assicura che anche al variare di E non vi è

ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
ACCADEMIA AERONAUTICA – Pozzuoli (NA) - Corso GRIFO V
Anno Accademico 2007/2008 - II anno - I semestre- Garn aerospaziali
Corso di ELETTROTECNICA
Appunti dalle Lezioni
prof. Giovanni Lupò
Università degli Studi di Napoli Federico II
Dipartimento di Ingegneria Elettrica –
via Claudio 21 – NAPOLI
081 7683252 – [email protected]
Testo di riferimento – G. Fabricatore – Elettrotecnica ed Applicazioni – Liguori 1998
Esercizi : A. Maffucci – Esercizi (disponibili sul sito web)- Esercizi dispensati durante il
corso.
Sito web di riferimento:www.elettrotecnica.unina.it (→docente Giovanni Lupò)
SOMMARIO:
INTRODUZIONE : Modello generale dell’elettromagnetismo
Parte Prima – Fondamenti di reti di bipoli
Parte Seconda : Reti elettriche in regime sinusoidale
Parte Terza – Sistemi trifase
Parte Quarta – Applicazioni - Normativa
APPENDICI
Appendice I – Le equazioni di Maxwell in forma locale
Appendice II – Generatori stazionari
Appendice III - Richiami sulle proprietà integrali dei campi magnetici stazionari
Appendice IV -Comportamento del campo magnetico alla superficie di separazione fra un mezzo a
permeabilità molto elevata e l'aria.
Appendice V - Note sulla conversione elettromeccanica
Appendice VI - Problematiche di sicurezza e protezione associati al fulmine (in preparazione)
Appendice VII – Elementi di Elettronica di potenza (in preparazione)
2
4
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32
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49
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1
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
Premessa : Modello generale dell’elettromagnetismo
Il corso si colloca a valle delle formazione base derivante dai corsi di Analisi Matematica e di Fisica di
cui recepisce integralmente i contenuti.
Si farà particolare riferimento ai concetti tipici dell’Algebra Lineare, dei Campi vettoriali e scalari,
della Geometria Analitica. Si farà continuo riferimento ai principi fondamentali della meccanica
classica, della termodinamica, … con particolare riguardo ai concetti di potenza ed energia.
Si considereranno preliminari i principi di elettrologia e magnetismo, sia per quanto riguarda la
formulazione di modelli matematici che la loro validazione sperimentale.
Si dovrà ricordare ancora che la massima sintesi dell’Elettromagnetismo risiede nelle equazioni di
Maxwell che, in forma integrale, si ricollegano anche a leggi sperimentali ben note per le notevoli
ricadute tecnologiche ed industriali della seconda metà dell’Ottocento:
(1)
d
 E  t dl   dt  B  n dS (legge dell’induzione elettromagnetica di Faraday-Neumann)
S
(2)
Q
 E  n d  

(3)
(legge di Gauss)
o
 B  n d  0
(legge di conservazione del flusso)

(4)

 B  t dl     J  
o
S
o
E 
  n dS 
t 
(legge di Ampère-Maxwell)
dove Ē e B sono campi vettoriali (convenzionalmente indicati come “elettrico” e “magnetico”), γ è
una curva chiusa, Sγ è una superficie orlata da γ e Σ una superficie chiusa.
La (1) indica che la circuitazione del campo elettrico è pari alla derivata temporale del flusso del
campo magnetico attraverso una qualsiasi superficie orlata da γ (la superficie può essere generica per
la proprietà (3) di conservazione del flusso). La (2) indica che il flusso attraverso una superficie chiusa
(valutato con la normale orientata verso l’esterno) del campo elettrico è pari alla carica elettrica in essa
contenuta1. La (4) indica che la circuitazione del campo magnetico è pari al flusso del campo vettoriale
composto dalla densità di corrente di conduzione J2 e dalla densità di corrente di spostamento 3, legata
alla variazione temporale del campo elettrico 4.
Nel caso di grandezze di campo continue e derivabili in domini illimitati o all’interno di domini
limitati si può passare alla descrizione puntuale del campo attraverso gli operatori fondamentali di
divergenza e di rotore. Le equazioni di Maxwell sopra riportate possono essere riscritte considerando
curve e superfici chiuse collassanti intorno al punto considerato pervenendo alle equazioni di
La carica Q [C] può essere “puntiforme” ovverosia immaginata concentrata in un punto interno alla superficie, oppure
distribuita nel volume interno alla superficie con densità volumetrica ρ [C/m3], oppure distribuita su una superficie interna
(ad esempio un elettrodo) con densità superficiale σ [C/m2], oppure su una linea interna con densità lineare λ[C/m].
1
2
il campo densità di corrente è dato dal campo di velocità di migrazione (vedi avanti) delle cariche moltiplicato per il valore
della densità volumetrica della carica stessa (J=qNv=ρv). La natura di tali cariche è del tutto generale, intendendosi comprese
anche quelle “vincolate” agli atomi.
3
la densità di corrente di spostamento è significativa solo in presenza di campi variabili. In ogni punto dello spazio (anche
vuoto) D=εoE prende il nome di “spostamento elettrico” ed è direttamente correlabile alla densità di carica superficiale sugli
elettrodi e comunque alle cariche libere. Nel caso di presenza di mezzi materiali, il campo di spostamento D=εE è collegabile
alle distribuzioni di cariche libere (ad es. sugli elettrodi) e non alle cariche vincolate appartenenti al mezzo materiale.
Anche nel caso magnetico viene introdotto un campo ausiliario H (B=μH) riconducibile, in caso stazionario, alle sole
correnti “libere”.
4
2
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Maxwell in forma locale (vedi appendice I). L’introduzione di funzioni ausiliari (potenziale scalare o
potenziale vettore) permette una descrizione analitica significativa e generale del campo
elettromagnetico.
Forza di Lorentz
Su ogni carica q dotata di velocità v, in presenza di campo elettromagnetico, agisce una forza (di
Lorentz)
(5)
F  q E  v  B 
Se la carica è ferma, il campo magnetico non ha effetti, per cui possiamo definire il campo elettrico
come una forza specifica (newton/coulomb) su una carica ferma. In caso di moto, il campo magnetico
produce un effetto ortogonale alla velocità, per cui la particella necessariamente devia (vedi ad
esempio e applicazioni nelle grandi macchine quali il ciclotrone). La (5) rappresenta anche la base
della conversione elettromeccanica, in quanto stabilisce che si può esercitare una azione sulle cariche
muovendole in un campo magnertico (principio del generatore ad induzione, ad esempio), oppure si
può generare una forza su un conduttore immerso in un campo magnetico se interessato da corrente
elettrica ( principio del motore elettrico).
Nei casi ordinari di impiego industriale dell’energia elettrica il termine mozionale è piccolo rispetto a
quello elettrico (il campo elettrico varia da 0,1 V/m a 30 MV/m, B è dell’ordine del tesla e la velocità di
migrazione è dell’ordine di 0,1 mm/s).
Forza elettromotrice (f.e.m.)
Con tale termine (peraltro improprio trattandosi di una quantità scalare) si deve intendere sempre la
circuitazione del campo elettrico lungo una linea di interesse. La forza elettromotrice dipende quindi
dalla curva scelta (salvo che il campo non sia conservativo, in tal caso è nulla); essa si misura in volt.
3
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PARTE PRIMA –RETI DI BIPOLI
Tensione elettrica tra due punto A e B lungo una curva (aperta) : è l’integrale del campo elettrico tra
A e B lungo la linea  e si indica con VAB. . Se l’integrale non dipende dalla particolare curva, il campo
è conservativo5. Ciò si verifica senz’altro nei casi di campo stazionario (sono nulle tutte le derivate
temporali nelle equazioni di Maxwell). In generale, se consideriamo una curva ’ tra A e B la tensione
VAB differisce dalla tensione VAB’ di una quantità pari alla derivata (cambiata di segno) del flusso del
vettore campo magnetico attraverso una qualsiasi superficie orlata dalla linea chiusa ’. Se tale
quantità è piccola rispetto a VAB [o a VAB’] il campo si dice quasi stazionario.
Voltmetro ideale: è lo strumento che realizza il calcolo della tensione elettrica; l’indicazione dello
strumento dipende in generale dalla curva  su cui esso si immagina “disteso”6.
Corrente Elettrica : fenomeno di migrazione (deriva, drift) di cariche elettriche; tale “moto medio”
(che avviene a velocità dell’ordine di 0.1 mm/s) va nettamente distinto dal moto di agitazione termica
(con valori istantanei della velocità anche di km/s); il detto moto medio viene indicato come corrente
elettrica di conduzione (in altri casi possono aversi correnti di convezione o correnti di spostamento); al
fenomeno possiamo quindi associare il campo vettoriale di velocità di migrazione v delle particelle.
Conduttori : materiali in cui possono aver luogo significativi fenomeni di migrazione di carica; i
conduttori più diffusi sono metalli; possono tuttavia manifestarsi rilevanti fenomeni di conduzione in
altri materiali solidi, in liquidi ed in particolari condizioni anche nei gas.
Isolanti : materiali che non consentono significativi fenomeni di migrazione di carica; gli isolanti
possono essere solidi, liquidi e gassosi; l’isolante ideale è il vuoto assoluto.
Tratto di circuito filiforme: conduttore la cui lunghezza è molto maggiore della dimensione media
trasversale; nel caso di tratto a sezione costante, si può ammettere che il campo di velocità di
migrazione v delle cariche sia parallelo all’asse del conduttore. Ad ogni sciame di particelle di
velocità v di carica q e di densità volumetrica n si può associare un campo di “densità di corrente”
J=nqv [A/m2].
Intensità della corrente elettrica nei circuiti filiformi: si considera una sezione retta S del
conduttore filiforme, per la cui normale si fissi un orientamento arbitrario n; si considera la carica
5
In tal caso è possibile considerare una funzione potenziale scalare di punto V(P) detta potenziale elettrico tale che
B
V  A  V A   E  t ds  V B  V AB  V A  VB  E  V (P) (*); tale funzione è definita a meno della quantità
A
arbitraria V(B); il punto B può essere convenzionalmente scelto su un riferimento convenzionale (ad es. struttura portante
metallica o “massa” o carcassa metallica di una apparecchiatura o di un veicolo – treno,auto,aereo, nave etc -, una “terra” di
un impianto di protezione terrestre – vedi “impianti di terra”-, etc.) ed il valore del potenziale essere assunto
convenzionalmente nullo. I potenziali elettrici dei vari punti dello spazio o di un oggetto qualsiasi rappresentano quindi – da
un punto di vista ingegneristico – le tensioni misurate tra i punti stessi ed il riferimento. Nei domini illimitati il punto a
potenziale nullo si pone spesso – se possibile – all’infinito (se sono soddisfatte le condizioni di regolarità all’infinito).
N.B. Nella (*) il campo elettrico è visto come l’opposto del gradiente di V(P) (vedi appendice I); il segno (-) è del tutto arbitrario e
convenzionale e corrisponde alla prassi di ordinare i potenziali “a decrescere” lungo le linee di campo elettrico.
6
una realizzazione di voltmetro ideale potrebbe essere ottenuta distendendo una fibra ottica tra A e B lungo la curva
assegnata: la caratteristiche di una luce polarizzata entrante in A sono modificate dalla presenza del campo elettrico lungo il
percorso; la luce uscente da B contiene quindi una informazione correlata all’integrale del campo elettrico lungo il percorso.
I voltmetri reali sono molto meno sofisticati e realizzati su più semplici principi (legge di Ohm,..).
4
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totale q che attraversa S in un generico intervallo di tempo t (nell’intorno di un istante t*)7; il limite
per t che tende a zero del rapporto q /t, se esiste, è per definizione la intensità i(t*) della corrente
elettrica nell’istante t* attraverso la sezione considerata secondo il riferimento n. 8 A tale definizione si
perviene ovviamente anche attraverso il campo densità di corrente come flusso della densità di
corrente J attraverso la superficie orientata S. Se tale intensità è indipendente da t*, il fenomeno
prende il nome di corrente stazionaria e l’intensità si indica, in genere, con il simbolo I.
Misura della corrente elettrica nei circuiti filiforme: l’amperometro ideale
Il calcolo dell’intensità della corrente elettrica può essere pensato effettuato da uno strumento ideale
(amperometro ideale) a due morsetti 1-2, inseriti idealmente nella sezione S ed ordinati in modo che 2
segua 1 nel verso di n.
Moto stazionario di cariche in migrazione in conduttore filiforme: indipendenza dell’intensità della
corrente dalla sezione considerata, fissati riferimenti congruenti. Se il caso non è stazionario, occorrerà
considerare, per ogni sezione, il valore istantaneo dell’intensità della corrente i(t)S= limt0 =q/tS.
Se il caso è stazionario, non vi è variazione media della carica in moto in ogni volume; in ogni punto è
costante la velocità v di migrazione (non considerando il moto di agitazione termica e il moto vario
nell’intervallo tra due interazioni 9). Si può quindi ritenere che sia nulla, in media, la risultante delle
forze che agiscono sulla carica q in movimento, nel nostro caso la forza qE nel senso del moto ed una
“forza d’attrito equivalente” –kv diretta in senso opposto alla prima.
Campo elettrico associato a corrente stazionaria: Consideriamo un circuito semplice (ad esempio una
regione di spazio di forma anulare). Il campo velocità di migrazione delle cariche ha linee di flusso
anulari e tutte orientate in senso orario o antiorario. Quindi la circuitazione del campo di velocità v e
del campo di corrente J=v non può essere nulla, ossia il campo di corrente stazionaria non può essere
conservativo. Poiché il moto di migrazione è non è vario e il campo equivalente d'attrito è sempre
opposto al senso del moto, il campo di forze sulle cariche ed il relativo campo elettrico complessivo (che, si
ricorda, è la forza applicata alla particella riferita alla carica della particella) non possono essere
conservativi10.
la carica q si intende “letta e pesata” secondo il riferimento n: si valutano con un coefficiente (+1) le cariche che si
muovono attraverso ΔS nel verso di n, con un coefficiente ( –1 ) le cariche che si muovono nel verso opposto; ogni carica ha
e mantiene ovviamente un proprio segno.
7
Se avessimo considerato un riferimento n’=-n avremmo ovviamente calcolato una intensità della corrente elettrica secondo
il riferimento n’, per cui l’intensità della corrente sarebbe stata I’=-I.
9
per il rame tale tempo è dell’ordine di 10-14 s.
8
10
Poiché il campo elettrico derivante da una distribuzione di cariche elettriche è conservativo, ne discende che un moto
stazionario di cariche non può essere generato da una distribuzione (fissa) di cariche. Occorrerà quindi considerare una
sorgente di campo elettrico non di tipo elettrostatico, chiamato campo elettromotore. Il campo elettromotore è quindi un
campo di forza specifica, di natura meccanica, chimica, elettrica …. ma non elettrostatica (trattandosi di campo non
conservativo), che agisce sulle cariche tenendole separate in un mezzo conduttore e consentendo per esse un moto stazionario
(o anche non stazionario). In un circuito semplice interessato da corrente stazionaria, ci deve essere almeno una parte (tratto
generatore) in cui il campo elettromotore è diverso da zero; l'eventuale parte complementare, in cui il campo elettromotore è
nullo, prende il nome di tratto utilizzatore. Nel tratto utilizzatore la forza specifica sulle cariche è quella derivante dalla
distribuzione di cariche (causata a sua volta dal campo elettromotore) ed è quindi un campo a potenziale: nel tratto
utilizzatore la tensione valutata tra due punti non dipende dalla curva di integrazione (all'interno del tratto generatore,
viceversa, la tensione dipende dalla curva scelta). Se quindi il campo elettromotore è diverso da zero solo in una parte del
circuito semplice, di sezioni estreme A e B, la tensione VAB sarà indipendente dalla curva scelta solo a patto di non "entrare"
nel tratto generatore. Le sezione A e B individuano quindi i confini tra un "bipolo generatore" - identificabile attraverso una
caratteristica V-I valutata all'esterno del tratto generatore - ed un "bipolo utilizzatore" in cui non vi sono vincoli per la
valutazione della tensione.
5
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Forza elettromotrice (f.e.m.)
Nel caso di un circuito semplice filiforme in cui si distingua un tratto generatore ed un tratto
utilizzatore, la f.e.m. valutata lungo l'asse del circuito, essendo corrispondente alla circuitazione del
campo elettromotore, risulta numericamente uguale all'integrale del campo impresso tra gli estremi
del tratto generatore (lungo la parte "interna" dell'asse). Tale f.e.m. viene in pratica "attribuita" al
"bipolo" generatore; di qui la dizione comune "f.e.m. del generatore".
Effetto Joule: l’interazione tra le cariche in moto con le altre particelle “ferme” comporta (tranne nel
caso dei “superconduttori”) una cessione di energia. Il tratto L di conduttore si riscalda; la quantità di
energia ceduta e trasformata in calore nell’intervallo di tempo t dipende dalla carica trasportata e
dalla natura e geometria del tratto. Se q è la carica che ha attraversato ogni sezione S del tratto A-B il
lavoro compiuto dalle forze del campo è £=q E LAB [ = q (VA-VB) se il campo è conservativo].
Potenza dissipata: la potenza messa in gioco dalle forze del campo e trasformata (in questo caso) in
calore si ottiene dal rapporto tra lavoro svolto e il tempo di osservazione :
P= £/t =q VAB/t= VAB I.
bipolo : caratterizzazione del funzionamento di una regione di spazio interessata da corrente elettrica
accessibile da due “punti” A-B (primo e secondo morsetto o terminale) e per cui possa essere fissato
un riferimento per la valutazione dell'intensità di corrente I [ IAB oppure IBA] e un riferimento per la
tensione V [VAB oppure VBA].
Convenzioni: per un bipolo qualsiasi A-B è possibile abbinare in quattro modi i riferimenti I e V;
definiamo convenzione dell'utilizzatore l'abbinamento VAB-IAB o l'abbinamento VBA-IBA e convenzione
del generatore l'abbinamento VAB-IBA o l'abbinamento VBA-IAB.
Caratteristica di un bipolo: legame V=f(I) oppure I=g(V), fissati gli abbinamenti di cui sopra. Tale
legame può essere anche non analitico. Dal punto di vista della rappresentazione grafica della
caratteristica, si può utilizzare un unico piano di rappresentazione utilizzando i due riferimenti
possibili sull’asse delle ascisse ed i due riferimenti possibili sull’asse delle ordinate.
Equivalenza di bipoli: Un bipolo A-B è equivalente ad un altro bipolo A’-B’ se, fissate due convenzioni
omologhe V-I e V’-I’ (ad esempio si considerano i riferimenti VAB-IAB per il primo bipolo e VA’B’-IA’B’ per
il secondo bipolo), i due bipoli hanno caratteristiche uguali.
Legge di Ohm : per un tratto A-B di conduttore metallico filiforme operante a temperatura costante si
verifica sperimentalmente con buona approssimazione la relazione V AB=R IAB con R numero positivo
(al limite nullo) e costante in un ampio intervallo di valori di IAB. Il tratto A-B viene classificato come
resistore; in termini commerciali per resistore si intende un componente per le applicazioni circuitali
ed industriali (stufe, forni, scaldabagni, ...).
Considerando sempre il parametro R0, la legge di Ohm si scrive anche nel seguenti modi:
VAB=-R IBA
VBA=-R IAB
VBA=R IBA
Resistore ideale: Bipolo ideale A-B di caratteristica V=R I ( oppure I = G V) se viene adottata la
convenzione dell'utilizzatore o di caratteristica V= - R I (o I = -GV) se viene adottata la convenzione
del generatore sul bipolo A-B . Le costanti positive R e G vengono chiamate resistenza e conduttanza
del bipolo e si misurano in ohm [] e siemens [S] rispettivamente.
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Resistenza - Resistività (vedi anche nota A): nel caso di un tratto A-B di conduttore filiforme
omogeneo a sezione costante S di lunghezza LAB e a temperatura costante ed uniforme, si valuta che la
resistenza R del tratto, è proporzionale alla lunghezza L AB ed inversamente proporzionale alla sezione
S. Il coefficiente di proporzionalità costituisce la resistività (si indica con la lettera greca -etaoppure -rho- e si misura in ohm per metro [m]); il suo inverso viene chiamato conducibilità (si
indica con la lettera greca -gamma- oppure -sigma- e si misura in siemens/metro[S/m])11.
Occorrerà valutare opportunamente R nel caso che il conduttore non sia omogeneo ovvero non sia a
sezione costante.
11
Per i materiali metallici, la resistività è valutata in base a parametri congrui con applicazioni ordinarie, come le
linee di alimentazione. Va fissata ad esempio una temperatura di riferimento o (in genere 293 K ossia 20°C), in
quanto la resistività varia con la temperatura  del conduttore, il cui valore a regime è dipendente a sua volta sia dalla
temperatura ambiente che dalla intensità di corrente che interessa il conduttore (effetto Joule). Per i conduttori
metallici la resistività aumenta linearmente con la temperatura in un ampio intervallo di valori della stessa (fig.1)




