Gettare il cuore oltre l'ostacolo di Alfio Mastropaolo Docente presso la facoltà di scienze politiche, University di Torino Premessa Per poter riflettere su come educare noi stessi e le persone che ci sono vicine all'impegno sociale e politico credo che occorra partire da un'analisi del contesto in cui stiamo vivendo. La differenza fondamentale fra questo momento storico e altri precedenti e che oggi i nostri strumenti, per capire quello che sta succedendo, ci appaiono particolarmente inadeguati, e lo stesso possiamo dire per quelli con cui agiamo in questa realtà. Cosicché soffriamo di un vuoto di prospettive. In altri tempi c'erano prospettive e logiche diverse. La politica forniva strumenti di interpretazione della realtà e dischiudeva orizzonti, aveva la capacità di promettere una società più giusta, più libera, più uguale. Queste cose oggi la politica non le promette, tutt'al più ci promette un po' di televisione per consolarci. Ciò non significa che dobbiamo guardare at passato con rimpianto: in fondo gli strumenti che avevamo per interpretare la realtà si sono dimostrati insufficienti, tanto che non avevano previsto 1' attuale stagione, ne avevano previsto la caduta di orizzonti culturali che e una delle sue caratteristiche. Come prima cosa, per riuscire a guardare con un po' più di speranza al futuro, credo che occorra ridare valore alle parole. Alcune parole, come democrazia, stato sociale, costituzione e lavoro una volta erano importantissime e adesso non lo sono più. Riabilitiamole! Le operazioni di riabilitazione sulle parole sono simboliche, però i simboli entrano nella nostra vita. 1. Parole da riabilitare La democrazia Perché e necessario riabilitare la parola "democrazia"? Non viviamo forse in una società fondata sulla democrazia? Purtroppo oggi vediamo come la democrazia si vada riducendo esclusivamente alle sue forme più banali, cioè al voto, per cui qualcuno può permettersi di dire: "io faccio quello che voglio perché ho ottenuto il voto popolare", ma questo non ha niente a che vedere con la democrazia! E' quanto di meno democratico si possa immaginare, perché la democrazia implica anche dei vincoli sui comportamenti dei politici. Anzi, le forme possono essere svuotate al punto da trasformare la democrazia in una caricatura. Quando si parla di democrazia plebiscitaria si pensa proprio alla democrazia trasformata in procedura di acclamazione del leader. Lo svuotamento sta in questo: nello svilimento delle forme della democrazia. Occorre impedire che questo succeda, bisogna impedire che la democrazia degeneri o diventi fittizia. Che e quello che sta succedendo. Vien da sospettare, talvolta, che la democrazia sia divenuta cosi poco democratica al punto che il fascismo e diventato a sua volta superfluo, ovvero che i nemici della democrazia non hanno pin bisogno di comprimerla con la violenza, perché la democrazia è cosi scadente, che essi possono utilizzarla tranquillamente. Gli errori della democrazia La vecchia idea di Antonio Gramsci era che il cambiamento rivoluzionario non consistesse soltanto nella conquista dello stato, ma nella conquista della società civile, cioè nel realizzare una società civile che fosse conforme al cambiamento rivoluzionario, quindi un fatto culturale. La democrazia ha perso, o rischia di perdere, la sua partita perché non ha democratizzato la società, nel senso che non é stata abbastanza democratica. Non ha democratizzato 1' economia perché si e detto che la gallina dalle uova d'oro, che era il capitalismo, non la si poteva strozzare. Ne ha democratizzato la cultura: non ha costruito, cioè, una cittadinanza democratica, una società civile all'altezza di quella cosa delicata che e la democrazia. E' di li comincia 1'arretramento di quest'ultima, perché e sembrato che la democrazia fosse qualche cosa di scontato e addirittura un optional. Lo stato sociale: diritti senza doveri Il primo inconveniente creato dal nostro sistema democratico e lo stato sociale che si e costruito. Fermo restando che lo stato sociale ha molti meno inconvenienti del mercato, non