UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA
Ufficio Stampa
Comunicato stampa
Infarto del miocardio, le alterazioni dei geni dell’emostasi individuati come fattori di
rischio
Geni dell’emostasi e infarto del miocardio: individuata una serie di geni protrombotici,
responsabili cioè del processo di coagulazione, che se “alterati” espongono i soggetti portatori
ad un elevato rischio di infarto del miocardio.
Una ricerca originale e dai risultati molto promettenti dato che ha messo in luce gli effetti
combinati delle alterazioni dei geni dell’emostasi come fattori di rischio dell’infarto del
miocardio, mentre nell’ultimo decennio la maggior parte degli studi si sono focalizzati sui
singoli geni come fattori di rischio.
Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista PLoS ONE, è stato realizzato dall’équipe del
professor Roberto Corrocher, direttore di Medicina Interna del Dipartimento di Medicina
Clinica e Sperimentale dell’ateneo veronese, con il contributo dei colleghi di Genetica Medica
della Facoltà di Medicina e del professor Francesco Bernardi dell’Università di Ferrara.
L’originalità del lavoro consiste nell’aver indagato gli effetti combinati dell’alterazione
(polimorfismi) di una serie di geni normalmente codificati per le proteine della coagulazione.
Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di mortalità e disabilità in tutti i Paesi del
mondo. Oggi le malattie cardiovascolari sono la causa di morte più frequente per gli uomini al
di sotto dei 65 anni d’età e la seconda più frequente per le donne e si ritiene che esse
resteranno la principale causa di morte nei prossimi 15 anni a causa della rapida crescita della
loro incidenza nei Paesi in via di sviluppo e nell’Europa orientale e dell’aumento di obesità e
diabete nel mondo industrializzato.
Lo studio ha dimostrato che il rischio di infarto è tanto maggiore quanto più alto è il numero
dei geni protrombotici alterati presenti nello stesso individuo, arrivando a raggiungere, nella
situazione più sfavorevole, un incremento del rischio fino a sei volte maggiore.
La ricerca, nell’arco di cinque anni, ha sottoposto ad esame 804 soggetti, 489 dei quali con
severa malattia coronarica, comprovata per via angiografica, i restanti con coronarie sane. Di
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questi 489, 307 erano infartuati, 182 senza episodi di infarto al miocardio. Lo studio ha
dimostrato come con l’aumentare del numero di geni sfavorevoli aumentasse linearmente
anche il rischio di infarto. Rispetto a soggetti con 3-7 geni alterati, quelli con un numero
minore di 2 presentavano un rischio diminuito, mentre in quelli con un numero di geni alterati
maggiore di 7 si è riscontrato un corrispettivo aumento del rischio.
Partendo dalla pratica clinica per cui, nonostante la presenza di documentata disfunzione
coronarica avanzata, solo un sottoinsieme di pazienti sviluppa un infarto acuto durante il loro
corso della vita, lo studio ha inteso spiegare le ragioni di questa suscettibilità all’infarto a
partire dalle differenze individuali, ancora poco conosciute.
La ricerca è di particolare rilievo non solo per una maggiore conoscenza dei meccanismi che
determinano l’infarto, ma potrà avere sviluppi sia per la prevenzione che per la cura. Infatti è
possibile ipotizzare l’individuazione in via preventiva dei soggetti particolarmente a rischio di
infarto sporadico. In un prossimo futuro questa nuova scoperta potrebbe infine portare alla
realizzazione di misure terapeutiche preventive e “personalizzate” attraverso studi di farmacogenomica.
La ricerca si è svolta nell’ambito del più ampio progetto “Verona Heart Study” cui l’équipe
guidata dal professor Corrocher lavora da 12 anni. Un progetto che, grazie al finanziamento
del MIUR, della Regione Veneto e della Fondazione Cariverona, studia le interazioni tra
fattori ambientali e corredo genetico individuale nell’insorgere delle malattie cardiovascolari.
Proprio nell’ambito di questo progetto, qualche mese fa lo stesso gruppo aveva individuato il
gene dell’infarto familiare e dell’aterosclerosi precoce. Dopo due anni di collaborazione con il
dipartimento di Molecular Cardiology & Cardiovascular Genetics dell’Università di
Cleveland, l’équipe veronese aveva dimostrato la presenza esclusiva di una variante del
cromosoma 1 nei pazienti affetti da infarto miocardio di tipo familiare.
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