R.C. PER INVESTIMENTI NON REMUNERATIVI Di Avv. Adolfo Tencati, Milano, [email protected] Sommario: 1. I protagonisti della ricerca ....................................................................................................1 2. I principali casi di investimenti non remunerativi ...................................... 4 3. La posizione degli intermediari ........................................................................................ 6 3.1. La tesi della nullità «testuale» .....................................................6 3.2. La tesi della nullità «virtuale» .....................................................9 3.2.1. «Nullità virtuali» ed operazioni finanziarie ..........12 3.2.2. «Nullità virtuali» ed investimenti infruttuosi ....17 3.3. Gli obblighi informativi hanno struttura bidirezionale ....................................................................................................................18 3.3.1. r. c. per informazioni fuorvianti......................................19 3.3.2. Rifiuto di informazioni e r. c. dell’intermediario 20 3.4. 3.4.1. Profili sostanziali ...........................................................................24 3.4.2. Profili processuali...........................................................................28 3.5. 4. La tesi deLL’inadempimento ..............................................................24 Operazioni finanziarie ed attività pericolose ...............30 La posizione deLL’investitore ............................................................................................. 35 ii 5. La posizione della CONSOB .........................................................................................................39 5.1. Danno al risparmiatore ed intervento del g. o. .........39 5.2. Il diritto soggettivo ad «investire informati» ..............41 5.2.1. Il risparmiatore titolare di un diritto soggettivo ......................................................................................................................42 5.2.2. 5.3. Il contenuto del diritto soggettivo ............................44 Risarcimento CONSOB: incentivo ad operazioni spregiudicate? ..................................................................................................................46 6. Valutazione conclusiva ...................................................................................................... 49 Legislazione: Cost. 10. – c. c. 1176, 2º co., 1337, 1418, 1453, 2043, 2050. – legge 7.6.1974, n. 216, «miniriforma società», articolo 18. – l. 2.1.1991, n. 1, «l. SIM». – d. lg. 24.2.1998, n. 58, t. u. interm. fin., artt. 21, 23, 6º co. – d. lg. 31.3.1998, n. 80, d. giurisdizione amm., art. 33. – Deliberazione CONSOB 1.7.1998, n. 11522, delib. intermediari, artt. 26, 1º co., lett. e), 27, 28, 29, 30, 1º co. Bibliografia: Grassetti 1960. – Trimarchi 1961. – Portale 1982. – Ferrarini 1986. – Jaeger 1986. – Salvi 1988. – Alpa 1991. – Carbonetti 1992. – Torchia 1992. – Castronovo 1993. – Bianca 1994. – Maganza 1996. – Squillace 1996. – Girino 1998. – Giuliani 1998. – Lener 1998. – Monateri 1998. – Sanzo 1998. – Lobuono 1999. – Topini 1999. –Tucci 1999. – Bruno 2000. – Costanza 2000. – Travi 2000. Anello e Rizzini Bisinelli 2001. – Bernardo e Visentini 2001. Caranta 2001. – Cristiani e Dimundo 2001. – D’Auria 2001. – Giacalone 2001. – Girino 2001. – Ielo 2001. – Longhini 2001. – Palmieri 2001. – Rondinone 2001. – Andò 2002. – De Biasi 2002. – Iannello 2002. – Maffeis 2002. – Visentini 2002. – Di Staso 2003. – Guaccero 2003. – Nastasi 2003. – Onado 2003. – Adriani 2004. – Andò 2004. – Bochicchio 2004. – Di Staso 2004. – Falcone, Greco e Rotondo 2004. – Fimmanò 2004. –Franzoni 2004. – Gaffuri 2004. – Gioia 2004. – Lucchini Guastalla 2004. – Maffeis 2004. – Riimini 2004. – Russo 2004. – Salvatore 2004. – Sartori 2004. – Sartori 2004ª. – Tuozzo 2004. – AA. VV. 2005. – Bersani 2005. – Caputi e Palmieri iii 2005. – De Nova 2005. – Di Dio e Salerno 2005. – Maccaboni 2005. – Maffeis 2005. – Maffeis 2005ª. – Roppo 2005. – Rordorf 2005. – Sartori 2005. – Sartori 2005ª. – Tomezzoli 2005. L’art. 21, t. u. interm. fin. e gli artt. 26-30, delib. intermediari impongono agli intermediari mobiliari numerosi doveri a tutela degli investitori e del mercato. La violazione di siffatti doveri implica r. c. (contrattuale od aquiliana, secondo le varie prospettazioni), o nullità dei contratti stipulati con i risparmiatori? Giudici e scrittori sono discordi. Donde l’esigenza della ricerca, attenta alle posizioni dei contraenti e delle «Autorità vigilanti», nonché ai profili comparatistici. Discostandosi dalla comune interpretazione, lo scrivente ritiene (sulla scorta di una tesi dottrinale minoritaria) l’intermediario che opera investimenti rovinosi