      o  1        o 
o





fig.1
Il coefficiente di temperatura  rappresenta quindi la variazione relativa di resistività per salto unitario di
temperatura. Anche  dipende da o. In tab.I vengono riportati i valori della resistività e del coefficiente di
temperatura alla temperatura di 293 K per i materiali di più comune impiego. I valori sono riportati in modo da
indicare anche la resistenza per unità di lunghezza di un conduttore rettilineo della sezione di 1 mm2. Il valore 1 cui
corrisponderebbe un valore nullo di resistività vale
1
1  0 
 o
Per il rame 1 assume il valore di circa 43K. A tale temperatura, in realtà, il rame presenta una resistività
significativa: siamo oltre l'intervallo di linearità. A temperature molto basse, inferiori in genere a 10 K, possono
manifestarsi, per alcuni metalli in particolari condizioni di funzionamento, fenomeni di superconduttività, in cui la
resistività scende al valore "nullo", al disotto dei valori correntemente misurabili. Per alcuni materiali si manifesta
anche un crollo dei valori resistività anche a temperature prossime alla liquefazione dell'azoto (77K). Tale fenomeno
(superconduttività ad alta temperatura) è attualmente oggetto di intensi studi, in vista di interessanti applicazioni nel
settore elettrotecnico.
MATERIALI
Conduttori metallici (conduzione elettronica)
argento
rame puro
rame industriale
oro
piombo
alluminio
tungsteno
Leghe per resistori
Manganina
Nichel-Cromo
Ferro-silicio per lamierini
Carbone per lampade ad arco
MATERIALI
Semiconduttori
germanio
silicio
Elettroliti
Acqua di mare
Terreni umidi
terreni sabbiosi
terreni rocciosi
Acqua distillata
Vetro
coefficiente di temperatura (o)[K-1]
Resistività  -o=293 K [ m]
0.016
0.016291
0.0178
0.024
0.022
0.028
0.055
3.8 10-3
3.9 10-3
3.9 10-3
3.4 10-3
3.9 10-3
3.7 10-3
4.5 10-3
0.45
1.1
0.3
70
Resistività  -o=293 K [ m]
1.5 10-5
1 10-4
4 10-3
10
100
0.3
10
100
>1000
104 (isolante)
1010 (isolante)
7
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Classificazione dei bipoli:
- bipoli pilotati in tensione : nella caratteristica I=g(V) ad ogni valore della tensione corrisponde un
solo valore dell'intensità di corrente;
- bipoli pilotati in corrente : nella caratteristica V=f(I) ad ogni valore dell'intensità di corrente
corrisponde un solo valore della tensione;
- bipoli pilotati in tensione ed in corrente: caratteristica invertibile.
- bipoli simmetrici: caratteristica simmetrica g(V)=-g(-V) ovvero f(I)=-f(-I);
- bipoli inerti: la caratteristica passa per l'origine: g(0)=0 ovvero f(0)=0;
- bipoli lineari : se ad esempio V'=f(I') e V"=f(I"), si ottiene V=V'+V"=f(I')+f(I");
Bipoli normali:
Vengono definiti normali i bipoli a caratteristica rettilinea nel piano V-I.
Esempi di bipoli ideali:
- bipolo resistore ideale : caratteristica lineare, inerte, simmetrica, invertibile.
- bipolo corto-circuito ideale: per ogni valore di I, qualunque sia la convenzione adottata, la tensione è
nulla (caratteristica coincidente con l'asse delle I); tale caratteristica lineare, inerte, simmetrica, non
invertibile (bipolo pilotato in corrente);
- bipolo aperto (o circuito aperto) ideale: per ogni valore di V, qualunque sia la convenzione adottata,
l'intensità di corrente è nulla (caratteristica coincidente con l'asse delle V); tale caratteristica lineare,
inerte, simmetrica, non invertibile (bipolo pilotato in tensione).
Generatore ideale (indipendente) di tensione
E' un bipolo ideale caratterizzato da una tensione ai morsetti A-B indipendente dalla corrente I,
qualunque convenzione sia stata adottata. La caratteristica è quindi una retta parallela all'asse delle I.
Il simbolo comunemente adoperato è un pallino con un contrassegno (*,+,1, etc.) su un morsetto (
trattasi quindi di bipolo ordinato) con indicazione numerica (E) o funzionale [e(t)], che indica il valore
della tensione valutata tra il morsetto contrassegnato (primo morsetto) e l'altro (secondo morsetto). Il
valore E può essere positivo, negativo o nullo; al proposito si pone in evidenza che un generatore di
tensione nulla è equivalente ad un bipolo cortocircuito ( la caratteristica è la stessa).
Generatore ideale (indipendente) di corrente
Trattasi di bipolo fondamentale, duale del generatore di tensione ideale, con caratteristica I=I*
(costante) qualunque sia la tensione ai morsetti. Il generatore di corrente è un bipolo normale (non
lineare) e non simmetrico. Si rappresenta in genere con un cerchietto con barra trasversa e morsetti
"ordinati".
Generatori ideali dipendenti : trattasi di generatori ideali la cui grandezza caratteristica dipende
dalla tensione o corrente nello stesso o in altro bipolo.
Bipoli tempo-varianti: la caratteristica dipende dal tempo in maniera continua o discreta. Ad esempio
il bipolo interruttore ideale, a seconda del posizionamento del tasto, realizza un bipolo aperto ideale o
un bipolo corto-circuito ideale.
Collegamento di bipoli – Punto di lavoro
Collegare due bipoli significa considerare una identificazione formale dei morsetti. Ad esempio il
bipolo AB potrà essere collegato al bipolo A’B’ considerando A=A’ o A=B’ o B=A’ o B=B’ ovvero (A=A’
8
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e B=B’) ovvero (A=B’ o B=A’). In questi casi si costituisce un circuito semplice. Note le convenzioni VI, V’-I’ assunte sui due bipoli e le relative leggi caratteristiche tensione-corrente, è possibile valutare se
esistono una o più soluzioni compatibili con il collegamento previsto.
Risoluzione grafica: si riportano “congruentemente” su uno stesso piano la caratteristica V-I del
primo bipolo e la caratteristica V’-I’ del secondo bipolo, considerando che può essere V=V’ e I=I’.
Nel caso di collegamento generatore ideale di tensione E-resistore R si ha sempre un solo punto di
lavoro di coordinate I=E/R V=E=RI.
Nel vaso di collegamento generatore ideale di tensione E – generatore ideale di corrente J sia ha un
solo punto di lavoro V=E, I=J.
Nel caso di collegamento generatore ideale di tensione – lampada a scarica si hanno due soluzioni se
E<V*, una soluzione nel caso E=V*, nessuna soluzione per E>V* (fig.5.1).
Nel caso di collegamento di due generatori ideali di tensione E ed E’, si avranno infinite soluzioni
(l’intensità di corrente può essere qualsiasi) se V=V’=E=E’, non si avrà nessuna soluzione se EE’.
Nel caso di collegamento di due generatori ideali di corrente J ed J’, si avranno infinite soluzioni (la
tensione può essere qualsiasi) se I=I’=J=J’, non si avrà nessuna soluzione se JJ’.
Poiché i casi con nessuna soluzione o con infinite soluzioni non hanno riscontro fisico ( un sistema
fisico stazionario ammette sempre una soluzione, salvo distinguerla da altre possibili 12, in base alla
“storia” subita dal componente reale ed eventuali criteri di stabilità). Tali casi si definiscono
patologici. Ricordiamo al proposito che un generatore ideale di tensione non può essere
“cortocircuitato”, ovverosia collegato ad un bipolo cortocircuito ideale, così come un generatore ideale
di corrente non può essere aperto, ossia collegato ad un bipolo aperto.
Potenza assorbita ed erogata dai bipoli
Il prodotto tensione-corrente è omogeneo con una potenza. Se la convenzione adottata sul bipolo (a
caratteristica qualsiasi) è quella dell’utilizzatore, tale prodotto viene chiamato potenza assorbita13 . Se la
convenzione adottata è quella del generatore, tale prodotto prende il nome di potenza erogata14.
Bipoli passivi ed attivi
Un bipolo si dice passivo se, per tutti i punti della caratteristica, la potenza assorbita non è mai
negativa [la potenza erogata non è mai positiva].
Un bipolo si dice attivo se, per almeno un punto della caratteristica , la potenza assorbita è negativa [la
potenza erogata è positiva]
Generatore reale di tensione
Nel tratto generatore di un circuito semplice si hanno interazioni tra le cariche in migrazione e le altre
particelle; si avrà quindi comunque una dissipazione analoga a quanto avviene nei resistori. Se non c'è
migrazione e la f.e.m. è diversa da zero, vuol dire che il tratto utilizzatore è non conduttore
(equivalente ad un aperto); in questo caso la tensione VAB coincide numericamente con la f.e.m.
Abbiamo quindi che un generatore reale di tensione può essere caratterizzato dalla tensione a vuoto,
corrispondente alla f.e.m. e dalla dissipazione, che in prima approssimazione può essere
schematizzata attraverso una resistenza Rg (resistenza interna del generatore). In realtà tale
schematizzazione ha una validità abbastanza limitata.
Nel nostro corso, il generatore reale di tensione è un bipolo costituito dalla "serie" di un generatore
ideale di tensione e di una resistenza Rg.
L’insieme delle soluzioni o è finito (come nel caso delle lampade a scarica) o costituisce un insieme
numerabile (come nel caso dei bipoli isteretici).
13
la potenza assorbita da un resistore è numericamente uguale alla potenza dissipata in calore dallo stesso
14
se nella rete vi è un solo generatore, la potenza erogata dal generatore coincide con la potenza messa in gioco
(generata) dallo stesso.
9
12
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
Un punto notevole della caratteristica di un generatore reale di tensione (valutabile anche
sperimentalmente su un generatore commerciale) si ottiene collegando il bipolo generatore di tensione
reale ad un bipolo corto-circuito (nella realtà, ad un conduttore di resistenza molto più piccola di R g).
Si ottiene quindi il valore della intensità di corrente di corto-circuito.
E' evidente che non si può " collegare" un bipolo generatore ideale di tensione ad un bipolo cortocircuito ideale, trovandosi in contraddizione le definizioni dei due bipoli.
Serie di bipoli
Due (o più) bipoli si dicono in serie diretta o semplicemente in serie se è possibile stabilire per essi
riferimenti congruenti per l’intensità di corrente I e riportabili l'uno all'altro per continuità; in tal caso i
valori dell’intensità di corrente sono uguali; se sono riportabili per continuità riferimenti opposti, i
valori sono opposti e la serie si dirà contrapposta.
Se due o più bipoli in serie sono contigui, potrà essere valutata la tensione V* ai capi della serie e si
potrà considerare un bipolo equivalente di caratteristica V*-I.
Partitore di tensione
Se consideriamo due resistori A’-B’ e A”B” di resistenza R’ ed R” in serie (B'=A"), il bipolo
equivalente ai morsetti A’-B” ha resistenza pari a R= R’+R” (resistenza equivalente alla serie). Detta V la
tensione tra A’ e B”, la tensione V’ tra A’ e B’ è pari a [V R’/R], la tensione V” tra A” e B” è pari a [V
R”/R]. In generale, la tensione V si “ripartisce” tra resistori in serie secondo la relazione (detta del
partitore di tensione) [Vk=fvV] essendo Vk la tensione sul resistore k-mo; fv vien detto fattore di partizione
e vale Rk/R (dove R è la somma delle resistenze); il segno dipende dalla scelta del riferimento V k
rispetto a V.
Bipoli in parallelo
Due (o più) bipoli si dicono in parallelo diretto o semplicemente in parallelo se è possibile stabilire per
essi riferimenti congruenti per la tensione V; in tal caso i valori della tensione sono uguali; se i
riferimenti sono opposti, i valori della tensione sono opposti e il parallelo si dirà contrapposto.
Se due o più bipoli in parallelo sono contigui, potrà essere valutata l’intensità di corrente I* ai morsetti
di ingresso del parallelo e si potrà considerare un bipolo equivalente di caratteristica V-I.*.
Partitore di corrente
Se consideriamo due resistori A’-B’ e A”B” di conduttanza G’=1/R’ e G”=1/R” in parallelo
(A’=A”=A,B’=B”=B), il bipolo equivalente ai morsetti A-B ha conduttanza equivalente pari a G=G’+G””
(resistenza equivalente pari a R=R’R”/[R’+R”]). Detta I l’intensità della corrente in ingresso al parallelo
A-B, l’intensità della corrente I’ tra A’ e B’ è pari a I’=I G’/G=I R”/R, l’intensità I” tra A” e B” è pari a
I”=I G”/G= I R’/R. In generale, l’intensità di corrente I si “ripartisce” tra resistori in parallelo secondo
la relazione (detta del partitore di corrente) [Ik=fII] essendo Ik la corrente nel resistore k-mo; fI vien detto
fattore di partizione e vale Gk/G, , dove G è la somma delle conduttanze; il segno dipende dalla scelta
del riferimento Ik rispetto a I.
Generatore reale di corrente
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ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
Se consideriamo la caratteristica ai morsetti del parallelo tra un generatore ideale di corrente I* e un
resistore R*, essa sarà normale e passerà per il punto (0,I cc=I*) ed il punto (V0=R*I*,0). Tale parallelo
sarà quindi equivalente ad un generatore reale di tensione con tensione a vuoto V 0, resistenza interna
R* e corrente di corto circuito I*.
Per realizzare un generatore di corrente praticamente ideale I*, basterà disporre di un generatore di
tensione reale con resistenza interna R* molto maggiore della resistenza R u del carico; tale generatore
dovrà avere una idonea tensione a vuoto V0=R*I*.
Generatori reali di f.e.m. stazionaria - vedi appendice II
Principio di sostituzione
Se il punto di lavoro P della connessione tra un bipolo B1 ed un bipolo B2 è unico, esso può essere
identificato anche sostituendo ai bipoli suddetti due bipoli B1* e B2* le cui caratteristiche
comprendano il punto P e questi rappresenti ancora l’unico punto di lavoro. Ad esempio, in una
connessione generatore ideale di tensione(E)-resistore ideale(R) che ha come punto di lavoro il punto
P di coordinate (E, E/R), si può sostituire al resistore un generatore di corrente ideale I*=E/R; il punto
di lavoro P* della nuova connessione ha le stesse coordinate del punto P.
Le sostituzioni sono sempre ammesse se il punto di lavoro è unico prima e dopo la sostituzione.
Attenzione quindi ai casi patologici.
Adattamento in potenza
Un resistore Ru collegato ad un generatore reale di tensione (tensione a vuoto E o, Resistenza interna Ri)
assorbe una potenza Pu=RuI2=Ru[Eo2/(Ri+Ru)] . La potenza assorbita è nulla a vuoto (Ru=  ) e in cortocircuito (Ru=0). Si può facilmente valutare che al variare di Ru la potenza assume il massimo quando
Ru = Ri (condizione di adattamento). In tal caso essa è pari a quella assorbita da R i e quindi il
rendimento di trasferimento è del 50%. Tale considerazione è utile nel trasferimento di segnali elettrici
di debole potenza. Non può essere ovviamente applicarsi alle reti di distribuzione dell’energia
elettrica (perderemmo il 50% dell’energia del generatore).
Reti elettriche
Connessione significativa di bipoli elettrici.
Topologia delle reti
Lato: costituito da un bipolo o, volendo, dal bipolo equivalente alla serie di più bipoli
Nodo: punto di connessione di più di due bipoli (si parla di nodo degenere se si considera la
connessione di due bipoli)
Maglia: definita dalla connessione di bipoli lungo un percorso chiuso
Grafo (non orientato): mappa della connessione dei bipoli; il grafo si dirà ridotto se non vi sono
connessioni in serie o in parallelo (o si sono considerati i bipoli equivalenti); un grafo si dirà completo
se è prevista la connessione tra tutti i nodi (un grafo potrà essere sempre completato considerando
bipoli aperti in luogo delle connessioni mancanti). Un grafo ridotto e completo poggiante su n nodi ha
un numero di lati pari a L=[n (n-1) /2]
Albero: struttura fondamentale della rete, che collega tutti gli n nodi della rete, senza dar luogo a
maglie; l’albero ha quindi (n-1) rami.
11
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Coalbero: parte della rete complementare all’albero; il coalbero ha quindi L-(n-1) lati.
Sistema fondamentale
Considerata una rete di L lati (su ognuno dei quali vi sia un bipolo per ognuno dei quali è fissata la
caratteristica V-I), risolvere la rete significa trovare i valori delle 2L incognite tensioni e intensità di
corrente. Occorre quindi definire un “sistema fondamentale” risolvente; è necessario che questo
sistema sia costituito da 2L relazioni indipendenti. Un “pacchetto” di L relazioni indipendenti è dato
dalle stesse relazioni caratteristiche. Le altre relazioni saranno collegate ad elementi topologici della
rete (nodi e maglie); saranno quindi chiamate “equazioni topologiche”.
Equazioni ai nodi indipendenti ( I principio di Kirchhoff)
Ai singoli nodi si può esprimere un bilancio di carica: in condizioni stazionarie non vi può essere
accumulo di carica in ogni volume che comprende il nodo. Facendo riferimento ad un fissato
intervallo di osservazione, potremo esprimere quindi un bilancio di intensità di corrente: la somma
“ponderata” delle intensità di correnti che interessano il nodo deve essere nulla, dove per
“ponderare” le intensità basterà moltiplicare per un coefficiente (+1) [ oppure (-1)] l’intensità I se il
riferimento è uscente dal nodo e per un coefficiente (-1) [(+1)] se il riferimento è entrante15.
Se si considera l’albero, è immediato costatare che le prime (n-1) equazioni ai nodi che si scrivono
sono indipendenti, mentre l’ultima è combinazione delle altre.
Equazione alle maglie indipendenti (II principio di Kirchhoff)
Per le singole maglie si può esprimere l’irrotazionalità del campo elettrico in condizioni stazionarie.
Potremo esprimere quindi un bilancio di tensioni considerando l’annullarsi della circuitazione del
campo elettrico lungo una maglia percorsa in senso orario [antiorario]: la somma “ponderata” delle
tensioni incognite che interessano la maglia deve essere nulla, dove per “ponderare” le tensioni
basterà moltiplicare per un coefficiente (+1) la tensione V se il riferimento assunto per la tensione è
congruente con la circuitazione che si sta eseguendo e per un coefficiente (-1) nel caso contrario.
Se si considerano le maglie ottenute appoggiando all’albero i singolo lati del coalbero, si ottengono [L(n-1)] equazioni alle maglie indipendenti; si può costatare che ogni altra equazione ottenuta
considerando altre maglie è combinazione delle equazioni suddette.
Sistema fondamentale completo: soluzione
Una volta scritte le L equazioni caratteristiche e le L equazioni topologiche, ci si chiede se il sistema
fondamentale ammette soluzioni. Atteso che le equazioni topologiche sono semplicissime equazioni
lineari, potremo affermare che, se le caratteristiche sono “normali”, il sistema ammette una ed una
sola soluzione.
Se vi sono bipoli non lineari, occorrerà esaminare caso per caso le non linearità. In molti casi il sistema
ammette una ed una sola soluzione (e ad essa potrà pervenirsi analiticamente con diversi metodi, ad
esempio per sostituzione), in altre casi occorrerà procedere per via numerica (esempio: metodo di
Newton-Raphson) o con altri metodi iterativi. In altri casi possono presentarsi soluzioni dipendenti
dalla “traiettoria” nel piano V-I.
Unicità della soluzione ( applicazione del Principio di sostituzione)
15
Per una scrittura sistematica della matrice dei coefficienti si potranno inserire in tutte le equazioni anche le incognite non
direttamente interessate, moltiplicandole per un coefficiente nullo. La matrice dei coefficienti sarà quindi sparsa, ossia ricca
di elementi nulli. La soluzione attraverso un programma di calcolo del sistema fondamentale sarà in qualche modo
“complicata” dalla inversione di una matrice sparsa.
12
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Se il sistema fondamentale ammette una sola soluzione (ad esempio nel caso di sistemi lineari non
omogenei) è possibile sostituire ad un bipolo (con caratteristica qualsiasi purché invertibile) un altro
bipolo (ad esempio un generatore ideale di tensione o di corrente con il valore della tensione o della
intensità di corrente uguale a quello della soluzione), purché il nuovo sistema ammetta una sola soluzione
(ad esempio non ci si deve ritrovi nei casi “patologici”).
Teorema di scomposizione – Sovrapposizione degli effetti
Se il sistema è lineare, può essere considerare una qualsiasi scomposizione del vettore-colonna dei
termini noti e “scomporre” la soluzione in tante soluzioni. Una utile scomposizione consiste nel
considerare uno alla volta i termini noti relativi ai singoli generatori, in quanto è molto più semplice
risolvere una rete lineare alimentata da un solo generatore. Quest’ultimo procedimento prende
comunemente il nome di sovrapposizione degli effetti.
Generatore equivalente di tensione (Teorema di Thévénin)
Consideriamo una rete costituita da bipoli normali (attivi e passivi), accessibile ai morsetti A-B (bipolo
attivo A-B), ovverosia collegabile attraverso A-B ad un altro bipolo16.
Al fine di valutare genericamente il funzionamento qualunque sia il bipolo connesso, ossia la
caratteristica della rete suddetta ai morsetti A-B ( ossia valutare il legame tensione corrente V-I), nel
caso che la rete sia costituita da bipoli normali, può essere considerato un bipolo elementare costituito
da un generatore reale di tensione ossia dalla serie di un generatore ideale di tensione V o e di una
resistenza Req (bipolo equivalente di Thevenin) dove Vo è la tensione V “a vuoto” cioè immaginando di
collegare A-B ad un bipolo aperto ed Req è la resistenza equivalente della rete “vista” ai morsetti A-B
quando nella stessa rete sono stati spenti tutti i generatori.
Tale proprietà può essere dimostrata applicando il principio di sostituzione (nel caso la soluzione
esista e sia unica) e la sovrapposizione degli effetti.
Il punto di lavoro effettivo è stabilito dal confronto della caratteristica del bipolo equivalente di
Thevenin con la caratterista del bipolo “esterno” (che può essere un bipolo elementare [anche non
lineare17] o un altro bipolo equivalente [ovviamente lineare]).
Generatore equivalente di corrente (Teorema di Norton)
Al fine di valutare la caratteristica della rete suddetta ai morsetti A-B ( ossia valutare il legame
tensione corrente V-I), nel caso che la rete sia costituita da bipoli normali, può essere considerato un
bipolo elementare costituito da un generatore reale di corrente ossia dal parallelo di un generatore
ideale di corrente Icc e di una resistenza Req (bipolo equivalente di Norton) dove Icc è la “intensità della
corrente di cortocircuito” cioè immaginando di collegare A-B ad un bipolo cortocircuito ed è Req la
resistenza equivalente della rete “vista” ai morsetti A-B quando nella stessa rete sono stati spenti tutti i
generatori.
Il punto di lavoro effettivo è stabilito dal confronto della caratteristica del bipolo equivalente di
Norton con la caratterista del bipolo “esterno” (che può essere un bipolo elementare [anche non
lineare] o un altro bipolo equivalente [ovviamente lineare]). La dimostrazione è analoga alla
precedente.
16
Tale bipolo potrà essere attivo o passivo ed anche non lineare, salvo le considerazioni che faremo più avanti.
17
Se dal confronto delle due caratteristiche si evidenziano una molteplicità di soluzioni, occorreranno ulteriori valutazioni
(legate ad esempio alla “storia” subita dal bipolo, alla “stabilità” della soluzione, ecc.).
13
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I bipoli di Thevenin e Norton sono ovviamente equivalenti tra loro; i tre parametri equivalenti sono
legati dalla relazione Icc = Vo/Req e quindi il terzo si potrà dedurre dalla conoscenza dei primi due.
Sarà opportuno il ricorso al teorema di Thévénin, quando l’apertura di un ramo “frantuma”
significativamente una rete (es. configurazioni di sottoreti in serie), mentre il generatore equivalente di
corrente sarà più facilmente valutabile nel caso di sottoreti in “parallelo” 18.
Conservazione della potenza nelle reti elettriche
Considerato che in regime stazionario la tensione su un lato posto tra i lati r ed s può essere espressa
come differenza di potenziale ( Vrs = Vr - Vs ) e che vale la legge di Kirchhoff ai nodi r ed s, si può
facilmente dimostrare che è nulla la somma - estesa a tutti i lati - delle potenze valutate con la stessa
convenzione. Quindi è nulla la somma delle potenze assorbite da tutti i lati ed è nulla la somma delle
potenze generate da tutti i lati. Se non si è adottata per tutti i bipoli la stessa convenzione, la somma
delle potenze assorbite - estesa a tutti i lati per cui si è fatta la convenzione dell'utilizzatore - è pari alla
somma delle potenze erogate - estesa a tutti i lati per cui si è fatta la convenzione del generatore -.
Potenze virtuali - Teorema di Tellegen
Se si considerano due reti con ugual grafo (in sostanza con lo stesso numero di nodi) e con le stesse
convenzioni sui lati omologhi (r-s,r'-s'), possiamo ugualmente dimostrare che la somma delle potenze
virtuali VrsIr's' estesa a tutti le possibili connessioni è nulla (I teorema di Tellegen).
Come applicazione del teorema di Tellegen consideriamo da un lato una rete resistiva R
alimentata da un generatore di tensione Ea (per semplicità, ideale) situato nel lato a e l’intensità di
corrente Ib in un ramo b (per semplicità: un cortocircuito) e dall’altro la rete R’ modificata rispetto alla
precedente solo nella posizione del generatore Eb’, che trovasi nel lato b’ omologo di b ed in cui si
prende in considerazione l’intensità di corrente I a’ nel lato a’ omologo di a. La convenzione tra E a e
Ia’sia congrua con la convenzione tra Eb’ e Ia (ad es. del generatore).
Applicando il teorema di Tellegen alle due reti avremo:
V I
 0   Ea I a'   Vk I k'  0  I b'
V I
 0  0  I a   Vk' I k  Eb'  I b
'
k k
lati
'
k k
lati
'
'
dove la sommatoria con apice è estesa a tutti i lati delle reti meno i lati a e b (a’ e b’); per questi lati,
costituiti dagli stessi resistori; sarà VI’=RI I’=RI’ I=V’I e quindi
Ea I’a = E’b Ib
(teorema di reciprocità)
In particolare se i due generatori erogano lo stesso valore della tensione, le due intensità di corrente
sono uguali. Posso quindi calcolare la corrente in un ramo di una rete alimentata da un solo
generatore “spostando” il generatore proprio in quel ramo e calcolando l’intensità di corrente nel
ramo dove si trovava originariamente il generatore.
Si può riscrivere il teorema rimuovendo le ipotesi semplificative anzidette ed anche considerando
l’alimentazione con un generatore di corrente.
Il teorema di Norton si applica infatti correntemente nelle reti di distribuzione dell’energia elettrica, dove i dispositivi
sono collegati tra due sbarre o linee equipotenziali.
18
14
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Applicazione del teorema di Telleghen
Quale applicazione del teorema di Tellegen, ed in particolare della reciprocità, si può considerare una
figura “a ponte di Weathstone” in cui non si riscontrano configurazioni serie o parallelo di resistori.
R2
R1
R5
I5
R3
R4
V
+
E
R2
R1
I’1
R
5
I’5
E’5
+
I’3
R3
R4
I’
Per il calcolo della corrente I5, basta considerare il secondo schema in cui il generatore è stato
posizionato proprio nel ramo 5. Se poniamo E’5=E avremo quindi che il valore cercato è l’intensità
della corrente I’. Essendo nel secondo schema R1 in parallelo con R2 e R3 in parallelo ad R4, avremo,
applicando la regola del partitore di corrente,
15
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
R2
R4
I 5  I '  I 1'  I 3'  I 5' 
R R  R R
2
3
4
 1
E

