UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE Modello applicato di formazione in servizio rivolto agli insegnanti curriculari e specializzati per le attività di sostegno aa.ss. 2006/07- 2007/08 PRESENTAZIONE L’esperienza di formazione in servizio promossa dall’Ufficio Scolastico Regionale per l’Umbria , iniziata negli aa.ss. 2002/03 e 2003/04, è proseguita nel tempo fino ad approdare all’anno scolastico in corso, durante il quale si stanno concludendo , in due dei nove poli di formazione funzionanti, le azioni intraprese a partire dall’anno scolastico 2006-07. La complessiva attività realizzata nel quinquennio è documentata dalle precedenti pubblicazioni che hanno svolto la funzione di far circolare le esperienze attuate e di non disperdere i risultati raggiunti, perché potessero essere acquisiti come base di partenza per progettare le nuove iniziative. Il tentativo è stato quello di costruire un circuito virtuoso, entro il quale la formazione inerente alle tematiche dei Bisogni Educativi Speciali e della disabilità fosse uno snodo fondamentale nel quadro delle trasformazioni in atto del sistema formativo. L’obiettivo può dirsi raggiunto se è vero che sono stati formati circa 3.000 docenti appartenenti a tutti i gradi scolastici, in servizio nelle scuole di ogni ambito territoriale della regione e, soprattutto, non solo insegnanti specializzati per le attività di sostegno ma, in numero sempre più elevato, insegnanti curricolari. L’articolazione delle attività è stata, inoltre, funzionale alla valorizzazione e al consolidamento delle reti territoriali sia in termini di reti di scuole che di rete fra servizi, associazioni, comunità . Ciò al fine di contribuire all’attivazione di processi che portino le singole unità scolastiche a caratterizzarsi come comunità inclusive, nella prospettiva dell’accoglienza, del riconoscimento e della valorizzazione di ciascun soggetto. Il presente volume tenta di testimoniare quanto assunto a fondamento delle iniziative attivate negli anni scolastici 2006-07/2007-08 e si propone come uno “strumento” di lavoro per chi fosse alla ricerca di risposte specifiche a domande “speciali”, nella convinzione che sia sempre più necessario affinare le competenze e approfondire le conoscenze per rendere efficace il normale fare scuola quotidiano. Questo è il compito che l’Ufficio Scolastico Regionale ha assunto nel tempo e che , mediante l’impegno profuso dal Gruppo di progetto, costituito dai dirigenti scolastici, ai quali peraltro va il mio sentito ringraziamento, presso i cui Istituti si sono tenuti i corsi di formazione, ritiene di aver svolto nella logica di fornire supporto e assistenza alla crescita professionale del personale scolastico. Il Direttore Generale Nicola Rossi 2 L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI AUTISTICI ASSISI PERUGIA TERNI 3 MATERIALE INFORMATIVO (Estratto dalle dispense) Dott.ssa R. Toccaceli …La sindrome autistica è, infatti, un disturbo generalizzato dello sviluppo che mina alle radici quelle funzioni che sono vitali per una corretta evoluzione dei processi cognitivi, deviando in particolare quei percorsi cerebrali che conducono un bambino ad avere condotte comportamentali, capacità di comunicazione e rapporti interpersonali assolutamente nella norma”. Sul Bollettino dell’ANGSA n° 3 , Agosto-Ottobre 2000 si legge che oggi si apre una nuova era di ricerca sull’autismo: le scoperte sulla genetica di tale sindrome portano a riconoscere che i fattori genetici giocano dalla nascita il ruolo principale nella causa dei disordini. Oltre cinquant'anni fa, Leo Kanner, un eminente psichiatra infantile della Jhon Hopkings University, descrisse per primo un insieme di 11 bambini che avevano in comune una serie di caratteristiche cliniche molto peculiari ( era il 1943). Questi bambini erano diversi dagli altri, soprattutto rispetto al loro estremo ritiro sociale. Questo portò Kanner a vedere la loro “solitudine autistica” come la caratteristica più importante di questa nuova sindrome che aveva identificato. Dopo Kanner, molto si è continuato a parlare di autismo e contributi più o meno validi sono stati apportati da illustri studiosi quali: Bettlaim, Schoppler, Delacato, Lovaas… Alcuni di loro hanno parlato di tale problematica in senso positivo, altri in senso negativo attribuendo colpe più o meno gravi ai genitori. …Sono passati più di 50 anni da quando lo stesso dott. Leo Kanner scrisse il primo articolo applicando il termine autismo ad un gruppo di bambini che erano chiusi in se stessi ed avevano seri problemi di socializzazione, di comunicazione e di comportamento. “ Quando veniva portato in una stanza , non si curava per niente delle persone e si interessava immediatamente agli oggetti…….non guardava mai le persone in faccia…………….quando aveva in qualche modo a che fare con loro, le trattava, o piuttosto trattava parti di esse come se fossero oggetti….usava una mano per farsi guidare…….giocando urtava con la testa contro sua madre allo stesso modo in cui altre volte urtava la sua testa contro il cuscino” ( Leo Kanner). Dagli studi di Leo Kanner ad oggi sono passati molti anni ed altri studiosi come lui si sono interessati a tale problema evidenziando delle caratteristiche specifiche comuni a tutti i bambini: si parla della triade delle disabilità 1-interazione sociale 2- linguaggio 3- comportamenti stereotipati . Cerchiamo di esaminarne uno ad uno: 1- INCAPACITA’ NELL’INTERAZIONE SOCIALE: rientrano in essa: Assenza di contatto visivo, espressioni facciali, gesti del corpo e postura. Fallimento nello sviluppare relazioni con i coetanei e con gli adulti. 4 Assenza di condivisione degli interessi e del divertimento con gli altri. 2- INCAPACITA’ LEGATE ALLINGUAGGIO (COMUNICAZIONE): Ritardo o assenza del linguaggio verbale. Mancanza di iniziativa nell’ iniziare e/o sostenere una conversazione. Uso stereotipato o ripetitivo del linguaggio. 3- COMPORTAMENTI STEREOTIPATI: Agitare le dita, oggetti, spaghi. Osservare cose che ruotano. Graffiare le superfici. Digrignare i denti. Essere affascinati dai motivi decorativi degli oggetti. Collezionare un gran numero di oggetti. Essere affascinati da certi argomenti. Utilizzare un linguaggio ripetitivo ed ecolalico. Il primo modello di intervento per l’autismo si è basato sul concetto che il disordine fosse causato da una psicopatologia nei genitori e che la maniera di curare i bambini fosse quella di allontanarli dai genitori e di inserirli in un altro ambiente, con surrogati dei genitori totalmente disponibili ed educativi. L’investigazione sistematica di entrambe le teorie dell’etiologia e della cura ha portato alla conclusione che sia l’ipotesi etiologica attribuita ai genitori sia la cura psico-dinamica basata su questa ipotesi è sbagliata. Quindi, oggi sappiamo che l’autismo è un disordine basato organicamente, non causato dai genitori e che sicuramente occorre avere un approccio completamente diverso della cura. Data l’incapacità dell’approccio psico-dinamico a garantire una cura efficace ai bambini con autismo, si sperimentò il modello sperimentale del comportamento che, in seguito, si è rilevato un approccio efficace. A tal proposito, la cura comportamentale è stato l’unico modello empiricamente sperimentale efficace con i soggetti autistici. LA DIAGNOSI. La diagnosi è di fondamentale importanza infatti è essenziale che l'autismo sia riconosciuto per tempo nella vita del bambino al fine di permettere un efficace intervento e gestione del problema. La diagnosi e l'intervento precoce sono della massima importanza in modo da permettere che le famiglie o coloro che si prendono cura del bambino abbiano accesso ai servizi e ai supporti appropriati. Nella maggiore parte dei casi la triade delle difficoltà emerge nei primi due o tre anni di vita. LE CAUSE. Non si conosce una singola causa specifica. Probabilmente c'è un'origine genetica del disordine,si pensa essere coinvolta una combinazione di diversi geni. L’ autismo può essere causato da una grande varietà di disturbi che colpiscono lo sviluppo neurologico e che si presentano prima durante e dopo la nascita. 5 L’AUTISMO NON E’: Causato dalla mamma frigorifero. Non è un bambino indisciplinato che sceglie di non comportarsi bene. Non è causato da cattivi genitori. Non è causato da cattive condizioni economico – sociali. L’AUTISMO E’: L'autismo è un disturbo dello sviluppo neurologico che colpisce il modo in cui bambino percepisce il suo ambiente modificando la comunicazione e l’interazione con le persone che lo circondano e quindi di conseguenza il suo comportamento. L’ autismo è un disturbo percettivo che impedisce ai bambini di interagire in maniera appropriata con le persone con l'ambiente che li circonda ed è un disordine nell'elaborazione di stimoli sensoriali del cervello definito come disturbo neurobiologico . Questi bambini infatti percepiscono il mondo in modo differentemente dalle altre persone. Per questo motivo, l’ autismo può modificare profondamente i comportamenti di questi bambini, il loro modo di : vedere sentire gustare toccare odorare …………………. In conseguenza la loro capacità di comunicazione. Il disturbo percettivo è allora un elemento molto importante, perché spiega come mai molti bambini affetti da autismo hanno comportamenti che per noi sono difficili da capire. ASPETTO RIABILITATIVO Al momento non c'è nessuna cura specifica per l'autismo ma studi e ricerche hanno dimostrato che interventi specifici ed educazioni strutturate possono contribuire a potenziare le capacità del bambino e a ridurre i problemi comportamentali. Importanza di ogni diagnosi precoce. Ipotesi di un intervento cognitivo-comportamentale secondo il Metodo Lovaas. ALCUNE IPOTESI DI LAVORO: Diventa, così, ipotizzabile la possibilità di reversibilità di tale sindrome mediante tecniche abilitative di stimolazione neuro-senso-motoria a livello terapeutico e, nella scuola, lo sviluppo di modalità sensoriali: in tal modo si presume che si possa consegnare al bambino affetto da autismo la chiave di accesso alla conoscenza ed alla comprensione del mondo. COSA SI PUO’ FARE CONCRETAMENTE? Pretendere che stia seduto Motivarlo molto Far fare attività semplici Rinforzarlo spesso Lavorare su nuove abilità sempre più complesse. 6 “L’INTERVENTO COMPORTAMENTALE PRECOCE” “THE EARLY INTEVENTION PROGRAM” “ Nel 1964, ci trovammo ad occuparci di un gruppo di bambini in un istituto residenziale, un collegio insomma, ed iniziammo a formulare certi programmi intesi ad aiutarli a superare comportamenti ormai fossilizzati e capricciosi, in modo da costruire altri tipi di comportamenti necessari perché i bambini potessero funzionare meglio in ambienti meno ristretti “ Gina Green. Lo scopo di tale metodo risulta essere quello di aiutare i bambini a superare velocemente parecchi dei loro comportamenti negativi e controproducenti, come i capricci, atteggiamenti bizzarri e ritualistici o auto-lesionistici : fino ad insegnare loro dei comportamenti molto complessi, come il linguaggio, che in passato era stato considerato come una cosa impossibile da raggiungere. “ l’Early Intervention Program” e` specializzato nell’aiutare i bambini con la diagnosi di autismo nell’eta` prescolare. Il trattamento e` basato su un’estesa esperienza clinica e piu` di 30 anni di ricerche scientifiche. Si concentra su tutte le aree di funzionamento della personalità: autonomia, imitazione, concentrazione, costanza , cooperazione…..Si insegnano capacità indispensabili per una vita normale Fino ad arrivare al linguaggio: canale comunicativo privilegiato della nostra società. Quindi non è una “terapia” ma è un METODO EDUCATIVO. Oltre ad aver bisogno di aiuto nell' acquistare nuovi tipi di comportamento, parecchi soggetti con disturbi dello sviluppo o ritardati nel comportamento, devono disimparare certi comportamenti sbagliati, come abbiamo detto per esempio fare capricci quando si sentono frustrati e passare ore in giochi ritualistici senza significato apparente. Generalmente “Early Intervention Program” mira ad arricchire i comportamenti intellettuali, accademici, sociali ed emotivi dei bambini per far si che possano trarre vantaggio dalle opportunita` educative e sociali disponibili nelle loro comunita`, richiedendo cosi` meno attenzione professionale col passare del tempo. Il programma di trattamento si concentra su tutte le aree di funzionamento, ma in particolare sulle capacita` verbali. Viene data molta importanza anche all’insegnamento di capacita` che vengono considerate indispensabili per imparare il linguaggio. Queste abilità includono la capacita` d’imitazione, la concentrazione, la costanza nel rispondere e la cooperazione con le richieste di un adulto. Una volta che queste capacita` sono state stabilite, il programma si concentra sull’ insegnamento di specifiche abilita` di linguaggio. Lavoriamo sulle capacita` di linguaggio riducendo questi compiti a livelli fattibili, selezionando accuratamente i compiti che rientrano nelle capacita` del bambino, usando un sistema di premi (che possono essere i baci, gli abbracci, il cibo, il solletico, la musica, l’incoraggiamento e cosi` via). Questo sistema aiuta a mantenere un’ atmosfera di successo nella quale molti bambini imparano piu` facilmente. L`insegnamento e` condotto a livello individuale per 4-8 ore al giorno, 5-7 giorni a settimana, per un totale settimanale di circa 30-40 ore. Vengono insegnate nuove capacita` ai bambini attraverso l’uso di “modifiche comportamentali” o tecniche “comportamentali”. Queste sono tecniche d’insegnamento che si sono sviluppate attraverso valutazioni scientifiche e si sono dimostrate di grande beneficio nel lavoro con persone disabili. Alcune persone pensano che avere un approccio “comportamentale” significa che il trattamento si concentra solo sul ridurre i problemi di comportamento del bambino. Questo e` sbagliato nel nostro caso: L’Early Intervention Program” si concentra sul far acquisire ai bambini nuove abilità. La procedura iniziale del metodo e ` quella di ricompensare in modo soddisfacente il comportamento appropriato del bambino. Visto che ogni bambino trova appaganti cose diverse, i programmi esplorano quali potrebbero essere queste gratificazioni ad esempio il solletico, gli incoraggiamenti verbali, il cibo o giochi. 