responsabile ex art. 2050, c. c. 1. I protagonisti della ricerca I fatti gravissimi del crac Parmalat e altre inquietanti crisi finanziarie che lo hanno preceduto e seguito, da Bipop a Finmatica, hanno messo a nudo i limiti del sistema di controlli interni ed esterni previsto dal nostro ordinamento a tutela di chi investe nel capitale di rischio (azioni) o di debito (obbligazioni, bond) delle società che fanno appello al pubblico risparmio. Com'era avvenuto negli Stati Uniti sull'onda del caso Enron, anche nel nostro Paese si è immediatamente avvertita l'esigenza di porre mano a incisivi interventi legislativi volti a rafforzare la tutela dei risparmiatori e a limitare gli effetti negativi inevitabilmente subiti, in termini di discredito, dal nostro mercato finanziario ( 1). Negli U. S. A. questi «interventi legislativi» si sono realizzati con grande sollecitudine, mentre in Italia il dibattito sulla normativa meglio rispondente alla tutela dei risparmiatori è ancora in corso (2). Si auspica, anzi, che le tempestose vicende finanziarie dell’estate 2005 stimolino a concludere tale dibattito in tempi brevi e con esiti soddisfacenti per i risparmiatori. Essi, tuttavia, non sono i soli a sentire incrinata la capacità di considerare i «mercati finanziari» in termini non apocalittici. Il loro «grido di dolore» di fronte alle vicende poco sopra ricordate è, infatti, pienamente condiviso dalla dottrina, la quale rileva giustamente che le vicende [{…] stesse}, se da un lato non sono in grado in sé di generare squilibri all’assetto industriale del Paese né tanto meno a quello bancario, dall’altro lato minano irreversibilmente [non solo la] fiducia degli investitori, [come sopra evidenziato, ma pure quella] dei finanziatori che, in un mercato asimmetrico come quello finanziario basato su una ricchezza invisibile, rappresenta la pietra angolare del sistema. Il crollo della fiducia, arretrata in poche settimane a livelli della fine degli anni `80, allontana i risparmiatori dalle imprese, producendo di conseguenza una minore capacità di 1 Adriani 2004, 269. 2 Per un commento ai vari progetti di legge, attualmente pendenti in Parlamento riguardo alla tutela del risparmio v. AA. VV. 2005, AA. VV. 2005, 278-334. Di Dio e Salerno 2005, 3202-3209. 2 sviluppo e di investimento, con inevitabili effetti sistemici. Il premio al rischio su strumenti finanziari legati alle società quotate italiane è inevitabilmente salito, in controtendenza rispetto agli altri paesi dell’Unione [Europea], con un effetto negativo in termini di capitalizzazione di borsa per oltre 100 miliardi di euro. L’impatto non riguarda solo le società quotate, in quanto l’effetto si ripercuote anche sulle piccole e medie imprese in termini di credit crunch, ossia di razionamento del credito da parte delle banche ( 3). Passando dalle sterili lamentazioni sulla sfiducia dei risparmiatori e degli investitori in genere al tentativo di apprestare loro strumenti protettivi, si condivide subito l’autorevole pensiero secondo cui le riforme legislative sono certo necessarie, ma divengono inutili se manca la capacità di farle effettivamente applicare (4).Con queste considerazioni si è già delineata la dialettica attorno alla quale ruota la ricerca. Gli investitori chiedono alle società emittenti la produzione di notizie vere ed affidabili sul loro «stato di salute» finanziario. Gli intermediari mobiliari, in quanto «cinghia di trasmissione» tra gli emittenti stessi ed gli acquirenti degli strumenti finanziari, sono dal canto loro tenuti a: (a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati; (b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; (c) organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento; (d) disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi; 3 Fimmanò 2004, 401-405. 4 In tal senso ancora Fimmanò 2004, 401. 3 (e) svolgere una gestione indipendente, sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati agli intermediari stessi (5). Sull’osservanza di siffatti doveri vigila la CONSOB, le cui funzioni sono state recentemente irrobustite dalla normativa che ha attuato la direttiva sugli abusi di mercato (6). 5 Art. 21, 1º co., t. u. interm. fin. Per approfondimenti sui problemi processuali v. Caputi e Palmieri 2005, 774-782. Riguardo, invece, alla direttiva 2003/6/CE, sugli abusi di mercato, la dottrina sta riflettendo con abbondanza di contributi. Tra questi i più coerenti al taglio della ricerca sono Rordorf 2005. Tomezzoli 2005. 