R5 

R3 R4
R1 R2

R1  R2
R3  R4

E5'


'

ReqE
'

5

R2
R4

R R  R R
2
3
4
 1

R2 R3  R1 R4

R R R R R R R R
2
3
1
4
2
4
 1 3








E
R2 R3  R1 R4 
R1 R3 R5  R2 R3 R5  R1 R4 R5  R2 R4 R5  R1 R3 R2  R1 R3 R4  R1 R2 R4  R2 R3 R4
L’intensità di corrente I5 è nulla se R2R3=R1R4 . Anche la tensione V5 è nulla. Questa condizione (“ponte
bilanciato”) può essere utilizzata per la misura di resistenza, avendo a disposizione due resistori di
resistenza nota, un reostato ( resistenza variabile) , oltre al resistore di resistenza incognita.
La condizione di “ponte bilanciato” assicura che anche al variare di E non vi è sollecitazione elettrica
sul bipolo R5 anche se trattasi di bipolo generico, attivo o passivo. Quindi in tali condizioni non vi è
“interferenza” tra il lato o diagonale di alimentazione ed il lato o diagonale di “rivelazione”
(contenente R5 o qualsiasi altra apparecchiatura rappresentabile con un bipolo).
Non amplificazione delle tensioni
Considerata una rete di bipoli di cui uno solo attivo, si può dimostrare che la tensione ai capi del
bipolo attivo è, in valore assoluto, la tensione più elevata. Infatti, considerato un generico nodo r
interno alla rete (non collegato con il generatore), la somma delle correnti uscenti dal nodo I rs è nulla;
quindi alcuni termini sono positivi ed altri negativi. Poiché i lati r-s incidenti sul nodo r contengono
bipoli passivi (Vrs Irs0), avremo termini positivi e negativi anche tra le tensioni V rs. Ci sarà quindi
almento un nodo s’ a potenziale maggiore di r e un nodo “ a potenziale minore. Potremmo quindi
costruire una “scaletta” di potenziali che avrà un massimo ed un minimo che corrisponderanno ai
morsetti del generatore: per questo lato non potremo ripetere il ragionamento suesposto essendo
necessariamente (per il teorema di conservazione delle potenze) V rs Irs0.
Non amplificazione delle correnti
Considerata una rete di bipoli di cui uno solo attivo, si può dimostrare che l'intensità di corrente
erogata dal bipolo attivo assume, in valore assoluto, il valore più grande rispetto alle intensità di
corrente negli altri lati. Infatti se consideriamo un generico collegamento r-s tra due gradini contigui
della “scaletta” dei potenziali, potremo separare un insieme di nodi a potenziale maggiore di r ed un
insieme di nodi a potenziale minore di s. I collegamenti tra i due insiemi sono interessati, per
costruzione, da intensità di corrente
Irs non negative per tutti i lati fuorchè per quello
(necessariamente presente) corrispondente al generatore, per cui sarà Irs<0. Quindi avremo un solo
valore negativo che sarà necessariamente in modulo maggiore degli altri. Il ragionamento può
estendersi a qualsiasi lato della rete.
Metodo dei Potenziali Nodali
Se in una rete elettrica si assumono come incognite ausiliarie i potenziali degli n nodi della rete
(considerato un nodo di riferimento, avremo n-1 nuove incognite), la tensione del lato posto tra il
nodo r ed il nodo s sarà Vrs=Vr-Vs e la intensità di corrente, se il bipoli sono normali, sarà del tipo
Irs=(Vr-Vs+Ers)/Rrs, dove Ers è il valore della tensione del generatore (con il primo morsetto rivolto ad r)
16
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ed Rrs è la resistenza del lato. Le n-1 equazioni indipendenti per conoscere i potenziali nodali si
potranno dedurre dal bilancio delle correnti al nodo, scritto in funzione della differenza fra i
potenziali nodali.
Formula di Millmann
Se la rete ha due soli nodi A-B ed L lati, basterà scrivere, posto VB =0
VAB  VA 

k'
 Ek '
 k "  J k "
Rk '
1
k ' R
rs
dove il segno – viene inserito nel caso di generatore Ek’ con il primo morsetto rivolto verso B e
generatore di corrente rivolto verso A.
Scrittura per ispezione del sistema ai potenziali nodali - Conduttanze proprie e
mutue
Nel caso di bipoli normali, la matrice del coefficienti A nell’equazione A V + B = 0 (dove V è il
vettore delle incognite potenziali nodali, di dimensioni n-1) è costituita dai termini di conduttanza
propria sulla diagonale principale Grr , pari alla somma delle conduttanze dei lati incidenti nel nodo
r, resi passivi . I termini fuori diagonale (r-s) vengono chiamati conduttanze mutue e rappresenta la
conduttanza del lato considerato, cambiata di segno.
In tal modo il sistema fondamentale può essere impostato per ispezione.
17
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Metodo delle correnti di maglia
Questo metodo è il duale del metodo dei potenziali nodali.
Se in una rete elettrica si considerano un insieme di ℓ-(n-1) maglie indipendenti – ad esempio
considerando l’insieme dell’albero e di ciascuno degli ℓ-(n-1) lati del coalbero-, si può associare un
riferimento Jk – omogeneo con una intensità di corrente - “prestato” per continuità dal riferimento per
l’intensità di corrente Ik fissato nel lato del coalbero e “prolungato” all’intera maglia (“corrente fittizia
di maglia”).19
Le intensità di corrente nei rami dell’albero si ottengono come semplici combinazioni delle “correnti di
maglia” Jk . I “percorsi” Jk entrano ed escono da ogni nodo per cui i bilanci di corrente ai nodi, scritti in
termini di Jk, si risolvono in identità:
1) I a  I b  I d  0  J a  ( J b )  ( J b  J a )
2)  I a  I e  I f  0   J a  ( J a  J f )  J f
3)  I c  I d  I e  0  ( J f  J b )  ( J b  J a )  ( J a  J f )
Ia
2
1
Id
Ja
Ie
Jb
If
Ib
Ic
4
3 Jf
onsideriamo una rete lineare (costituita da bipoli normali). Se si assumono come incognite ausiliarie le
ℓ-(n-1) correnti di maglia , atteso che per una rete lineare ogni caratteristica di lato potrà essere scritta
in termini del tipo20
Vrs  E rs  R rs   J k
k
,
potremo scrivere le ℓ-(n-1) equazioni alle maglie in termini di correnti di maglia.
Potremo scrivere quindi un sistema “ridotto” in termini di correnti di maglia (con opportuni
accorgimenti potremo anche in questo caso pervenire ad una scrittura “per ispezione”) e quindi
facilmente ricavare le incognite tensioni e correnti di lato.
19
E’ opportuno assumere intensità e riferimento di Jk congruenti con l’intensità e riferimento dell’unico lato del coalbero
facente parte della k-ma maglia.
20
questa espressione non può essere scritta per un bipolo generatore di corrente ideale; in questo caso sarà opportuno
considerare il ramo contenente il generatore ideale di corrente come ramo del coalbero: si avrà una corrente “fittizia” di
valore noto.
18
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I termini della sommatoria sono moltiplicati per un coefficiente (-1) se il riferimento della corrente di
maglia è discorde da quello di Irs.
Nel caso trattasi di un lato del coalbero, la sommatoria si riduce ad un solo termine.
Il metodo delle correnti di maglia considera come incognite fondamentali le correnti di maglia, in
numero di L-(N-1), potendosi ricavare in modo molto semplice le tensioni e le correnti nella rete.
Le equazioni risolventi saranno le equazioni alle maglie, scritte in termini di correnti di maglia. Se si
scelgono correnti di maglia come sopra indicato, esse daranno direttamente i valori delle correnti nei
rami del coalbero.
Anche in questo caso le equazioni possono essere scritte per ispezione. La matrice dei coefficienti sarà
costituita sulla diagonale principale (Rii) dalla “resistenza di maglia” ottenuta sommando le resistenze
che si incontrano nei lati della maglia, i termini fuori diagonale (Rij=Rji) rappresentano la somma dei
valori delle resistenze dei lati comuni alle maglie i e j, i termini noti sono collegati alle “tensioni a
vuoto” di maglia, il tutto in modo perfettamente duale al metodo dei potenziali nodali.
La presenza di un generatore di corrente ideale in un lato rende non immediatamente praticabile il
metodo per ispezione. Il lato che lo contiene però può essere scelto come lato del coalbero e dar luogo
ad una corrente di maglia di valore noto, per cui si riduce l’ordine del sistema.
Il metodo delle correnti di maglia si ritrova particolarmente utile quando il numero delle maglie è
basso rispetto al numero dei lati e/o quando vi siano molti generatori di corrente.
Ad esempio la figura poligonale sotto indicata (con numero di lati perimetrali del poligono qualsiasi),
alimentata da generatori di corrente, dà luogo ad una sola equazione nella corrente di maglia J*,
ricavandosi poi rapidamente tutte le grandezze (analogo del teorema di Millmann):
J
 J
rs
Rrs    Ers
R
rs
dove il segno (-) va adoperato nel caso di discordanza tra il riferimento di J e il verso r-s.
Jrs
r
s
J
19
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
Caratteristiche degli N-poli
Una rete accessibile da N morsetti (poli)1,2..,N prende genericamente il nome di N-polo; una
rete accessibile da N coppie (porte) di morsetti ordinati (1-1’),(2-2’),...,(N-N’) prende il nome di Nbipolo; una rete accessibile da N m-ple di morsetti (1-1’-1”-...-1(m)),..., (N-N’-N”-...-N(m)) prende il
nome N-m-polo. Nel caso di una sola coppia di morsetti ordinati si ritrova il noto bipolo.
La caratterizzazione degli N-bipoli può essere effettuata a partire dalla scelta della convenzione sulle
singole porte (ad esempio può essere scelta per tutte le porte la convenzione dell’utilizzatore). Le
singole porte possono poi essere alimentate con generatori di tensione o di corrente.
La caratterizzazione dell’ N-polo viene in genere effettuata fissando per l’intensità della corrente
elettrica un riferimento congruente su tutte le porte (ad esempio un riferimento entrante); poichè la
rete rappresenta una struttura limitata, le intensità di corrente, supposto un funzionamento
stazionario, sono tra loro dipendenti. Per il principio di conservazione della carica sarà infatti
N
I
k 1
k
0
(1)
Nella scelta della caratterizzazione dell’N-polo – su base corrente o su base tensione – si dovrà tener
conto sia della (1) che della conservazione del campo elettrico stazionario.
Sono previste per i generatori due configurazioni fondamentali: nella configurazione concatenata i
morsetti dei generatori sono collegati in sequenza tra i poli 1_2,2_3, 3_4…,(N-1)_N,N_1, nella
configurazione stellata un morsetto del generatore è collegato al polo k e l’altro ad un morsetto esterno
O (centro stella) in comune con gli altri generatori.
L’alimentazione in corrente non potrà prevedere quindi N generatori stellati di corrente di valore
arbitrario I1,I2,…,IN: l’N-mo è dipendente dagli altri N-1. Possono viceversa essere previsti N
generatori arbitrari di corrente concatenati J12,J23,…,JN1.
L’alimentazione in tensione non potrà prevedere N generatori concatenati di tensione V12,V23,…,VN1 di
valore arbitrario, essendo nulla la somma dei loro valori. Possono viceversa essere previsti N
generatori di tensione stellati E1,E2,…,EN di valore arbitrario, collegati ad un centro stella esterno
comune.
Ci limiteremo in questa sede alla caratterizzazioni di N-poli lineari passivi alimentati da generatori di
tensione stellati.
Le intensità delle correnti I1,I2,…,IN (dette anche correnti di linea) possono essere ottenute come somma
dei contributi dei singoli generatori E1,E2,…,EN (di valore arbitrario); tali contributi, trattandosi di rete
lineare, sono proporzionali a valori E1,E2,…,EN ; i coefficienti di proporzionalità sono omogenei a
conduttanze e saranno indicati con Gjk, dove l’indice j si riferisce alla linea (al polo) e k al generatore di
tensione stellata; per j=k tale coefficiente ha il significato ordinario di conduttanza equivalente ai
morsetti del generatore k (quando gli altri generatori sono spenti) e, pertanto, prende il nome di
conduttanza propria o autoconduttanza del polo j; nei casi in cui j è diverso da k, si parlerà di conduttanza
mutua tra i poli j e k.
Le relazioni tra correnti di linea e tensioni stellate
I1=G11E1+G12E2+…+G1NEN
I2=G21E1+G22E2+…+G2NEN
…………………………….
(2)
IN=GN1E1+GN2E2+…+GNNEN
20
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
può essere riscritta in forma matriciale
I  G  E
(3)
dove I rappresenta l’array delle correnti di linea ed E l’array (colonna) delle tensioni stellate. La (3)
ricorda la legge di Ohm per il bipolo.
La matrice delle conduttanze
G 
G11
G12
.. G1N
G 21
G 22
.. G2 N
..
..
G N1
GN 2
..
..
(4)
.. G NN
gode delle seguenti proprietà :
-
ha rango inferiore a N ed il suo determinante è nullo: la matrice non è invertibile;
-
gli elementi della diagonale principale (autoconduttanze) sono quantità non negative;
-
le conduttanze mutue non possono essere quantità positive: se ad esempio G 12 fosse positiva,
si avrebbe, alimentando con un generatore E2=1 V, una intensità di corrente positiva I1 secondo
il riferimento entrante del polo 1; avremmo quindi, nella rete resistiva alimentata dal solo
generatore E2, un nodo interno a potenziale inferiore al potenziale del secondo morsetto del
generatore, che è a potenziale minimo (se la tensione del generatore è positiva);
-
si può mostrare che l’intensità I1 non potrà mai essere superiore in valore assoluto alla
intensità I2; si avrà quindi GjkGjj;
-
il calcolo di Gjk e di Gkj si effettua su schemi reciproci, quindi Gjk=Gkj;
-
considerando che la (1) deve valere qualunque siano i valori delle tensioni dei generatori
stellati, si ricava dalla (2) che la somma di tutti i coefficienti di una colonna (e quindi di riga) è
nulla21.
In definitiva, il numero degli elementi “essenziali” di una matrice delle conduttanze si ottiene
considerando che la matrice è simmetrica e che gli elementi della diagonale principale possono
ottenersi a partire dalle conduttanze mutue di riga o colonna; esso vale quindi (N 2-N)/2 ossia N(N-1)/2
. Tale numero corrisponde alle combinazioni senza ripetizione di N elementi su due posti e quindi al
numero di lati in un grafo ridotto completo con N nodi propri.
Possiamo quindi pensare di associare ad un N-polo una rete equivalente che si ottiene considerando
un grafo ridotto completo attestato su N nodi, ciascuno corrispondente ad un polo; la figura che si
genera viene chiamata poligono completo.
Si può facilmente mostrare che se si parte da un N-polo strutturato come poligono completo con
resistori di resistenza Rjk tra i poli j e k, la conduttanza mutua Gjk di tale N-polo è pari a –1/Rjk.
In altri termini, vi è una corrispondenza biunivoca tra gli elementi Gjk di mutua conduttanza tìdi un
N-polo e le resistenze Rjk di un poligono completo di resistori. Quindi possiamo “trasformare” un Npolo qualsiasi in un poligono completo di resistori di N vertici22.
Poiché l’unica autoconduttanza deve essere non negativa, si conferma che il valore assoluto delle conduttanze mutue, non
positive, deve essere inferiore al valore della autoconduttanza; in particolare, se quest’ultima è nulla, saranno nulli tutti gli
elementi di colonna o di riga .
21
N.B. Se l’autoconduttanza è nulla, il polo corrispondente è “isolato” dagli altri.
E’ da notare che con tale “trasformazione” scompaiono tutti i nodi interni della rete originaria. Se si volessero avere
indicazioni, ad esempio, sui potenziali dei nodi interni, occorrerebbe ricavare tali valori a parte.
22
21
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
Con riferimento a strutture a “stella”, di fondamentale impiego nella distribuzione dell’energia
elettrica, ci si chiede se è possibile trasformare un N-polo generico (o anche un poligono) in una stella
di N resistori23. La condizione necessaria è che sia N(N-1)/2=N.
Tale operazione sarà quindi possibile solo nel caso N=3 (trasformazione triangolo-stella) 24.
23
Ovviamente, ad ogni stella è sempre associabile un poligono completo equivalente.
Trasformazione stella-poligono completo
Si abbia una stella di resistori di centro O; sia Rio la resistenza del resistore tra il polo i-mo ed il centro stella.
L’autoconduttanza al polo i-mo si otterrà valutando la serie tra Rio ed il parallelo tra le rimanenti resistenze:
24
1
Gii 
Ri 0 
1
N
1
k 1;( k  i ) Rk 0