7 I RINFORZI SONO ALLORA: Ciò che MOTIVA il bambino quando deve lavorare sui programmi di insegnamento Il RINFORZO funge da FEEDBACK : è questo che spinge il bambino a ridare la risposta corretta E’ grazie al rinforzo che il bambino comprende cosa noi stiamo insegnando L’assenza di rinforzo dà al bambino un feedback negativo: il bambino comprende che la risposta che lui ha dato non è corretta. Un’ altra procedura usata nel programma e` quella di dividere le nuove capacita` che il bambino dovra` acquisire in compiti minori piu` facili da apprendere per poi insegnare questi compiti piu` maneggevoli separatamente. Se i compiti resi semplici sono ancora troppo difficili per il bambino, il lavoro aiuta i bambini ad avere successo rinforzando il comportamento corretto. I rinforzi sono poi gradualmente ridotti fino a che il bambino acquisisce la padronanza di questi compiti indipendentemente. L’intensita` del programma e` resa sopportabile per i ragazzi perche` la giornata viene divisa in molte parti. Solitamente una sessione dura 2-3 ore durante le quali il programma spesso racchiude delle attivita` di gioco. Tipicamente i programmi lavorano su un compito specifico per 2-5 minuti e poi si prevede una breve pausa (1-2 minuti). Se questo programma sembra difficile per un bambino in particolare, esso viene modificato secondo i bisogni soggettivi. Oltre il tempo terapeutico strutturato, i genitori spesso sollecitano nella vita quotidiana le capacita` che il bambino ha acquisito. Le ricerche hanno poi dimostrato, che i bambini hanno bisogno di un periodo di trattamento a livello individuale, prima che possano trarre vantaggio da una situazione di gruppo o da una classe di bambini. Il trattamento individuale puo` aver luogo sia a casa del bambino che in una stanza separata di una scuola. Durante il trattamento a livello individuale, i comportamenti dovuti ai problemi del bambino vengono ridotti e vengono stabilite delle capacita` di gioco, linguistiche e sociali . I bambini vengono poi gradualmente introdotti a situazioni di gruppo. La scelta di un gruppo particolare viene basata sul livello di funzionamento del ragazzo. In tutti i casi i programmi provvedono a fornire i più appropriati modelli disponibili di comportamento sociale e di linguaggio. Gli educatori accompagnano i bambini e ne facilitano l’integrazione ai ritmi della classe, incoraggiandoli ad interagire con gli altri. Inizialmente i bambini potranno stare in classe anche solo 30 minuti al giorno, con gli educatori sempre presenti. Il programma poi gradualmente incrementa il tempo che i bambini passano in classe e diminuisce il tempo durante il quale gli educatori sono presenti e disponibili per aiutare. Questo viene fatto per massimizzare il successo dei bambini e per minimizzare l’insuccesso. Le ricerche hanno dimostrato che i trattamenti di comportamento danno molti più benefici di altri interventi psicologici ed educativi. Vengono allora consigliati dei programmi specifici che aiutano i genitori e chi ruota intorno al bambino ad aiutarli a padroneggiare un comportamento non corretto; gli alunni dovrebbero così diventare più facili da trattare a scuola e più integrati nella comunità: quindi, anche più felici. Allo scopo di applicare praticamente i programmi si sono identificati alcuni principi- guida: 1. Coloro che lavorano ed operano in maniera consistente con soggetti affetti da disturbi dello sviluppo e del comportamento devono imparare ad essere insegnanti. Per mantenere il bambino nel suo ambiente naturale si deve diventare un bravo insegnante. In primo luogo ciò protegge il soggetto, dato che vivere in un ambiente ristretto solo al minimo, uno sfrutta al massimo le proprie esperienze d'apprendimento; ma serve anche a proteggere il genitore o l'insegnante contro il dolore di una separazione od il trauma di affidare il proprio bambino a persone o procedimenti che non si capiscono o su cui si ha solo un controllo limato. Invece, imparando le nostre procedure di insegnamento, si avrà accesso al miglior aiuto offerto dai professionisti voi ed al vostro bambino, almeno fino ad ora. 8 2. All’inizio è essenziale proporsi traguardi piccoli questo perché bisogna essere contenti di raggiungere una serie di piccoli traguardi, piuttosto che schierare e lottare per qualcosa di irraggiungibile, 3. I bambini devono lavorare in attività che li interessano: responsabilizzandoli. I soggetti con disturbi dello sviluppo devono lavorare assai duramente; il loro lavoro è proprio quello di “imparare” . Acquistando responsabilità, l'individuo acquista anche dignità e certi diritti basilari della persona umana. 4. Inizia poi il lavoro sui programmi: si introducono certi principi basilari che si concentrano sul modo di presentare l'istruzione, sul come dividere il materiale di insegnamento in parti maneggevoli, su come selezionare evitamento di comportamenti inappropriati e ricompense, e quindi come usare tutto ciò in modo corretto,... i programmi sono utili al fine di aiutare il bambino a prepararsi all’apprendimento. Si insegnano al bambino cose semplici: come sedersi bene su una sedia, come ascoltare l'insegnante, e poi come far fronte nel modo più efficace a comportamenti distruttivi. Per poi arrivare al linguaggio: i passi iniziali per aiutare il soggetto a seguire semplici istruzioni o comandi, identificare oggetti simili, ed anche gli inizi del processo di imitazione del comportamento degli altri. Inoltre il bambino deve imparare il “piacere di giocare” e quindi: insegnargli i primi giochi. Ci sono poi programmi per imparare ad essere autosufficienti, ad esempio come mangiare bene ed educatamente, vestirsi, lavarsi, andare al bagno. Ci si occupa poi del linguaggio intermedio che comprende l’ insegnamento di istruzioni più complesse, la descrizione verbale di certi aspetti basilari dell'ambiente, come chiedere le cose, è previsto inoltre un programma per insegnare a comunicare con i gesti e quindi con una comunicazione manuale utile e quei soggetti che abbiano problemi con l'apprendimento del linguaggio verbale. Si lavora sul linguaggio più avanzato, con la costruzione di frasi semplici e l'insegnamento del linguaggio astratto con contrapposizioni, pronomi, colori, forme. Ci sono programmi su come rendere autonomi i soggetti con disturbi dello sviluppo ad integrarsi nella loro comunità, per esempio ad andare al ristorante al supermercato, si insegna ad imparare attraverso l’ osservazione di come gli altri imparano, il che coinvolge anche la comprensione del soggetto di sentimenti ed emozioni. Questi programmi segnano in definitiva a diventare più spontanei ed a sviluppare l'immaginazione. E’ DI ESTREMA IMPORTANZA UN LAVORO DI EQUIPE ESTESA A TUTTO IL CONTESTO: Ogni persona che ruota intorno al bambino è una parte importante del suo apprendimento ed ognuno ha delle responsabilità: CONSULTANT: dare programmi appropriati secondo il livello di sviluppo del bambino e formare gli operatori. GENITORI: assicurare al bambino il monte ore di lavoro e lavorare per la generalizzazione. INSEGNANTI : essere professionali ed ampliare le conoscenze del bambino nella situazione strutturata e di classe. OPERATORI : essere professionali perché questi bambini non possono perdere tempo. Come detto tutti gli operatori che ruotano intorno al bambino affetto da autismo sono estremamente importanti ed allora è importante spendere alcune parole anche per quanto riguarda il contesto scolastico nel quale i bambini spendono gran parte del loro tempo. 9 CONSIDERAZIONI Si può fare molto per poter aiutare i bambini affetti da autismo. Bisogna rispettare i genitori che sono per i loro bambini una grande risorsa e spesso conoscono la problematica dei loro figli molto meglio di qualsiasi specialista ed anche tutte le altre persone che ruotano intorno a lui. I bambini possono apprendere molto se si usano le strategie giuste, se sono motivati a fare ( perché ricordiamo che sono estremamente frustrati) , se sono aiutati se sono rinforzati nei comportamenti corretti , se ci si lavora per molte ore al giorno, se tutte le persone che ruotano intorno al bambino utilizzano lo stesso linguaggio, le stese strategie, le stesse modalità. L’ importante è che tutto gli venga passato attraverso il gioco, la motivazione, l’esperienza, ma anche la regola e le tecniche per contenere comportamenti inadeguati, le quali tecniche, evitando il ricorso alla punizione, possono rappresentare delle procedure metodologiche importanti perché la nostra società è principalmente una società di regole che devono essere rispettate. 10 Da “Promozione della salute per i minori affetti da autismo” Gruppo di Lavoro(Cantisani, Grignani, Pierini, Rossi) Individuazione Precoce Alcune reviews hanno evidenziato outcomes (esiti) positivi per un certo numero di programmi d’intervento precoci. Nel definire l’espressione: “precocità degli interventi” in letteratura si è fatto spesso riferimento ad un momento ben definito, ma poiché l’età in cui viene posta la diagnosi si va progressivamente abbassando, anche i termini temporali della precocità degli interventi si sono progressivamente abbassati.. In una prospettiva operativa si tende ad applicare il termine precoce ad una fase in cui il disturbo non si è ancora stabilizzato ed in cui si presume sia massima la plasticità e la recettività all’intervento: - sicuramente prima dei 4 anni; - preferibilmente prima dei 3 anni; - possibilmente prima dei 2 anni. Per tutti i disturbi della comunicazione e del linguaggio la fase del 2° e 3° anno di vita è cruciale per l’attuazione di interventi efficaci in ragione della maggiore modificabilità rispetto alle età successive. In una ricerca condotta nel Regno Unito nel 2000 si evidenzia quanto segue: - l’età media delle prime preoccupazioni dei genitori si colloca a 19 mesi; - essa è più precoce se il disturbo è associato a ritardo intellettivo, ritardo psicomotorio, o patologia organica e se ci sono fratelli; - l’età media della 1° consultazione si colloca intorno ai 2 anni; - la distribuzione per fascia d’età è la seguente: - 38% sotto 12 mesi; - 41% 12 - 24 mesi; - 16% 24 - 36 mesi; - 5% oltre 36 mesi. In questa prospettiva, la scala di valutazione “Checklist for Autism in Toddlers” (C.H.A.T.) è utilizzabile con bambini di 18 mesi ed ha ricevuto una validazione su un’ampia popolazione di bambini e costituisce uno strumento particolarmente utile dimostrando una buona specificità. Tuttavia la sensibilità risulta limitata per le forme lievi dello spettro autistico e si registra un numero significativo di falsi negativi . Per quanto invece riguarda i falsi positivi, si evidenziano configurazioni cliniche in cui manifestazioni dello spettro autistico (disturbi della socialità e della comunicazione) sono modificabili in tempi brevi con interventi di tipo ambientale; queste situazioni sono da attribuire a condizioni particolarmente sfavorevoli sul piano della cura e della relazione. Le nuove acquisizioni della ricerca si stanno rivolgendo alla individuazione di strumenti di depistage dei bambini a rischio di evoluzione autistica nel primo anno di vita. E’ plausibile che in una fase così precoce si possa individuare una condizione di deviazione dello sviluppo che può evolvere in forme diverse, non necessariamente verso l’autismo. In questo ambito è opportuno distinguere un intento di prevenzione più generale da un’ipotesi diagnostica che potrebbe avere effetti negativi. 