, che portano con sé
luci ed ombre, gioia e dolore, attese e speranze, a volte deluse. E’
vero, e la prova l’abbiamo in questo comportamento dei Dodici, che
si dicono l’un l’altro: “Non possiamo rispondere alla richiesta del Maestro,
perché non ci bastano i pani che abbiamo, le nostre forze sono troppo deboli,
la nostra fede è troppo incerta, le nostre concrete possibilità di riuscita
scarse o pressoché inutili”. Ma non avevano fatto i conti con Gesù. Lui
ha voluto provare la loro fede ed essi non hanno saputo accettare la
sfida. Comunque, i pani e i pesci glieli hanno dati e questo è bastato,
perché il Signore facesse il miracolo della moltiplicazione.
Un miracolo che è opera della disponibilità seppur minima
degli apostoli e della potenza salvifica di Cristo. Può sembrare
strano, ma c’è voluto e l’uno e l’altro elemento insieme. Una miscela
fatta di debolezza umana, ma pur sempre disponibile ad offrire quel
poco che ha a disposizione, e la potenza che viene dall’alto e
moltiplica il poco facendolo diventare moltissimo.
Possiamo vedere in questo lo specchio della nostra vita di
presbiteri: il Signore ci chiede di dare il massimo di quello che
abbiamo, anche se è poco o nulla rispetto a quello che pensiamo di
dover fare per rispondere alle estese esigenze delle persone e
comunità cui siamo mandati. Quello che conta è la nostra fede in Lui,
il nostro amore per Lui. Non ha forse detto il Signore che il regno dei
cieli è il più piccolo di tutti i semi e che la stessa fede è come un
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pizzico di lievito rispetto alla massa di farina, ma che entrambi
hanno in se stessi una tale potenza di fecondità e di vita da diventare
un albero gigante ed una potenza da spostare le montagne? Così è
della nostra povera risposta alla sua chiamata.
Io vi dico, cari amici, di non temere e il sì che oggi pronunciate
sia sereno, forte e fiducioso, affinché non solo oggi o domani, ma
sempre, possiate contare sull’amore preveniente del Signore, che vi
ha scelto e che opererà con voi per portare a compimento l’opera che
ha iniziato nella vostra giovane vita.
Spesso i ragazzi della Cresima che incontro mi dicono: “Non ti
sei mai pentito di esserti fatto prete?” oppure “Sei contento di essere
sacerdote e vescovo?”. Dietro a queste domande c’è la forte pressione
della cultura dominante, che rifiuta scelte definitive, il “per sempre”
che caratterizza le grandi vocazioni, dal Sacerdozio alla Vita
consacrata, al Matrimonio. Mantenersi una via di fuga e di possibile
cambiamento delle scelte fatte significa fondarle sulla sabbia e
sminuirne talmente la forza iniziale da renderle provvisorie e, alla
lunga, instabili e fragili di fronte a possibili difficoltà o prove.
La stabilità dell’amore di Dio e della sua scelta, che sta a
fondamento del sacerdozio, sono garanzia che mai verrà meno la sua
fedeltà, vera roccia su cui fondare il “per sempre” della propria
risposta di fede e di amore.
“Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per sempre”,
canta il salmo.
Sì, carissimi, crediamo fermamente che la predilezione del
Signore sta a fondamento della nostra vocazione, come lui stesso ci
ricorda: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti
perché portiate frutto e il vostro frutto rimanga”. Questa certezza,
animata dalla fede e dall’amore, va però sempre alimentata con
l’amore del Signore, con la preghiera, la comunione fraterna con il
Vescovo e gli altri presbiteri, il servizio al popolo di Dio.
In quanto ad essere contenti della vocazione sacerdotale,
anche qui la domanda deriva dall’idea, abbastanza diffusa, che il
prete non sia felice, perché ha una vita di rinuncia e di sacrifici.
È quanto gli stessi apostoli dicono a Gesù: “Noi abbiamo lasciato lavoro,
casa, moglie, figli e parenti e ogni cosa per seguirti, che cosa ne avremo in
cambio?”. Gesù li assicura: “Voi, che mi avete seguito, riceverete cento
volte tanto su questa terra e la vita eterna”. E aggiunge che nessuno
potrà togliere la gioia che egli ha loro donato.
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Per questo san Giovanni afferma, nella sua prima lettera: “Noi vi
annunciamo il Verbo della vita, perché la nostra gioia sia la vostra e la
vostra gioia sia piena”. Ecco quello che deve sempre guidare il prete
nella sua missione: essere testimone e comunicatore verso tutti della
gioia che ha ricevuto dal Signore.