La conduttanza mutua Gij si otterrà considerando il partitore di corrente
Gij 
I j I j Ii
Ij
Ii


 Gii 
E j Ei
I i Ei
Ii
1
R jo
N
1

k 1( k  i ) Rk 0
Gii  
1
R jo
1
N
1
Ri 0 

k 1( k  i ) Rk 0
Queste espressioni permettono di costruire il poligono completo di resistori ( Rij
1
N
1
R
k 1;( k  i )
k0


1
Gij
)
Se N=3 abbiamo la trasformazione stella triangolo




 1
1 
1


 R10 

1
1 
 R20 R30 


R20 R30  R30  R20
1

R12  


1
G12
R30
R20
R23  
R R  R10 R30  R20 R30
1
 10 20
G23
R10
R31  
R R  R10 R30  R20 R30
1
 10 20
G31
R20

R R  R R  R10 R30  R20 R30
 R10  20 30   10 20
R20  R30 
R30

Sommando le tre relazioni membro a membro abbiamo
2
 1
1
1  R10 R20  R10 R30  R20 R30 
1
 
R12  R23  R31  R10 R20  R10 R30  R20 R30 



R12 R23
R10 R20 R30
R20
 R10 R20 R30 
da cui
R20 
R12 R23
R12  R23  R31
R10 
R12 R31
R12  R23  R31
R30 
R31 R23
R12  R23  R31
che costituiscono la trasformazione triangolo-stella.
Se le tre resistenze della stella sono uguali (R10=R20=R30=RY) anche le tre resistenze del triangolo sono uguali
(R12=R23=R31=R) ed avremo RY=R/3.
22
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
Caratteristiche degli N-bipoli
Ricordiamo che una rete accessibile da N coppie (porte) di morsetti ordinati (1-1’),(2-2’),...,(NN’) prende il nome di N-bipolo (N-porte).
La caratterizzazione degli N-bipoli può essere effettuata a partire dalla scelta della convenzione sulle
singole porte (ad esempio può essere scelta per tutte le porte la convenzione dell’utilizzatore). Le
singole porte possono poi essere alimentate con generatori di tensione o di corrente. Non vi è alcun
vincolo per le tensioni e le correnti.
Nella scelta della caratterizzazione dell’N-bipolo – su base corrente o su base tensione – si potrà
procedere come per l’N-polo, ricordando che non ci sono vincoli per i generatori.
Sono previste per i generatori due configurazioni fondamentali (alimentazione in corrente e
alimentazione in tensione) ed altre ibride (generatori di corrente su alcune porte e di tensione su altre).
L’alimentazione fondamentale
arbitrario I1,I2,…,IN.
in corrente prevede quindi N generatori di corrente di valore
L’alimentazione fondamentali in tensione prevede N generatori di tensione V1,V2,…,VN di valore
arbitrario applicati alle N porte
Ci limiteremo in questa sede alla caratterizzazioni di N-bipoli lineari passivi nelle configurazioni
fondamentali, sottolineando però che vi sono configurazioni ibride di un certo rilievo e diffusione, il
cui modello è facilmente ricavabile.
Le relazioni tra correnti e tensioni alle porte (alimentazione su base tensione) è la seguente
I1=G11V1+G12V2+…+G1NVN
I2=G21V1+G22V2+…+G2NVN
…………………………….
(2)
IN=GN1V1+GN2V2+…+GNNVN
che può essere riscritta in forma matriciale
I  G V
(3)
dove I rappresenta l’array delle correnti ed V l’array (colonna) delle tensioni.
La matrice delle conduttanze
G 
G11
G12
.. G1N
G 21
G 22
.. G2 N
..
..
G N1
GN 2
..
..
(4)
.. G NN
gode delle seguenti proprietà :
-
ha rango stavolta uguale a N (il suo determinante è nullo): la matrice è invertibile;
-
gli elementi della diagonale principale (autoconduttanze) sono quantità non negative;
-
le conduttanze mutue possono essere quantità positive o negative;
-
per la proprietà di non amplificazione delle correnti, l’intensità I k non potrà mai essere
superiore in valore assoluto alla intensità Ij, dove sia considerato un generatore; si avrà quindi
GjkGjj;
23
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
-
il calcolo di Gjk e di Gkj si effettua su schemi reciproci, quindi Gjk=Gkj;
In definitiva, il numero degli elementi “essenziali” di una matrice delle conduttanze si ottiene
considerando che la matrice è simmetrica; esso vale quindi [N+ (N2-N)/2] ossia N(N+1)/2 .
Poichè la matrice è invertibile, si può anche considerare la relazione
V  G
1
 I  R  I
dove la matrice delle resistenze è l’inversa della matrice delle conduttanze. E’ appena il caso caso di
notare che l’elemento Rij non è l’inverso di Gij; basti pensare, tra l’altro che gli elementi della matrice
delle conduttanze vengono ricavati in condizioni di cortocircuito su N-1 porte gli elementi delle
resistenze in condizione di aperto su N-1 porte.
Doppi bipoli
Nel caso di due coppie di morsetti la matrice delle conduttanze e quella delle resistenze avranno 3
elementi indipendenti (due di auto e uno di mutua).
Il modello su base corrente
V1  R11 I 1  Rm I 2
V2  Rm I 1  R22 I 2
porta a considerare uno schema equivalente a T (T1 o T2 a seconda che sia Rm positivo o negativo), in
cui
Ra
Rb
Ra
Rb
1
1
2
R
Rc  R m
1
2
Rc
Rc
1’
Ra  R11  Rm
1’
2’
1’
2’
Rb  R22  Rm
T2
T1
Il modello su base tensione
I 1  G11V1  GmV2
I 2  GmV1  G22V2
porta a considerare uno schema equivalente a Π (Π1 o Π2 a seconda che sia Gm negativo o positivo),
in cui
Gc
Gc
1
Gc  G m
2’
1
2
Ga
Gb
Ga
Gb
Ga  G11  Gm
1’
2
1’
2’
Gb  G22  Gm
Π1
Π2
24
2’
2
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Trasformatore ideale
Trattasi di un doppio bipolo ideale, caratterizzabile con parametri ibridi o, più semplicemente dalle
relazioni v1/v2=a , i1/i2=-1/a (a - detto rapporto di trasformazione- è numero reale diverso da zero).
Esso può essere letto come trasformatore di tensione e/o di corrente. Le tensioni e le correnti s’intendono
costanti o variabili nel tempo. Il trasformatore ideale è trasparente alla potenza istantanea.
Bipoli in regime variabile (quasi stazionario): il resistore,
l’induttore ideali .
il condensatore e
Se le grandezze sono variabili nel tempo, ma possiamo sempre parlare di una unica determinazione
per l’intensità della corrente e della tensione, parleremo di bipoli in regime variabile quasi stazionario.
Definiamo resistore ideale in tali condizioni il bipolo per cui valga la relazione v(t)=Ri(t) qualunque
siano i valori di tensione e corrente e qualunque sia t.
Definiremo condensatore ideale in condizioni quasi stazionarie il bipolo per cui valga la relazione
i(t)=dq/dt=Cdv/dt dove la i è correlata alla variazione della carica q sulle armature del condensatore; il
condensatore è un bipolo dinamico, in quanto abbiamo una relazione differenziale tra tensione e
corrente. Il coefficiente C può essere in prima approssimazione considerato pari al rapporto tra carica
e tensione in condizioni stazionarie (Capacità del condensatore).
L’ intensità di corrente in un condensatore è in relazione differenziale con la tensione. Tale relazione è
lineare, ma non è sufficiente a fornirci le informazioni per risalire al valore della tensione; infatti,
considerando la convenzione dell’utilizzatore, si ha in un generico istante t 1
t
dv
1 1
ic  C c  vc t1    ic dt  vc t o 
dt
C t0
(*)
dove to è un qualsiasi istante di riferimento.
Si vede quindi che se posso conoscere la tensione in un certo istante t 1 solo se conosco il valore della
stessa in un istante precedente e l’andamento dell’intensità della corrente nell’intervallo tra gli istanti
to e t1.
La tensione ai capi di un induttore è in relazione differenziale con l’intensità della corrente. Tale
relazione è lineare, ma non è sufficiente a fornirci le informazioni per risalire al valore dell’intensità di
corrente; infatti, considerando la convenzione dell’utilizzatore, si ha in un generico istante t1
t
vL  L
1
di L
 i L t1    v L dt  i L t o 
dt
t0
(**)
dove to è un qualsiasi istante di riferimento.
Si vede quindi che posso conoscere l’intensità della corrente in un certo istante t 1 solo se conosco il
valore della stessa in un istante precedente e l’andamento della tensione nell’intervallo tra gli istanti t o
e t1.
La caratteristica dinamica lega una grandezza con la derivata dell’altra. Nel condensatore l’intensità della
corrente è proporzionale (con la convenzione dell’utilizzatore, tramite il coefficiente C capacità) alla derivata
della tensione. Nell’induttore la tensione è proporzionale (con la convenzione dell’utilizzatore, tramite il
coefficiente L induttanza) alla derivata della corrente.
La tensione sul condensatore e l’intensità della corrente nell’induttore sono funzioni di stato, legate
all’energia immagazzinata. Per ricavare il valore in un istante generico t, occorre conoscere il valore ad
un istante di riferimento e l’integrale della intensità della corrente nel condensatore e della tensione
sull’induttore tra l’istante di riferimento e l’istante t. Tali grandezze di stato risultano quindi continue
nei casi ordinari e possono essere considerate funzioni-memoria.
I bipoli suddetti sono lineari nelle relazioni differenziali, sono lineari nelle relazioni integrali solo se
scarichi nell’istante iniziale di riferimento .
25
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
Esempio di rete del primo ordine (circuito RC serie) :
+
R
C
e
VC
iC
Calcolare vc(t) ed ic(t) nei seguenti casi:
Primo caso: e(t)=0 per t<0, e(t)=E=10 V per t>0; C=1 nF; R=0,1 -1–10 
Secondo caso: e(t)=-E=-10V per t<0, e(t)=E=10 V per t>0; C=1 nF; R=0,1 -1–10 
Terzo caso e(t)=-E=-10V per t<0, e(t)=E sen ωt (E=10 V; ω=314 rad/s) per t>0; C=1 nF; R=0,1 -1–10 
Quarto caso: e(t)=E sen ωt (E=10 V; ω=314 rad/s) per t<0, e(t)=E= e(t)=Ecos ωt per t>0; C=1 nF; R=0,1 1–10 
La soluzione è del tipo
v c (t )  k v e
i c (t )  k i e


t
 v cp (t )

t

 icp (t )
  RC
Osserviamo che nel primo caso la tensione sul condensatore è sempre nulla per t<0, nel secondo e
terzo caso è pari a -10 V, nel quarto caso è sinusoidale e vale
1
1

 

 1 
 1 

C
v c (t )  E
sen t   arctg 
sen   arctg 
   v c (0)  E
  L’integrale
2
2
2

RC
2


 RC  



 1 
 1 
2
2
R 
R 


 C 
 C 
C
particolare nel primo e nel secondo caso vale E=10V, nel terzo caso vale
1
C


 1 
sen t   arctg 
 
2
2

RC



 1 
R2  

 C 
vcp (t )  E
nel quarto caso
1
C


 1 
cos t   arctg 
 
2
2

RC



1


R2  

 C 
vcp (t )  E
In tutti i casi la costante vale
k v  vc (0)  vcp (0)
Osserviamo ancora che nel primo caso l’intensità di corrente è sempre nulla per t<0 nei primi tre casi,
nel quarto caso è sinusoidale e vale
i c (t ) 

 1 
sen t  arctg 
 
 RC  

 1 
2
R 

 C 
E
2
26
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
L’integrale particolare nel primo e nel secondo caso è nullo, nel terzo caso vale
icp (t ) 

 1 
sen t  arctg 
 

RC



1


R2  

 C 
E
2
nel quarto caso
icp (t ) 