11 Inoltre, più si accresce la possibilità di depistage precoce e più diventa necessaria una specifica formazione del personale in ordine alla gestione delle informazioni raccolte con le tecniche di depistage. E’ importante che i medici ed i pediatri di base svolgano un’attività accurata e continua nella sorveglianza delle tappe del processo neuroevolutivo anche attraverso l’utilizzo di strumenti di screening validati ed appropriati su un piano linguistico e culturale, e che siano attenti nel valutare le preoccupazioni dei genitori circa mancate acquisizioni da parte dei loro figli. Studi sulla capacità dei genitori di rilevare deficit del linguaggio, alterazioni del comportamento e dello sviluppo in generale dei loro figli hanno mostrato elevati valori di sensibilità e specificità . Per il riconosciuto aumento di rischio pari al 3-7%, i fratelli di bambini con diagnosi di autismo dovrebbero essere attentamente monitorizzati circa l’acquisizione delle capacità di comunicare, di giocare e stabilire relazioni sociali ed il verificarsi di turbe comportamentali. Lo screening dovrebbe essere eseguito non solo per i sintomi connessi all’autismo ma anche per il ritardo nel linguaggio, le difficoltà nell’apprendimento, i problemi sociali, i disturbi psicopatologici. I medici e pediatri di base dovrebbero continuare a promuovere le vaccinazioni per tutti i bambini. I genitori dovrebbero essere rassicurati che a tutt’oggi non c’è evidenza scientifica che supporti il sospetto che il vaccino per morbillo-parotite-rosolia o combinazioni di vaccini causino uno dei disturbi dello spettro dell’autismo. Percorso Diagnostico … Indagini di laboratorio raccomandate per ogni bambino con ritardo nello sviluppo e/o autismo includono la valutazione audiologica, con studi elettrofisiologici (la percentuale dei pazienti con deficit uditivi tra i soggetti autistici è pari all’1.7%, negli studi epidemiologici e lo screening per l’intossicazione da piombo (i livelli ematici di piombo sono elevati nei bambini autistici per la tendenza ad ingoiare ogni genere di sostanze anche dannose) . Indagini raccomandate per i bambini autistici comprendono inoltre: - test genetici, in particolare lo studio ad alta risoluzione dei cromosomi, nonchè l’analisi del DNA per la sindrome dell’X fragile, particolarmente in presenza di ritardo mentale o se il ritardo mentale non può essere escluso 20 (gli studi epidemiologici tendono a sottostimare l’associazione tra X fragile ed autismo perché questa condizione non era conosciuta fino a tempi recenti e negli studi più recenti non era sempre condotto uno screening sistematico per l’X fragile - test metabolici selettivi, che dovrebbero essere effettuati in presenza di determinate caratteristiche cliniche quali letargia, vomito ciclico, crisi epilettiche precoci, tratti dismorfici, ritardo mentale accertato o non escludibile. La fenilchetonuria non è stata riscontrata in associazione con l’autismo nei più recenti studi epidemiologici. Tale associazione era rilevata in alcuni studi condotti fino agli anni’80 prima dell’applicazione di misure sistematiche di prevenzione ). Non ci sono, al momento, prove di letteratura sufficientemente adeguate per raccomandare una registrazione elettroencefalografica in tutti i soggetti autistici nonostante l’elevata associazione con l’epilessia (16.8%). La registrazione EEG viene indicata solo nel caso di crisi cliniche, di sospetto di crisi subcliniche e di storia di regressione (perdita di funzione sociale e comunicativa clinicamente significativa). Non c’è evidenza clinica per supportare l’uso routinario delle indagini di neuroimaging nella valutazione diagnostica dell’autismo anche in presenza di macrocefalia . La RMN encefalo diventa necessaria in caso di epilessia o nel sospetto clinico di Sclerosi Tuberosa, data l’associazione non casuale tra le due malattie … Valutazione Funzionale La diagnosi clinica od il sospetto di un disturbo dello spettro autistico impongono l’effettuazione di una valutazione dello sviluppo del bambino per evidenziare il suo funzionamento nei differenti domini della vita psichica: cognizione, comunicazione, comportamento, interazione sociale, abilità 12 motorie e sensoriali e capacità adattive. La valutazione del contesto familiare e dell’ambiente di vita forniscono ulteriori informazioni contestuali. Ciò permette di definire meglio il profilo clinico del bambino (evidenziando eventuali altri disturbi della sfera psichica talora associati ai disturbi pervasivi dello sviluppo) e fornisce una descrizione oggettiva delle abilità e dei deficit (valutazione funzionale), presupposto indispensabile per la pianificazione di un intervento individualizzato appropriato. Poiché i bambini autistici possono presentare profili evolutivi molto diversi con differenti punti di forza e di debolezza, è importante individualizzare le componenti della valutazione funzionale. Quanto emerge dalla valutazione dello sviluppo costituisce inoltre un’utile base oggettiva di riferimento per monitorare l’evoluzione del bambino e valutare l’esito degli interventi. In linea con quanto raccomandato nelle Linee guida su autismo e PDD per bambini piccoli 0-3 anni, del New York State Department of Health (1999) la valutazione dovrebbe comprendere: una definizione per quanto possibile oggettiva delle capacità uditive (v. approfondimenti diagnostici); la somministrazione di prove standardizzate per le funzioni cognitive, la comunicazione , la motricità, le capacità adattive e sociali; l’osservazione diretta del bambino in situazioni strutturate e nei contesti di vita naturale con particolare attenzione alle attività di gioco ed all’interazione coi genitori; l’intervista ai genitori per evidenziare ciò che li preoccupa del bambino, raccogliere una storia dello suo sviluppo precoce ed avere informazioni sul suo livello attuale di funzionamento; a ciò va aggiunta la raccolta dell’anamnesi medica familiare e la visione della documentazione clinica del bambino; l’effettuazione di specifici approfondimenti in base a quanto emerso dall’anamnesi (v. approfondimenti diagnostici);… Nell’effettuare una valutazione di un bambino autistico in età precoce è importante tenere presente il contesto in cui questa si realizza ed in particolare considerare: la presenza dei genitori e i suoi effetti sul comportamento del bambino; la familiarità del bambino con l’ambiente; i fattori ambientali di distrazione. E’ importante che la valutazione si realizzi in più di una sessione ed in più di un contesto poiché: il comportamento del bambino può variare in funzione della familiarità con l’ambiente e con l’esaminatore; il livello di benessere del bambino nel rapporto con l’esaminatore può aumentare nel tempo; un comportamento del bambino può variare da un giorno all’altro. Le procedure e gli esiti della valutazione vanno spiegati ai genitori con un linguaggio per loro comprensibile; è utile confrontare le prestazioni del bambino con la norma attesa per l’età e specificare le implicazioni di quanto emerso dalla valutazione (in funzione degli interventi da attuare). Si sottolinea l’importanza della valutazione cognitiva del bambino con possibile autismo in quanto è cruciale la differenziazione tra bambini con autismo solamente, bambini con autismo e ritardo mentale e bambini con ritardo mentale solamente. La valutazione cognitiva deve prevedere: l’uso integrato di test standardizzati in grado di fornire un Quoziente di Sviluppo od un Quoziente Intellettivo ; 13 l’osservazione diretta delle condotte del bambino; le informazioni provenienti dagli adulti che si prendono cura del bambino (familiari ed educatori). … La valutazione della comunicazione del bambino con possibile autismo è importante perché un ritardo nella comunicazione e/o un suo sviluppo atipico costituisce uno degli aspetti clinici fondamentali per definire la patologia autistica. … La valutazione delle interazioni sociali e delle relazioni del bambino con possibile autismo è importante perché l’inabilità nel campo delle relazioni sociali è una delle caratteristiche primarie dell’autismo. … La valutazione delle condotte e delle risposte all’ambiente è importante per indirizzare l’intervento e definire una base per il monitoraggio successivo. … La valutazione della famiglia e dell’ambiente di vita, a cui la famiglia stessa dovrebbe partecipare in maniera attiva e consapevole, è importante perché le risorse ed i limiti del contesto sono elementi che condizionano le scelte relative all’intervento ed hanno implicazioni per l’outcome. Trattamenti Riabilitativi ed Educativi Da una analisi della letteratura si evidenzia che i trattamenti comportamentali ed educativi sono diventati gli approcci terapeutici predominanti per i bambini autistici: si tratta di approcci che hanno come base comune l’utilizzo di tecniche fondate sul condizionamento operante e su strategie cognitivo-comportamentali. … Prospettive degli interventi sull’autismo in Umbria Di fatto nessuna tecnica specifica ha dimostrato di essere la più efficace per tutti i bambini appartenenti allo spettro autistico. Inoltre i costi e gli effetti collaterali negativi non sono considerati, previsti o discussi adeguatamente negli studi sperimentali. Esiste un divario tuttora non colmato completamente tra gli studi sperimentali (realizzati su campioni ristretti di pazienti, con caratteristiche talora non pienamente sovrapponibili) e la pratica clinica, anche quando gli studi siano indirizzati alla evidenziazione degli esiti dei trattamenti: in questo ambito spesso i gruppi studiati non sono confrontati con gruppi di controllo e la comorbilità, così come l’ampia variabilità del campione, fanno si che vengano a giocare un ruolo decisivo variabili complesse non facilmente controllabili. Pertanto possiamo affermare citando Schopler che le evidenze scientifiche positive sull’efficacia dei trattamenti per l’autismo, seppure presenti, sono ancora deboli. Nell’orientare le scelte cliniche sul singolo soggetto, considerando anche l’ampia variabilità delle manifestazioni sintomatiche, la mutevolezza del quadro nel corso del tempo e la importanza cruciale che hanno le risorse messe a disposizione dai contesti di vita, dalla famiglia e dalle strutture socio-sanitarie, si è costretti ad effettuare notevoli adattamenti nella applicare le evidenze disponibili alla pratica clinica. I trattamenti educativo-comportamentali costituiscono l’approccio che in letteratura riscuote maggior credito. Ci pare pertanto necessario prendere in considerazione l’opportunità e la fattibilità di una loro applicazione da parte del Sistema Sanitario Umbro. In questo quadro riteniamo opportuno rilevare pure gli aspetti problematici nell’impiego dei trattamenti comportamentali intensivi per l’autismo: personale addestrato da impegnare per 20-40 ore a settimana supervisione sistematica (settimanale, in media 2 ore per ogni bambino) da parte di supervisori esperti costo molto elevato potenziale destabilizzazione della famiglia. 14 In questo quadro il recepimento delle raccomandazioni proposte dalla letteratura accreditata in merito alla valutazione ed al trattamento delle situazioni autistiche non appare di facile realizzazione pratica. Per quanto riguarda i servizi territoriali umbri si prefigura la predisposizione di un percorso a tappe in cui le attuali modalità di cura vengano progressivamente integrate con azioni improntate ai modelli di intervento di provata efficacia. Perchè ciò avvenga è necessario impostare un percorso formativo promosso e sostenuto dal livello regionale con il contributo attivo delle Aziende Sanitarie, delle Associazioni delle famiglie, del Sistema Scolastico, dei Comuni e delle Province. Di seguito si elencano le criticità di un processo volto ad innovare l’approccio al bambino autistico che assuma gli apporti dei metodi educativi e comportamentali nell’operatività delle agenzie educative ed assistenziali che si occupano dei minori: 1. elaborare programmi di formazione specifici: che coinvolgano tutte le agenzie assistenziali ed educative 2. prevedere fasi di insegnamento individualizzato e successivamente strategie di generalizzazione: ripensare i percorsi di integrazione, sia scolastica che sociale, senza rinunciare ad essa come obiettivo finale. 3. impegnare risorse aggiuntive: finanziamento pubblico di progetti specifici per l’autismo. che individuino équipe cliniche specializzate e pool di educatori-operatori della cooperazione sociale specificamente formati. 