vi è però dubbio che lo stato sociale costi, che e fortemente burocratizzato, che pecca di paternalismo, che ha protetto senza responsabilizzare. Questo è un limite molto grave, soprattutto quando lo stato sociale viene percepito come una prestazione dovuta. L'espressione "diritti" è un'espressione estremamente ambigua perché sembra che i diritti siano qualche cosa di assolutamente dovuto in cambio dei quali non dobbiamo mai niente. Invece, i diritti sociali implicano dei doveri. La cultura dello stato sociale ha dissociato la dimensione dei diritti dalla dimensione dei doveri, dalle responsabilità. Poi è lento, a volte è burocratico: chi deve iscriversi a scuola, per fare un esempio, sa che vi sono delle procedure un po' lunghe, noiose, anche se a volte ci dimentichiamo di quando non si poteva andare a scuola. Chi oggi ha a che fare con il sistema sanitario e deve prenotare una visita specialistica sa che non e facilissimo, che bisogna perdere un po' di tempo, salvo che pure qui si dimentica quando non c'era nemmeno la sanità pubblica! I poveri morivano ed è quello che in fin dei Conti succede nella democratica America dove lo stato sociale non c'è. Lo stato e i cittadini L'altro grande fallimento della democrazia e quello di avere trasformato i cittadini in clienti, in recettori passivi, di non avere costruito la cittadinanza democratica, in senso pieno, cioè il cittadino della democrazia. Il nostro rapporto con la democrazia è un rapporto di chi rivendica e non di chi dà, mentre esiste il problema di uno scambio equilibrato fra il prendere e i1 dare. Oggi prevale la cultura del prendere. Non ci si rende conto che la democrazia non è soltanto una forma di governo, ma anche una forma di convivenza piuttosto esigente. Il luogo fondamentale della cittadinanza sono stati per tanto tempo i partiti e i sindacati, ma oggi fondamentalmente chi vi partecipa lo fa perché nutre ambizioni di carriera o perché aspira ad ottenere qualche beneficio. Quando lo stato sociale ha realizzato le aspirazioni fondamentali delle classi popolari è successo che la partecipazione attiva alla vita dei sindacati e dei partiti si e ridotta al lumicino, e c'e stata una ritirata nella dimensione privata. Questo è uno snodo storico importantissimo. La partecipazione politica declina drasticamente perché si perde il nesso che c'è fra quello che si chiede e quello che si dà. Le classi dirigenti dei partiti popolari hanno cominciato a pensare ai loro benefici, ai loro vantaggi, hanno perso il contatto con la base sociale alla quale rispondere, anche perché la base sociale ha iniziato a farsi i fatti propri. Oggi i dirigenti dei partiti politici pare che non prendano mai 1'autobus o il taxi, o se prendono il taxi non parlano mai con il taxista, nel senso che hanno perso ogni contatto con la vita reale. La società degli individui C'e un cambiamento della realtà. La società, l'organizzazione del lavoro, 1'organizzazione produttiva non incoraggiano la democrazia perché attraverso i processi di globalizzazione, 1'abbattimento dei costi di trasporto, la fine della grande fabbrica, si e verificata una straordinaria frantumazione del processo produttivo. Non esistono più le grandi masse operaie i cui membri avevano tanti punti in comune. Esiste una società puntiforme, una società fatta di individui, isolati. II mercato del lavoro richiede una manodopera individualizzata e flessibile. Richiede competenze mutevoli, che si ridefiniscano continuamente. Pretende rapporti di lavoro flessibili, che si possano ridefinire velocemente. Una società frantumata. Questa situazione consente di dire: "ciascuno si salvi per proprio conto", e propone un modello di society diverso rispetto a quanto si e cercato di costruire fino ad oggi. Ma la stessa situazione può essere rappresentata in maniera completamente diversa. Possiamo anche dire: "questa e una società puntiforme e quindi abbiamo bisogno di una solidarietà ancora maggiore!". Questa seconda rappresentazione fatica però ad imporsi perché avanza un idea di società e della democrazia, tanto più insidiosa