 1 
cos t  arctg 

RC  


1


R2  

 C 
E
2
In tutti i casi la costante vale
k i  ic (0)  icp (0) 
e(0)  vc (0)
 icp (0)
R
Esempi di reti del primo ordine (R-L)
iL
+
e
R
VL
Dinamica delle reti – sistema fondamentale – Dati iniziali
Il sistema fondamentale per una rete di l lati consta di l equazioni topologiche (sempre algebriche)
e di l equazioni caratteristiche di cui n=nL+nC equazioni differenziali relativi a n L ed nc induttori e
condensatori indipendenti.
Nel caso di sistema lineare, la soluzione è nota a meno di n costanti arbitrarie, che andranno valutate
in base al teorema di unicità di Cauchy, cioè in base alla determinazione del valore della funzione e
delle sue n-1 derivate.
Considerato lo zero come istante di riferimento, indicheremo con 0- e 0+ rispettivamente due istanti
infinitamente vicini allo zero da sinistra e destra e con f(0-) ed f(0+) il limite sinistro e destro della
funzione f(t) nel punto zero.
27
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
Parte Seconda
RETI ELETTRICHE IN REGIME SINUSOIDALE
Le funzioni periodiche del tempo a(t) sono caratterizzate da un periodo T tale che, per ogni t,
sia a(t)=f(t+kT) con k intero qualsiasi. L’inverso del periodo f=1/T viene detto frequenza; f si misura in
hertz [inverso del secondo].
Le funzioni periodiche sono caratterizzate da un valore massimo (o picco positivo) e da un valore
minimo25, da un valore medio nel periodo e da un valore medio quadratico ( rms: root mean square) o
valore efficace nel periodo
Amedio 
1
T

t 0 T
t0
a (t )dt
Arms  Aeff  A 
1
T
t0 T
a
2
(t )dt
t0
Le funzioni periodiche a valor medio nullo si dicono alternative.
Una funzione alternativa rettangolare ha il valore efficace coincidente con il valore massimo.
Una funzione sinusoidale del tipo
 2

a(t ) AM sen
t     AM sen2ft     AM sent   
T

è periodica di periodo T, frequenza f e pulsazione , fase iniziale , è alternativa ed il suo valore efficace è
pari a
Aeff 
AM
2
 0,707... AM
Il punto di nullo più prossimo allo zero è l’istante t*=-/. Pertanto se =0 la funzione è tipo seno, se
=/2 la funzione è del tipo coseno.
Una funzione b(t)=BMsen(t+) è sfasata dell’angolo (-) rispetto ad a(t); se tale angolo è positivo, b(t)
è sfasata in anticipo rispetto a a(t), se è negativo è sfasata in ritardo rispetto ad a(t); se il suddetto angolo
di sfasamento è nullo, le due grandezze si dicono in fase, se l’angolo di sfasamento è  le due
grandezze si dicono in opposizione di fase, se l’angolo è /2 le due grandezze si dicono in quadratura (in
anticipo o ritardo).
Osserviamo che se consideriamo la somma o la differenza di due funzioni sinusoidali della stessa
pulsazione otteniamo una grandezza sinusoidale della stessa pulsazione; moltiplicando una funzione
sinusoidale per una costante positiva [negativa] abbiamo una funzione sinusoidale della stessa
pulsazione in fase [in opposizione di fase]; derivando rispetto al tempo una funzione sinusoidale
abbiamo una funzione sinusoidale della stessa pulsazione in quadratura in anticipo.
Poiché il sistema fondamentale prevede relazioni del tipo anzidetto, se ne deduce che una soluzione
sinusoidale di pulsazione  è compatibile con un sistema in cui i generatori (i termini noti) siano
sinusoidali della stessa pulsazione; applicando il principio di identità dei polinomi trigonometrici, si
può anche concludere che la soluzione è unica; tutte le grandezze incognite hanno pulsazione .
Le grandezze si diversificano quindi solo per l’ampiezza e la fase iniziale; possiamo quindi stabilire
una corrispondenza biunivoca tra le funzioni sinusoidali e le coppie ordinate di numeri reali (numeri
complessi) ossia i punti del piano cartesiano:
a(t )  AM sent     ( AM , )  A( Ax  AM cos , Ay  AM sin  )  AM e j  Ax  jAy
L’operatore di Eulero ej, formalmente definito come (cos+jsen), è un operatore di rotazione:
applicandolo ad un vettore Ā (fasore) del piano della rappresentazione – corrispondente della
grandezza sinusoidale a(t)- si ottiene un vettore ruotato di α. Se in particolare α=/2, si ha ej=j;
25
Ovviamente una funzione costante è un caso banale di funzione periodica.
28
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un’altra rotazione di /2 porta al vettore opposto ad Ā: infatti e j=j2=-1; una ulteriore rotazione di /2 ci
porta ad una rotazione complessiva ej3=j3=-j corrispondente ad una rotazione (“negativa”) di -/2: ej/2=-j=1/j; una ulteriore rotazione di /2 ci riporta sul vettore originario: e j2=j4=1
Alle operazioni di addizione, sottrazione e moltiplicazione per costante nel dominio nel tempo
corrispondono addizione, sottrazione e moltiplicazione per costante nel dominio della
rappresentazione simbolica. All’operazione di derivazione corrisponde una moltiplicazione per jω
ovvero una rotazione di /2 ed una modifica dell’ampiezza.
N.B. Nella corrispondenza la coppia ordinata di numeri reali può essere sostituita (per tutti i fasori) da
un valore univocamente legato all’ampiezza (ad esempio il valore efficace) e da un riferimento
angolare qualsiasi.
Operatori complessi
In generale le operazioni tra fasori corrispondono ad una rotazione e modifica di ampiezza.
L’operatore che le descrive avrà la forma
M  M e j  M x  jM y  M cos  jMsen
con M modulo dell’operatore,  argomento dell’operatore.
Circuito R-C in regime sinusoidale
Se consideriamo un circuito semplice costituito da un generatore ideale di tensione e(t)=E Msen(ωt+),
un resistore di resistenza R ed un condensatore di capacità C, potremo ricavare per la corrente erogata
dal generatore l’espressione
e(t )  v R (t )  vc (t )  E  VR  Vc
v R  Ri R
 VR  RI
dvc
 I c  jCVc
dt
X
jarctg c
EM
E
ja
R
I 
 IM e 
e
 ic (t ) 
2
2
R  jX c
R  Xc
ic  C
EM
R 2  X c2
sen(t  arctg
Xc
)
R
dove Xc=1/ωC è la reattanza capacitiva.
Operatori di impedenza e ammettenza
Nel metodo simbolico, il legame tra tensione e corrente per un bipolo si esprime nella forma (legge di
Ohm alle grandezze simboliche, convenzione dell’utilizzatore):
V  Z I oppure I  YV
(***)
(operatori di impedenza e di ammettenza)
V V e j V
Z   M j  M e j (   )  Ze j  R  jX
I
IM
IM e
I
I
1
R
X
Y   M e j (   )  Ye j  e  j  G  jB  2
j 2
2
V VM
Z
R X
R X2
L’argomento φ, per motivi che vedremo in seguito, prende il nome di angolo di potenza. La parte
reale R dell’operatore di impedenza è l’operatore di resistenza, il coefficiente della parte immaginaria
X è l’operatore di reattanza. L’impedenza si misura in ohm.
29
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La parte reale G dell’operatore di ammettenza è l’operatore di conduttanza; il coefficiente
dell’immaginario è l’operatore di suscettanza. L’ammettenza si misura in siemens. Da notare che G
non è l’inverso di R e B non è l’inverso di X.
Nel caso del resistore ideale si ha Ż=R+j0,
Y  G  j 0 , con R=1/G pari al valore di resistenza. La
tensione è in fase con l’intensità di corrente.
Nel caso dell’induttore ideale si ha Ż=0+j(XL),
Y  0  j ( BL ) , dove XL=L è la reattanza induttiva
(mentre BL=1/L è la suscettanza induttiva). La tensione è in quadratura ed in anticipo rispetto
all’intensità di corrente.
Nel caso del condensatore ideale si ha Ż=0+j(-XC), Y  0  j ( BC ) , dove XC=1/C è la reattanza
capacitiva (mentre BC=C è la suscettanza capacitiva). La tensione è in quadratura ed in ritardo
rispetto all’intensità di corrente.
Queste considerazioni inducono ad interpretare l’operatore di impedenza come una “serie” formata
da un resistore ideale R e da un reattore ideale X (=X L-XC), ovvero, con un grado di libertà, come un
circuito RLC serie; l’operatore di ammettenza può essere a sua volta interpretato come un “parallelo”
formato da un resistore ideale di conduttanza G e da un reattore ideale di suscettanza B (=B C-BL),
ovvero, con un grado di libertà, come un circuito RLC parallelo.
Data la relazione tra i due operatori, si deduce che ad ogni circuito RLC serie corrisponde un circuito
RLC parallelo26.
I casi X=0 e B=0 corrispondono ai circuiti risonanti (serie e parallelo) equivalenti a resistori ideali.
Se R=X=0 siamo in presenza di un bipolo corto-circuito ideale.
Se G=B=0 siamo in presenza di un bipolo aperto ideale.
La (***) può essere scritta per qualsiasi bipolo formalmente rappresentabile, non solo del tipo RLC.
Può essere scritta anche per un generatore reale o ideale: in tal caso il bipolo non può essere ricondotto
ad un circuito equivalente RLC.27
Consideriamo un bipolo di morsetti r-s funzionante in regime sinusoidale. Consideriamo la potenza
istantanea assorbita dal bipolo:
p rs t   v rs t   irs t   VMrs sin t   rs I Mrs sin t   rs  
VMrs I Mrs
cos rs   rs   cos2t   rs   rs  
2
 Vrs I rs cos rs   rs   cos2t   rs   rs  

 Vrs I rs cos rs   cos2t  2 rs   rs   Pmrs  p frs (t )
La potenza istantanea quindi in genere non è una grandezza sinusoidale, ma è caratterizzabile da un
valore medio Pm (detto potenza media, attiva o reale) e da una potenza fluttuante sinusoidale a
pulsazione doppia.
L’energia assorbita da un bipolo in un intervallo t pari ad un multiplo intero di periodi risulta pari a
Pmt, in quanto il contributo della potenza fluttuante è nullo. Se l’intervallo t non fosse esattamente
pari ad un multiplo intero di periodi, il contributo all’energia assorbita fornito dalla potenza
fluttuante sarebbe tanto più trascurabile quanto più t è grande rispetto al periodo.
La potenza fluttuante è tuttavia significativa. Basti pensare che essa ha un valore massimo superiore o
uguale alla potenza media e che, considerando un bipolo reale, le sollecitazioni meccaniche sono
legate alla potena istantanea. Ad esempio all’albero di un motore potrebbe essere applicata una coppia
26
27
Ovviamente con diversi valori di R,L,C (>0) e con un grado di libertà sulla scelta di L e C.
Può tuttavia essere sostituito da un circuito RLC se risulta R0, G0.
30
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istantanea anche superiore alla coppia media; ciò porterebbe ad una sollecitazione di torsione
intollerabile ovvero ad una sollecitazione “a fatica” che limiterebbe le prestazioni meccaniche a lungo
termine.
Nel caso di bipoli resistivi, la potenza media è pari a RI 2, dove I è il valore “efficace” (come se
considerassimo un caso stazionario), mentre nel caso di bipoli induttore (=π/2) e condensatore (=π/2) la potenza media è nulla . Per un circuito RLC l’angolo di potenza  è compreso tra –π/2 e π/2 ed
il fattore di potenza cos tra 0 ed 1. Se risulta cos<0 siamo sicuramente in presenza di un generatore
o di un bipolo attivo (un bipolo si dirà passivo se in ogni condizione di funzionamento la potenza
media assorbita risulterà non negativa).
La potenza apparente (che compare sulla targa dei dispositivi) è definita come prodotto del valore
efficace della tensione per il valore efficace della corrente; essa è una quantità positiva ed è da
intendersi come potenza di dimensionamento, in quanto il suo valore è proporzionale al volume
occupato dal dispositivo (la distanza tra i morsetti è proporzionale alla tensione mentre la sezione dei
conduttori è proporzionale all’intensità della corrente) e quindi al suo costo.
Per ogni bipolo si può introdurre una grandezza complessa formale, detta potenza complessa, che
abbia come modulo la potenza apparente e come argomento l’angolo di potenza . Essa si può
ottenere moltiplicando il fasore della tensione per il coniugato del fasore dell’intensità di corrente
~
Prs  Vrs I rs  Vrs e j rs I rs e  j rs  Vrs I rs (cos  rs  jsen rs )  Prs  jQrs
La grandezza Qrs prende il nome di potenza reattiva.
Poichè la potenza complessa è una potenza virtuale (le correnti coniugate soddisfano per loro conto al
1° principio di Kirchhoff), per il teorema di Tellegen essa si conserva. Ne consegue la conservazione
delle potenze reattive in una rete.
Rifasamento
La potenza reattiva Q assorbita da un bipolo è, in genere, dello stesso ordine di grandezza della
potenza media P; nel caso di bipolo passivo, la potenza reattiva ci dà indicazione se il bipolo è
prevalentemente di tipo ohmico-induttivo (Q>0) o di tipo ohmico-capacitivo (Q<0).
Il dimensionamento di un bipolo è legato alla potenza apparente
A  VI  P 2  Q 2
Per ottimizzare tale dimensionamento – a parità di potenza media in gioco e quindi di energia –
occorrebbe che fosse Q=0. Tutti i bipoli dovrebbero essere modificati in maniera da avere tensione e
correnti in fase. Ciò è in linea di principio possibile se tutti i generatori ideali sono in fase o in
opposizione di fase. In tal caso sarebbe possibile “aggiungere” (in serie o in parallelo) una reattanza
tale che la reattanza (o suscettanza) equivalente sia nulla, ossia i bipoli siano risonanti (rifasamento
locale serie o parallelo).
In genere questa soluzione risulta molto gravosa. Dal punto di vista industriale, un compromesso si
ottiene considerando l’utenza (quasi sempre di tipo ohmico induttivo con angolo di potenza >26°)
nel suo complesso ed inserendo un bipolo (condensatore in parallelo al carico) in maniera che l’Ente
fornitore “veda” un fattore di potenza cosL>0,9 (L<26°).
Dal bilancio di potenza complessa o da considerazioni sul diagramma vettoriale delle grandezze
simboliche otteniamo che il valore della capacità necessaria a rifasare un carico di potenza P sotto
tensione V vale
C
P(tg  tg L )
V 2
Circuiti risonanti
31
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Un circuito in regime sinusoidale, comunque complesso, nel quale siano presenti resistenze,
induttanze e capacità e un solo elemento attivo si dice in risonanza quando rispetto al generatore che
lo alimenta si comporta come un circuito puramente ohmico.
Consideriamo per semolicità il circuito RCL serie illustrato in Fig.1.
Fig. 1 – Circuito RLC serie.
Consideriamo il funzionamento in regime sinusoidale di tale circuito.
Il fasore
Eˆ
.
Iˆ  I m e j rappresentativo della corrente i(t )  I m sen(t   ) è dato da Iˆ 
Z
eq
ˆ
Dove E
 Em rappresenta il fasore relativo alla tensione del generatore e(t)  Em sen(t) e
1 

 è l’impedenza equivalente della serie del resistore, dell’induttore e del
Zeq  R  jL 

C 
condensatore.
Il modulo del fasore corrente è:
Im 
Em
2
1 


R2  L 

C 
.
(1)
Consideriamo, ora, l’andamento del modulo della corrente Im al variare della pulsazione ω. È
immediato verificare che il valore del modulo Im tende a zero per ω→0 e per ω→  ,
mentre
assume il suo valore massimo in corrispondenza della pulsazione caratteristica del circuito:
0 
1
LC
(2)
La pulsazione (2) prende il nome di pulsazione di risonanza. E’ facile verificare che per tale valore della
pulsazione la parte immaginaria dell’impedenza
Z eq è
uguale a zero, perché la reattanza del
condensatore è l’opposta di quella dell’induttore, e quindi il modulo di
Z eq
assume il valore minimo.
32
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Il valore della corrente alla pulsazione di risonanza è quindi uguale a
Em
R
, cioè, alla corrente che si
avrebbe se nel circuito vi fosse solo il resistore. Inoltre, alla risonanza è immediato verificare che la
tensione del condensatore
VˆC
è l’opposto di quella dell’induttore
VˆL ,
e quindi la tensione sul
resistore è uguale a quella del generatore.
In definitiva, alla pulsazione di risonanza il circuito, rispetto alla tensione che lo alimenta, si comporta
come se fosse puramente ohmico (la serie L-C è equivalente ad un cortocircuito).
Si osservi che valgono analoghe considerazioni per il circuito RLC parallelo. In questo caso tuttavia al
posto della corrente va considerata la tensione sui tre carichi in parallelo (alla risonanza il parallelo LC
si comporta come un circuito aperto).
I circuiti risonanti, almeno da un punto di vista di principio, sono quelli che si utilizzano nelle
telecomunicazioni quando si voglia selezionare un segnale di un data frequenza presente in tutto lo
spettro che il sistema ricevente raccoglie. La selezione avviene facendo variare la frequenza di
risonanza del sistema ricevente che si “accorda” con la frequenza cercata grazie al fatto che a quella
frequenza si ha un picco di corrente.
Occorre tuttavia ricordare, soprattutto nel caso di impianti di potenza, la tensione sul condensatore e
sull’induttore –RLC serie- [l’intensità di corrente nel caso del circuito parallelo] potrebbe assumere
valori elevati e quindi pericolori. Infatti si può mostrare che il valore efficace della tensione sul
condensatore [dell’intensità di corrente nell’induttore nel caso parallelo] è, alla pulsazione di
risonanza, pari al valore efficace della tensione del generatore moltiplicato per il fattore di merito
Qs 
o L
R

1
o RC
[Q p  o RC 
R
]
o L
che può assumere valori molto elevati per R tendente a zero [per R tendente a infinito].
Un circuito RLC può quindi assumere il ruolo di amplificatore passivo, non valendo più in generale le
ipotesi di non amplificazione valide il regime stazionario 28.
La relazione (1) può essere riportata in una curva universale di risonanza, valida per qualsiasi circuito
RLC, in cui si riporta in ordinata il rapporto I(ω)/ I(ωo) tra il valore efficace della intensità di corrente
alla pulsazione generica e il valore efficace alla pulsazione di risonanza; in realtà si fa riferimento – in
ascissa- al prodotto dello scostamento relativo