4. garantire compatibilità e complementarietà alle componenti dei programmi di intervento: integrare tutti gli apporti disponibili per obiettivi condivisi e mantenere coerenza nei diversi contesti 5. garantire continuità nel progetto di cura: predisporre strategie coordinate per l’infanzia, l’adolescenza e l’età adulta 6. istituire di un registro regionale per l’autismo ed i disturbi generalizzati dello sviluppo psicologico. Strategie di cura 1. La presa in carico Come per molte situazioni di handicap, la presa in carico del bambino con sospetto Autismo, non è esaurita dalla predisposizione di un programma terapeutico ma richiede l’integrazione di diversi interventi, per la molteplicità dei bisogni che i pazienti e le loro famiglie presentano e presenteranno nel corso del tempo.Questi interventi devono essere fra loro coordinati, ed è compito dei servizi predisporli e monitorarli nel tempo. Gli obiettivi della presa in carico sono: - tempestività nella segnalazione (diagnosi precoce) - appropriatezza di contenuti nell'iter diagnostico e nel progetto terapeutico e riabilitativo - verifica dei risultati attraverso adeguato follow-up - promozione dell’integrazione sociale - appropriato supporto alle famiglie I criteri guida per la costruzione del percorso Autismo sono: 15 - - - - appropriatezza e semplificazione delle procedure: si deve identificare il corretto responsabile della erogazione della risposta più adeguata ai diversi bisogni espressi dal paziente e dalla sua famiglia. Deve essere evitata la duplicazione e ripetizione degli interventi; coordinamento, sia fra i professionisti, sia fra i diversi settori e/o le strutture che accolgono il bambino nelle prime tappe dell’iter diagnostico e nelle successive fasi terapeutiche ed abilitative; la necessità di formazione e/o di aggiornamento specifici deve prevedere la preventiva identificazione di una équipe multidisciplinare ad hoc in sede locale, il cui territorio di riferimento va definito sulla base di valutazioni strategiche appropriate (numero dei casi, tempi necessari per la corretta presa in carico, collegamenti funzionali intersettoriali ed interistituzionali, conformazione geografica della Azienda sanitaria, dotazione di personale già esperto, strutture ospedaliere di riferimento, etc.); coinvolgimento dei familiari nella definizione e programmazione del percorso di cura e nella valutazione della qualità della assistenza. 2. L’équipe di riferimento aziendale per le patologie autistiche Alla luce di quanto detto nei paragrafi relativi alla diagnosi e trattamento delle patologie autistiche è appropriato raccomandare che, nel rispetto delle logiche organizzative delle singole Aziende, sia individuata una équipe multiprofessionale con specifica formazione sui numerosi test e strumenti diagnostici e metodi abilitativi, che per ogni realtà aziendale possa garantire approfondimento e conferma diagnostica, programmazione e supervisione alla costruzione di progetti individualizzati, rapporti con le istituzioni scolastiche per interventi di formazione, supporto, etc.. E’ ipotizzabile un modello in cui alla stessa équipe afferiscano specialisti ed operatori di diversi Servizi Specialistici per l’Età Evolutiva (Neuropsichiatri Infantili, Psicologi, Logopedisti, Psicomotricisti, Educatori Professionali, Assistenti Sociali) che accolgono il bambino nelle prime tappe dell’iter diagnostico e che successivamente lo seguono per il trattamento e il follow up terapeutico ed abilitativo, oltre che per l’inserimento e la riabilitazione sociale, al fine di garantire continuità operativa al percorso assistenziale. Per la attuazione concreta dei programmi individualizzati è decisiva la funzione degli operatorieducatori delle cooperative sociali che nell’attuale svolgono l’attività di assistenza domiciliare. Sarebbe opportuno individuare forme organizzative che permettano di costituire gruppi di operatori con specifiche competenze che, in stretta collaborazione con l’équipe clinica, possano dare maggior continuità e coerenza agli interventi; va anche predisposta la messa a disposizione degli operatori di luoghi fisici specificatamente dedicati da utilizzare come base logistica da cui partire ed in cui organizzare attività di rinforzo delle esperienze esterne. In una prospettiva educativa e riabilitativa è indispensabile poter contare su operatori che , grazie alla competenza acquista, condividano con i Servizi Specialistici e la famiglia il compito e la responsabilità di tradurre in esperienza quotidiana i progetti concordati. Alla équipe possono essere assegnati i seguenti impegni e le seguenti responsabilità: - diagnosi, programmazione ed avvio del trattamento; - individuazione dei referenti del piano di trattamento e loro coordinamento; - adempimenti di legge per l'inserimento scolastico; - attività di supporto alla famiglia; - supporto formativo e consulenziale al personale della scuola ed a educatori o volontari; - promozione dell’inserimento sociale anche attraverso l’attivazione di attività ludiche o di tempo libero sulla base di collaborazioni attivate a livello aziendale/territoriale con i diversi settori interessati (altri servizi distrettuali, Servizi Sociali, Scuola, Volontariato). 16 3. La rete dei servizi Per costruire il percorso in età pediatrica, la rete dei servizi con cui la équipe di riferimento aziendale per le patologie autistiche dovrà interagire è rappresentata da: - Pediatri di Libera Scelta per la individuazione precoce dei casi di sospetto Autismo/DGS e il monitoraggio dei casi a rischio (anche attraverso l’uso di check list già validate, come la CHAT, utilizzabile per lo screening a partire dai 18 mesi d’età); - Servizi Sociali per l’attivazione di progetti integrati secondo le recenti normative, per il sostegno alle famiglie, per la gestione dell'integrazione scolastica e sociale, del tempo libero; - Ufficio Scolastico Regionale, Comuni, Province per la definizione di protocolli di collaborazione mirati all’Autismo ed in particolare per la formazione degli insegnanti, degli educatori dei nidi e delle scuole materne, per le competenze assistenziali e l’attivazione di figure di assistenti alla comunicazione ( v. L. 104/92). Questa rete di servizi dovrà garantire continuità di formazione e di reciproco scambio di esperienze, progetti di sviluppo e di ricerca oltre che garantire un reale “percorso di vita” ai soggetti autistici e alle famiglie attraverso l’attuazione di progetti di cura individualizzati. 4. Il percorso della continuità assistenziale per i minori affetti da Autismo Considerando quanto esplicitamente indicato nelle precedenti considerazioni, si propongono le seguenti linee strategiche per la definizione del percorso integrato clinico-assistenziale del piccolo paziente affetto da Autismo: 1. il Pediatra di Libera Scelta formula il sospetto di Autismo, ed invia il bambino all’attenzione della équipe aziendale per l’Autismo che opera in collaborazione con i Servizi Specialistici per l’ Età Evolutiva; 2. l’ équipe aziendale per i disturbi autistici garantisce: - una valutazione clinica al fine di giungere alla eventuale conferma diagnostica entro tre mesi dall’invio da parte del PLS, anche attraverso il completamento degli indispensabili approfondimenti strumentali e laboratoristici per la diagnosi differenziale ed eziologia; tali approfondimenti possono richiedere tempi più lunghi, auspicabilmente non oltre sei mesi; - la consegna della diagnosi ai genitori, corredata con: - tempestiva e corretta informazione sulle diverse opportunità e modalità di trattamento, prognosi, etc. - descrizione del progetto individualizzato e dei suoi referenti - orientamento sull’accesso ai diritti connessi alla presenza di invalidità/handicap, etc. - informazioni utili a prendere contatto con le specifiche Associazioni dei familiari; - la costruzione del progetto di trattamento individualizzato e la sua realizzazione attraverso l’utilizzo di risorse specificamente dedicate e di personale debitamente formato; - il coordinamento delle varie azioni e la verifica periodica degli esiti e del percorso. - tutte le procedure per l’assistenza integrata nei vari ambiti di vita, incluso l’eventuale inserimento temporaneo in realtà residenziali o semi-residenziali; 3. Il Pediatra di libera scelta continua ad essere il principale referente per la salute complessiva del soggetto, mantenendo una reciprocità informativa con l’équipe aziendale per i disturbi autistici. 17 BIBLIOGRAFIA - - CHATHERINE MAURICE Behavioral Intervention for Young Children with Autism Shoal Creek Boulevard Autism, Texas 1996. EIKESETH S. & LOVAAS O.I. The autistic label and its potentially detrimental effects on the child’s treatment. Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry. LOVAAS O. I. Teaching Developmentally Disabled Children .The ME book, Autism ProEd. MAURICE, C. GREEN, G & LUCE S. C. Behavioral Intervention for Young Children with Autism , Autism Pro- Ed. JORDAN R. e POWELL S. (1997) Autismo e intervento educativo, ed. Erickson VOLKMAR et al. (2005) Autismo e Disturbi generalizzati dello sviluppo (vol. 1 e 2) ed. Vannini HODGDON L. (2005) Strategie visive per migliorare la comunicazione, Vannini Caretto F., Ciprietti T., Vannelli S. & VOLPE N. (1998) Autismo: la visualizzazione nella comunicazione recettiva. Giornale Italiano dell’Handicap e delle Disabilità di Apprendimento . CARRETTOF., DE ANGELIS D. & VOLPE N. (1997) La riabilitazione cognitiva nell’Autismo. Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza. CARR E.G. (1997) Il problema di comportamento è un messaggio, ed. Erickson Rivista quadrimestrale “Autismo e disturbi dello sviluppo”, ed. Erickson 18 L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI CON DISTURBI DI APPRENDIMENTO (DISLESSIA, DISORTOGRAFIA, DISGRAFIA, DISCALCULIA) FOLIGNO GUBBIO TERNI ORVIETO 19 STRUTTURA DEL CORSO MATERIALE INFORMATIVO NOTA PER LE SCUOLE SU DISLESSIA E DSA: PROVVEDIMENTI COMPENSATIVI E DISPENSATIVI La dislessia è un disturbo specifico di apprendimento che può verificarsi in ragazzi per il resto normali , cioè senza handicap neurologici o sensoriali o condizioni di svantaggio sociale. La difficoltà di lettura può essere più o meno grave e spesso si accompagna a problemi nella scrittura e/o nel calcolo. Lo sviluppo delle conoscenze scientifiche ha permesso di stabilire che si tratta di una caratteristica costituzionale, determinata biologicamente e non dovuta a problemi psicologici o di disagio socio-culturale. Queste difficoltà permangono dopo la prima fase di acquisizione e si manifestano in un difficile rapporto col testo scritto e la sua decodifica. E' facile capire come in una cultura come la nostra, così fortemente legata alla scrittura, questo problema incida pesantemente condizionando la vita scolastica e in seguito la vita professionale. Molti di questi ragazzi non sono riconosciuti come dislessici e non ottengono alcuna facilitazione o adattamento della didattica che permetta loro di avere pari opportunità di apprendimento. Il mancato riconoscimento ha importanti conseguenze psicologiche, determina spesso l’abbandono della scuola e talvolta un futuro professionale di basso livello nonostante le potenzialità di creatività e di intelligenza che questi ragazzi manifestano. Inoltre influisce negativamente sullo sviluppo della personalità e compromette un adattamento sociale equilibrato. Anche se riconosciuti, i ragazzi dislessici attualmente non godono di nessuna tutela specifica, a differenza di quanto accade in numerosi paesi europei. Per riuscire a leggere e scrivere devono impegnare al massimo le loro capacità e le loro energie, si stancano molto ed impegnano molto tempo, sono lenti, troppo lenti, commettono errori, saltano parole e righe. Altra caratteristica è la sostituzione in lettura e scrittura di lettere con grafia simile p b d g q - a/o - e/a o suoni simili: t/d - r/l - d/b - v/f e altre non prevedibili. Molti dislessici hanno difficoltà : - ad imparare l'ordine alfabetico, i giorni della settimana, i mesi in ordine. - nell'espressione anche verbale del pensiero, hanno un lessico povero e non memorizzano i termini difficili. - a riconoscere le caratteristiche morfologiche della lingua italiana; quasi sempre le prestazioni grammaticali sono inadeguate. Molti dislessici sono anche discalculici, ovvero non riescono a: - imparare le tabelline - fare calcoli in automatico - fare numerazioni regressive - imparare le procedure delle operazioni aritmetiche. Praticamente tutti i dislessici hanno grosse difficoltà ad apprendere le lingue straniere, in particolare scritte, e la difficoltà maggiore è rappresentata dalla lingua inglese a causa delle differenze molto 20 accentuale tra la scrittura e la pronuncia delle lettere e tra la pronuncia e la scrittura di una stessa lettera in parole diverse. Per i motivi sopra indicati si ritiene importante che i ragazzi segnalati dai servizi sanitari con dislessia o difficoltà di apprendimento, ottengano la possibilità di uso, dove necessario, di strumenti compensativi quali: - tabella dei mesi, tabella dell'alfabeto e dei vari caratteri, - tavola pitagorica, - tabella delle misure, tabelle delle formule, - calcolatrice, - registratore, - cartine geografiche e storiche, tabelle della memoria di ogni tipo - computers con programmi di videoscrittura con correttore ortografico e sintesi vocale, commisurati al singolo caso - cassette registrate (dagli insegnanti, dagli alunni, e/o allegate ai testi), mediante anche la predisposizione in ogni scuola di una fonoteca scolastica contenente il testo parlato dei libri