«Poveri, esclusi e operai
ecco chi non ha votato»
«I socialisti fanno bene ad esultare, ma dovrebbe farlo con maggior
realismo: domenica un francese su due non è andato a votare, una
diserzione di massa che dovrebbe far riflettere soprattutto a sinistra».
Jean-Yves Dormagen, direttore del dipartimento di sociologia
dell'Università di Montpellier, esperto di flussi elettorali e autore del
saggio Démocratie de l'abstension , non è stupito dai dati delle ultime
elezioni regionali, i quali confermano la persistenza di una sua "vecchia"
tesi: in Francia è in atto un processo di divaricazione tra società e politica
che si cristallizza principalmente nell'astensione elettorale.
Dopo il picco di partecipazione del 2007, la Francia è dunque tornata in
massa a disertare le urne
L'astensione di domenica viene da lontano. Fa parte di un profondo ciclo
di bassa mobilitazione elettorale iniziato verso la fine degli anni 90.
Mettendo da parte le presidenziali di tre anni fa, possiamo osservare una
vera e propria onda lunga di smobilitazione di massa. Dopo la corsa
all'Eliseo del 2007, che fu quasi una "parentesi incantata" della
democrazia con un tasso di partecipazione vicino al 90%, abbiamo avuto
solo record negativi di astensione: alle legislative di due mesi dopo, alle
municipali del 2008, alle europee del 2009 e infine alle regionali di
domenica. Il che non è affatto un bel segnale per la vita democratica.
Perché tanta differenza tra le presidenziali e le altre elezioni?
Analizziamo il 2007. Erano in campo due candidati mediaticamente molto
forti. In particolare Sarkozy, un uomo capace di ispirare sentimenti
contrapposti, un po' come accade con Berlusconi da voi in Italia. In tal
senso è stata un'elezione molto polarizzante. Una specie di referendumplebiscito sull'uomo nuovo della destra post-gollista. A questo bisogna
aggiungere il senso di colpa nato al primo turno delle presidenziali del
2002, quando lo xenofobo Jean-Marie Le Pen arrivò al ballottaggio contro
Chirac, approfittando della scarsissima mobilitazione degli elettori di
sinistra i quali pensarono che il socialista Jospin, favorito da tutti i
sondaggi, sarebbe comunque approdato al secondo turno. Andarono al
mare e ci fu la tranvata. Il ricordo di quello choc per la società civile ha
spinto molti elettori verso le urne nel 2007.
Dunque il Ps, e in genere tutta la sinistra, sbaglia a rallegrarsi?
E' giusto che la sinistra incassi il successo, il blocco gollista vive delle serie
difficoltà, ma non deve farsi fuorviare da analisi grossolane generate
dall'entusiasmo. Un'elezione regionale in cui partecipa appena il 45%
degli aventi diritto, può forse indicare una tendenza, ma non può
minimamente anticipare i futuri rapporti di forza su scala nazionale. Nel
2012, quando Sarkozy chiederà ai francesi la riconferma del suo mandato,
le cose saranno molto più ardue per la gauche. Ho letto e ascoltato molte
letture superficiali sul voto di domenica. Ad esempio non credo che
l'astensione sia un fenomeno che riguardi soltanto la destra gollista: è
trasversale ai partiti. Molto meno alle classi sociali. Da questo punto di
vista non credo che la sinistra ne abbia colto appieno la dimensione
sociale, fermandosi a una lettura politicista del voto.
Perché? Quali categorie sociali non sono andate alle urne?
In primo luogo ci sono i giovani. Tra i meno di trent'anni la non
partecipazione sfiora picchi del 70-80%. Al contrario chi vota di più è la
fascia tra i 50 e 75 anni. In secondo luogo, ma forse è l'aspetto più
importante, chi si è astenuto di più sono proprio le classi popolari: operai,
disoccupati, esclusi, non diplomati. Molto più elevati i tassi di
partecipazione tra i funzionari pubblici e i piccoli e medi quadri del settore
privato. In tal senso, si può dire che l'astensione fa aumentare l'età e il
reddito degli elettori attivi.
Messa così, sembra che la Francia stia diventando una democrazia
elitaria, quasi una democrazia di censo?
In parte è ciò che sta accadendo. Tra i seggi di periferia e quelli dei
quartieri borghesi ci sono oltre trenta punti di scarto nei tassi di affluenza
alle urne. Prendiamo un luogo emblematico: Clichy sous-Bois, estrema
periferia a nord di Parigi. E' la cittadina dove nel 2005 nacquero le rivolte
delle banlieues contro l'allora ministro dell'interno Sarkozy. Ebbene:
domenica scorsa nei seggi Clichy sous-Bois ha votato meno del 30% degli
iscritti, una vera miseria. Calcolando che si tratta di una circoscrizione
storicamente orientata a sinistra si potrebbe a questo punto rovesciare il
discorso iniziale, affermando che in verità è la sinistra la parte politica più
penalizzata dall'astensione. Ma anche in questo caso si tratterebbe di
un'analisi superficiale: in realtà quella francese è un'astensione
sociologica e non di natura politica.
Qual è la ragione profonda di questo distacco?
In Francia ci sono ampi settori della popolazione molto distanti dal
palazzo, ex elettori disincantati, in alcuni casi addirittura ostili, in modo
quasi feroce, alla politique politicienne e ai suoi esponenti. Una sorta di
ideologia dell'antipolitica alimentata dallo scarso appeal dei partiti e dalla
loro incapacità di proporre soluzioni concrete ai problemi delle persone.
Per comprendere le dimensioni di questa separazione tra politica e società
le rivelo un sondaggio che spiega meglio di qualsiasi trattato il fenomeno
in corso: due cittadini su tre non conoscono neppure il nome del loro
presidente di regione.
L'abbandono progressivo della partecipazione elettorale e quindi
l'indebolimento della democrazia rappresentativa è un fenomeno francofrancese o riguarda anche il resto di Europa?
Il fenomeno va ben al di là dei nostri confini nazionali e riguarda più o
meno tutte le società occidentali. Si tratta di una tendenza legata alle
grandi trasformazioni sociali avvenute negli ultimi decenni. Prendiamo le
classi popolari: esse vivono una frammentazione enorme, nei luoghi di
lavoro i sindacati sono praticamente assenti, non esiste più la militanza e
la formazione politica classica, nei quartieri periferici non ci sono più
sezioni di partito o semplici luoghi di incontro. Per non parlare del lavoro
precario o della disoccupazione, condizioni esistenziali che allontanano
radicalmente i cittadini dalla partecipazione alla vita pubblica. Il pericolo è
che così rischiamo davvero di trasformarci in una democrazia delle e per
le élites.
d.z.
17/03/2010