quanto più sono eleganti le vesti dietro cui si nasconde: è l'idea secondo cui la solidarietà e 1'uguaglianza sono troppo costose economicamente, riducono le potenzialità di sviluppo, mentre, d'altra parte, gli individui non chiedono più solidarietà, ma essenzialmente più libertà di vivere la propria vita. Lo stato sociale Una conquista propria della democrazia, si è detto, è lo "stato sociale", cioè il sistema sanitario pubblico, il sistema di educazione pubblica, il sistema pensionistico pubblico, ecc. Ciò vuol dire che la society, attraverso lo Stato, protegge i suoi membri contro tutti gli inconvenienti, contro tutte le disavventure che la vita può presentare. La nascita dello stato sociale è un processo complesso, che scaturisce da lontano e che può essere letto in maniera ambivalente. La realizzazione di quelli che vengono definiti tecnicamente i diritti sociali è una grande conquista democratica che implica una straordinaria revisione del concetto di ricchezza. I1 principio è questo: il mercato produce ricchezza, il sistema fiscale drena questa ricchezza e la distribuisce su tutta la società. Quindi democrazia significa una redistribuzione del potere politico e una redistribuzione della ricchezza. Sono fenomeni che, se li guardiamo da una certa angolazione, appaiono estremamente limitati, circoscritti. Da un'altra però sono fenomeni importanti e fondamentali, e tanto finora si è fatto. Ciò che non bisogna dimenticare è che lo stato sociale si è realizzato perché c'e stata una pressione dal basso, ma anche perché ci sono state delle convenienze dall'alto. Cioè la redistribuzione della ricchezza richiesta dai partiti popolari, dalle grandi organizzazioni sindacali, a un certo momento e qualcosa che e convenuto anche al capitalismo. Perché redistribuendo la ricchezza, migliorando le condizioni di lavoro e di vita, sollecitando l'aumento dei salari si e suscitata domanda e capacità di consumo. I consumi di massa sono cresciuti ad una velocità straordinaria, al punto che 1'Italia conoscerà tra gli anni '50 e gli anni '70 la sua grande stagione di espansione, di crescita, di sviluppo, di passaggio da società in larga parte povera a società del benessere. Si è cosi realizzato un compromesso fra mercato e democrazia. Non dimentichiamo mai che il mercato ed il capitalismo hanno accettato questo compromesso con la democrazia perché vi sono stati costretti, perché gli conveniva. Purtroppo non solo le idee muovono il mondo ma i rapporti di forza. Società democratica o società liberale? La rappresentazione liberale della società viene oggi contrapposta alla rappresentazione democratica. Un primo punto importantissimo sul quale riflettere è che oggi la seconda rappresentazione è debole e meno convincente della prima. Il 50% degli elettori italiani non voterebbe come vota se certe rappresentazioni della società liberali non fossero o non gli sembrassero più plausibili di quelle democratiche. Questo vale per i francesi, per i tedeschi, per gli inglesi, per gli americani: vale dappertutto. Oggi si predica il ritorno ai principi del mercato perché questo produce ricchezza! Siccome la società ha bisogno di ricchezza per ridistribuire risorse abbiamo scelto i meccanismi meno funzionali alla redistribuzione della ricchezza che si possano immaginare! Siamo di fronte al paradosso in cui da una parte affermiamo la necessità di rifarsi ai valori del mercato, con la convinzione che esso produrrà ricchezza per tutti, dall'altra non ci accorgiamo che la logica del mercato ha anche dei gravi inconvenienti. Produce disuguaglianze e aggrava quelle che già ci sono. Democrazia e capitalismo Ma si può oggi immaginare ancora un compromesso fra democrazia e capitalismo? In realtà il capitalismo si e preso la sua rivincita nei confronti della democrazia sotto tutti gli aspetti: se 1'è presa sul piano della democrazia sostanziale con 1'attacco allo stato sociale (privatizzazioni, deregolamentazione, riduzione dell'intervento pubblico e via di seguito); se 1'è presa sul piano dei diritti politici ("non c'è bisogno che i