in adozione , ed altri testi culturalmente significativi, ( possibilità di collaborazione col Centro del "Libro parlato” dell'Unione Italiana Ciechi) - dizionari di lingua straniera computerizzati, tabelle, traduttori - richiesta alle case editrici di produrre testi anche ridotti e contenenti audio- cassette o cd-rom Parallelamente, in maniera commisurata alle necessità individuali e all’entità del disturbo di apprendimento, si dovrà garantire la dispensa da alcune prestazioni quali: - lettura a voce alta, scrittura veloce sotto dettatura, lettura di consegne, uso del vocabolario, studio mnemonico delle tabelline; - dispensa dallo studio delle lingue straniere in forma scritta, a causa delle difficoltà rappresentate dalla differenza tra scrittura e pronuncia; - tempi più lunghi per prove scritte e per lo studio, mediante una adeguata organizzazione degli spazi ed un flessibile raccordo tra gli insegnanti; - organizzazione di Interrogazioni programmate; - assegnazione di compiti a casa in misura ridotta; - possibilità d'uso di testi ridotti non per contenuto, ma per quantità di pagine (come già avviene in vari paesi europei tra i quali la Gran Bretagna dove esiste lo stesso testo ampio oppure ridotto per i dislessici). NOTA PER LE SCUOLE SU DISLESSIA E DSA: PROVVEDIMENTI COMPENSATIVI E DISPENSATIVI La dislessia è un disturbo specifico di apprendimento che può verificarsi in ragazzi per il resto normali , cioè senza handicap neurologici o sensoriali o condizioni di svantaggio sociale. La difficoltà di lettura può essere più o meno grave e spesso si accompagna a problemi nella scrittura e/o nel calcolo. Lo sviluppo delle conoscenze scientifiche ha permesso di stabilire che si tratta di una caratteristica costituzionale, determinata biologicamente e non dovuta a problemi psicologici o di disagio socio-culturale. Queste difficoltà permangono dopo la prima fase di acquisizione e si manifestano in un difficile rapporto col testo scritto e la sua decodifica. E' facile capire come in una cultura come la nostra, così fortemente legata alla scrittura, questo problema incida pesantemente condizionando la vita scolastica e in seguito la vita professionale. 21 Molti di questi ragazzi non sono riconosciuti come dislessici e non ottengono alcuna facilitazione o adattamento della didattica che permetta loro di avere pari opportunità di apprendimento. Il mancato riconoscimento ha importanti conseguenze psicologiche, determina spesso l’abbandono della scuola e talvolta un futuro professionale di basso livello nonostante le potenzialità di creatività e di intelligenza che questi ragazzi manifestano. Inoltre influisce negativamente sullo sviluppo della personalità e compromette un adattamento sociale equilibrato. Anche se riconosciuti, i ragazzi dislessici attualmente non godono di nessuna tutela specifica, a differenza di quanto accade in numerosi paesi europei. Per riuscire a leggere e scrivere devono impegnare al massimo le loro capacità e le loro energie, si stancano molto ed impegnano molto tempo, sono lenti, troppo lenti, commettono errori, saltano parole e righe. Altra caratteristica è la sostituzione in lettura e scrittura di lettere con grafia simile p b d g q - a/o - e/a o suoni simili: t/d - r/l - d/b - v/f e altre non prevedibili. Molti dislessici hanno difficoltà ad imparare l'ordine alfabetico, i giorni della settimana, i mesi in ordine nell'espressione anche verbale del pensiero, hanno un lessico povero e non memorizzano i termini difficili. a riconoscere le caratteristiche morfologiche della lingua italiana; quasi sempre le prestazioni grammaticali sono inadeguate. Molti dislessici sono anche discalculici, ovvero non riescono a: imparare le tabelline fare calcoli in automatico fare numerazioni regressive imparare le procedure delle operazioni aritmetiche Praticamente tutti i dislessici hanno grosse difficoltà ad apprendere le lingue straniere, in particolare scritte, e la difficoltà maggiore è rappresentata dalla lingua inglese a causa delle differenze molto accentuate tra la scrittura e la pronuncia delle lettere e tra la pronuncia e la scrittura di una stessa lettera in parole diverse. Per i motivi sopra indicati si ritiene importante che i ragazzi segnalati dai servizi sanitari con dislessia o difficoltà di apprendimento, ottengano la possibilità di uso, dove necessario, di strumenti compensativi quali: 22 tabella dei mesi tabella dell'alfabeto e dei vari caratteri tavola pitagorica tabella delle misure, tabelle delle formule calcolatrice, registratore cartine geografiche e storiche tabelle della memoria di ogni tipo computer con programmi di videoscrittura con correttore ortografico e sintesi vocale, cassette registrate (dagli insegnanti, dagli alunni, e/o allegate ai testi), mediante anche la predisposizione in ogni scuola di una fonoteca scolastica contenente il testo parlato dei libri in adozione , ed altri testi culturalmente significativi, (possibilità di collaborazione col Centro del "Libro parlato” dell'Unione Italiana Ciechi) dizionari di lingua straniera computerizzati tabelle, traduttori richiesta alle case editrici di produrre testi anche ridotti e contenenti audiocassette o cd-rom Parallelamente, in maniera commisurata alle necessità individuali e all’entità del disturbo di apprendimento, si dovrà garantire la dispensa da alcune prestazioni quali: lettura a voce alta, scrittura veloce sotto dettatura, lettura di consegne, uso del vocabolario, studio mnemonico delle tabellone dispensa dallo studio delle lingue straniere in forma scritta, a causa delle difficoltà rappresentate dalla differenza tra scrittura e pronuncia; tempi più lunghi per prove scritte e per lo studio, mediante una adeguata organizzazione degli spazi ed un flessibile raccordo tra gli insegnanti; organizzazione di Interrogazioni programmate; assegnazione di compiti a casa in misura ridotta; possibilità d'uso di testi ridotti non per contenuto, ma per quantità di pagine (come già avviene in vari paesi europei tra i quali la Gran Bretagna dove esiste lo stesso testo ampio oppure ridotto per i dislessici). 23 BIBLIOGRAFIA AAVV, Il gruppo educativo, luogo di scontri e di apprendimenti, a cura di M.G. Contini, Carocci, 2000 BANDURA A., Il senso di autoefficacia. Aspettative su di sé e azione, Erickson, Trento, 1996 CARLETTI A.,VARANI A., Didattica costruttivista. Dalle teorie alla pratica in classe, Erickson, Trento, 2004 CARLETTI A.,VARANI A., Ambienti di apprendimento e nuove tecnologie, Erickson, Trento, 2007 COMOGLIO M., CARDOSO M.A., Insegnare e apprendere in gruppo, LAS Roma, 1998 DOZZA L., Il lavoro di gruppo tra relazione e conoscenza, La Nuova Italia, Firenze 1993 LODRINI T. (a cura di), L’apprendimento collaborativo: percorsi di formazione, FrancoAngeli, Milano, 2004 C. CORNOLDI, Le difficoltà di apprendimento a scuola- Il Mulino C. CORNOLDI, R. DE BENI, Gruppo MT, Imparare a studiare 2, Erickson, 2004 MALAGOLI, TOGLIATTI, ROCCHIETTA TOFANI, Il gruppo classe, NIS, Roma, 1990 PUTTON A. Empowerment e scuola, Carocci, Roma 1999 http://www.costruttivismoedidattica.it http://www.oppi.it www.bda-dyslexia.org.uk 24 L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI CON ADHD BASTIA FOLIGNO MAGIONE ORVIETO TERNI UMBERTIDE 25 MATERIALE INFORMATIVO Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD) AAVV (Prof. G. Mazzotta, Dott.ssa B. Gallai, Dott. Margheriti, Dott.ssa F. Listanti, Dott.ssa Floridi) Cenni storici La prima descrizione formale di un bambino iperattivo con cui il disturbo viene inquadrato come un problema medico fu pubblicata su un giornale scientifico nel 1902 da Sir George F. Still dopo alcune conferenze per il Royal College of Physicians inglese. Egli descrisse un gruppo di bambini impulsivi con significativi problemi di comportamento. Intorno agli anni 1917-18 fu posta l'ipotesi di una relazione organica tra patologia nel cervello e il comportamento iperattivo, inattento ed impulsivo. Negli anni immediatamente successivi alla Prima Guerra Mondiale, una disastrosa epidemia virale causò innumerevoli casi di encefalite. Alcuni bambini guariti dalla encefalite mostravano sintomi di iperattività, inattenzione ed impulsività e questi sintomi vennero messi in relazione ai danni cerebrali, evidenziati anatomopatologicamente nei soggetti deceduti. A partire dagli anni ’30 alcuni autori individuarono un gruppo di bambini che presentava anomalie del comportamento: • Ipermotricità, • Instabilità attentiva • Difficoltà mnesiche, • Impulsività ed aggressività • Difficoltà di apprendimento Cosa é ? E’ una sindrome comportamentale caratterizzata da: IMPULSIVITA’ DISATTENZIONE: Incapacita’ a fissare l’ATTENZIONE in maniera continuativa IPERATTIVITA’: Livelli di ATTIVITA’ MOTORIA aumentati. E’ una patologia complessa che comprende disfunzioni inerenti diverse aree: COGNITIVA (disattenzione) MOTORIA (iperattività) COMPORTAMENTALE-RELAZIONALE (impulsività) (Saccomani e Orsini, 2001) DISATTENZIONE Spesso non riescono a … Prestare cura ai dettagli Mantenere l’attenzione per un periodo prolungato Evitare distrazione specie in compiti poco motivanti 26 Organizzare le proprie attività, pianificare Ascoltare e seguire istruzioni Affrontare compiti lunghi, terminandoli nei tempi previsti Avere cura delle proprie cose IPERATTIVITA’ – IMPULSIVITA’ Spesso … Si muovono eccessivamente anche in contesti poco adeguati Sembrano continuamente mossi da un motorino Passano continuamente da una attività all’altra Sparano le risposte a caso (in genere parlano eccessivamente) Interrompono o sono invadenti nei confronti degli altri Non sanno aspettare il proprio turno e sono impazienti Agiscono senza riflettere, non valutando le conseguenze PERSONALITA’ – EMOTIVITA’ Scarsa capacità di sopportare frustrazioni e di differire i bisogni o i desideri (diversa percezione del tempo). Relazioni sociali conflittuali/tendenze oppositive Scarsa autoregolazione di emozioni e impulsi (sensazioni intense e piuttosto estremizzate). Relazioni sociali conflittuali/scarso rispetto di regole Tendenza ad attribuire ad altri (comunque all’esterno da sé) la causa dei propri successi. Scarsa autostima, stile attributivo depresso Scarsa motivazione (scarsa “tenuta”) nelle attività che richiedono sforzo cognitivo. Insuccesso scolastico Elementi caratteristici 1. Iperattività 2. Debolezza percettivo-motoria 3. Labilità emotiva 4. Carenza di coordinazione 5. Deficit di attenzione 6. Impulsività 7. Disordini della memoria e del pensiero 8. Difficoltà specifiche dell’apprendimento 9. Disturbi del linguaggio e dell’udito 10. Segni neurologici minori Sapir e Nizburg 1982 L’incapacità a rimanere attenti ed a controllare gli impulsi fa si che, spesso, i bambini con ADHD abbiano una minore resa scolastica e sviluppino con maggiore difficoltà le proprie abilità cognitive. Il difficoltoso rapporto con gli altri, le difficoltà scolastiche, i continui rimproveri da parte delle figure di autorità, il senso di inadeguatezza, fanno sì che questi bambini sviluppino un senso di demoralizzazione e di ansia, che accentua ulteriormente le loro difficoltà. SINTOMI 27 … devono essere più gravi di quelli rilevati in altri bambini della stessa età o dello stesso livello di sviluppo; … i sintomi devono durare almeno 6 mesi; … devono essere presenti in diversi contesti (famiglia, scuola, attività sportiva); … devono creare gravi problemi nella vita quotidiana (significativa compromissione sociale, scolastica, etc); … si modificano con l’età e possono durare per tutta la vita. Il bambino con ADHD: 1. Spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione a scuola, nel lavoro o in altre attività; 2. Spesso ha difficoltà nel sostenere l’attenzione in compiti assegnati o in attività ludiche; 3. Spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente; 4. Spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze o i doveri sul posto di lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità a capire); 5. Spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività; 6. Spesso evita o non gradisce compiti che richiedono uno sforzo mentale protratto;. 7. Spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività;. 8. È spesso, e facilmente, distratto da stimoli estranei; 9. È spesso sbadato nelle attività quotidiane. Sintomi cardine iperattività 1. Spesso giocherella con le mani e con i piedi e non sta fermo sulla sedia; 2. Spesso si alza dal suo posto in classe o in altre situazioni dove si dovrebbe rimanere seduti; 3. Spesso corre qua e là e salta in modo eccessivo in situazioni in cui è fuori luogo (negli adolescenti e negli adulti, può limitarsi a sensazioni soggettive di irrequietezza); 4. Spesso a difficoltà a giocare o a dedicarsi ad attività di svago in modo tranquillo; 5. È spesso in movimento o agisce come se fosse “attivato da un motorino”. Mostra un costante schema di eccessiva attività motoria che, in sostanza, non cambia in funzione del contesto o delle esigenze della vita sociale; 6. Spesso parla troppo. Sintomi cardine Impulsività 1. Spesso risponde precipitosamente prima che la domanda venga completata; 2. Ha spesso difficoltà ad aspettare il proprio turno; 3. Spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti. Diagnosi di ADHD La diagnosi di ADHD deve basarsi su una valutazione accurata del bambino condotta da un Neuropsichiatra Infantile La diagnosi può essere formulata anche da altri operatori della salute mentale dell’età evolutiva (medici o psicologi) con specifiche competenze sulla diagnosi e terapia dell’ADHD e sugli altri disturbi che possono mimarne i sintomi o che possono associarsi ad esso (diagnosi differenziale e/o comorbilità). 28 La valutazione deve sempre coinvolgere oltre al bambino, i suoi genitori e gli insegnanti Devono essere raccolte, da fonti multiple, informazioni sul comportamento e la compromissione funzionale del bambino Devono sempre essere considerati fattori culturali e l’ambiente di vita. La diagnosi si basa sull’osservazione clinica del bambino/adolescente e sulle informazioni fornita da genitori, insegnanti ed altre figure di riferimento. Da tali informazioni deve risultare evidente la presenza in diversi contesti dei sintomi cardine del disturbo, l’età di esordio, la durata dei sintomi e, soprattutto, il grado di compromissione funzionale. 29 Disturbo da Deficit dell’Attenzione con Iperattività Impatto sul funzionamento globale del minore e cronicità del disturbo Solo ADHD Comportamento antisociale Allontanamento dalla scuola Abuso di Bassa Disturbo sostanze autostima Oppositivo Comportamento Scarse Provocatorio stupefacenti Disturbo della attitudini distruttivo Disturbo condotta sociali Relazioni dell’Umore Demotivazione Problemi di familiari Difficoltà di apprendimento disturbate apprendimento 30 PUNTI DI FORZA Generosità (propensione a spendersi per gli altri senza calcoli personali) Senso dell’umorismo e dell’ironia Empatia (capacità di sentire le emozioni e di mettersi nei panni degli altri) Modalità divergente di pensiero Il pensiero divergente è il pensiero creativo, alternativo e originale. E' sollecitato da situazioni aperte, come quelle sociali, e che ammettono più soluzioni alternative. In opposizione al pensiero convergente, che consiste in un procedimento sequenziale e deduttivo, nell'applicazione meccanica di regole apprese, nell'analisi metodica di dati. Si adatta a problemi chiusi che prevedono un'unica soluzione. E' il pensiero sollecitato anche dalla scuola (Guilford). I FATTORI AMBIENTALI POSSONO COSTITUIRE DELLE CONDIZIONI DI AGGRAVAMENTO … Presenza di familiari con lo stesso disturbo (il disturbo è maggiormente caratterizzato geneticamente; il bambino ha modelli DDAI in famiglia). Se si osservano altri disturbi il quadro è più complesso. Se il bambino ha un basso livello cognitivo avrà meno possibilità di sviluppare strategie di compensazione. Le relazioni familiari disorganizzate non aiutano lo sviluppo dell’autoregolazione. Se gli adulti non riescono ad accettare il problema, il bambino verrà inutilmente accusato e punito, con un conseguente aggravamento della situazione. … MA L’AMBIENTE PUO’ PRODURRE ANCHE FATTORI DI MIGLIORAMENTO Oltre alle situazioni contrarie descritte relativamente ai fattori di aggravamento, la condizione del bambino può migliorare se: Gli si insegna a rispettare le regole (che siano poche, comprese e condivise). Chi lo educa ha un atteggiamento riflessivo e calmo. Gli si insegna a saper attendere. Gli educatori premiano la sua accuratezza dei lavori piuttosto che la velocità (frettolosità), credendo che velocità significhi intelligenza. La famiglia chiede una consulenza COME SI INTERVIENE? L’unica risposta che può sortire un certo effetto è un lavoro integrato che coinvolge scuola, famiglia e bambino. E’ necessario portare scuola e famiglia ad interpretare nello stesso modo il comportamento del bambino (difficoltà specifica, che non diventi alibi). Possono essere utili strategie comportamentali (scuola e famiglia) e metacognitive (scuola e bambino). In alcuni casi può essere necessaria una temporanea terapia farmacologica. 31 Terapia non farmacologia Approccio Psico-educativo: • Strategie funzionali di rinforzo e modellamento: – Problem solving, – Autoistruzioni, – Autoattribuzioni, – “rinforzo positivo”, – “costo della risposta”. • Consulenza/”addestramento” per genitori ed insegnanti – Counseling parentale, – Istruzioni agli insegnanti. Approccio Psicoterapico e Terapie Comportamentali Eventuali apprendimenti di comportamenti funzionali al contesto sociale in cui si trova inserito il ragazzo possono verificarsi solo se vengono intrapresi dei percorsi di carattere psico-educativo che coinvolgano la famiglia, la scuola e il ragazzo. • • • Psicoterapia cognitiva Psicoterapia comportamentale Psicoterapia familiare: – Problem solving – Auto-monitoraggio – Mediazione verbale Scopi e obiettivi del trattamento • Ridurre i sintomi dell’ADHD, – Ridurre i sintomi in comorbidità, – Ridurre il rischio di ulteriori complicazioni, – Educare il paziente e l’ambiente nei confronti del disturbo, – Adattare l’ambiente ai bisogni del paziente, – Migliorare le capacità di adattamento di paziente, genitori, insegnanti,.. – Cambiare l’atteggiamento negativo. ASSOCIAZIONE tra Terapia Farmacologica e non • La terapia per l’ADHD si basa su un approccio multimodale che combina interventi psicosociali con terapie mediche. (Taylor et al. 1996; NICE 2000; AACAP 2002). • I genitori, gli insegnanti e lo stesso bambino devono sempre essere coinvolti nella messa a punto di un programma terapeutico, individualizzato sulla base dei sintomi più severi e dei punti di forza identificabili nel singolo bambino. 32 PSICOEDUCAZIONE E CONSULENZA Principi base per l‘alleanza terapeutica Chiedere ai genitori, ai minori, quando possibile, e alle altre persone coinvolte la loro opinione sul problema e sulla possibile soluzione – Informare tutte le persone coinvolte su ADHD e relativi problemi associati, – Riferire a tutte le persone coinvolte le opzioni di intervento, – Sviluppare insieme un piano di trattamento, – Indicare a genitori e parenti come interagire con il paziente nella vita quotidiana, – Presentare materiale di auto-aiuto, – Sviluppare possibilità di auto-organizzazione e di auto-controllo con i bambini più grandi/adolescenti. “Outcomes” desiderati nei vari trattamenti – Migliorare le relazioni con i familiari, insegnanti e coetanei; – Ridurre i comportamenti distruttivi, – Migliorare il rendimento scolastico e/o lavorativo, – Aumentare l’indipendenza nelle attività appropriate per l’età; – Migliorare l’autostima, – Aumentare i comportamenti sicuri (es. attraversare strada, stare seduto con adulto nei luoghi pubblici, etc.). Trattamenti – Affrontare la sindrome ADHD come una cronica condizione; – Stabilire le finalità da raggiungere in accordo con il minore, i genitori e gli insegnanti, – Terapia comportamentale per i minori e parent training, – Farmaci stimolanti in monoterapia. CONSEGUENZE PER L’APPRENDIMENTO Fallimento in tutti quei compiti che richiedono abilità organizzative Rifiuto dei lavori lunghi anche se semplici Difficoltà di lettura Difficoltà di comprensione del testo scritto (inibizione dati ininfluenti) Difficoltà di scrittura (disgrafia) Difficoltà nella stesura di testi scritti Difficoltà nell’esposizione di materie orali Difficoltà nella soluzione problemi Difficoltà di memorizzazione/difficoltà nel richiamo delle conoscenze pregresse COSA PUO’ FARE L’INSEGNANTE Lavorare sull’organizzazione della classe Mantenere attiva l’attenzione Gestire efficacemente le consegne Pianificare il lavoro didattico Gestire i momenti di transizione e il tempo libero Tenere presente la disposizione dei banchi: “Dalla cattedra vedo il bambino?” “Posso raggiungerlo in breve tempo?” “Quali compagni 33 ha vicino?” “Quali sono le condizioni di luce?” Tenere sotto controllo i possibili distrattori Cartelloni, cestino, tavoli con materiale ludico, compagni vivaci Tenere sotto controllo il tempo Orologio nella classe Stabilire delle buone “routine” modalità di ingresso nella classe pause di lavoro routine di inizio lavoro attività durante la ricreazione, pausa mensa ecc. dettatura compiti in orari stabiliti routine per l’uscita dalla classe Stabilire delle regole condivise facilmente consultabili ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO SCOLASTICO Cura dell’attenzione E’ necessario utilizzare strategie per mantenere l’attenzione focalizzata sul compito: Suddividere il compito e introdurre brevi pause permettendo al bambino di ricaricarsi Concordare dei segnali comprensibili soltanto al bambino e all’insegnante per segnalare la perdita di concentrazione Avviare il bambino a procedure di autocontrollo sul proprio prodotto scolastico: “caccia all’errore” Curare la comprensione delle consegne scritte Accertarsi che esse siano comprese nella loro interezza. Utilizzare nelle consegne complesse diagrammi di flusso esemplificativi Aiutare il bambino per la scrittura dei compiti a casa o Dettare i compiti in un momento prestabilito non al suono della campanella o Verificare che il bambino stia scrivendo, se necessario avvicinarsi al banco durante la dettatura Pianificare strategie di soluzione: azioni e programmi di tipo metacognitivo Feedback frequenti sulla correttezza del lavoro fatto e sull’utilizzo di strategie Stabilire un contratto di gratificazione con premi e privilegi concordati Struttura della lezione e sussidi didattici Seguire l’ordine degli argomenti dato all’inizio della mattina Presentare gli argomenti con figure, audiovisivi, stimoli colorati Porre gli argomenti facendo domande Variare il tono della voce Alternare compiti attivi e compiti passivi Utilizzo del computer Organizzazione dei momenti di transizione e tempo libero Durante l’intervallo predisporre delle attività Non utilizzare mai come punizione lo stare fermi Prevedere alcuni minuti di “decompressione” dopo un’attività motoria intensa (mettere in ordine i banchi, chiacchierare con il compagno qualche minuto…) Concordare le modalità degli spostamenti Mensa: stabilire ruoli e attivare la rotazione 34 BIBLIOGRAFIA A. Canevaro – 2006 Le logiche del confine e del sentiero;Trento – Erickson C.Cornoldi, T. De Meo F. Offredi; 2001 Iperattività autoregolazione cognitivaTrento - Erickson R. De Beni, F. Pazzaglia- Guida alla metacognizione ; Trento – Erickson C. Ianes;2005; Bisogni educativi speciali e inclusione, Trento – Erickson D. Ianes, S. Cramerotti;2005 – 2007 ; Il piano educativo individualizzato. Progetto di vita.Guida . Trento – Erickson G. Marzocchi, A Molin, S.Poli; 2000; Attenzionee metacognizione, Trento – Erickson A.M. Notti; 2005; Apprendere e progettare. Strumenti e modelli di programmazione scolastica; Roma; Anicia B.M. Varisco; 2006; Costruttivismo socio- culturale;Roma , Carrocci 35 SCUOLA E LAVORO PER L’EFFETTIVA INTEGRAZIONE SOCIALE UMBERTIDE 36 L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI CON MINORAZIONE VISIVA PERUGIA TERNI 37 MATERIALE INFORMATIVO Minorazione della vista e apprendimento Dott. V. Bizzi Condurre una riflessione intorno alle modalità del processo di conoscenza in condizioni di cecità e, ancor più, tentare di intuire la qualità della rappresentazione mentale della realtà esperita, è impresa ardua che richiede estrema prudenza e umiltà, soprattutto quando tale tentativo sia attuato da chi vede. Il confronto con la minorazione visiva provoca in chi vede sentimenti di sgomento e di angoscia che derivano dalla insopportabile proiezione di sé in quel mondo ignoto, che si immagina povero e tenebroso. Questi atteggiamenti di tipo fobico inducono, per difesa, a sostituire l’esigenza di capire il fenomeno della cecità con effimere emozioni di compatimento. Tale pathos oscuro è generato dalla difficoltà che chi vede ha nel concepire la possibilità e il piacere della conoscenza, in modi diversi da quelli visivi che gli sono naturali. In un certo senso si può affermare che è tanto difficile per un cieco immaginare il vedere, quanto per un vedente lo è il concepire la condizione di cecità. Con la differenza che chi è cieco difficilmente pensa di aver compreso la visione, mentre spesso chi vede presume erroneamente di poter immaginare la condizione sensopercettiva della persona minorata della vista, raffigurandosela semplicisticamente come “buio”. Un bambino di 10 anni, cieco dalla nascita, mi confidò un giorno di non sapere ancora che cosa fosse il buio, ma con tono autoironico ricordava che all’età di due anni sentiva parlare tutti i suoi amici coetanei della loro paura per il buio: “chi andava di notte a letto con i genitori, chi addirittura si faceva la pipì addosso, chi piangeva “e allora di questo buio avevo paura anch’io”, “e sai come me lo immaginavo? Come un uomo fatto di mollica...” e poi aggiunse “sai, la mollica mi faceva tanto schifo...”. A dieci anni era cosciente di non sapere cosa volesse dire buio, né luce, né colore. Ad un altro bambino, con molto semplicismo, qualcuno aveva tentato il solito ingenuo abbinamento fra temperatura e colore, illudendosi di avergli dato modo di recuperare una certa competenza cromatica attraverso un procedimento sinestesico. In effetti il bambino stupì i genitori passeggiando davanti al caminetto acceso e definendo la fiamma odorosa, crepitante e calda, e con l’aggettivo “rossa”, e ancor più in una giornata di neve e freddo dicendo: “mamma, quanto bianco 38 c’è fuori casa”. Ma ci rimase molto male quando, gustando una fresca fetta di cocomero, sentì il fratello dire che era bella rossa. Da ciò derivano convinzioni preconcette, contraddittorie ed errate, delle quali il bambino cieco è vittima impotente. Nella eterogeneità delle idee presunte circa le caratteristiche che si ritengono proprie della minorazione visiva, si pone ad un estremo chi immagina il bambino cieco come una sorte di monade, chiuso in un mondo buio e propriocettivo, a volte connotato da sfumature autistiformi, mentre all’estremo opposto si manifesta la convinzione che la cecità non costituisca un problema poi tanto insidioso e, anzi, si riduce la soluzione delle difficoltà alla mera definizione della più efficiente dotazione tecnologica, alla quale si delega una funzione protesica sostitutiva della vista, prescindendo dalla esatta capacità di definire i suoi problemi. Si tratta, ovviamente, di esemplificazioni estreme che contengono tuttavia qualcosa di vero: il desiderio di semplificare il confronto e, ad un tempo, l’obiettiva eterogeneità delle situazioni umane, che possono associarsi alla patologia visiva. In effetti, a complicare il tentativo di concepire realisticamente la condizione ed i bisogni del bambino, intervengono non solo le interferenze di tipo fobico e proiettivo già accennate, ma anche la obiettivamente complessa fenomenologia della minorazione. Basti pensare, per brevità, solo a quanto diversificata possa essere l’influenza della minorazione visiva in relazione a due fra le numerose variabili che con essa interagiscono: età di insorgenza ed entità dell’eventuale residuo visivo. La condizione della persona ipovedente è in gran parte influenzata dalla difficoltà di definire la qualità e la prospettiva della sua funzione visiva residua. Si tratta spesso di patologie ad evoluzione incerta per le quali l’oculista può fare molto o qualcosa. Non è nemmeno facile immaginare bene come il bambino ipovedente riesca a vedere e perciò, a volte, è anche incerta o impropria la richiesta di prestazioni visive. A volte si considera la situazione meno grave di quanto non sia e si pretendono cose che proprio non può fare. In altri casi, più raramente, non gli si attribuisce erroneamente alcuna residua capacità e lo si tratta come un bambino cieco. Il bambino stesso non ha la capacità di rappresentare bene il proprio effettivo limite, anche per mancanza di un’esperienza visiva integra alla quale confrontarlo; più spesso invece preferisce mimetizzarlo per non incorrere in atteggiamenti di commiserazione e di temuta emarginazione. Intorno a lui l’ambiente educativo analizza con ansia le sue condotte visive alla ricerca di segnali confortanti. Ogni visita oculistica, ogni notizia di nuove possibilità terapeutiche viene affrontata con comprensibile, trepidante speranza. Ogni delusione genera sofferenza e spesso scatena la ricerca di nuove possibilità per continuare a sperare. 39 In entrambe le tendenze, il bambino rischia di non essere valutato e stimolato nel rispetto dei suoi reali limiti e possibilità. Il bambino ovviamente non è in grado di analizzare con piena consapevolezza queste dinamiche intorno a sé, ma intuisce perfettamente che la propria difficoltà visiva è fonte di preoccupazione e impara perciò a simulare una condotta da vedente molto attesa e gratificata dai familiari. Anche a scuola tende ad apparire come non è e spesso riesce a disorientare gli insegnanti e i compagni: preferisce perdere molte opportunità di aiuto piuttosto che correre il rischio di essere disvelato nella propria minorazione. Il bambino vive questa condizione con grande ansia poiché è costretto ad aggirare tutte le situazioni che potrebbero farlo identificare. Tutto ciò è logorante e genera un conflitto con se stesso. Vive in una condizione di ambivalenza, nasconde la propria identità reale, si sforza di apparire diverso dalla propria realtà e alla lunga perde fiducia in se stesso. Evitare questi rischi non è facile poiché questi sono per lui anni di crescita insidiata da speranze e delusioni, lunghe ospedalizzazioni, a volte, pesanti terapie. Sono percorsi dolorosi, imponderabili, inevitabili e anch’essi ambivalenti poiché se da un lato salvaguardano, com’è giusto, il residuo visivo, dall’altro distolgono il bambino dalla sua serenità. I genitori hanno bisogno di essere aiutati, appena possibile, con competenza a comprendere bene il residuo visivo del bambino valorizzandolo per quanto possibile, ma non oltre, con appropriati strumenti e a confrontarsi realisticamente con le sue difficoltà esistenziali. Semplificando, tra le risposte dell’ambiente educativo alla disabilità visiva, si possono individuare due tendenze opposte o ambivalenti: l’una tesa ad esaltare e a pretendere insistentemente ogni residua possibilità visiva, anche la più effimera e illusoria; l’altra, più ferita e delusa, scivola nello sconforto e nella rassegnazione. Non è d’altra parte cosa semplice reagire alla ferita e avviarsi sulla strada della consapevolezza e del confronto realistico. È una strada lunga e accidentata e, spesso, le persone che incontri lungo il percorso sono prodighe di giudizi, ma avare di comprensione. Non ci sono indicazioni dettagliate, ma solo orientamenti. Ognuno ha il proprio percorso. Solo giorno per giorno, procedendo tra alti e bassi, tentativi ed errori, maturano le intuizioni appropriate e nasce nella coppia un orgoglio speciale per le conquiste fatte con il proprio figlio. In queste condizioni il bambino si sentirà capito, rispettato nelle proprie esigenze e incoraggiato a sperimentare appieno le proprie possibilità compensative. 40 Il bambino con minorazione visiva congenita rischia danni di varia provenienza. La deprivazione sensoriale comporta di per sé un’enorme perdita di stimoli e di informazioni utili per lo sviluppo delle potenzialità intellettive. Anche le naturali dinamiche affettivo-relazionali possono essere turbate dalla cecità, per la perdita o la mancanza di risposta di contatto madre-figlio attraverso lo sguardo che a sua volta ingenera difficoltà di comunicazione per carenza di competenze reali o per povertà di linguaggio mimico-gestuale. Ma ai danni direttamente derivanti dalla deprivazione sensoriale se ne aggiungono spesso altri causati dalla disinformazione e dalla incompetenza dell’ambiente educativo, che non sa controbilanciare con opportune scelte ed azioni, i problemi indotti dalla disabilità. In effetti il bambino avrebbe bisogno di genitori, parenti, amici, insegnanti sereni, competenti, stimolanti e severi. Ma, com’è comprensibile, ben di rado tutto ciò è umanamente possibile. Bisogna dire che se qualcosa si è fatto per migliorare l’integrazione scolastica poche sono invece le iniziative e i servizi in grado di offrire tempestivamente alle famiglie aiuto concreto e indirizzi educativi competenti, lenitivi del disorientamento e della sofferenza della coppia. Spesso i genitori si sentono anche rimproverare per non aver “accettato” la situazione del bambino e ciò provoca ulteriore sofferenza o al contrario un sentimento di sfiducia e di insofferenza sociale. In effetti è molto più comodo giudicare che capire. È più facile e sbrigativo sfuggire nel pietismo che lasciarsi pervadere, con fermezza, dalla intuizione dell’altrui condizione di dolore. Ma è bene ricordare che solo chi ha Pietas, cioè coraggio di accostarsi alla difficoltà umana dell’altro, saprà poi trovare in sé, con sofferta spontaneità, le parole giuste e le azioni opportune. Ciò che occorre favorire nei genitori non è tanto un’improbabile e sterile “accettazione”, quanto un impegno ad un dinamico confronto con i problemi esistenziali della persona che non vede. Questo quadro è aggravato ancor più dagli effetti dei preconcetti e dei limiti che il medesimo ambiente educativo presume di saper individuare e di poter attribuire al bambino, ritenendoli inevitabilmente connessi alla minorazione. Ad esempio spesso si ritiene che un bambino con minorazione visiva possa avere una limitata autonomia e perciò si inibisce la sua naturale pulsione psicomotoria anticipando ogni suo intento esplorativo. Questi interventi impediscono di fatto la corretta costruzione di concetti spaziali, la maturazione di abilità di movimento e di orientamento e avviliscono, infine, la costruzione di una integra immagine di sé. Il bambino vittima di questa ipertutela, in effetti non impara a muoversi con destrezza e 41 autonomia e con ciò involontariamente conferma l’ambiente educativo di aver saputo prevedere i suoi limiti. Si tratta di un effetto Pigmalione alla rovescia, è una triste profezia che si auto-avvera e fa sentire gli educatori autorizzati a immaginare altre caratteristiche preconcette: “non ci vede, ma con la parola dimostrerà la sua intelligenza”. In relazione all’età d’ insorgenza, la perdita della vista può, invece, indurre un quadro doloroso, caratterizzato da una logorante o traumatica constatazione della riduzione di autonomia, dallo stravolgimento delle prospettive esistenziali, a volte, paralizzanti forme di autocommiserazione pietistica. A ciò bisogna aggiungere la progressiva riduzione del patrimonio immaginativo-iconico, che piano piano può perdere di certezza, mancando un rinnovo percettivo, e l’esaurimento dell’attualità rappresentativa, poiché la realtà, negli anni, va cambiando rispetto al ricordo. Per chi perde la vista ad una certa età, e non è questa l’occasione per poter indicare ancora più puntualmente l’esatta influenza dell’età, può non esser facile recuperare per intero capacità ed abilità, sulle quali invece un cieco dalla nascita si è trovato inevitabilmente orientato. Può accadere ad esempio che non si riesca o addirittura proprio non si voglia imparare ad usare almeno discretamente il Braille o altri strumenti tiflotecnici e che si resti esclusivamente legati alla memoria visiva, riducendo o rifiutando l’apertura ad altri panorami percettivi. In tali condizioni possono trascorrere anche anni, prima che la persona ritrovi slancio vitale, e accetti non la minorazione, come si usa dire, ma piuttosto l’impegno a confrontarsi con i suoi effetti limitativi. Solo in tal caso matura la decisione di affrontare un percorso compensativo e riabilitativo che restituisce autonomia e stima di sé. Progressivamente si impara ad usare sensi che non erano stati mai valorizzati fin tanto che si vedeva, si apprezzano attraverso il tatto sensazioni mai notate, si scopre in ultima analisi il piacere di conoscere, si recupera con fatica, ma con enorme soddisfazione, la capacità di orientarsi e muoversi in autonomia, utilizzando riferimenti acustici, anemestesici, olfattivi e motori, mai applicati in precedenza. Si recupera dignità e si decide di riaprirsi ad un confronto sociale con amabilità e, se necessario, con fermezza, accettando di lottare contro gli eventuali pietismi e pregiudizi. Il processo conoscitivo tra il soggetto vedente e l’oggetto è descritto in genere come caratterizzato da una prima importante fase di approccio definito sincretico-globale, alla quale fa seguito un’eventuale fase di analisi più o meno approfondita, e si conclude in una sintesi che è frutto di dati senso-percettivi integrati dalle soggettive vicissitudini e dalle particolari caratteristiche di personalità, offrendosi dinamicamente ad ulteriori eventuali processi elaborativi di associazione confronto, generalizzazione, inferenza, etc. 42 In riferimento alla persona non vedente viene posta prevalentemente in evidenza l’importanza dell’analisi, riducendo ai minimi termini il valore del primo approccio e si riconduce il momento della sintesi alla qualità dei dati esperiti e alla loro integrazione sinergica. Tuttavia, pur riconoscendo il rischio di una parcellarità dell’approccio con l’oggetto e la conseguente ingannevolezza o presunzione di competenza, è doveroso riconoscere a questo primo momento un valore determinante sia per la costituzione mentale, pur se incompleta, dell’oggetto di conoscenza, sia per l’attivazione di quelle energie che consentiranno, attraverso un’adeguata spinta motivazionale, la conduzione laboriosa e faticosa di un’ampia, ordinata e sinergica analisi intersensoriale di tutte le caratteristiche costitutive dell’oggetto. Purtroppo accade spesso che il bambino cieco, se non adeguatamente stimolato, in un clima ludico e affettuoso, possa rivolgere prevalenti attenzioni alla dimensione propriocettiva, non aprendosi ad un panorama esterocettivo spesso poco allettante e sicuramente più impegnativo. Se il bambino, pur avendo potenzialità sensoriali residue integre, non viene indotto a valorizzarle, può presentare mani “cieche”, cioè ipotoniche, inattive, tendenti a giocare e a intrattenersi l’una con l’altra, incapaci di rilevare con spontanea aggressività esplorativa le molteplici caratteristiche tattili e aptiche della realtà. Le mani che toccano con attenzione rilevano con accuratezza le caratteristiche di temperatura, di consistenza e di qualità della superficie dell’oggetto mentre il movimento esplorativo, coordinato e attento, promuove la valutazione della forma, delle dimensioni e delle modalità operative. Il tatto procede nell’analisi su ambiti percettivi e spaziali limitati, che rischiano di fornire indicazioni, tanto puntuali quanto parcellari, se non interviene una buona abilità dinamica nel collegare i singoli frammenti attraverso un’azione esplorativa corrispondente alla forma e alla dimensione dell’oggetto. Anche l’occhio, d’altra parte, non vede con sguardo statico, ma ricostruisce la forma, le relazioni spaziali e il movimento attraverso velocissimi spostamenti esplorativi. Attraverso queste manine a lungo baciate, accarezzate, “giocate”, deve essere fatto pervenire al bambino un messaggio di amore e di piacere, associato ad un coerente messaggio verbale gradevole per ritmo, tono e intensità. Piano piano il bambino imparerà a corrispondere e a riconoscere, pur se in modo ancora confuso, l’esistenza di altro da sé come fonte di piacere e a pensarlo e a ricercarlo con attenzione uditiva selettiva e con atti esplorativi sempre più coordinati. L’ascolto degli stimoli uditivi provenienti dall’ambiente consente una valutazione assai ampia e una globale raffigurazione dello spazio, ma spesso risultano difficili da discriminare i riferimenti più puntuali e autonomizzanti. 43 Il bambino può imparare a riconoscere tramite l’udito la “voce” caratteristica dell’oggetto e la sua direzione e distanza. Il mondo acustico rischia di presentarsi al bambino minorato visivo come un’aggressione disordinata e indifferenziata, nella quale riconosce tuttalpiù la caratteristica uditiva dell’oggetto e impara ad associarla con il suo nome. Riconosce il trillo del telefono e dice “telefono”, avverte prima degli altri il babbo che torna dal tintinnio delle sue chiavi, ma si dovrà porre molta attenzione affinché sappia anche com’è fatto il mazzo delle chiavi o il telefono e dove si trova, e come si usa. Il coetaneo vedente impara per osservazione e imitazione spontanea. In lui invece il movimento esplorativo in tutte le sue dimensioni deve integrarsi con l’esperienza sensoriale: uditiva, aptica, tattile, olfattiva, anemestesica, barica e solo allora conduce ad una competente conoscenza realisticamente associata al nome dell’oggetto. Un ambiente educativo poco accorto rischia di “celebrare” l’uso della parola del bambino senza rendersi conto del rischio derivante dalla mancanza di concrete esperienze correlate ad essa e si preoccupa più di incrementare il repertorio di parole che il confronto con la realtà. A volte questo scollamento è anche erroneamente ritenuto come ovvia e insuperabile conseguenza della minorazione visiva e ci si illude di poter indurre con le parole competenze e immagini prettamente visive. Il bambino, d’altra parte, in assenza di stimoli esterocettivi, fra l’altro quasi sempre impegnativi, tende ad optare per una dinamica di prevalente autointrattenimento fatta di sensazioni propriocettive e interocettive e impara a usare la parola come giocattolo. In tale situazione nel bambino può manifestarsi un piacere affettivo per la parola in sé, che viene usata senza alcuna significativa esperienza correlata. Il verbalismo nel bambino non vedente ha quindi questa doppia valenza negativa: l’uso della parola senza competenza con risultati effimeri e ingannevoli per la comunicazione nell’apprendimento; la dimensione dell’autointrattenimento con il piacere di pronunciare, di ripetere, di ascoltarsi che scoraggia una apertura relazionale. Fin da piccolo al bambino dovranno essere proposte verbalizzazioni delle azioni principali. La realtà dovrà essere nel tempo presentata con esperienze semplici sostenute da parole essenziali e appropriate, espresse con gioiosità incisiva per promuovere la compartecipazione e favorire nel bambino una pregnante associazione tra oggetto, azione, emozione e parola. Nascono proto-immagini, pre-concetti, si strutturano in progressione pre-requisiti e si delineano molte mappe cognitive, motorie, espressive, sempre più raffinate. In futuro questo patrimonio di radici sarà fondamentale per edificare conoscenze e linguaggi sempre più complessi, raffinati e creativi. 44 Tutta la sensazione residua impara così ad attivarsi, a capire le varie caratteristiche costitutive dell’oggetto e a riordinarsi in un approfondimento sempre più esaustivo che promuove la maturazione di una rappresentazione dell’oggetto assolutamente significativa e dignitosa. È necessario rivedere il convincimento assai diffuso che il pensiero dell’oggetto esperito, la sua rappresentazione o la sua ricostruzione immaginativa sono possibili solo in presenza della sua raffigurazione mentale di tipo visivo. A tal proposito ci si sente spesso chiedere con disorientamento “ma un cieco sogna? E come fa a sognare?”. Queste domande rivelano la difficoltà del vedente nel concepire un pensiero del reale in assenza della relativa immagine iconica, la “foto” mentale dell’oggetto, e può disvelare l’incredulità nel riconoscere al cieco la capacità di avere esperienze, ricordi, competenze di qualità assolutamente dignitose, effettivamente abilitanti alla produzione culturale più autentica e aperta al piacere di conoscere all’osservazione critica e all’ideazione creativa. Perché stupirsi quindi se una conoscenza della realtà così vivamente condotta si presta anche validamente alla funzione di “materiale onirico”? Forse la risposta può essere semplicemente: si sogna, come si vive. Quante volte bambini ciechi mi hanno raccontato i loro sogni o li ho sentiti agitarsi o parlottare nel sonno. Romeo mi confidò ciò che aveva appena sognato: “Ero a casa e mamma cucinava e rimproverava mio fratello che aveva preso una mia camicia. Poi è arrivato papà che mi cercava, ma non mi trovava e allora mamma piangeva”. Come tutti noi anche questo bambino aveva ripreso dalla propria esperienza, dalle proprie emozioni e sentimenti, quei frammenti, quei contesti che rappresentavano il suo desiderio, il suo problema, il suo sogno. Se volessi descrivere la mia agenda, alla quale sono affezionato, potrei dire che è di pelle morbida e tiepida, la superficie è lievemente incisa da microscopiche rughe, è pesantuccia e se la batto con la mano fa un rumore sordo e ovattato, ha un lontano residuo di odore di pelle, ha le seguenti dimensioni, la chiusura è garantita da un grande bottone automatico e le pagine sono divise in sette spazi, uno per ogni giorno della settimana. Credo che nessuno possa avere dubbi che una descrizione così ben strutturata consente di rappresentare o di immaginare l’oggetto con effettiva competenza,. manca solo il colore! Ma quanti vedenti, percepito l’aspetto cromatico, avrebbero avuto interesse e abilità ad indagare l’oggetto in modo così esaustivo ed integrato? Chi vede può certamente imparare da chi non vede che, oltre a due comodissimi occhi, siamo anche dotati di molte altre possibilità sensoriali, che in gran parte trascuriamo, e dal cui contributo potremmo ricevere possibilità di conoscenza assai più ricca e soddisfacente. Ma, a questo punto, ammesso che un significativo approccio e un’accurata analisi intersen45 soriale possano garantire la rappresentazione dell’oggetto, è necessario chiedersi quanta parte del reale è direttamente esplorabile con i sensi residui? Oggetti troppo grandi, oggetti pericolosi o inafferrabili, come possono essere ricondotti ad una significativa possibilità di conoscenza? Fin dalle prime intuizioni dei grandi tiflopedagogisti è stata però messa in luce la centralità della educazione immaginativa nel processo educativo compensativo dei limiti indotti dalla minorazione visiva. L’attività immaginativa consente di ricostruire, o meglio di “reificare”, una realtà che non è direttamente osservabile. Questo processo è fondato sul patrimonio di esperienze, informazioni, concetti appresi dalla persona in qualunque altro contesto, ma evocati e associati in modo composto e vivace attraverso una descrizione accurata, una riproduzione a rilievo o mediante altri frammenti esperienziali appositamente organizzati. Sia ben chiaro che una simile attività è caratteristica anche di chi vede: ad esempio riusciamo a far immaginare nel corso di una comunicazione telefonica, come è fatto un nuovo acquisto che l’interlocutore non vede e non conosce, ma è in grado di ricostruire grazie all’appropriata descrizione che gli offriamo, evocativa di competenze che sappiamo, per certo, essere in suo possesso. Chi non vede è continuamente sollecitato ad un impegno immaginativo che, se ben condotto, può consentire di reificare una realtà, che spesso sfugge al suo diretto controllo sensoriale. È tuttavia da notare che nel vedente tale attività si avvarrà di frammenti prelevati da un patrimonio iconico-cromatico e tenderà a riprodurre l’oggetto in una configurazione visiva. Nella persona cieca il medesimo procedimento immaginativo farà invece appello ad un repertorio esperienziale raccolto attraverso altri organi di senso, ma costituirà comunque una ricostruzione dell’oggetto che pur nella sua particolarità manifesterà, se ben condotta, un’apprezzabile funzione compensativa del limite visivo. Questa abilità immaginativa restituisce alla persona il piacere di conoscere ed il pieno diritto ad una autentica partecipazione culturale. In estrema sintesi si può concludere che il processo di integrazione educativa del bambino minorato visivo è fondato su un progressivo potenziamento compensativo che stimoli e valorizzi in lui l’esperienza sensomotoria, la ricostruzione immaginativa, la competenza comunicativa e l’amabilità relazionale. 46 47 BIBLIOGRAFIA Libri Accessibilità dei siti web. Problematiche reali e soluzioni tecniche Laura Burzagli, Paolo Graziani Consiglio Nazionale delle ricerche Istituto di Ricerca sulle Onde Elettromagnetiche "Nello Carrara" Firenze, 1999 Il libro è anche un ipertesto consultabile in rete su www.ifac.cnr.it/smid/accesso/accesso.htm Cliccando Cliccando. Tecnologie multimediali per l'handicap (con CD-Rom) Aldo Costa (a cura di) Provveditorato agli studi di Bologna Progetto Marconi, 2000 Il libro è anche un ipertesto consultabile in rete su http://csa.scuole.bo.it/cliccando Tecnologia e integrazione dei disabili visivi e dei pluriminorati Guida per l'approccio all'informatica Antonio Quatraro (a cura di) Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", Monza, 2001 Il libro è anche un ipertesto consultabile in rete su www.bibciechi.it/indicipubb/guidainf/indice.htm I disabili nella società dell'informazione. Norme e tecnologie (con CD-Rom) Pierluigi Ridolfi (a cura di) FrancoAngeli, Milano, 2002 Il libro è anche un ipertesto consultabile in rete su www.pubbliaccesso.it Ausili tecnologici contro l'esclusione sociale www.ausilioteca.org/bridge Tecnologie per la disabilità: una società senza esclusi www.innovazione.gov.it/librobianco Riviste Tiflologia per l'integrazione Rivista trimestrale Biblioteca Italiana per i Ciechi "Regina Margherita", Monza 48 www.bibciechi.it/pubblicazioni/tiflologia.htm Computer Apprendimento Disabilità - TD (1994) Numero monografico della rivista quadrimestrale "TD Tecnologie Didattiche", n. 5, Inverno 1994. TD è curato dai ricercatori dell'Istituto Tecnologie Didattiche del CNR. La rivista è in vendita presso le librerie Feltrinelli. www.itd.cnr.it/TDMagazine Opere multimediali su CD-Rom: accessibilità zero! Michele Diodati Oltre il confine - Le nuove frontiere della riabilitazione Mensile dell'I.Ri.Fo.R. Istituto per la Ricerca la Formazione e la Riabilitazione Prima parte: Anno VI, Numero 12, Dicembre 2002 Seconda parte: Anno VII, Numero 1, Gennaio 2003 Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici Oltre il confine - Le nuove frontiere della riabilitazione Mensile dell'I.Ri.Fo.R. Istituto per la Ricerca la Formazione e la Riabilitazione Anno VII, Numero 7, Luglio 2003 Oltreleb@rriere: ricerca ISFOL su "disabili e accesso alle tecnologie informatiche: i fattori del cambiamento" Oltre il confine - Le nuove frontiere della riabilitazione Mensile dell'I.Ri.Fo.R. Istituto per la Ricerca la Formazione e la Riabilitazione Anno VII, Numero 8, Agosto 2003 DPR 1 marzo 2005 n. 75, Regolamento L. 9 gennaio 2004, n. 4 DM 8 luglio 2005, Requisiti tecnici Oltre il confine - Le nuove frontiere della riabilitazione Mensile dell'I.Ri.Fo.R. Istituto per la Ricerca la Formazione e la Riabilitazione Anno IX, Numero 6-7, Giugno-Luglio 2005 49