  0
0
dalla pulsazione di risonaza per il fattore
di merito Qo. Sulla curva risultante può identificarsi agevolmente la banda passante del circuito 29.
Bipoli reattivi (cenni)
Si può dimostrare che una rete di bipoli L e C, presenta ai morsetti di accesso A-B, una reattanza
equivalente che è sempre crescente con la pulsazione, tranne nei poli, in cui si verifica una
discontinuità di seconda specie (pulsazioni di risonanza parallelo). Avremo quindi in un diagramma X(ω)
un alternanza di zeri – pulsazioni di risonanza serie- e di poli – pulsazioni di risonanza parallelo.
A partire da questa proprietà (teorema di Foster) è possibile progettare gli opportuni filtri per
eliminare componenti “armoniche” indesiderate nell’alimentazione.
28
Si può mostrare che la proprietà di non amplicazione continua a valere anche in regime sinusoidale per le reti
resistive e per le reti RL o RC, oppure solo L o solo C.
29
Si definisce banda passante l’intervallo di frequenza – ad esempio intorno alla frequenza di risonanza – in cui
il valore efficace della grandezza in esame non diminuisce oltre un certo valoreFissando questo valore a
1/√2=0,707.. si definisce in acustica ed in elettronica la banda a 3 dB (il decibel è pari al logaritmo in base 10
dell’attenuazione e serve a “adattare” la valutazione della grandezza alla risposta dell’orecchio umano).
33
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Parte Terza : SISTEMI TRIFASE
Definizioni fondamentali:
Sistema trifase : Per sistema polifase in regime sinusoidale si intende un collegamento di n-poli
attraverso n linee o fasi. Le tensioni tra i poli si dicono concatenata. Il sistema di trasmissione e
distribuzione dell’energia elettrica in Italia è un sistema trifase. Esistono, per diverse applicazioni,
sistemi con un numero di fasi superiore, in genere un multiplo di tre (6,12,48,…).
Sistema puro e spurio : se gli n-poli sono a stella, è possibile collegare tra loro con un (n+1)-mo
conduttore ( neutro) i centri stella. In questo caso il sistema si dice spurio; ad esempio, il sistema trifase
di distribuzione in bassa tensione in Italia è un sistema spurio: oltre ai tre conduttori di fase R-S-T è
disponibile un quarto conduttore “neutro” N (oltre ad un eventuale altro conduttore di protezione P).
Il sistema di distribuzione in media tensione è invece un sistema puro, con tre sole linee.
In un sistema spurio le correnti di linea non dipendono dai carichi (impedenze) delle altre linee.
Sistemi simmetrici ed equilibrati: un sistema polifase si dice simmetrico (diretto o inverso) se le
tensioni di alimentazione sono simmetriche (diretto o inverso) , ossia se i moduli sono uguali ed ogni
tensione è in ritardo (in anticipo per la simmetria inversa) di 2π/n rispetto alla tensione che la precede
nella sequenza. Se le tensioni sono simmetriche, i fasori rappresentano un poligono regolare di n lati.
Se anche le correnti di linea sono simmetriche, il sistema si dice equilibrato.
In un sistema simmetrico ed equilibrato l’intensità di corrente nell’eventuale conduttore neutro è
nulla.
In un sistema simmetrico ci si riferisce in genere al valore efficace della tensione concatenata ( tensione
di sistema).
Potenza nei sistemi trifase: in un sistema trifase simmetrico ed equilibrato la potenza fluttuante
erogata dai generatori è nulla. La potenza istantanea quindi coincide con la potenza media: la
sollecitazione meccanica legata alla coppia istantanea non ha quindi un termine di “fatica”,
determinando così prestazioni ottimali.
Un sistema trifase simmetrico ed equilibrato consentirebbe, a parità di energia trasmessa, un risparmio
del 50% sui conduttori rispetto a tre sistemi monofasi. In un sistema spurio, il carico è di norma
“quasi” equilibrato, il conduttore neutro può essere realizzato della stessa sezione dei conduttori di
fase e quindi si ha un risparmio di 1/3 rispetto a tre sistemi monofase.
Teorema di Aron: in un sistema trifase puro (anche dissimmetrico e squilibrato), la potenza
complessa può essere calcolata valutando le tensioni rispetto ad un riferimento qualsiasi (invarianza
della potenza rispetto al centro stella) ; prendendo come riferimento un polo k , essa può essere quindi
espressa con somma di solo due termini considerando il prodotto del fasore delle tensioni
concatenate di una delle due linee rispetto alla terza linea k con il coniugato del fasore della corrente
della linea.
Per la misura della potenza media e della potenza reattiva in un sistema puro bastano quindi due
wattmetri e due varmetri.
Illustrazione della trasmissione dell’energia elettrica con schema unifilare
Livelli tipici di tensione (AT, MT, bt) – Tipi di collegamento
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Trasformatore ideale
Trattasi di un doppio bipolo ideale, caratterizzabile con parametri ibridi o, più semplicemente dalle
relazioni v1/v2=a , i1/i2=-1/a (a - detto rapporto di trasformazione- è numero reale diverso da zero).
Esso può essere letto come trasformatore di tensione e/o di corrente. Le tensioni e le correnti s’intendono
costanti o variabili nel tempo. Il trasformatore ideale è trasparente alla potenza istantanea.
Per numerose applicazioni, si considera il funzionamento in regime sinusoidale. In tal caso, il
trasformatore ideale si mostra trasparente alla potenza complessa. Il trasformatore ideale si comporta
anche come trasformatore d’impedenza: se Zu è un’impedenza collegata alla seconda porta, l’impedenza
equivalente alla prima porta vale Z1eq=a2Zu.
Circuiti magneticamente accoppiati
L’accoppiamento magnetico tra due circuiti di coefficienti di autoinduzione L 1, L2 e mutua induzione
M è valutato dal coefficiente k=M/√ L1L2. Tale coefficiente è in valore assoluto non superiore all’unità,
dovendo essere non negativa l’energia magnetica, funzione quadratica delle correnti, con parametri L 1,
L2,M .
Per k=±1, l’accoppiamento si dice perfetto: l’energia magnetica è nulla (il campo magnetico è nullo in tutto
lo spazio) anche se le correnti non sono nulle, ma nel rapporto │ i1/i2│= √L2 /L1.
Due circuiti accoppiati possono essere studiati con il modello del doppio bipolo, matrice Z.
Nel caso di accoppiamento perfetto, il doppio bipolo è equivalente ad un trasformatore ideale con un
induttore L1 [L2] in parallelo sulla prima [seconda] porta. Tale doppio bipolo è equivalente quindi in
genere ad un trasformatore di tensione e non è trasparente alla potenza reattiva; rispetto ad un
trasformatore di corrente è presente la corrente a vuoto alla prima [seconda] porta. Tale corrente sarà
nulla se alla seconda [prima] porta è collegato un bipolo cortocircuito: in tal caso il doppio bipolo si
comporta come un trasformatore di corrente, ma ambedue le tensioni sono nulle.
L’intensità della corrente a vuoto è tanto più trascurabile quanto più grande è la reattanza ωL1 rispetto
al modulo di Z1eq=a2Zu
Se l’accoppiamento non è perfetto possiamo considerare la scomposizione L 1=L1‘+L1” e L2= L2‘ + L2“
tali che tra L1 “ e L2“ vi sia la condizione di accoppiamento perfetto. Una delle due induttanze L’ può
essere scelta ad arbitrio (ad esempio nulla).
Se (in particolare per avvolgimenti a molte spire) si introducono i coefficienti di dispersione (scarto
relativo tra i flussi di dispersione medio auto e mutuo concatenato, dove con flusso medio si intende il
flusso concatenato riferito al numero di spire), si possono definire le induttanze di dispersione pari al
prodotto dei coefficienti di dispersione con le induttanze L 1, L2. Se si assumono come L’ le due
induttanze di dispersione, la rete equivalente prevede tra l’altro un trasformatore ideale con rapporto
di trasformazione pari al rapporto spire.
Sui richiami alla teoria dei campi magnetici si faccia riferimento al capitolo secondo dell’appendice del testo
consigliato; per le proprietà dei campi magnetici in presenza di materiali ferromagnetici anche alla appendice III.
Per gli argomenti successivi si faccia ampio riferimento al testo consigliato ed alle appendici
indicate.
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Parte Terza - APPLICAZIONI
IL TRASFORMATORE REALE
Il trasformatore reale – Perdite nel ferro -Rete equivalente del trasformatore reale – Reti semplificate Prova a vuoto- Reti equivalenti semplificate del trasformatore reale - Prova in Corto circuito Tensione di cortocircuito - Caduta di tensione nei trasformatori - Rendimento di un trasformatore Parallelo di trasformatori
LA MACCHINA ASINCRONA
Campo rotante (vedi anche appendice IV) - Rete equivalente del motore asincrono - Bilancio
energetico – coppia motrice in funzione dello scorrimento – Avviamento - Regolazione della velocità Cenno sui motori a gabbia -enni sul motore asincrono monofase.
STRUMENTI DI MISURA
Strumenti di misura – Errori - Strumenti magnetoelettrici - Strumenti elettrodinamici -
IMPIANTI ELETTRICI - PROTEZIONE E SICUREZZA
Considerazioni generali sugli impianti di produzione, trasmissione, distribuzione ed utilizzazione
dell’energia elettrica. Protezione da sovratensioni e sovracorrenti.
Elementi di sicurezza elettrica. Cenni sugli impianti di terra.
Problematiche di sicurezza e protezione associati al fulmine (appendice VI, in preparazione)
ELEMENTI DI ELETTRONICA DI POTENZA (appendice VII, in preparazione)
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Appendice I
LE EQUAZIONI DI MAXWELL IN FORMA LOCALE
Laddove le grandezze (scalari e vettoriali) presenti nelle (0.1)-(0.4) siano continue e derivabili , il
campo elettromagnetico può essere descritto in tutti i punti dello spazio attraverso gli operatori
differenziali spaziali e temporali divergenza e rotore 30
B
t

(2’)   E 
0
(1’)   E
(3’)

B  0

E 

(4)   B   0  J   0
t 

Per integrare queste equazioni nello spazio occorre conoscere le “condizioni al contorno” (all’infinito
o al finito) e le “condizioni iniziali”.
Le equazioni di Maxwell in forma locale ci evidenziano le sorgenti del campo elettromagnetico, in
termini di divergenza (“fontane o pozzi”) o in termine di rotore (“vortici”).
Le sorgenti possono dipendere direttamente dai campi (“sorgenti interne”, in rosso) o meno
(“sorgenti esterne”, in blu; in realtà, anche le sorgenti “esterne” possono essere “prodotte” dai campi.
(1”)   E  
(2”)   E 
B
t

0
30
La divergenza di un campo vettoriale A in un punto P è una quantità scalare e può essere definita (cfr. il
teorema della divergenza) con un processo al limite a partire dal flusso del vettore attraverso una superficie
chiusa racciudente P, rapportato al volume definito dalla superficie stessa e facendo implodere la superficie
chiusa intorno al punto P. L’operatore di divergenza si indica con   o con div. Un campo a divergenza nulla
è indivergente o solenoidale.
Il rotore di un campo vettoriale A in un punto P è un vettore che può essere definito (cfr. il teorema di Stokes)
considerando una superficie elementare orientata (es. un cerchio) contenente il punto P ; il modulo del rotore è
pari al massimo valore – al variare della giacitura della superficie – della circuitazione lungo l’orlo della
superficie stessa, la direzione ed il verso essendo definiti dalla normale alla superficie nella posizione in cui la
circuitazione è massima. L’operatore di rotore si indica con   o con rot o curl. Un campo a rotore nullo è
irrotazionale.
Un ulteriore operatore differenziale spaziale è il gradiente  . Esso opera su un campo scalare f(P): il suo
modulo è individuato dalla massima derivata direzionale condotta su ogni retta orientata passante per il punto P,
la direzione ed il verso sono dettati dalla retta orientata per cui si ha la massima derivata. Le componenti (ad es.
cartesiane) possono generare una forma differenziale esatta (la circuitazione del gradiente lungo una qualsiasi
linea chiusa. Nel caso elettrostatico la funzione f(P) è il potenziale (elettrostatico) ed il suo gradiente è (a parte il
segno) pari al campo (elettrostatico).
Si riconosce che la divergenza del rotore è nulla e quindi anche il flusso del rotore attraverso una superficie
 


 


chiusa è nullo. Il gradiente della divergenza è detto laplaciano    .
Un campo ovunque solenoidale è conservativo per il flusso e può essere descritto come il rotore di un altro
campo vettoriale detto potenziale vettore (esempio il potenziale vettore magnetico)
La circuitazione di un campo ovunque irrotazionale è sempre nulla; il campo si dice conservativo per il lavoro (es
campo elettrostatico).
Tali proprietà possono essere opportunamente valutate anche in domini limitati.
37
2
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(3”)
B  0
E 

(4”)   B   0  J   0

t 

Come si nota, le uniche sorgenti esterne previste nelle equazioni locali di Maxwell sono le
densità volumetriche di carica e le densità di corrente. Altri tipi di sorgenti (cariche puntiformi, lineari
o superficiali, ovvero correnti laminari ecc.) determinano singolarità nelle relazioni differenziali; se ne
può tener conto nelle relazioni integrali, che danno luogo a condizioni di raccordo alla frontiera dei
sottodomini all’interno dei quali i campi sono continui e derivabili (vedi oltre).
Nel caso di moto stazionario di cariche in migrazione ( ad es. in un conduttore filiforme), non
vi è variazione media della carica in moto in ogni volume; in ogni punto è costante la velocità v di
migrazione (non considerando il moto di agitazione termica e il moto vario nell’intervallo tra due
interazioni31. Si può quindi ritenere che sia nulla, in media, la risultante delle forze che agiscono sulla
carica q in movimento, nel nostro caso la forza qE nel senso del moto ed una “forza d’attrito
equivalente” –kv diretta in senso opposto alla prima. In un circuito semplice (ad esempio una regione di
spazio di forma anulare), il campo velocità di migrazione delle cariche ha linee di flusso anulari e tutte
orientate in senso orario o antiorario. Quindi la circuitazione del campo di velocità v e del campo di
corrente J=v non può essere nulla, ossia il campo di corrente stazionaria non può essere conservativo.
Poiché il moto di migrazione è non è vario e il campo equivalente d'attrito è sempre opposto al senso
del moto, il campo di forze sulle cariche ed il relativo campo elettrico complessivo (che, si ricorda, è la forza
applicata alla particella riferita alla carica della particella) non possono essere conservativi32.
Il sistema di equazioni differenziali di Maxwell si presta a soluzioni analitiche dirette solo in alcuni
casi (ad es. propagazione di onde piane).
Dal punto di vista generale occorrerà considerare che le equazioni di Maxwell sono differenziali nello
spazio e nel tempo e quindi occorrerà conoscere (vedi oltre) le condizioni al contorno del dominio di
indagine (o le condizioni all’infinito, nel caso di domini illimitati) e le condizioni iniziali.
§ I.5 Potenziali elettromagnetici - Equazioni di Poisson
Le equazioni di Maxwell permettono di identificare rapidamente potenziale vettore e potenziale
scalare. Infatti abbiamo
per il rame tale tempo è dell’ordine di 10-14 s
Poiché il campo elettrico derivante da una distribuzione di cariche elettriche è conservativo, ne discende che
un moto stazionario di cariche non può essere generato da una distribuzione (fissa) di cariche. Occorrerà quindi
considerare una sorgente di campo elettrico non di tipo elettrostatico, chiamato campo elettromotore. Il campo
elettromotore è quindi un campo di forza specifica, di natura meccanica, chimica, elettrica …. ma non
elettrostatica (trattandosi di campo non conservativo), che agisce sulle cariche tenendole separate in un mezzo
conduttore e consentendo per esse un moto stazionario (o anche non stazionario). In un circuito semplice
interessato da corrente stazionaria, ci deve essere almeno una parte (tratto generatore) in cui il campo
elettromotore è diverso da zero; l'eventuale parte complementare, in cui il campo elettromotore è nullo, prende il
nome di tratto utilizzatore. Nel tratto utilizzatore la forza specifica sulle cariche è quella derivante dalla
distribuzione di cariche (causata a sua volta dal campo elettromotore) ed è quindi un campo a potenziale: nel
tratto utilizzatore la tensione elettrica (integrale del campo elettrico) valutata tra due punti non dipende dalla
curva di integrazione ma solo dagli estremi di integrazione (all'interno del tratto generatore, viceversa, la
tensione dipende dalla curva scelta). Se quindi il campo elettromotore è diverso da zero solo in una parte del
circuito semplice, di sezioni estreme A e B, la tensione VAB sarà indipendente dalla curva scelta solo a patto di
non "entrare" nel tratto generatore. Le sezione A e B individuano quindi i confini tra un "bipolo generatore" identificabile attraverso una caratteristica V-I valutata all'esterno del tratto generatore - ed un "bipolo
utilizzatore" in cui non vi sono vincoli per la valutazione della tensione.
31
32
38
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
(6)
B  0  B   A
( A è il potenziale vettore)
33
Quindi
(7)
E  
B
 (  A)
A 
A
A


   E 
   E  
 
  0  E
t
t
t 
t
t

dove Φ è il potenziale scalare elettromagnetico, riconducibile, in caso stazionario, al potenziale
elettrostatico.
B
(8)
E   es   ( A)   ( B)   E  t dl
A
Il campo elettrico ammette un potenziale scalare solo nel caso stazionario (o quasi-stazionario), mentre il
campo magnetico ammette sempre potenziale vettore.
Sostituendo la (7) nella (2) si ha
(9)
A

 A
 
 
      2    

t
0
 t
 0
Sostituendo nella (4) dalla (6) e dalla (9)
 2A
V 
  0 J

2
t 
 t
(10)   (  A)   0  0  

Nelle (9)-(10) non compaiono più i campi E e B, ma i potenziali vettore e scalare, in funzione delle
distribuzioni di carica e di densità di corrente.
Per avere una espressione più “leggibile” della (10), ricordiamo che il potenziale vettore A(P,t) è
34definito a meno del gradiente di una funzione scalare Ψo(P,t) e la sua divergenza è arbitraria.
Indichiamo con A0(P,t) un potenziale vettore indivergente. Ne deduciamo che qualsiasi altro
potenziale vettore A dovrà rispettare la condizione:
(11)
  A0  0    A    0   2 0    A
Nella (10) avremo
(gauge di Coulomb)
  2 A  0 
 
  0 J

(12)   (  A 0 )   0  0  
2

t 
t

Ricordando la definizione di Laplaciano vettore
 2 A    A    (  A)
abbiamo dalla (12)
(13)
  2 0  
 2 A0
  0 J
 A 0   0 0
  0  0  2 
t 
t 2
 t
2
Ponendo
(14)
33
0   
0
t
si ottiene
Il potenziale vettore è un campo vettoriale di cui è non è in partenza assegnata la divergenza (vedremo poi che
potrà essere assegnata con opportune condizioni o gauges). Il potenziale vettore è sempre definito a meno del
gradiente di una funzione scalare, in quanto il rotore di un gradiente è nullo.
34
Si ricorda che la proiezione sui tre assi cartesiani del laplaciano di un vettore dà luogo a tre laplaciani scalari
nelle componenti cartesiane del vettore.
39
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2A0
 0
  A 0   0 0
  0 0
 0 J
2
t
t
2
(15)
ed inoltre

 A

  E      0   0    2  0 
0
 t

(16)
Con le posizioni (11)-(16) si è pervenuti ad una equazione di Poisson il cui termine noto è legato dalla
sola distribuzione volumetrica delle cariche. In altri termini, la soluzione Φ0 corrisponde ad un caso
“elettrostatico” noto costituito dalla soluzione “coulombiana” relative ad una distribuzione di carica
racchiusa in un volume Δτ:
(17)
 0 ( P, t ) 
1
40


 (Q, t )
rPQ
d
Questo risultato ha una importanza solo simbolica, poiché il campo elettrico non discende da questo
potenziale scalare, ma occorre anche affrontare la difficile soluzione della (15). 35
Nel caso stazionario le (15)-(16) diventano
(18)
(19)
  2 A 0  0J
  2 0 

0
note come equazioni di Poisson. Nel prossimo paragrafo esamineremo alcuni casi fondamentali.
Notiamo che, nel caso stazionario, le equazioni di Maxwell si disaccoppiano e spariscono le
sorgenti “interne”.
In assenza di mezzi materiali, si introducono due campi vettoriali ausiliari:
- il vettore spostamento elettrico, formalmente legato al campo elettrico dalla relazione D=ε0 E;
si riconosce immediatamente che il vettore spostamento è omogeneo con una densità
superficiale di carica e corrisponde, nel caso del condensatore ordinario nel vuoto, alla densità
di carica superficiale sull’elettrodo; il flusso dei tubi di D è pari alla carica intercettata
sull’elettrodo;
- il vettore campo magnetico H=B/μ0; si riconosce immediatamente che tale vettore è omogeneo
con una densità lineare di corrente e quindi la sua circuitazione definisce una intensità di
corrente “concatenata libera” (di conduzione e/o di spostamento).
Consideriamo ora la presenza di mezzi materiali.
Distinguiamo le sorgenti vincolate da quelli libere.
I fenomeni di polarizzazione elettrica possono essere descritti attraverso il vettore polarizzazione P,
inteso come momento risultante per unità di volume dei momenti dei dipoli elettrici intorno al punto
in esame. Il vettore polarizzazione, anch’esso omogeneo con una densità superficiale di carica, è
quindi legato alla deformazione della materia per effetto delle sorgenti libere. Il campo all’interno
della materia risulterà pertanto pari a
(20) E 
35
DP
0
In luogo della gauge di Coulomb, potrebbe essere usata un’altra condizione (gauge di Lorentz) tra la
divergenza del potenziale vettore ed la derivata locale potenziale scalare per ottenere, sia per il potenziale scalare
che per il potenziale vettore, una struttura tipica della equazione delle onde.
40
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Nel caso dei mezzi lineari
P  E  D   0   E  E   r  0 E dove si introduce la
permettività del mezzo εr.
Il contributo ai fenomeni di magnetizzazione della materia può essere considerato un contributo al
campo d’induzione magnetico aggiuntivo a quello delle correnti libere e può essere descritto
attraverso il momento magnetico per unità di volume dei dipoli magnetici intorno al punto in esame
(vettore magnetizzazione M)
(21) B 
0 (H  M )
Nel caso dei mezzi lineari
B   0 ( H   r H )   0  r H dove
si introduce la permeabilità
relativa μr.
Le equazioni ausiliarie di Maxwell diventano

 H  t dl    J  
(22)
S
o
E 
  n dS 
t 
 D  n d  Q
(23)