cittadini scelgano in base alle loro preferenze, si diano piuttosto due scelte secche e si adeguino!") e sul piano politico (non si incoraggia più la partecipazione politica nei partiti, visti come una cosa sporca, al punto che iscriversi a un partito acquista un valore negativo). C'è un processo che si muove sul piano materiale e su quello culturale per destabilizzare il vecchio ordine democratico. La Costituzione In una situazione di cambiamento complessivo, come quella attuale, alcuni equilibri politici trovati in passato rischiano di rompersi e di essere sostituiti da altri. Ci sono soggetti che credono che le conquiste sociali dell'ultimo secolo vadano perfezionate e ce ne sono altri che ritengono che le conquiste della democrazia siano un ingombro. In questa situazione credo che un ruolo importante lo abbia la Costituzione, che e un altro simbolo da rivalutare. Le costituzioni democratiche sono i documenti più importanti che si possa immaginare, perché cercano di consolidare degli equilibri, di congelarli, di trasformarli in punti di partenza. Quando la nostra Costituzione venne scritta si sapeva che 1'Italia non era una società democratica, però gli italiani attraverso la Costituzione stipularono un patto dove la definirono una società democratica, proiettandosi verso un futuro di democrazia. Sostanzialmente scrissero un programma di lavoro. Per questo oggi la Costituzione dà tanto fastidio e tanti vogliono metterci le mani sopra: perché cambiare la Costituzione significa non avere più principi guida, potersi muovere liberamente. Questo non vuol dire che la Costituzione crei la realtà, ma contribuisce a crearla. I padri della nostra Costituzione cercarono di scolpire nei destini del Paese, e nelle coscienze di ciascun cittadino italiano, alcuni principi fondamentali quali la libertà, 1'eguaglianza, la tolleranza, il rispetto reciproco, perché anche le generazioni future si sentissero vincolate. Infatti la Costituzione non e soltanto una norma, ma un patto collettivo. E quando si stipula un patto ci si impegna a rispettarlo. Purtroppo, le costituzioni democratiche sono anche delle maschere dentro le quali si nascondono dei rapporti di forza. E a volte questi le travolgono. Rendere consapevoli i cittadini Quando si scrive che la salute e un diritto, e un auspicio, però è anche qualche cosa che entra nella coscienza e che si rivendica. Che "organizzarsi sindacalmente" sia un diritto e qualche cosa che entra poi naturalmente nella nostra storia. Quando sul primo articolo della Costituzione italiana c'e scritto: "L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro" si dice una cosa fondamentale, importantissima, una grande scommessa ideale. Dentro un equilibrio precario, qual era quello del dopoguerra in cui fu scritta la nostra costituzione, si scolpirono nel marmo alcuni principi fondati sulla speranza, giocando la scommessa che questi principi fondamentali potessero cosi divenire irrevocabili. La partita delle costituzioni si gioca in questo modo. Che poi la nostra sia una Repubblica fondata sul lavoro non e affatto vero! In Italia c'è sempre stata una percentuale piuttosto elevata di disoccupazione. Però la cosa importante è che nella nostra coscienza collettiva i1 lavoro inizi ad essere concepito come un diritto e forse, per tanto tempo, gli italiani credano davvero che la Repubblica sia fondata sul lavoro. E' importante sapere che il lavoro è un diritto e non una cosa da implorare a destra e a manca, o un piacere in omaggio alla flessibilità, agli "dei" della flessibilità che ti danno un'occupazione per tre mesi e poi ricadi nella non occupazione. II lavoro Mi pare che per voi – e non solo per voi – una cosa estremamente importante sia il lavoro. E' vero che il lavoro è una maledizione, che tocca l'uomo cacciato dal Paradiso Terrestre, oppure piuttosto il lavoro e un diritto? Ebbene, la nostra identità, 1'identità di ciascuno si gioca intorno al lavoro. Non e che ciascuno costituisca la propria identità la sera quando va al cinema, quando vede gli amici o quando legge un libro. Queste