4 2. I principali casi di investimenti non remunerativi Un’ampia brillante ricerca ha recentemente approfondito gli aspetti generali della r. c. gravante sugli operatori mobiliari (7). Sperando di esserne degno continuatore, lo scrivente ritiene di raggruppare in quattro grandi categorie l’ormai abbastanza vasta casistica giurisprudenziale formatasi sulle pretese degli investitori delusi da investimenti non remunerativi. Tali gruppi comprendono la cessione: [1] delle obbligazioni emesse dallo Stato argentino (8); [2] delle obbligazioni Cirio (9); [3] delle obbligazioni Parmalat (10); [4] di altri titoli con elevata componente speculativa (tra i quali possono ricordarsi le obbligazioni «strutturate», i contratti derivati non stipulati per la copertura dei rischi 7 V. Falcone, Greco e Rotondo 2004, segnalato nel presente sito (porre collegamento ipertestuale). Si rinvia alle indicazioni dottrinali e giurisprudenziali contenute nel predetto volume per quanto non esposto nell’attuale lavoro. 8 Sul caso v.Gaffuri 2004, 1143-1145. Sartori 2005 9 Su questo caso v. Di Staso 2003. Onado 2003, 499-505. 10 Su questo caso v. Adriani 2004, 269. Di Staso 2004. 5 connessi all’attività imprenditoriale, swaps) (11). Rinviando, per la dettagliata trattazione di questa casistica, all’ormai alquanto estesa elaborazione dottrinale che la riguarda, la successiva trattazione riprenderà con il dovuto approfondimento la dialettica accennata concludendo il § 1 più sopra; saranno, pertanto, analizzate le responsabilità degli intermediari, dei risparmiatori e degli organi chiamati a vigilare sul corretto funzionamento dei mercati mobiliari. 11 Soprattutto riguardo agli swaps il problema maggiore consiste nello stabilire se al risparmiatore si addice il titolo di «operatore qualificato». Sul tema v. Rimini 2004, 532539. Sartori 2005ª. 6 3. La posizione degli intermediari Quando un investimento non produce gli esiti sperati dal risparmiatore, costui dirige la pretesa prima di tutto verso l’intermediario che ha proposto l’investimento stesso, perfezionato mediante un contratto concluso in sede o tramite i promotori finanziari. Gli strumenti attraverso i quali l’investitore può recuperare «il denaro malamente investito» sono consistiti in: nullità per vizio di forma; oppure nullità per contrasto con norme di ordine pubblico; oppure annullamento per dolo; oppure annullamento per errore [sulle qualità essenziali del prodotto finanziario o del servizio di investimento acquistato]; oppure annullamento per conflitto di interessi; oppure risoluzione per inadempimento; oppure — senza attaccare il contratto — risarcimento a titolo di responsabilità precontrattuale ( 12). 3.1. La tesi della nullità «testuale» Onde mantenere la trattazione entro accettabili dimensioni, si analizzeranno soltanto i «rimedi contrattuali» consistenti nella dichiarazione di nullità, ovvero nella risoluzione per 12 L’elencazione si deve a Roppo 2005, 625. 7 inadempimento. La scelta, oltre che da esigenze espositive, è dettata dal fatto che, come si vedrà al momento opportuno, qui si segue una prospettazione diversa, affidata alla responsabilità aquiliana degli intermediari mobiliari. Il caso tipico dove appare l’insufficienza dei modelli ricostruttivi ormai classici consiste nell’esecuzione dell'ordine di borsa. [Esso] è il contratto atipico con il quale un soggetto conferisce ad un intermediario l'incarico di concludere per suo conto ed in nome proprio un contratto di borsa: nella disciplina di tale contratto può essere fatta applicazione, oltre che delle eventuali regole convenzionali, anche delle disposizioni che disciplinano materia simile o casi analoghi, perchè il rapporto di collaborazione che si instaura fra il cliente e l'intermediario implica che per l'esecuzione del contratto la parte a cui è stato dato l'ordine si obblighi a compiere uno o più atti giuridici per conto dell'ordinante ( 13). È pacifico che la banca o la SIM stipulano un contratto quando assumono l’incarico di acquistare/vendere strumenti finanziari per conto del loro cliente; viceversa, non è altrettanto pacifico che si possa attribuire struttura contrattuale agli ordini mediante i quali gli strumenti finanziari vengono fatti entrare/uscire dal patrimonio dell’investitore. Se gli ordini stessi non sono impartiti per iscritto, sono «nulli per vizio di forma»? Vig. la «l. SIM», una pronuncia di merito si espresse per l’affermativa, così motivando per le società di intermediazione mobiliare la legge prescrive che nello svolgimento della loro attività esse debbano stabilire i rapporti con il cliente stipulando un contratto scritto. La disciplina stabilita dalla «l. SIM», che ha riorganizzato l'attività di intermediazione mobiliare, ha introdotto l'obbligo della forma scritta per il conferimento dell'incarico ad operare sul mercato mobiliare. La forma scritta stabilita "per gli atti specialmente indicati dalla legge" costituisce elemento di validità 13 Trib. Milano 6.2.97, GI, 1998, I, 2, 302. Sulla sentenza v. Sanzo 1998, 303. 