E questa gioia si arricchisce ogni giorno di più poiché vediamo
i miracoli che Gesù compie in mezzo al suo popolo per opera nostra.
Certo è un’opera piccola, debole e umile come un granellino di
senapa, ma pur sempre necessaria per volere di Cristo.
Lui si è voluto legare strettamente all’azione del presbitero,
annunciare il Vangelo per mezzo della sua bocca, benedire, assolvere,
consacrare, per mezzo delle sue mani, sostenere chi vacilla o è nella
sofferenza e nel bisogno con il cuore di pastore e amico del suo
ministro.
Diceva San’Agostino: “Quando Pietro battezza, è Cristo che
battezza; quando Paolo battezza, è Cristo che battezza, quando Giuda
battezza, è sempre Cristo che battezza”. È quanto ci ricorda anche
questo Vangelo della moltiplicazione dei pani che la Chiesa ci fa
ascoltare nella Festa del Corpo e Sangue del Signore, con chiaro
riferimento all’Eucaristia, pane di vita per la salvezza degli uomini. I
gesti e le preghiere, che Gesù innalza al Padre suo nel moltiplicare i
pani e i pesci, sono gli stessi che egli pronuncerà nell’ultima cena,
quando prese il pane, levò gli occhi al cielo, pronunciò la preghiera
di benedizione e lo diede ai suoi discepoli.
Soffermiamoci su questo gesto di Gesù: “Lo diede ai suoi
discepoli”. Nel Vangelo della moltiplicazione si aggiunge “perché lo
distribuissero alla folla”. Gesù è il pane che sfama coloro che cercano la
verità e anelano alla salvezza piena della loro vita. Nel pane e vino
consacrati dal sacerdote, Gesù dona se stesso come cibo di vita
eterna. Il presbitero è stato ordinato per “fare questo in sua memoria” e
distribuire il suo corpo donato e il suo sangue versato a tutti i fedeli.
Anche Paolo, nella Lettera ai Corinti che abbiamo ascoltato,
afferma che ha trasmesso quanto egli stesso ha ricevuto dal Signore.
L’Eucaristia è una traditio che la Chiesa, mediante il sacerdote,
continua a consegnare ad ogni credente, perché Lei stessa l’ha
ricevuta quale fonte e fondamento della sua fede in Gesù morto e
risorto, pegno di gloria futura ed eterna.
Presbitero ed Eucaristia sono dunque strettamente uniti
nell’unico mistero e l’uno non può stare senza l’altro.
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Cari amici,
oggi la nostra Chiesa gioisce per la grazia che il Signore le
concede di poter ordinare tre nuovi presbiteri diocesani e due
dell’Ordine dei Servi di Maria. Su di loro invochiamo la potenza
dello Spirito Santo e l’intercessione di Maria Santissima, madre di
ogni sacerdote, affinché mai venga meno la gioia che, in questo
momento, inonda il loro cuore e sostiene la loro volontà di
perseverare negli impegni che prenderanno davanti a tutta la
comunità. L’Eucaristia, che ogni giorno celebreranno per il popolo di
Dio, confermi i loro propositi e sia cibo di fortezza e di consolazione
per la loro vita di fede, fonte di comunione piena con Cristo, modello
del loro servizio gratuito e donato per tutti gli uomini. E il Padrone
della messe continui a mandare operai nella sua messe, grazie alla
nostra preghiera, all’impegno disponibile delle famiglie cristiane,
all’accompagnamento delle comunità ecclesiali e all’esempio, bello e
trascinante, che questi giovani offrono ai loro coetanei. Forse tanti
giovani vedendo la loro scelta penseranno: quale coraggio e forza ci
vuole per diventare preti… Non è così! Anche questi amici hanno
pochi “pani”(risorse, abilità, fede e amore…) come tutti noi che
siamo stati chiamati, ma sanno che donandoli a Gesù possono
moltiplicarsi e sfamare tante persone. Loro hanno creduto a questo e
si sono resi disponibili a rischiare la loro vita sulla fede in Cristo. Per
questo dico ai loro amici e coetanei: non vale la pena tentare? E’ la
provocazione positiva che sale dalla loro giovane vita e che
rivolgono a quanti sentono nel cuore il desiderio di andare oltre il
tran tran quotidiano e puntare in alto a ideali grandi a sogni e
orizzonti aperti, per trovare la vera gioia nella decisione di essere in
modo definitivo e pieno, consacrati al Signore a servizio del suo
regno e degli uomini.
Amen
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