sono cose importantissime, niente arricchisce di pin che leggere un libro, o parlare con un amico, ma noi siamo noi stessi nella misura in cui siamo inseriti nel mondo del lavoro. Il lavoro e quell'esperienza attraverso la quale un individuo diventa un "ingranaggio" della society, e cioè, come quel qualcosa che ciascun individuo dà agli altri attraverso il lavoro. Il lavoro e una dimensione fondamentale attraverso cui la nostra socialità si realizza. Cominciamo a rivendicare questo valore. Il lavoro non è qualche cosa attraverso la quale si guadagna e poi si spende. Il lavoro è forma di partecipazione alla vita collettiva. Il lavoro è dunque un valore collettivo. Non possiamo accettare una società nella quale il lavoro sia un optional. Tempo fa un politico di sinistra molto illuminato disse ai giovani "dimenticatevi il lavoro fisso". Personalmente ritengo che si possa ragionare in termini di passaggio da un lavoro all'altro. La società cambia, l'organizzazione del lavoro è mutata molto profondamente e questo porta al fatto che si debba passare da un lavoro a un altro (dal lavoro ai lavori). Ma è proprio indispensabile? Chi non lavora è perduto! Il lavoro è ciò che permette agli uomini di acquisire il rispetto di se stessi e degli altri. Questo è un principio sul quale non si può negoziare. II lavoro flessibile è un modo attraverso cui sopravvivere, ma non ha molto di positivo. Quando si parla di flessibilità, si parla di un modo diverso di organizzare la società. Chi lavora tre mesi 1'anno è privato di qualche cosa anche se in quei tre mesi guadagna per vivere dodici mesi. Noi possiamo immaginare una divisione del lavoro diversa, ma non la fine del lavoro. La dignità del lavoro E’ più che un sospetto: forse la flessibilità non è una necessità, è un progetto politico per trasformare il lavoro e per scardinare i circuiti di socialità. Mediamente il lavoro che c'è in circolazione è precario, di bassa qualità; i ritmi di sfruttamento sono cresciuti, ma non solo, pare emergere la via individualistica alla salvezza. Mentre invece il lavoro di cui si parla nel primo articolo della nostra costituzione è un elemento di riconoscimento, è un principio di dignità. Viceversa, il lavoro si è trasformato da fatto collettivo a fatto individuale. C'è qualcuno che dice che dobbiamo modificare la dichiarazione del primo punto della Costituzione: "l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro" per scriverci "l'Italia è una Repubblica fondata sull'impresa ". Questo è qualcosa che noi dobbiamo trovare inaccettabile. Anche l'impresa è un lavoro ed acquista dignità nella misura in cui è una forma di lavoro e non soltanto un'occasione di profitto e di arricchimento. Ricominciamo a dare valore alle parole. 2. La dimensione politica Quali sono le risposte da dare agli attacchi che vengono portati a questi valori fondamentali? La politica ufficiale non è al momento in grado di dare risposte, perché essa stessa è uno di quei simboli che vanno riabilitati. La politica non deve essere quella che fanno i politici. Quando vedo il panorama che ci offrono i grandi partiti italiani, vedo desolazione. Ci sono degli omini che fanno carriera politica, che prima vogliono diventare consiglieri di quartiere, poi consiglieri comunali, poi consiglieri regionali, poi deputati e magari ministri. I partiti non mi sembrano più un luogo di confronto, di riflessione, di discussione, di incontro. Forse la vita del sindacato è più attiva, ma non ne sono troppo certo. L'autentico significato della politica La politica vera la fanno i cittadini nel momento in cui si riuniscono e discutono dei loro destini collettivi, una funzione essenziale alla quale non si può rinunciare! Voi in questo momento state facendo politica, siete in un momento in cui agite politicamente. La dimensione della politica e la collettività che agisce o cerca degli strumenti per agire insieme. I giovani facendo volontariato stanno facendo politica. Rifuggono certe forme di politica che evocano immediatamente la carriera, il successo, insomma evitano le forme di politica privatistiche e rivendicano una dimensione sociale della politica. Molti di noi ci provano, ci credono. Si tratta di praticare una politica in qualche modo diversa, che richiede anche che ci siano dei professionisti in politica, ma dove la politica e innanzitutto servizio. Non e accettabile che la politica sia soltanto un fatto di successo personale, non può esserlo. E' sbagliato considerarla una carriera. Il politico non è come un avvocato, non è come un imprenditore. Anche qui lo sforzo da fare è di restituire il giusto significato alle cose. Costruire partecipazione politica Quali sono le nuove forme di partecipazione politica? Sono tutte quelle occasioni che si riesce a suscitare perché dei cittadini si ritrovino, progettino insieme, collaborino e si sentano coinvolti. Esperienze come la GiOC costituiscono un elemento importante. Bisogna costituire dei luoghi di aggregazione sociale e di consapevolezza collettiva, bisogna farlo di più, bisogna farlo su scala più vasta, bisogna farlo meglio. Voi dite: "la festa di San Donato ha avuto successo". Significa che avete scoperto che in ogni frammento di individualità ciascuno di noi nasconde la socialità, la vita collettiva. Se cinque persone a San Donato si sono convinte che bisogna procedere secondo queste tecniche, che bisogna ricostituire dei luoghi di socialità, dei luoghi di discussione, che tutto ciò che avviene intorno a noi ci riguarda, che la vita dei nostri simili è affar nostro, e non soltanto affare loro, allora è importante che questa scoperta venga condivisa il più possibile. Si tratta di valorizzare queste attività, bisogna moltiplicarle! La scommessa è farne di più! Fare in modo che esperienze di questo genere si generino reciprocamente, che si inneschino delle reazioni a catena. E 'possibile? Pensare collettivamente Intanto è possibile soltanto se ci si crede, se si ritiene che è tempo perso non ci si riuscirà mai. Certe cose sono possibili proprio perché ci si crede, perché si riesce a sormontare le difficoltà, a superare 1'apparente assurdità di certe cose, solo perché qualcuno ritiene che siano possibili. Quando un ebreo con la barba nato in Germania pronuncio una frase: "Proletari di tutto il mondo unitevi!" questa ha cambiato il mondo. In fondo sono bastate queste poche parole. Bisogna, dunque, trovare delle formule nelle quali si possa credere. Certe volte ci sono delle cose che nessuno pensa, ma l'averle pensate consente di realizzarle. Bisogna pensare ad una politica nella quale i cittadini siano coinvolti attivamente. E' chiaro che c'è una certa paura ad affrontare certe questioni, si sa che ci sono dei costi, delle rinunce, ma la forza di un corpo collettivo è proprio quella di ripartire i costi tra tutti i suoi membri. Ci saranno alcuni che si spenderanno di più, altri che si spenderanno di meno, ma quelli che si spendono di meno aiuteranno quelli che si spendono di alleggeriranno lo sforzo, la pena di quelli che si spendono di pin, gli renderanno più plausibile il sacrificio che gli si richiede. La comunicazione Il passo successivo è quello di farsi sentire di più, di incidere il più possibile, di studiare strategie per farsi ascoltare di più. Non è facile, non è tempo più di grandi scontri frontali, non ci sono più grandi eserciti in campo e il nemico della democrazia dispone di tecniche raffinatissime, si maschera da iperdemocratico. Guardatevi da chi dice: "il democratico sono io", "io sono stato eletto dai cittadini". Democrazia non e questo, questa e una truffa e quindi bisogna smascherarla. Dovete far circolare le informazioni, dire le cose, perché se le cose non si dicono, l'informazione non circola. Quale e la condizione di disagio in cui vivono i giovani, per esempio? Che cosa significa fare il Co.Co.Co. (contratto di collaborazione coordinata e continuativa)? La condizione del Co.Co.Co e una condizione umiliante, ma questo non si sa, non lo sanno gli altri giovani. Molto spesso chi e Co.Co.Co. non riesce a comunicare con chi non lo è. Chi non lo è, non si rende conto di quanto sia umiliante essere in