8 del contratto sotto pena di nullità (14). Leggendo questo passo isolato dal resto della pronuncia, si potrebbe riferire l’obbligo della forma scritta tanto al «contratto quadro che legittima l’intermediario alla negoziazione, quanto al singolo ordine di borsa. Collegando, viceversa, il brano testé riferito all’insieme delle argomentazioni svolte dai giudici milanesi, emerge che il requisito formale è stato dagli stessi riferito al singolo acquisto/vendita degli strumenti finanziari. Esso può, peraltro, considerarsi nullo per ragioni diverse dal vizio formale. Uno tra i maggiori civilisti italiani, infatti, ha giustamente fondato tale conclusione sull’art. 30, 1º co., delib. intermediari. Tale norma obbliga gli intermediari mobiliari a fornire i propri servizi previa la conclusione di «un apposito contratto scritto», nel quale ravvisare il «quadro giuridico» che fa da sfondo alle singole negoziazioni. Conseguentemente: la citata norma del Regolamento CONSOB individua nella previa conclusione di apposito contratto quadro un requisito di legittimazione dell’intermediario a fornire servizi di investimento ai propri clienti; la citata norma del Regolamento CONSOB individua nella previa conclusione di apposito contratto quadro un requisito di legittimazione dell’intermediario a fornire servizi di investimento ai propri clienti; la conclusione col cliente di un contratto per la vendita di titoli (mediante accettazione ed esecuzione del relativo ordine) 14 Trib. Milano 6.2.97, n. 1489, Contr, n. 4/1997, 392. Sulla sentenza v. Girino 1997, 397. 9 è, precisamente, fornitura di un servizio di investimento (di negoziazione o raccolta ordini); in mancanza del contratto quadro, la banca non era quindi legittimata (forse può dirsi: era priva di capacità giuridica) ad accettare ed eseguire l’ordine di acquisto del cliente, concludendo con lui il relativo contratto; pertanto, il singolo contratto di acquisto dei titoli in mancanza di contratto quadro è nullo. Ma allora la nullità, propriamente, deriva non già da violazione del requisito di forma dell’art. 23, t. u. interm. fin., bensì dal contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 30, 1º co., delib. intermediari (15). A questo punto sorge spontanea un’obiezione: non è scritto da nessuna parte che la violazione della normativa regolamentare è sanzionata dalla nullità. Ma l’ampia formula normativa secondo cui «il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge» (art. 1418, 3º co., c. c.) legittima tale conclusione, ancorché fondandola sulla nullità «virtuale» piuttosto che su quella «testuale», così chiamata perché prevista espressamente come sanzione da un’espressa norma (16). 3.2. La tesi della nullità «virtuale» Presso i giudici prevale l’opinione secondo cui i contratti conclusi in violazione dell’art. 21, 15 Roppo 2005, 625. 16 È favorevole alla nullità dei contratti contrari alla normativa regolamentare emanata dalla CONSOB Bersani 2005. 10 t. u. interm. fin. e della normativa secondaria emanata dalla CONSOB sono affetti dalla nullità «virtuale», così chiamata perché è l’interpreta a desumerla dai principi generali dell’ordinamento, mancando l’espressa dichiarazione dell’invalidità negoziale. Senza, ovviamente, la pretesa di elencare tutti i precedenti giurisprudenziali fedeli a siffatta opinione, possono ricordarsi quelli appresso menzionati. Tabella 1 Sentenze che hanno affermato la nullità «virtuale» Organo Luogo Data Pubblicazione Trib. Mantova, sez. II 18.3.04 Soc, n. 9/2004, 1139 Trib. Venezia, sez. II 22.11.04, n. 2253 Contr, n. 1/2005, 5; giudicante DResp, n. 6/2005, 613 Trib. Mantova, sez. II 12.11.04 http://www.ilcaso.it Trib. Mantova, sez. II 1.12.04 DResp, n. 6/2005, 613 Trib. Palermo, sez. III 17.1.05 http://www.ilcaso.it Trib. Brindisi 21.1.05 http://www.ilcaso.it 11 Trib. Ferrara 25.2.05, n. 216 http://www.ilcaso.it Trib. Mantova, sez. II 5.4.05 http://www.ilcaso.it Trib. Genova, sez. I 18.4.05 DResp, n. 6/2005, 604 Le sentenze appena ricordate non hanno, peraltro, affermato un principio assolutamente innovatore. A distanza abbastanza breve dall’introduzione della più remota disciplina sull’intermediazione mobiliare, infatti, il Trib. Milano affermava che Le norme previste dalla «l. SIM», all'art. 6, 1º co., lett. (c) (obbligo di stipulare un contratto scritto), lett. (e) (obbligo di operare informando adeguatamente il cliente sui rischi e [sulla] natura delle operazioni), e lett. (g) (divieto per gli intermediari autorizzati di effettuare, salvo preventiva autorizzazione del cliente, operazioni in conflitto di interessi con quest'ultimo) sono da considerarsi imperative — in quanto, oltre a tutelare l'interesse dei singoli contraenti a ricevere una corretta e completa informazione, e quindi alla produzione di un corretto processo formativo della volontà, presiedono allo svolgimento di attività economiche rilevanti secondo regole tali da salvaguardarne e consentirne la corretta e regolare esecuzione — per cui devono considerarsi nulli gli atti che violano le stesse norme (17). Pochi anni dopo quest’argomentazione era ripresa ed approfondita dai giudici torinesi di merito, ad avviso dei quali 17 Trib. Milano 11.5.95, GCo, 1996, II, 79; BBTC, 1996, II, 442. Sulla sentenza v. Squillace 1996, 85-97. 