(24)
 H  J
(25)
D  
Dalle equazioni di Maxwell integrali possono essere derivate le seguenti condizioni di raccordo alla
frontiera di due domini di diverse caratteristiche elettriche o magnetiche
-
le componenti tangenziali del campo elettrico E sono continue (salvo singolarità temporali di
B);
le componenti normali del campo B sono continue; di conseguenza, le componenti normali di
H sono inversamente proporzionali alle permeabilità;
le componenti normali di D differiscono per la densità superficiale di carica libera
eventualmente presente sulla superficie di discontinuità; di conseguenza, le componenti
normali di E non sono continue e sono, in assenza di carica superficiale, inversamente
proporzionali alla percettività.
41
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§I.7 Problema di Laplace – Poisson
Se il campo elettrico E è irrotazionale in tutto lo spazio escluse le zone in cui sia
presente un campo impresso di natura non elettrostatica, esso viene collegato ad un campo
scalare detto potenziale elettrico V(P) [Φ(P)], dando origine al cosiddetto problema di
Poisson, ovvero al problema di Laplace, se la sua divergenza è identicamente nulla. Le
 2V ( P)  0
 2V ( P)  f ( P)
equazioni corrispondenti prendono il nome rispettivamente di equazione di Poisson ed
equazione di Laplace36.
Un problema di Poisson (o di Laplace) si dirà ben posto se sono verificate le condizioni
perché la soluzione sia unica.
Si considerino due possibili soluzioni V’(P) e V”(P) due soluzioni all’equazione di Poisson e la
funzione W(P)=V’(P)-V”(P), continua e derivabile; il laplaciano di W è nullo. Se si considera il dominio
di indagine  di contorno  ed campo vettoriale che si ottiene moltiplicando W(P) per il gradiente di
W(P), il flusso attraverso  di tale campo, per il teorema della divergenza, sarà
 WW  n d      (WW ) d 

da cui
dW
d   W
 W

dn

  W
2
2
2
 W W ) d   
d 
Risulta quindi evidente che se si vuole che i gradienti di V’ e V” siano gli stessi in tutto il
dominio , è sufficiente che sul contorno abbiano la stessa derivata normale (dW/dn=0) o lo stesso
valore (W=0); in quest’ultimo caso, ovviamente avremo lo stesso valore del potenziale in tutto il
dominio. L’assegnazione del valore sul contorno prende il nome di condizione di Dirichlet,
l’assegnazione della derivata normale –lato interno per il problema interno, lato esterno per il
problema esterno – prende il nome di condizione di Neumann.
Nel primo caso, è univocamente individuato il potenziale scalare, nel secondo caso è
univocamente definito il campo elettrico, grandezza significativa dal punto di vista ingegneristico in
quanto rappresenta la sollecitazione specifica sulle cariche e quindi definisce il moto delle particelle
o il comportamento del mezzo materiale. La ricerca della soluzione prende il nome di problema di
Dirichlet o problema di Neumann. Possono presentarsi anche problemi misti o raccordati, nel
senso che le condizioni al contorno non sono tutte dello stesso tipo e/o sono collegabili ad analoghe
condizioni in domini contigui.
36
Espressione del laplaciano in alcuni sistemi di coordinate
 2  2  2
   2  2  2 (coordinate cartesiane)
x
y
z
2
2 
 2  1  1  2   2  (coordinate cilindriche)



r 2 r r r 2  2 z 2
 2 
1   2  
1
r

r 2 r  r  r 2 sen
 
 
1  2 
sen




 
 (c. sferiche)
  sen  2 
  
42
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Nei due casi, il problema è per noi ben posto, avendo interesse alla sollecitazione elettrica,
cioè al gradiente.
Altri casi, in cui le condizioni al contorno sono di tipo diverso, andranno esaminati a parte.
Se il dominio è illimitato, occorrerà introdurre le opportune condizioni all'infinito, anche in relazione
alla presenza di cariche all’infinito (es. caso piano e cilindrico) .
Si può dimostrare che un problema di Poisson con condizioni alla Dirichlet può essere
ricondotto ad un problema di Laplace.
43
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APPENDICE II
I generatori di f.e.m. stazionaria (Nota informativa)37
I generatori di forza elettromotrice stazionaria si possono suddividere in:
a) generatori primari di f.e.m
b) generatori secondari.
c) sistemi con raddrizzatori (convertitori a.c./d.c. )
I generatori primari e secondari vengono detti rispettivamente pile ed accumulatori (o pile
reversibili). Il principio di funzionamento si basa sulla creazione di un campo impresso in
catene di conduttori di prima classe (elettrodi di materiali solidi diversi) e conduttori di
seconda classe (elettroliti). I simboli corrispondenti sono riportati in fig.1 a), b).
I sistemi di raddrizzamento prevedono l'uso di elementi non lineari (diodi, diodi controllati o
tiristori), per ottenere una tensione praticamente continua a partire da una tensione sinusoidale
(fig.1,c). Essi sono largamente impiegati in ambito industriale ( Elettronica di potenza ) e in buona
parte delle utilizzazioni domestiche per cui sia prevista la regolazione delle prestazioni. Non
saranno trattati in questa nota.
+
d.c.
a.c.
E
a)
b)
c)
fig.1
I generatori primari principali sono:
- la pila Leclanchè, comunemente impiegate in commercio, f.e.m. di circa 1,5 V, elettrodi di
zinco e grafite, impiegante una gelatina di cloruro d'ammonio (NH 4CL) come elettrolita e il
biossido di manganese (MnO2) come depolarizzante;
- la pila Daniell (1836), elettrodi in rame e zinco, soluzioni di solfato di rame e solfatp di zinco
separate da setto poroso, f.e.m. pari a circa 1,09 V
- la pila Weston (1893, pila campione 1.0186 V, elettrolita CdSO4).
I generatori secondari più diffusi in commercio sono:
- accumulatori al piombo-acido
- accumulatori al ferro-nichel
- accumulatori al nichel-cadmio
Altri tipi di accumulatori a prestazioni molto più elevate sono stati sviluppati per usi spaziali,
ma il loro costo resta proibitivoIn fig.1.2 è rappresentata la cella elementare con gli elettrodi, l'elettrolita, i morsetti
37
per maggiore approfondimento vedasi : [7] F. BAROZZI, F. GASPARINI, Fondamenti di Elettrotecnica Elettromagnetismo, ed. UTET, Torino, 1989, §III-4
44
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+
PbO
2
-
Pb
soluz. acquosa di acido solforico
fig.1.2
La f.e.m. E (uguale alla tensione a vuoto teorica ai morsetti) varia con la temperatura e la densità
dell'elettrolita (per le celle al piombo-acido di circa 100μV/K e di 100 mV per ogni 10% di
variazione della densità relativa).
Ai morsetti la tensione a vuoto sarà in genere pari a E-Ep, dove la forza controelettromotrice Ep
è originata in fase di scarica da rivestimenti isolanti (PbSO 4) formati sugli elettrodi, dalla
diminuzione di concentrazioni ioniche, dalla formazione di gas liberi (H 2). La f.c.e.m. dipende
anche dalla intensità di corrente erogata e può essere limitata (nei generatori primari) con
particolari pre-trattamenti superficiali degli elettrodi. Negli accumulatori i fenomeni di
polarizzazione e depolarizzazione sono connessi in modo essenziale alle fasi di scarica e
ricarica.
Gli accumulatori sono oggetto di normativa del CEI 21-3 fasc 1258 (1989)
Accumulatori al piombo-acido
Gli elementi dell'accumulatore sono:
a) piastre, di spessore variabile da 1.25 mm a 20 mm circa, di piombo spugnoso (elettrodo
negativo) o di ossido di piombo (elettrodo positivo); esse sono del tipo:
- formate (Plantè) : la piastra originaria è di piombo puro, che poi viene attaccata chimicamente
per formare uno strato superficiale sottile di biossido di piombo
- impastate (Faure): su una griglia di sostegno (lega di piombo con il 4-12% di antimonio) viene
assestata una pasta di polvere di piombo con acido solforico diluito (piastra positiva); un altro
tipo di pasta viene usata per la piastra negativa; per il funzionamento effettivo, le due piastre
vengono immerse in una soluzione di acido solforico e sottoposte a passaggio di corrente: in tal
modo si avrà la piastra all'ossido di piombo (+) e piombo spugnoso(-).
Ogni elemento (coppia di piastre) genera una f.e.m. di circa 2 V.
b) sbarre di connessione e morsetti (fig.3), realizzate in genere in lega di piombo ed antimonio
+
fig.3
c) separatori, inseriti tra le piastre positive e negative adiacenti per evitare cortocircuiti
d) elettrolita: soluzione acquosa di acido solforico, densità 1.2-1.3
45
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e) contenitori in vetro, in plastica, in ebanite
Il modello di funzionamento elettro-chimico di accumulatori al piombo non è definitivamente
assestato; le diverse interpretazioni risalgono al secolo scorso e non si sono avute negli ultimi
decenni significativi progressi in materia.
Si può tuttavia ritenere che agli elettrodi avvengano globalmente le seguenti reazioni:

scarica


4
anodo PbO2  4 H  SO

 2e



carica
PbSO4  2 H 2 O
scarica

4
catodo Pb  SO


carica
PbSO4  2 e 
Caratterizzazione elettrica di un accumulatore
Fase di carica:
I
r
+
V
caricabatteria
accumulatore
fig.4
La tensione ai morsetti vale
V= E + r I
e varia tra 2.1 V (accumulatore scarico) e 2.8 V (accumulatore carico), come si ricava dalla
caratteristica di carica a corrente costante (fig.5)
fig.5 Carica di un accumulatore
Fase di scarica:
46
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I
R
V
r
+
E
accumulatore
fig.4
La tensione ai morsetti vale
V= E - r I
e varia tra 1.7 V (accumulatore scarico) e 2.0 V (accumulatore carico), come si ricava dalla
caratteristica di scarica a corrente costante (fig.5)
fig.6 Scarica di un accumulatore
Occorre precisare che l'accumulatore può danneggiarsi irreparabilmente se la tensione scende al
disotto di circa 1.7 V per elementoPer correnti più elevate, la scarica avviene in tempi decisamente più brevi.
Si definisce capacità di un accumulatore la quantità di carica elettrica (normalmente espressa in
Ah) che un accumulatore è in grado di erogare prima di portarsi al livello minimo di tensione;
la capacità nominale viene riferita ad una scarica ad un determinato valore di corrente di scarica
costante (es. 1 A). La capacità diminuisce sensibilmente con il valore della corrente di scarica
(fig.7)
fig.7 Capacità di un accumulatore in funzione della corrente di scarica
La tensione nominale di batteria dipende dal numero di elementi collegati in serie. Così per
3,6,12,24 elementi avremo le comuni batterie da 6,12,24,48 V. Date le vicende singole subite dai
diversi componenti, che determinano valori di f.e.m. leggermente diverse tra i vari elementi,
non è opportuno collegare in parallelo gli accumulatori.
47
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La resistenza interna di un accumulatore va definita con una certa cautela. Per una prima
valutazione, si possono indicare valori di 0,1  per accumulatori nuovi di piccole dimensioni e
valori di 0,0001  per accumulatori di grandi dimensioni.
Il rendimento di un accumulatore viene definito:
in quantità di elettricità:
ts
q
e  s 
qc
 i dt
s
0
tc
 i dt
 0,90  0,95
c
0
in energia:
ts
w
w  s 
wc
 v i dt
s s
0
tc
 v i dt
 0,75  0,80
c c
0
Classificazione degli accumulatori:
a) Stazionari : 900-9000 Ah
b) Trazione pesante : 100 - 500 Ah
c) trazione leggera : 50-800 Ah
d) sommergibili: fino a 12000 Ah
Manutenzione degli accumulatori:
a) la vita dell'accumulatore dipende dalla purezza dell'elettrolita; occorre quindi evitare che
venga a contatto con impurità:
b) la densità dell'elettrolita deve essere mantenuta tra 1.2 e 1.3
c) occorre evitare temperature troppo elevate (>45°C) o troppo basse (anche se possono essere
adoperati additivi per abbassare la temperatura di solidificazione)
d) evitare, durante la carica, che l'accumulatore "bolla" a lungo (ossia liberi idrogeno, tra l'altro
pericoloso)
e) evitare intense correnti di carica e scarica
f) mantenere puliti morsetti e contenitore
48
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Appendice III - Richiami sulle proprietà integrali dei campi magnetici stazionari:
- proprietà del vettore H (intensità del campo magnetico) legato alle correnti “libere” Ik nei conduttori,
 H  tdl   J
c
 ndS    I k
S
del vettore M (intensità di magnetizzazione) legato alle correnti “vincolate” nella materia corrispondenti
al moto degli elettroni,
 M  tdl   J
m
 ndS 
S
del campo B (induzione elettromagnetica) legato a tutte le correnti (libere e vincolate)
 B  t dl   J
c
 J m   n dS 
S
Nel caso quasi-stazionario (magnetico), in cui rientra una prima trattazione del trasformatore e della
macchina asincrona, si trascura il contributo della corrente di spostamento38.
Le proprietà locali dei suddetti campi possono così riassumersi:
div B=0
rotH=Jc
rot M=Jm
B=μ(H+M)
Il parametro μ=μr/μo [H/m] viene definita permeabilità magnetica assoluta del materiale; a μ o viene
impropriamente attribuito il titolo di “permeabilità del vuoto” 39; ur è la permeabilità realativa.
Possiamo classificare i materiali in materiali diamagnetici con μ r poco minore dell’unità (la presenza
del materiale “indebolisce” il campo d’induzione B a parità di sorgenti “libere”), materiali
paramagnetici com μr poco maggiore dell’unità (la presenza del materiale “rinforza” in modesta
misura il campo di induzione) ed in materiali ferromagnetici con μ r molto maggiore dell’unità (il
materiale contribuisce notevolmente, con l’organizzazione di propri domini, al campo di induzione,
fino alla “saturazione” cioè all’allineamento di tutti i contributi al campo magnetico dei domini).
Materiali ferromagnetici sono ad esempio il ferro, il cobalto e loro leghe (in qualche caso si può
arrivare a μr dell’ordine di 100.000); anche gli ossidi di ferro sono ferromagnetici (ferriti) ma con
proprietà magnetiche più modeste.
Il parametro μr può anche essere una matrice (tensore), per i materiali anisotropi (le caratteristiche
magnetiche dipendono dalla direzione del campo).
I campi magnetici interessano tutto lo spazio, ma in molti casi applicativi (avvolgimenti di spire)
possono essere rappresentati facilmente i tubi di flusso “originati” da correnti in un avvolgimento; in
genere questi tubi sono “chiusi” a forma di anello a sezione non costante; ad ogni tubo di flusso
possiamo associare il valore del flusso (di B) attraverso una qualsiasi sezione dello stesso e la
38
Ricordiamo infatti che in generale si avrebbe
 B  t dl   J
o
c
dE
 J s   n dS  con J s   o
S
dt
(densità di corrente di spostamento)
39
in realtà μo è una costante dimensionale assoluta, legata alla opportunità di stabilire [per semplicità, nel vuoto]
il legame tra il campo magnetico H, definito a partire dalle correnti [libere nei conduttori] ed il campo di
induzione magnetica B la cui definizione risiede nella formulazione della legge fondamentale dell’induzione
elettromagnetica ( nella forma integrale
d
 E  t dl  dt  B  n dS  ),
significativa nei casi quasi-stazionari
S 
magnetici.
49
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
circuitazione (di H) lungo l’asse del tubo (che con buona approssimazione coincide con una linea del
campo). Il rapporto

C H
tra la circuitazione di H, misurata in ampère [A] o, con notazione
 B
pratica, in amperspire NI [A] ed il flusso di B, misurato in weber [Wb] costituisce la riluttanza del tubo
di flusso; la riluttanza viene misurata in 1/henry [H-1]. Questa relazione è nota come legge di Hopkinson;
essa è analoga alla legge di Ohm per un circuito semplice ( all’intensità di corrente corrisponde il
flusso di B, alla forza magnetomotice corrisponde la circuitazione di H detta anche forza
magnetomotrice, alla resistenza corrisponde la riluttanza) consente una rappresentazione circuitale per i
tubi di flusso di B, che per tale motivo vengono anche chiamati circuiti magnetici. Se il tubo di flusso
interessa diversi materiali, siamo autorizzati a considerare riluttanze “in serie” e comparare la forza
magnetomotrice alle tensioni magnetiche “ai capi” delle singole riluttanze. Potranno essere
opportunamente applicati i teoremi sulle reti elettriche. Le reti magnetiche sono considerate, tra
l’altro, per valutare ,con buona approssimazione nei casi reali di strutture in ferro, i coefficienti di auto
e mutua induzione.
50
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APPENDICE IV
COMPORTAMENTO DEL CAMPO MAGNETICO
ALLA SUPERFICIE DI SEPARAZIONE FRA UN MEZZO A PERMEABILITÀ MOLTO ELEVATA E L'ARIA
Nei sistemi fisici comprendenti materiali ferromagnetici lineari omogenei e isotropi, per i
quali cioè si possa ritenere che fra i vettori B e H intercorra una relazione del tipo B= µH, risulta
spesso utile far ricorso ad ad una approssimazione che consente di semplificare notevolmente
l’amalisi.
Sia la superficie di separazione fra un materiale (1) caratterizzato da una permeabilità µ 1 ed
un mezzo (2) di permeabiltà µ2 come schematicamente indicato in fig.1. Supponiamo che le due
permeabilità siano legate da una relazione del tipo µ 1>> µ2 , come avviene, ad esempio, quando il
materiale 1 è costituito da un materiale ferromagnetico e il mezzo 2 è l'aria (µ 2=µ0) L'ipotesi che si
considera consiste nel considerare µ1/µ2 : tale ipotesi evidentemente non corrisponde ad alcuna
situazione fisicamente realizzabile, ma può costituire una prima approssimazione per sistemi fisici di
notevole interesse applicativo che comprendano materiali ferromagnetici. Noteremo inoltre che tale
ipotesi di consentirà di separare con successo lo studio del problema della soluzione del campo
all'interno e all'esterno del materiale ferromagnetico.

n
1
2
1
2
fig. 1
Per studiare il comportamento del campo nel passaggio dal mezzo 1 al mezzo 2, cominciamo
ad esaminare le due configurazioni di principio rappresentate in fig. 2a e 2b: in esse, O è la traccia di
un conduttore filiforme rettilineo perpendicolare al piano del foglio, percorso da una corrente i. Nel
caso (a), il mezzo a permeabilità infinita (che nel seguito per brevità sarà denominato "ferro") è
costituito da una struttura toroidale interrotta in corrispondenza di un traferro di spessore ; nel caso
(b), invece, si ha un toro che si concatena con il conduttore percorso dalla corrente i.
Prima di esaminare gli andamenti dei campi H e B, in corrispondenza della superficie di separazione
fra ferro e aria, ricordiamo che, per due mezzi a permeabilità diversa, in generale risulta:
(2) (1)
n . [B -B ] = Bn2- Bn1 = 0
(2) (1)
n x [H -H ] = Ht2-Ht1 = K
(1)
(2)
51
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Si suppone, inoltre, che in questo caso sulla superficie di separazione non sia localizzata alcuna
corrente superficiale libera, ovvero K=0.
Le relazioni (1) e (2) possono essere riscritte nella forma seguente:
µ1Hn1 - µ2Hn2 = 0
(Bt1/µ1) - (Bt2/µ2) = 0
(3)
(4)
Per studiare le due situazioni sopra schematizzate imponiamo, inoltre, la condizione di regolarità
all'infinito.
µ ->•
1
µ ->•
1
O
µ
1
O

0
2
µ0
1
2
µ0
2
b)
a)
fig.2
Caso (a)
Nell'aria il campo di induzione B sarà senz'altro limitato; ne consegue che la componente
normale di B, Bn2, risulta limitata (e quindi anche Hn2); per la (1), anche la Bn1 risulterà limitata e,
data la caratteristica B-H del ferro, ne consegue che Hn1=0. In questa situazione osserviamo dunque
che nel ferro il problema può essere studiato sulla base del seguente modello:
rot H = 0
divH = 0
D'altra parte il ferro costituisce un dominio semplicemente connesso nel quale l'ipotesi di
irrotazionalità di H consente di introdurre un potenziale scalare, dal quale far discendere tale campo.
Avremo cioé H = grad e all'interno del ferro il problema risulta descritto da:
 =0
Hn1= ∂ /∂n
=0
Si tratta dunque di risolvere un problema di Neumann la cui soluzione risulta peraltro banale. Infatti,
su risulta = cost che implica = costante all'interno e, di conseguenza, H= grad = 0 nel ferro.
L'ipotesi µ -> ∞ dà, dunque, origine ad un problema che risulta formalmente simile a quello relativo
alla determinazione del campo elettrico E all'interno di un conduttore perfetto ( ->∞).
52
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
La soluzione di questo problema consente inoltre di affrontare anche il problema esterno. Infatti, per
la (2), Ht1=Ht2=0 e poichè Bt2=µ0Ht2 anche la componente tangente di B nell'aria risulterà nulla. Ciò
implica che il campo B emerge perpendicolarmente da nell'aria, dove le equazioni risultano:
divB = 0
rot B = µ Jlib
0
con la condizione al contorno del tipo Bt2=0.
Resta a questo punto da determinare l'andamento di B all'interno del ferro. Tale ultimo problema può
essere affrontato sulla base della conoscenza di B ottenuto dalla soluzione di del problema esterno:
divB = 0
rot B = 0
con la condizione al contorno del tipo Bn1=G(P), con G(P) funzione di punto, ricavabile dalla
soluzione del problema esterno. Bt1 risulterà indeterminata (in ogni caso limitata o nulla) dovendo
essere nulla la Ht1.
Una tabella riassuntiva servirà a chiarire gli andamenti delle componenti tangenti e normali di H e B
per la configurazione in esame (Tabella I).
Un andamento qualitativo delle linee di B all'interfaccia è quello rappresentato in fig. 3.
Tabella I
Ht
Hn
Bt
Bn
Ferro (1)
Aria (2)
0
0
indeterminata
limitata
0
limitata
0
limitata
1 Ferro
B

2
Aria
B
fig. 3
Caso b)
Osserviamo che in questa configurazione, essendo il dominio non semplicemente connesso,
non è possibile introdurre un potenziale scalare per il campo magnetico, che semplificherebbe
considerevomente l'analisi del problema. Notiamo, peraltro, che in applicazioni di notevole rilievo,
53
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
come ad esempio nel caso del trasformatore, il dominio toroidale concatena una corrente nulla. Ciò
consente di ritornare ad una situazione simile a quella descritta nel caso a). Una valutazione delle
componenti dei campi B ed H può peraltro essere ottenuta sulla base delle seguenti considerazioni.
La componente tangente di H nell'aria, Ht2, si mantiene limitata su
dovendo soddisfare la legge di
Ampère; si avrà, quindi che anche Ht1, per la (2), si manterrà limitata. Poichè µ 1 -> ∞, essendo Ht1
limitata, ne consegue che Bt1 risulterà illimitata. La componente tangente di B nell'aria, Bt2, risulterà,
invece, limitata (Bt2=µ0Ht2). Essendo B limitato nell'aria si mantiene limitata la sua componente
normale Bn2 che è continua all'interfaccia (Bn2=Bn1): per la (3), risulta, dunque, nulla la componente
normale Hn1 nel ferro. Da queste posizioni discende, inoltre, che Hn2 deve risultare limitata
(Hn2=Bn2/µ0). Le singole componenti dei campi H e B possono pertanto essere valutate secondo lo
schema sintetico riportato nella Tabella II.
Tabella II
Ht
Hn
Bt
Bn
Ferro (1)
Aria (2)
limitata
0
illimitata
limitata
limitata
limitata
limitata
limitata
Un andamento qualitativo delle linee di H all'interfaccia è quello rappresentato in fig. 4.
1
Ferro

H
H
2
Aria
fig. 4
La configurazione di fig. 2a) è tipica delle applicazioni nelle quali è necessario poter disporre di un
assegnato valore di campo di induzione magnetica nella regione del traferro (ad esempio negli
elettromagneti).
La configurazione in cui il ferro ha struttura toroidale (del tipo di fig. 2b) risulta, come già accennato,
di notevole interesse nei casi in cui esso è concatenato con correnti uguali e opposte. In tali casi (si
pensi ad esempio al caso del trasformatore), pur essendo il ferro completamente chiuso, in esso, il
campo magnetico si mantiene nullo, dovendo rispettare la legge di Ampère.
54
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
CIRCUITI MAGNETICI
La soluzione del problema generale della magnetostatica, in presenza di correnti libere e
materiali ferromagnetici, risulta particolarmente complessa. Fortunatamente, in molte applicazioni di
interesse applicativo, si ottengono ottime soluzioni, attraverso un' analisi simile a quella sviluppata
per i circuiti elettrici in condizioni stazionarie. E' possibile, cioè, condurre lo studio facendo
riferimento a parametri globali, analoghi a quelli che, nel caso del campo di corrente stazionario
(tensioni, correnti, resistenze, ecc.), consentono una notevole semplificazione del modello e una
valutazione più immediata delle grandezze di interesse. I principi sui quali tale analogia si basa e le
limitazioni del modello saranno illustrate nel seguito.
Esaminiamo dapprima una struttura del tipo mostrato in fig. 5, nella quale si suppone che il
materiale ferromagnetico sia caratterizzato da una permeabilità infinita. Il traferro di altezza
è sede
di un campo magnetico Ht, dovuto alla corrente i che interessa l'avvolgimento di N spire.
i
N

fig. 5
Inoltre, per l'ipotesi di
-> ∞, il campo nel ferro è nullo (siamo cioé nel caso a) e le linee
vettoriali di H avranno un andamento qualitativo del tipo riportato in figura 6. Applichiamo la legge
di Ampère ad una linea chiusa del tipo mostrato in fig. 6.
Sulla base delle considerazioni precedentemente sviluppate si avrà:
 
H
  t dl  Ni  H  L

(5)
dove L indica la lunghezza del tratto di che si svolge in aria e con <H> il valore medio di H lungo .
Applicando invece la stessa legge ad una linea del tipo di quella indicata con
nella fig. 6 si ottiene:
 1 H t dl  Ni  H2 
(6)
avendo indicato con H2 il modulo di H nel traferro. Uguagliando la (5) e la (6) si ottiene, allora:
H2 <H> (L/
55
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
x
x
x
Ni
1


L
fig. 6
Si conclude, perciò, che, se il traferro ha dimensioni trascurabili rispetto a L (e, quindi, rispetto allo
sviluppo complessivo della struttura in ferro), il campo nell'aria, al di fuori del traferro, è trascurabile
rispetto al valore che esso assume nel traferro. Questa considerazione induce, allora, a trattare i sistemi
del tipo in esame, introducendo un'ulteriore approssimazione che consiste nel trascurare del tutto il
campo al di fuori del traferro. Ci si riconduce, cioè, ad una situazione nella quale il campo è
completatmente incanalato nel ferro, il quale costituisce, pertanto una sorta di circuito magnetico per
le linee vettoriali del campo . Si osservi, in particolare, che mentre H è nullo nel ferro, B si mantiene ivi
limitato.
La (6) può essere riscritta nella forma:
Ni
H2
= (B2 S) / µ0S
avendo indicato con S l'area della sezione retta del ferro nelle immediate vicinanze del traferro (si
trascurano cioè le distorsioni al bordo del traferro). Osservando che risulta B 2S , avendo indicato
con il flusso del campo B esistente nella generica sezione del ferro, si ha infine:
Ni
/µ0S
Ponendo:
R = /µ0S
si ha:
Ni
R
La grandezza R prende il nome di riluttanza del tratto di circuito magnetico considerato, mentre il
suo reciproco viene denominato permeanza. Si comprende a questo punto, come nelle situazioni del
tipo descritto, le due leggi fondamentali della magnetostatica possono essere presentate in forma
"circuitale", in cui le forze magneto motrici Ni prendono il posto delle f.e.m., i flussi prendono il
posto delle correnti e le riluttanze R prendono il posto delle resistenze. Alla luce di questa analogia la
(7) viene spesso indicata come legge di Ohm per i circuiti magnetici; essa viene anche indicata con il
nome di legge di Hopkinson.
Per chiarire meglio tale analogia si può far riferimento allo schema mostrato in fig. 7. Il circuito
magnetico di fig. 7a) può essere, in prima approssimazione, studiato considerando il circuito elettrico
associato di fig. 7b) in cui sono state stabilite le seguenti corrispondenze:
56
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E
R
1
I
Ni
R = /µ S
1 1 0 1
i
1
1
R
2
i
R = /µ S
2 2 0 2
2
2
avendo indicato rispettivamente con il flusso che interessa la colonna sulla quale sono avvolte le Ni
amperspire e
i flussi nelle due colonne verticali.
1 2
i
 
N
S
µ
0

S1
1
a)
µ -> •
i
i
E
2
R
2
i
1
R1
b)
fig. 7
Le considerazioni sviluppate in precedenza consentono in prima approssimazione di affrontare
l'analisi dei circuiti magnetici tipici di alcune macchine elettriche quali i trasformatori. Per meglio
comprendere tale affermazione si può far riferimento allo schema di fig. 8 in cui si suppone di
conoscere la corrente i1(t) e si desidera, ad esempio valutare la corrente i 2(t).
Dal punto di vista elettrico questo rappresenta a tutti gli effetti un doppio bipolo circuito magnetico
mutuamente accoppiato la cui caratteristica è data dal seguente sistema:
di1
di
M 2
dt
dt
di
di
v 2  M 1  L2 2
dt
dt
v1  L1
(8)
al quale andrà aggiunta la caratteristica v2 = - R*i 2 del lato secondario.
57
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ii 1
1
v

N1
1
S
S
µ
0

µ -> •
R*
v
i
2
2
fig. 8
Per poter risolvere tale sistema di 3 equazioni nelle 3 incognite v1, i2 e v2 occorrerà conoscere i
coefficienti di auto e mutua induzione (L1, L2 e M) del circuito magnetico. Questi possono essere
agevolmente valutati, sulla base delle approssimazioni prima considerate, facendo riferimento al
circuito elettrico associato, rappresentato in fig. 9. In tale schema gli orientamenti sono scelti in modo
da avere la convenzione del generatore sui generatori di f.m.m. .
Il coefficiente di autoinduzione L1 è definito come:
L =
/i
1 1tot 1
dove
rappresenta il flusso di autoinduzione totale concatenato con la corrente i 1:questo sarà
1tot
dato, nelle approssimazioni considerate, dal flusso medio concatenato con una spira,
per il numero
1,
delle spire primarie (
=
).
1
1tot 1 1
Per calcolare tale coefficiente facciamo riferimento allo schema di fig. 10, nel quale, notiamo, è stato
"spento" il generatore N i . Il flusso
sarà calcolabile come:
22
1
1
1
N1i1
=
i /(R/2)
11

R
N 2 i2
2
R2
fig. 9
dove R/2 rappresenta la resistenza equivalente vista dal generatore e pari al parallelo delle due
resistenze R= /µ0S. Il coefficente L varrà, pertanto:
1
2
L =
/i =N
/i = 2
/R
1 1tot 1 1 1 1
1
58
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Esaminiamo ora come effettuare il calcolo del coefficiente di mutua induzione M=M =M . Per
12 21
definizione avremo:
M =
/i
21 21tot 1
Nel caso in esame, potremo ancora riferirci allo schema di fig. 10; si tratterà di valutare il flusso
concatenato con l'avvolgimento secondario (quando questo è aperto), dovuto alle amperspire
primarie. Osserviamo che in questo caso il coefficiente di mutua induzione risulta positivo, in quanto
il campo magnetico primario risulta equiverso alla normale associata al circuito secondario, orientata
congruentemente con il verso di riferimento assegnato a tale circuito. Si avrà:
21
e quindi
M

=
21
=
i /R
11
/i =N
/i = N
/R
21tot 1 2 21 1
2 1
 /2
1
1
N i
1 1
R
 /2
1
R
fig. 10
In maniera analoga si procede per il calcolo del coefficiente di autoinduzione secondario L . Sulla base
2
dello schema e dei calcoli precedenti ci si convince agevolmente che in questo schema l'accoppiamento
2
risulta non perfetto (L L ≠ M ).
1 2
59
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APPENDICE IV
Note sulla conversione elettromeccanica
La conversione elettromeccanica si basa sulla espressione della forza di Lorentz agente su una carica q:
Fq  qE  v  B 
40
Se consideriamo una carica q in un conduttore filiforme perfetto (all’interno del quale in campo
elettrico E=0), e supponiamo di muovere, con un’azione esterna, il conduttore stesso in un campo
magnetico, ogni carica sarà soggetta a una forza ortogonale alla direzione del moto ed al campo
magnetico (tale forza sarà nulla se il moto avviene lungo le linee del campo magnetico). Le cariche
potranno muoversi nel volume occupato dal conduttore (immaginando per semplicità che non
possano abbandonare lo stesso). Potremo quindi, a seconda dei casi, fare diverse considerazioni
1) Nel caso di una barretta rettilinea AB di conduttore che si muova di moto uniforme
“trasversalmente” (cioè su un piano ortogonale) ad un campo magnetico B uniforme, tutte le
particelle libere del conduttore sono soggette a forze che le spingono verso gli estremi, dove si
accumuleranno fino al raggiungimento di una situazione di equilibrio tra il campo di
repulsione coulombiano e il campo della forza di Lorentz. Nella situazione di fig.1 viene
evidenziata la separazione delle cariche. Da notare esplicitamente che la forza di Lorentz
agisce sulle cariche nel conduttore, mentre il campo coulombiamo generato dalla separazione
delle cariche può essere “sentito” e misurato in tutto lo spazio. Quindi si può valutare la
B
tensione indotta
 
A
tensione
B
 
A
lungo
Fq
q
un
Fq
q
B
 t dl   v  B  t dl lungo la barretta attraverso la misura della
A
percorso

 t AB dl  VAB

esterno
alla
barretta
AB , solidale con la stessa:
B
 E  t dl
A,
. Nell’intervallo di tempo dt la barretta avrà
  AB
coperto una “superficie” di larghezza vdt, tagliando idealmente le linee di flusso di B. Per tale
ragione
si
parla
in
gergo
di
tensione
indotta
da
flusso
tagliato:
d tagliato
dt

d
( Bv dt ) LAB ;
dt
B
   v  B  t dl  vB LAB
Fq
A
B
+++++++++++++++
A
+++++++++++++++
+
+++++++++++++++
+
v
+
+++++++++++++++
+
+++++++++++++++
B
+++++++++++++++
B
+++++++++++++++
Fig.1
v
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
+
Fig.2
2) Consideriamo ora (fig.2) una spira quadrata (percorso chiuso) immersa in un campo
magnetico uniforme e ruotante con velocita angolare costante Ω ad es. in senso orario attorno
ad un asse ortogonale al piano del foglio. Sulle cariche della spira agirà, a seconda del tratto
della spira e della sua posizione, una forza di Lorentz variabile in modulo e verso; se la spira
si trova in posizione “orizzontale”, la forza di Lorentz è nulla dappertutto in quanto v e B
40
In questa espressione non sono considerate forze di natura diversa (chimica, termica, ..)
60
ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
sono paralleli; in posizione verticale la forza è massima ed è diretta verso l’osservatore per i
punti della porzione superiore della spira, in verso opposto nella porzione inferiore. Con
forza di intensità variabile le cariche saranno quindi spinte a “circolare” nella spira 41. Il tutto è
riconducibile alla valutazione della forza elettromotrice indotta (legge di Faraday-Neumann)
 E  t dl  
i
Fq
q
 t dl  
d
. Infatti, quando il flusso Φ concatenato con la spira è massimo,
dt
la forza è nulla; nel tempo il flusso varia con legge cosinusoidale. La spira chiusa consente una
migrazione di cariche, ossia una corrente elettrica che, con il riferimento fissato in fig.2, è
positiva quando il flusso decresce, cioè per mezzo giro. In tale intervallo, il suo effetto è la
creazione di un campo magnetico di “rinforzo”, ovverosia essa tende a “mantenere” il flusso
concatenato.
3) Per avere ovunque ortogonalità tra campo di velocità e campo magnetico, si può modificare la
distribuzione del campo magnetico avvolgendo la spira su supporto ferromagnetico e
facendola ruotare in un traferro tra espansioni o “scarpe” polari magnetiche (Nord e Sud),
sagomate in modo tale che il campo magnetico risulti praticamente radiale. In tal caso la forza
di Lorentz risulta praticamente costante nel passaggio sotto una scarpa polare, inverte il senso
passando sotto l’altra. I due lati ortogonali al foglio danno luogo ad una tensione indotta
lungo il loro asse non nulla, per cui si dicono attivi; si sottolinea che sugli altri due lati la forza
di Lorentz non è nulla, ma tensione lungo il loro asse è nulla. Questo è il principio di un
possibile alternatore elettrico o generatore (trasforma energia meccanica in energia elettrica).
4) Se la spira ferma, con il riferimento fissato in fig.2, è interessata da una corrente di intensità
i(t), possiamo immaginare che il campo di velocità sia quello di migrazione delle cariche
all’interno del conduttore; quindi le stesse sono soggetta ad una forza ortogonale al
conduttore attivo e quindi ad una coppia motrice. Se la spira è libera di ruotare, si mette in
movimento (principio del motore elettrico)42.
5) Se il campo B è un campo stazionario (di un magnete permanente o di un elettromagnete) ed i
è costante, siamo nel caso del motore a corrente continua;
6) Se il campo B è variabile con legge sinusoidale, la corrente i(t) può essere ottenuta per
induzione elettromagnetica; è possibile far sì da avere una coppia motrice significativa ed
avremo il motore in corrente alternata;
7) Possiamo ottenere una corrente indotta in una spira libera di ruotare (rotore) attraverso un
campo rotante (motore asincrono); per ottenere un campo rotante basta considerare l’effetto di
tre solenoidi disposti simmetricamente (con assi a 120°) sulla periferia di uno statore (parte
fissa della macchina), alimentati da una terna di correnti simmetriche (sfasate nel tempo di
120°) a pulsazione Ω. Ogni solenoide produce in ogni punto del traferro un campo
sinusoidale a pulsazione Ω diretto lungo l’asse geometrico del solenoide (z 1,z2,z3); tale campo
può essere scomposto in due campi rotanti (diretto ed inverso) con velocità angolare +Ω e Ω, di intensità costante pari alla metà del valore massimo del campo. Il contributo al campo
del secondo solenoide può a sua volta essere scomposto un un campo rotante diretto ed uno
inverso, ma la posizione spaziale e del secondo avvolgimento e la fase della seconda corrente
fanno sì che la componente diretta sia allineata alla prima e la componente inversa sia sfasata
di 120° rispetto alla prima; ripetendo il discorso per il terzo solenoide si può riconoscere che le
tre componenti dirette si sommano dando luogo ad un campo risultante di valore pari a 3/2
rispetto a quello del singolo avvolgimento, mentre le componenti inverse danno istante per
istante somma nulla (in fig.3, la situazione per t=0).
In realtà nei due tratti di spira ortogonali all’asse di rotazione le cariche sono spinte temporaneamente verso le
pareti.
42
Sui due lati non attivi ha luogo una separazione di cariche che si attestano sulle pareti. Vi sono sonde di misura
del campo magnetico che si basano su questo principio (effetto Hall).
61
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ACCADEMIA AERONAUTICA – POZZUOLI – Anno accademico 2007/08
8) Per quanto detto una terna di avvolgimenti disposti simmetricamente lungo la periferia
interna dello statore, alimentata da una terna simmetrica di tensioni, equivale ad un magnete
rotante (Nord-Sud) e pertanto viene definito coppia di poli. Se gli avvolgimenti non vengono
distribuiti sull’intera circonferenza, ma su una parte 1/p, avrò una macchina a p coppie di poli.
Disponendo in modo regolare gli avvolgimenti sulla periferia interna di statore, si avrà
alternanza di poli Nord e poli Sud; il passo polare (differenza angolare tra due Nord
consecutivi) è pari a 2π/p. La velocità di rotazione equivalente del campo rotante è ω=Ω/p e
quindi la velocità di sincronismo della macchina è p volte più bassa (per p=1 e f=50 Hz la
velocità è di 50 giri/s ossia 3000 giri al minuto, per p=4 la velocità è 750 giri al minuto).
fig.3
1z1
B1=BM cosΩt 1z1
B1i
B1d
Ω
B3d
-Ω
Ω
B2d
B3=BM cos(Ωt+2π/3) 1z3
B1  B 2  B3  B1d  B 2d  B3d 
B3i
1z3
B2i
3
BM
2
1z2
B2=BM cos(Ωt-2π/3) 1z2
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