questa condizione. Non lo sanno gli anziani, la mia generazione, per esempio, che ha figli che fanno il Co.Co.Co e a volte non lo sanno. E' una condizione che non è più diventata transitoria. Vi sono giovani che vivono di questa condizione ormai da molti anni e che nel loro orizzonte non hanno altro, e questo certo non giova alla loro dignità. Cosa bisogna fare? Bisogna raccontare, scrivere, mettere su inter-net, fare dei ciclostilati. Penso sinceramente che le forme povere, più deboli, apparentemente più rudimentali per fare circolare informazioni sono anche le più efficaci. Non esiste soltanto la comunicazione televisiva, non è importante finire al "Maurizio Costanzo Show", bisogna inventare dei circuiti di comunicazione alternativa. Nella comunicazione interpersonale c'e molta fiducia. Occorre spiegare, parlarsi, riabilitare anche la parola! La parola pronunciata, detta, che suona, non filtrata da uno schermo televisivo, vale di più. Io mi augurerei che questo modello di gente che si parla si diffondesse, perché la società e fondata sulla parola. Noi parliamo per intenderci e non per insultarci, anche quando ci insultiamo in fondo ci intendiamo, ci vogliamo dire qualche cosa. I comportamenti umani sono orientati al comprendersi, al capirsi, anche i comportamenti più ostili. Guardare al di là del muro Mi capita di girare anche altri ambienti e di incontrare persone che all'inizio di agosto, invece di stare al sole su qualche spiaggia, stanno a discutere, a riflettere, a parlare, ad incontrarsi, a voler fare delle cose insieme, a progettare: questo mi dà fiducia nella natura umana. Non bisogna perdere la speranza. La speranza e assolutamente gratuita e ci proietta nell'avvenire facendoci credere in un futuro migliore del nostro presente. Non possiamo perderla. Se perdiamo 1'aspettativa di avere un avvenire migliore ci fermiamo, e torniamo ognuno a salvarsi individualmente. Dio ci salvi dall'eccesso di realismo! Non bisogna mai essere troppo realisti, troppo concreti, troppo pragmatiche, troppo disponibili a compromettersi con la realtà. Perché molto spesso non c'e niente di più banale, di più irrealistico del realismo. Il mondo cambia esclusivamente se qualcuno getta il cuore oltre l'ostacolo, guarda al di la del muro, guarda un po' pia lontano. Se invece ci si accontenta del realismo, della concretezza io credo che immediatamente si sia già perso. Che fare? Costruire circuiti di socialità, ricreare una coscienza personale e collettiva Il vostro atteggiamento e di ostinata, testarda, fiducia nel futuro. Mi sembra che stiate facendo lo sforzo di costruire dei circuiti di socialità in un momento in cui e fortemente percepibile il logoramento dei circuiti precedenti, e con un progetto politico che pare volto a scardinare quelli esistenti. La prima cosa da fare e aiutarci vicendevolmente ad acquistare una nuova coscienza di quel che ci importa e di quel che non ci importa. Questo sforzo non dovete farlo solo tra di voi, ma dovete convincere chi vi sta accanto a farlo insieme a voi. Queste cose possiamo riuscire a farle tutti, non sono straordinarie! Le grandi imprese hanno degli inizi piccolissimi. I1 movimento socialista è un impresa compiuta da un pugno di disperati e Gesù Cristo si andò a cercare i dodici Apostoli che, anche loro, in quanto a disperazione, non scherzavano. Eppure di strada se n'e fatta. I1 mio suggerimento è questo: accettare anche la povertà dei mezzi, accettarsi e ostinatamente andare avanti cercando di costruire delle reti di relazioni, perché come ci siete voi, ci sono altre realtà, c'e 1'Agesci, ci sono le ACLI, sindacato. Molto probabilmente ognuno di noi costituisce un punto di intersezione verso altre esperienze collettive. Occorre, dunque, cercare di consolidare queste intersezioni, di rafforzarle, di cementarle, di trasformarle in canali di passaggio e non in punti di arrivo. E' una partita questa tutta da giocarsi. L'importante è considerare la vostra realtà associativa come una palestra, un ponte verso la realtà e verso il futuro, non come un'esperienza fine a se stessa.