12 l'art. 6, «l. SIM», che detta la disciplina cui deve attenersi una società di intermediazione mobiliare nello svolgimento della sua attività con la clientela, è norma imperativa ex art. 1418, 1º co., c. c. Ciò in considerazione: (f) degli interessi da essa tutelati (trasparenza e correttezza dei mercati finanziari, sicurezza degli scambi negoziali); (g) del carattere generale di tali interessi (che trascendono dall'interesse del singolo contraente); (h) del contenuto di doverosità della norma (che esprime un obbligo non derogabile neppure con il consenso del cliente). Pertanto il mancato rispetto dell'art. 6, «l. n. SIM» determina la nullità assoluta dei rapporti giuridici posti in essere tra la SIM e il proprio cliente (18). Questi precedenti non sono stati richiamati solo per documentare la continuità tra essi e quelli formatisi sulla casistica ricordata al § 2 più sopra, né tanto meno per soddisfare la curiosità degli eruditi. Considerando la sostanziale continuità tra il t. u. interm. fin. e la normativa che l’ha preceduto, gli interventi dei giudici milanesi e torinesi offrono una valida base alla prosecuzione della ricerca. 3.2.1. «Nullità virtuali» ed operazioni finanziarie I giudici di merito non sono rimasti soli nel sostenere la nullità, per contrarietà alla relativa disciplina, dei contratti che legano gli intermediari mobiliari ai propri clienti. La tesi prospettata dai giudici di Milano e di Torino negli anni `90 ha trovato autorevole conferma presso la S. C. quando ha analizzato la casistica relativa, parimenti alle vicende giudicate dalla Magistratura di 18 Trib. Torino 19.4.98, FP, 1998, I, 387. Sulla sentenza v. Giuliani 1998, 391-399. 13 merito, agli swaps. Premessa la definizione di tali contratti , peraltro desunta dall’elaborazione dottrinale e dalla giurisprudenza, il sommo giudice ha demolito la tesi del ricorrente (19). A suo avviso uno swap, stipulato con un intermediario non iscritto all’Albo delle SIM, non sarebbe stato nullo perché nessuna disposizione espressamente sanciva la nullità delle operazioni intercorse con soggetti non autorizzati. In ogni caso, sempre ad avviso del ricorrente, ferma restando l’illiceità dell’attività svolta dalla controparte, il singolo atto negoziale sarebbe stato valido. Il sommo giudice ha respinto entrambe queste prospettazioni proponendo la corretta interpretazione dell’art. 19 Secondo la dottrina, con l’espressione contratti di swap si contraddistinguono alcuni contratti, alquanto diversi fra loro, attraverso i quali le parti contraenti convengono di scambiarsi un determinato bene (in genere denaro) in unica o più soluzioni, ad una certa data calcolando la quantità da scambiare in relazione ad uno o più indici assunti come riferimento al momento della conclusione del contratto. Le parti possono anche convenire di scambiarsi alla data prestabilita non i reciproci ammontari, ma soltanto il saldo netto dovuto (c.d. accordo di netting). Gli swap sono, quindi, caratterizzati dall’obbligo delle parti di corrispondersi una prestazione la cui esatta determinazione ed esigibilità diviene conosciuta ed attuale con il verificarsi di un evento, futuro ma certo, quale, secondo i casi, ad esempio, la variazione del rapporto di cambio fra valute, ovvero la fluttuazione dei tassi di interesse. In conseguenza del verificarsi dell’evento una parte dovrà adempiere all’obbligazione nella misura, più o meno ampia, che risulterà determinata in funzione dell’indice concordato tra le parti e dell’entità della variazione dello stesso. Ciò che le parti di un contratto derivato “comprano” non è il bene, bensì la “differenza di valore”. In assenza di questa specifica componente, desumibile dal tenore della stipulazione, il derivato non è più tale, bensì diviene (o meglio rimane) un semplice contratto a termine, il cui oggetto e la cui causa restano sempre la compravendita di un bene (Girino 2001, 7). Identica è la definizione della fattispecie offerta dai giudici. Essi, infatti, definiscono il contratto di swap [come] l'accordo con cui due parti si obbligano reciprocamente a corrispondere, alla scadenza di un termine prefissato, una somma di denaro in moneta nazionale di ammontare pari alla differenza tra […] il valore in lire [oggi in euro] di una somma di valuta estera [appartenente a Paesi non euro], al tempo della conclusione del contratto, e[…] il valore in lire [oggi in euro] della stessa somma di valuta estera [appartenente ai medesimi Paesi non euro], ad una scadenza predeterminata (Trib. Milano 20.2.97, Gius, 1997, 1263). 14 1418, c. c. Il 3º co. di quella norma dichiara il contratto (nella specie sottoscritto per la movimentazione del patrimonio mobiliare) nullo «negli altri casi stabiliti dalla legge». Ma poiché non sempre il legislatore si esprime con chiarezza tale da far comprendere quando le private pattuizioni sono invalide, nonostante l’assenza di espresse previsioni, occorre impiegare come criterio di individuazione la natura degli interessi tutelati, nel quadro dei valori dell'ordinamento, progressivamente ampliato dai nuovi interessi che tendono a realizzarsi secondo diritto e che meritano di essere protetti in modo maggiore o minore, a seconda che corrispondano o meno agli interessi generali della collettività. La nullità, pertanto, diventa […] uno strumento di controllo normativo utile, insieme ad altri, a non ammettere alla tutela giuridica interessi in contrasto con i valori fondamentali del sistema e si differenzia dalla annullabilità non solo perché l'atto è difforme dallo schema legale e pregiudica gli interessi del suo autore, ma perché mette a rischio i valori preminenti della comunità, il cui contrasto costituisce la ragione dell'impedimento che l'ordinamento oppone alla efficacia giuridica tipica degli atti. Superata la concezione individualistica, fondata esclusivamente sul valore della autonomia privata, la valutazione della nullità del negozio si è così giovata del criterio del riscontro della utilità sociale, influenzato da scelte sociopolitiche, che è diventato indice del giudizio di meritevolezza degli interessi delle parti, rispetto ai valori perseguiti dalla comunità, al punto che l'ordinamento, ove quel riscontro sia negativo, non assegna ad essi alcuna tutela ed anzi assoggetta alla sanzione della nullità l'atto compiuto per realizzarli. In sostanza elemento qualificante della validità non è più la tutela dell'interesse del contraente, ma quella degli interessi generali, che vengono preservati anche dalle iniziative individuali, al punto da prescindere dalle posizioni che in riferimento all'atto assume la parte — che pure la norma intende proteggere — in nome della equità, correttezza e stabilità dei rapporti sociali. E la circostanza che siano sempre maggiori le sollecitazioni in tal senso della collettività finisce per accrescere le ipotesi della nullità dei negozi, progressivamente riducendo lo spazio della autonomia privata (20). 20 Cass., sez. I, 7.3.01, n. 3272, Fa, n. 4/2002, 379. La sentenza analizza pure il problema se il giudice delegato al fallimento possa legittimamente appartenere al Collegio 15 L’art. 1418, 3º co., c. c., sempre secondo l’insegnamento del sommo giudice, sponsorizza le considerazioni che precedono, in quanto il diritto oggettivo a stabilire, anche in situazioni di contrasto con norme imperative, se assegnare tutela ed efficacia a fattispecie difformi dallo schema legale, sebbene in tal caso la sanzione, derivando automaticamente dalla previsione normativa, necessiti di una disposizione contraria perché resti inattuata. A tale stregua il compimento dell'atto contro il divieto legale genera ipotesi di nullità c.d. virtuali, proprio perché non necessitano di espresse comminatorie di legge — a fronte di quelle testuali dei commi I e II dell'art. 1418, c. c. — sempreché il controllo della natura della disposizione violata porti a verificare che l'interesse sotteso sia pubblico e non privato […]; da un lato ciò corrispondendo al principio che la violazione di una norma positiva, anche se sanzionata penalmente, non dà luogo necessariamente a nullità del contratto compiuto, per via dell'inciso "salvo che la legge disponga diversamente", il quale lascia margine a meccanismi positivamente introdotti per realizzare egualmente gli effetti del negozio, in considerazione degli apprezzamenti, discrezionalmente compiuti dal legislatore, dei valori tutelabili; e dall'altro al dato positivo espresso dal combinato disposto del primo e del terzo comma dell'art. 1418, c. c., secondo cui la mancanza di una espressa sanzione di nullità dell'atto negoziale, in conflitto con il divieto, non è rilevante ai fini della nullità, sopperendovi la norma predetta, che rappresenta un principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi assoluti non si accompagna una previsione di nullità (21). giudicante sull’opposizione allo stato passivo, pur avendolo dichiarato esecutivo. Secondo la S. C. non possono estendersi all’ambito civilistico le incompatibilità disposte dall’art. 34, c. p. p. come manipolato dalla Consulta. Sempre secondo il giudice di legittimità, l’unico limite al potere del magistrato consiste nel giudicare in causa propria. In tal caso,il solo rimedio consiste nell’astensione o nella ricusazione. Stante l’estraneità al tema, si rinvia al bel commento di Iannello 2002, 379. 21 Cass., sez. I, 7.3.01, n. 3272, Fa,n. 4/2002, 378. La S. C. ha analizzato una vicenda simile nello stesso 2001, giungendo a conclusioni identiche. Ha, infatti, giudicato i contratti di […] domestic indexed lire swap, stipulati dopo l'entrata in vigore della «l. SIM» da soggetto diverso dalle SIM (società di intermediazione mobiliare), essendo contrari a norme da ritenersi imperative, perchè dirette a tutelare interessi di carattere generale 16 L’illiceità dell’attività, in quanto confliggente con i superiori interessi collettivi, determina pure la nullità «virtuale» degli atti negoziali destinati a realizzarla, non essendo possibile che i privati «conservino gli effetti delle loro pattuizioni», quand’anche queste raggiungano fini sgraditi all’ordinamento. Ricordando che ogni forma di risparmio e l’investimento nei grandi complessi imprenditoriali del Paese sono tutelati ed incoraggiati dallo Stato in base all’art. 47, Cost., non si tarda a comprendere che gli interessi protetti dal t. u. interm. fin. e dalla normativa che lo attua sono «di carattere generale». Si spazia, infatti, dalla tutela dei risparmiatori uti singuli a quella del risparmio pubblico, come elemento di valore della economia nazionale, a quella della stabilità del sistema finanziario, come considerata dalla direttiva 93/22 CEE del 10.5.1993; alla esigenza di preservare il mercato da inquinamenti derivanti dall'impiego di risorse provenienti da circuiti illegali, a quella di rendere efficiente il mercato dei valori mobiliari, con vantaggi per le imprese e per la economia pubblica, interessi tutti chiaramente prevalenti su quelli del privato, che pure di riflesso ne rimane tutelato, e che attribuiscono alla iscrizione nell'albo, alla autorizzazione, ai successivi controlli una valenza che trascende la formale e ordinata gestione dell'attività ed investe l'atto in cui essa si sostanzia, essendo interesse dell'ordinamento rimuoverlo, per le turbative che crea sul sistema finanziario (alla regolarità dei mercati ed alla stabilità del sistema finanziario), […] affetti da nullità assoluta. Detti contratti, se stipulati prima della entrata in vigore della citata «l. SIM», devono, invece, ritenersi validi, atteso che il contrasto con la normativa sopravvenuta a rapporto instaurato non può più incidere direttamente sulla validità dell'atto. Tale contrasto, però, determinando un arresto della funzione negoziale dell'atto, ne pregiudica la produzione di ulteriori effetti, con la conseguenza che non possono essere pretesi crediti, che si assumono derivati da detti ultimi contratti, ove il momento della loro insorgenza sia collocabile in un tempo successivo alla entrata in vigore della citata normativa. (Cass., sez. I, 05.4.01, n. 5052, DBMF, n. 1/2002, 97. Sulla sentenza v. De Biasi 2002108-115. 17 generale (22). 3.2.2. «Nullità virtuali» ed investimenti infruttuosi Gli investimenti non remunerativi giunti dinanzi ai giudici negli ultimi anni erano stati tutti conclusi con intermediari regolarmente autorizzati, diversamente da quanto avvenuto (come sopra ricordato) nel caso deciso da Cass. n. 3272/01 . Tale circostanza, peraltro, non ha precluso ai giudici di merito la statuizione secondo cui le norme (legislative e regolamentari, in quanto costituenti un tessuto normativo unitario con le prime), che disciplinano i contratti stipulati dagli intermediari mobiliari sono «di ordine pubblico» (23). Ne è indice inequivoco la loro vocazione ad incidere in un settore caratterizzato da una elevata prevalenza dell’interesse pubblico e dalla natura, pubblica e generale, degli interessi garantiti dalle predette norme, che concernono la tutela dei risparmiatori uti singuli e quella del risparmio pubblico come elemento di valore della economia nazionale. [Tutte le] disposizioni che presiedono all'attività di intermediazione finanziaria, dunque, devono ritenersi imperative, perché dirette a tutelare interessi di carattere generale (alla regolarità dei mercati ed alla stabilità del sistema finanziario), come, peraltro, ha ritenuto la giurisprudenza di legittimità nel caso di violazione delle norme relative al funzionamento delle Società 22 Cass., sez. I, 7.3.01, n. 3272, . La direttiva n. 93/22/CEE, menzionata dal giudice di legittimità, è stata sostituita dalla direttiva n. 2004/39/CE, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, del 30.4.04, n. 145/L. In base all’art. 69 della predetta direttiva n. 2004/39/CE, la ricordata direttiva n. 93/22/CEE ‘ abrogata 24 mesi dopo l’entrata in vigore delle nuove disposizioni, ossia dal 30.4.06. Attualmente, pertanto, il riferimento va ancora alla normativa soprannazionale invocata dalla S. C. 23 Trib. Monza, sez. I, 16.12.04, http://www.ilcaso.it. 18 d'intermediazione mobiliare. {[…] Pertanto}, ben può dirsi che i contratti conclusi in violazione del complesso di norme sopra richiamato siano suscettibili di declaratoria di nullità, ove non siano stati in concreto rispettati gli specifici obblighi imposti agli intermediari finanziari, ovvero ove questi ultimi non siano in grado di provare di averli rispettati ( 24). Essendo la nullità una sanzione particolarmente grave, essa va applicata solo se le norme a cui presidio si pone sono sufficientemente dettagliate, come concretamente avviene avendo presenti gli artt. 27, 28 e 29 delib. intermediari,rispettivamente concernenti i conflitti di interessi, le informazioni tra intermediari ed investitori, nonché le operazioni non adeguate ( 25). Ragionare in contrario significherebbe, invero, «violare il principio di legalità», costituente ill cardine dell’ordinamento sanzionatorio. Tale principio è, in realtà, fissato per le sanzioni amministrative, ma pure il civilista può valersene per interpretare le norme esistenti nel proprio settore. 3.3. Gli obblighi informativi hanno struttura bidirezionale Un rimedio parallelo alla dichiarazione della nullità contrattuale consiste nell’affermare la r. c. degli intermediari mobiliari, salvo poi analizzare distintamente la responsabilità precontrattuale da quella contrattuale. 24 Trib. Monza, sez. I, 16.12.04. Sul conflitto di interessi tra gli intermediari mobiliari ed i loro clienti v. le belle considerazioni di Maffeis 2005, 11-18. Sempre sul conflitto di interessi nell’ambito finanziario si leggano le ulteriori condivise osservazioni di Maffeis 2005ª. Si rinvia a quelle osservazioni pure per i profili del predetto conflitto estranei alla ricerca. Il più completo studio in argomento resta, tuttavia, quello di 19 3.3.1. r. c. per informazioni fuorvianti Le trattative sono il luogo privilegiato dove le parti devono collaborare per l’ottimale riuscita dell’ancora futuro regolamento contrattuale. L’investitore — sostenendo di aver esaurientemente informato la controparte sulle sue condizioni finanziarie, sugli obiettivi di investimento e sulla propensione al rischio — afferma che il suo risparmio non ha prodotti i profitti sperati perché l’intermediario mobiliare, «nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, [non si sarebbe comportato] secondo buona fede» (art. 1337, c. c.). Ciò perché la banca o la SIM avrebbero taciuto, o comunque rappresentato in modo distorto, circostanze fondamentali nel «processo formativo della volontà» di investire sullo strumento finanziario concretamente prescelto. L’art. 1337, c. c. non è, tuttavia, la sola norma dalla quale scaturiscono gli obblighi informativi gravanti sugli intermediari mobiliari. Tali obblighi, infatti, discendono pure dai contratti ormai perfezionati, che si pongono in ideale continuità con le trattative durante le quali le necessarie informazioni sarebbero state occultate. Questi contratti, sotto il profilo dell’informazione, vengono distinti in contratti di investimento, stipulati nell’ambito di una sollecitazione del pubblico risparmio, in contratti di intermediazione, stipulati dal risparmiatore con un intermediario, a prescindere dal fatto che vi sia stata una sollecitazione del pubblico risparmio ed in contratti di gestione di portafogli. Questi ultimi sono da inquadrarsi nella categoria dei contratti normativi nominati a carattere sinallagmatico e sono incentrati sullo strumento giuridico del mandato, utilizzabile anche nella forma del mandato senza rappresentanza. In realtà si tratta di un insieme complesso di mandati che potrebbe indurre a far ritenere nata una nuova tipologia che supera il mero schema del deposito 20 in amministrazione (26). Le caratteristiche delle singole fattispecie non possono essere qui approfondite; si deve, comunque, precisare che gli obblighi informativi, giustamente evidenziati come filo conduttore della classificazione, hanno la struttura bidirezionale fotografata da un giudice con le seguenti condivise parole: «i doveri imposti alla banca si sostanziano essenzialmente [in quelli] di informarsi e […] di informare» (27). L’intermediario mobiliare, in altri termini, deve somministrare alla clientela le informazioni sui prodotti finanziari oggetto della [contrattazione] (c.d. know your merchandise rule). In merito, la CONSOB ha stabilito […] che “gli intermediari autorizzati, nell’interesse degli investitori e dell’integrità del mercato mobiliare […] acquisiscono una conoscenza degli strumenti finanziari, dei servizi nonché dei prodotti diversi dai servizi di investimento, propri o di terzi, da essi stessi offerti, adeguata al tipo di operazione da fornire” (28). 3.3.2. