Don GUIDO BENZI Divino Amore 26-11-2009 A. La “Lettera ai Cercatori di Dio” come frutto di un cammino Il Primo Annuncio nella Chiesa italiana Sono molto contento di essere stamane tra voi per parlarvi di questo documento così particolare nell’orizzonte degli interventi dell’Episcopato italiano. Dobbiamo e subito cogliere il fatto che questa Lettera non è una monade isolata, una specie di unicum, all’interno di un Magistero più immediatamente pastorale. Onestamente, avendo partecipato ai Seminari preparatorii della Lettera non con l’incarico attuale, ma da semplice Direttore Diocesano della Catechesi, ho sempre colto l’intima corrispondenza di questo documento con quanto già era stato richiesto da tanti documenti dei Vescovi italiani. Mons. Lucio Soravito, Vescovo di Rovigo, nell’ultimo Convegno degli Uffici Catechistici di Reggio-Calabria (giugno 2009) ha proprio mostrato con una puntuale riflessione1 come ci sia stato tutto un cammino che ha preparato la consapevolezza del Primo Annuncio nelle nostre Chiese. Il documento che ha avviato un rinnovamento radicale nel modo di annunciare il Vangelo è stato il Documento di base “Il rinnovamento della catechesi” (RdC 1970) che compie giusto 40anni. Anche se esso è incentrato sul modo di educare la vita di fede dei credenti, ha aperto il problema del “primo annuncio” da portare ai non credenti. «L’evangelizzazione propriamente detta è il primo annuncio della salvezza a chi, per ragioni varie, non ne è a conoscenza o ancora non crede. Questo ministero è essenziale per la Chiesa oggi come nei primi secoli della sua storia, non soltanto per i popoli non cristiani, ma per gli stessi credenti. L’esperienza pastorale attesta, infatti, che non si può sempre supporre la fede in chi ascolta. Occorre ridestarla in coloro nei quali è spenta, rinvigorirla in coloro che vivono nell’indifferenza, farla scoprire con impegno personale alle nuove generazioni e continuamente rinnovarla in quelli che la professano senza sufficiente convinzione o la espongono a grave pericolo. Anche i cristiani ferventi, del resto, hanno sempre bisogno di ascoltare l’annuncio delle verità e dei fatti fondamentali della salvezza e di conoscerne il senso radicale, che è la “lieta novella” dell’amore di Dio» (RdC 25). Negli anni successivi i documenti che hanno richiamato l’attenzione della Chiesa italiana sull’esigenza di portare il primo annuncio sono stati: l’“Evangelii nuntiandi” (1975) e la “Redemptoris missio” (1991); “Il rito dell’iniziazione cristiana degli adulti” (RICA), pubblicato nell’edizione italiana nel 1978,2 “Il Direttorio generale per la catechesi (1997) 3 e le prime due Note sull’iniziazione cristiana degli adulti (1997) 4 e dei fanciulli e ragazzi (1999)5».6 Il problema del Primo annuncio, come “intervento istituzionalizzato” (DGC n. 62), viene però affrontato in forma sistematica dalla Chiesa italiana soprattutto nel primo decennio del 2000. I Vescovi italiani hanno scelto come obiettivo pastorale prioritario per i primi 10 anni del 2000 la “comunicazione della fede”: «Il Vangelo è il grande dono di cui dispongono i cristiani. Perciò essi 1 Cf. «Comunità Cristiane che comunicano il Vangelo, con particolare attenzione alle Note CEI: “Risveglio della fede” (2003), “Questa è la nostra fede” (2005) e al sussidio “Lettera ai cercatori di Dio” (2009)», in www.chiesacattolica.it/ucn . 2 Si vedano in particolare i nn. 9-13 della presentazione dell’ “Iniziazione cristiana degli adulti”, incentrati sull’evangelizzazione, intesa come primo annuncio. 3 Si vedano in particolare i nn. 61 e 62 su “Primo annuncio e catechesi”, dove si legge tra l’altro: «Il fatto che la catechesi, in un primo momento, assuma questi compiti missionari non dispensa una Chiesa particolare dal promuovere un intervento istituzionalizzato di primo annuncio, come attuazione diretta del mandato missionario di Gesù» (DGC n. 62). 4 Consiglio Permanente della CEI, L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per il catecumenato degli adulti. Nota pastorale, Roma 1997; si vedano in particolare i nn. 28-29 sul “tempo della prima evangelizzazione”. 5 Consiglio Permanente della CEI, L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per l’iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni. Nota pastorale, Roma 1999; si vedano in particolare i nn. 31-35 sul “primo annuncio”. 6 L. Soravito, «Comunità Cristiane che comunicano il Vangelo», 1. devono condividerlo con tutti gli uomini e le donne che sono alla ricerca di ragioni per vivere, di una pienezza di vita» (CV 32; RM 20). Contenuto primario di questa comunicazione è la fede nel Signore Gesù Cristo, vivendo nella compagnia degli uomini, in piena solidarietà con loro, soprattutto con i più deboli (cf. CV 1). pensando a forme di dialogo e di incontro con tutti coloro che non sono partecipi degli ordinari cammini della pastorale. Nella vita quotidiana, nel contatto giornaliero nei luoghi di lavoro e di vita sociale si creano occasioni di testimonianza e di comunicazione del Vangelo. Qui si incontrano battezzati da risvegliare alla fede, ma anche sempre più numerosi uomini e donne, giovani e fanciulli non battezzati, seguaci di altre religioni. Diventa difficile stabilire i confini tra impegno di rivitalizzazione della speranza e della fede in coloro che, pur battezzati, vivono lontani dalla Chiesa, e un vero e proprio primo annuncio del Vangelo. Su questi terreni di frontiera va incoraggiata l’opera di associazioni e movimenti che si spendono sul versante dell’evangelizzazione» (CV 58). Il cammino è in questo senso segnato: Nel 2003 la terza Nota pastorale riguardante l’iniziazione cristiana, rivolta al «risveglio della fede dei giovani e degli adulti», nonché al completamento dell’iniziazione cristiana di quei giovani e di quegli adulti che non l’hanno portata a compimento. Nota pastorale: “Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia”, pubblicata nel 2004. «Non si può più dare per scontato che si sappia chi è Gesù Cristo, che si conosca il Vangelo, che si abbia una qualche esperienza di Chiesa. Vale per fanciulli, ragazzi, giovani e adulti; vale per la nostra gente e, ovviamente, per tanti immigrati, provenienti da altre culture e religioni. C’è bisogno di un rinnovato primo annuncio della fede. È compito della Chiesa in quanto tale, e ricade su ogni cristiano, discepolo e quindi testimone di Cristo; tocca in modo particolare le parrocchie. Di primo annuncio vanno innervate tutte le azioni pastorali» (n. 6). Nota pastorale sul primo annuncio del Vangelo (2005). La struttura della “Lettera” Si tratta di un testo un po’ particolare: un giornalista l’ha recentemente descritto in questo modo: «Un testo scritto in punta di piedi. Non difende, non proclama, non accampa. Racconta sottovoce» (G. Baudolino, in Dossier Catechista, gennaio 2010). Raccontare sottovoce… non è per paura o per timidezza, è che le parole più belle sono quelle che sanno di intimità e di confidenza. Questo testo (che come ogni testo ha i suoi limiti), si vuole porre a servizio del “Primo annuncio della fede” e mettersi accanto alle persone che pur non frequentando sistematicamente i nostri cammini ecclesiali, comunque si interrogano su Dio, sulla vita, sul cammino di uomini e di donne del nostro tempo. La lettera non dice “voi” ma dice “noi” proponendo così la fusione nell’orizzonte della comune ricerca, tra così detti “credenti” e “non credenti”: «Constatiamo … la presenza di una diffusa attesa di qualcosa – o di Qualcuno – cui si possa affidare il proprio desiderio di felicità e di futuro, e che sia in grado di dischiuderci un senso, tale da rendere la nostra vita buona e degna di essere vissuta. Non possiamo certamente dimenticare che questo sogno di felicità e di futuro viene percepito in modi diversissimi e si manifesta con tanti nomi. Dobbiamo cercare di decifrarlo, organizzandolo intorno ad alcune domande concrete. Abbiamo scelto degli interrogativi, che ci sembrano attraversare eventi, persone, esperienze di gioia e di limite, riconoscibili nella vita di ognuno. Si tratta delle domande che riguardano la nostra esistenza, il nostro destino e il senso di ciò che siamo e facciamo, oltre che di tutto ciò che ci circonda. Sono interrogativi che, per essere veramente affrontati, richiedono il coraggio della ricerca della verità e la libertà del cuore e della mente. Come discepoli di Gesù, ci sembra di poter discernere in queste molteplici attese una forte domanda di incontro con il Dio che lui ci ha rivelato». (Lettera ai Cercatori di Dio, ed. LDC, p. 8). Ecco la proposta concreta della prima parte della Lettera: essere noi per primi, noi credenti non solo esperti di doverose e giuste risposte, ma essere esperti di domande. Lasciare che nelle persone possano accendersi e prendere forma interrogativi importanti. Dare valore a gesti usuali, a volte tradizionali (e forse anche purtroppo convenzionali), facendo emergere la forza interrogativa che essi suppongono: perché porti tuo figlio al catechismo? … perché desideri per lui/lei i sacramenti? … perché vuoi sposarti in Chiesa? … Perché? La domanda – diceva l’antico teologo Origene - è come la lancia che apre il cuore di Gesù, e noi possiamo aggiungere che è come il dito dell’Apostolo Tommaso che fruga nelle ferite delle mani e del costato del Risorto, come lo sguardo di chi vuole vincere la pesantezza della pietra del Sepolcro. « Nel profondo della domanda di senso e di speranza, qualcosa ci orienta verso il mistero: Dio, chi sei? Dove sei? Come possiamo vedere il tuo volto? Il problema non è se Dio esista o non esista. Non ci serve costatare la presenza o l’assenza di qualcuno che sta lontano, a contemplare le cose fuori dalla mischia, impassibile. Ci chiediamo chi è Dio quando veniamo a sapere di eventi terribili, che non dipendono da una cattiva volontà. Ci diciamo allora: chi sei? Dov’è finito il tuo amore, se tanti innocenti piangono e non sanno nemmeno contro chi imprecare? Ce lo chiediamo quando decidiamo di prendere tra le mani la nostra esistenza, trascinati come siamo tra sogno e realtà. Chi sono io, che mi scopro sempre più indecifrabile? C’è un nesso tra l’uomo che sono e Dio?» (Lettera, p. 29-30). Il Dio immenso e onnipotente è custode della libertà del nostro cuore. Egli si lascia interrogare e ci interroga perché la nostra libertà possa crescere e così possa veramente esserci un incontro tra il Creatore e la sua creatura. Lo stesso Vangelo di Giovanni, al capitolo 1 narra questo “incontro” proprio attraverso delle domande: quando due discepoli, indirizzati dal Battista, vanno sui passi di Gesù egli chiede loro “Che cercate?” (Gv. 1,32-38); la loro risposta è fulminante “dove dimori?...” (Gv 1,38-39), e Gesù li invita al cammino “venite e vedrete”. Il fatto stesso di porre domande suppone il desiderio di relazione e di incontro. Già ce lo ha detto il Concilio Vaticano II (GS 22) Gesù ci ha rivelato il vero volto dell’uomo: la dimora di ogni punto interrogativo sulla vita essenzialmente umana è Gesù stesso, la sua carne e il suo sangue per la vita del mondo. Ecco perché i Vescovi nelal seconda parte della Lettera ai cercatori di Dio presentano la nostra speranza in Gesù: «A tanti uomini e donne che sono alla ricerca di una speranza per il loro cammino vorremmo raccontare ora l’esperienza che abbiamo fatto e facciamo di Gesù, l’unico “nome” che a noi dà speranza e vita. Le parole che proponiamo sono il frutto – oltre che del nostro incontro con lui – della storia di tante persone che hanno incontrato Dio in Gesù Cristo prima di noi. Sono persone note e ignote, che costituiscono la lunga catena dei testimoni di Gesù. Per tutti i suoi testimoni Gesù è una persona che ha vissuto, nella carne della sua umanità, le incertezze e le inquietudini che scopriamo in noi, prendendosi cura con coraggio della gente che ha incontrato. » (Lettera, p. 36) Nella seconda parte della Lettera il lettore è invitato dunque a un faccia a faccia con questo Gesù e con questo Dio che egli manifesta. L’attesa che i Vescovi nutrono in questa seconda parte è che nasca, nel cercatore di Dio, la domanda evangelica: «Maestro, dove dimori?». A questa auspicata domanda risponde la terza parte della Lettera, quella più catechetica, ma dove è da notare l’idea che l’incontro con Dio è presentato in termini di azioni, di passi e prassi da attuare: pregare, ascoltare, servire, cui si aggiungono senz’altro l’esperienza sacramentale e l’esercizio della speranza. B. Una riflessione a partire dalla Lettera La Lettera è chiaramente destinata a coloro che sono fuori dal circuito ecclesiale: può perciò essere donata, per la meditazione personale, a coloro che normalmente chiamiamo i “lontani” ed anche utilizzata per quegli itinerari appunto di Primo annuncio, come tanti incontri con gli adulti oggi si caratterizzano (preparazione matrimonio, genitori dei bambini che fanno catechismo, gruppi famiglie,…). Di fatto questo testo ci convince a tentare la missione, cioè a proporre a quanti ci stanno intorno il tesoro della fede, cioè l’incontro col Signore, che ci è stato donato e che, possiamo esserne certi, è la risposta a tanti interrogativi dell’uomo. « Se c’è una differenza da marcare, allora, non sarà forse tanto quella tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti, tra uomini e donne che hanno il coraggio di cercare incessantemente Dio e uomini e donne che hanno rinunciato alla lotta, che sembrano essersi accontentati dell’orizzonte penultimo e non sanno più accendersi di desiderio al pensiero dell’ultima patria. Qualunque atto, anche il più costoso, sarebbe degno di essere vissuto per riaccendere in noi il desiderio della patria vera e il coraggio di tendere a essa, sino alla fine, oltre la fine, sulle vie del Dio vivo. Credere sarà allora abbracciare la Croce della sequela, non quella comoda e gratificante che avremmo voluto, ma quella umile e oscura che ci viene donata, per dare compimento “a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Colossesi 1,24). Crede chi confessa l’amore di Dio nonostante l’inevidenza dell’amore, chi spera contro ogni speranza, chi accetta di crocefiggere le proprie attese sulla croce di Cristo, e non Cristo sulla croce delle proprie attese. Crede chi è stato già raggiunto dal tocco di Dio e si è aperto alla sua offerta d’amore, anche se non ha ancora la luce piena su tutto.» (Lettera, p.32) In questa consegna, in questa missione, per capire chi sia il vero “cercatore” di Dio. ci può aiutare una poesia del mistico tedesco Angelo Silesio (1624 – 1677) HO CERCATO DIO Ho cercato Dio con la mia lampada così brillante che tutti me la invidiavano. Ho cercato Dio negli altri. Ho cercato Dio nelle piccolissime tane dei topi. Ho cercato Dio nelle biblioteche. Ho cercato Dio nelle università. Ho cercato Dio col telescopio e con microscopio. Finché mi accorsi che avevo dimenticato quello che cercavo. Allora, spegnendo la mia lampada, gettai le chiavi, e mi misi a piangere... e subito, la Sua Luce fu in me... C. La lettera come punto di partenza e ri…partenza Punti di novità della Lettera i. ii. iii. iv. Un testo interpellante Un testo performativo Dire Noi prima di dire Voi Comunità pensose e relazioni autentiche Punti di miglioramento i. ii. iii. iv. Allargare gli ambiti di vita: famiglia e relazioni Cosa è, a questo punto, catechesi? Celebrare come liturgia la vita Cristo rivelatore dell’uomo all’uomo Per ripartire da un dialogo con gli adulti i. Nelle nostre comunità parrocchiali ii. Nelle associazioni, movimenti e gruppi iii. Essere cercatori per sentirci cercati.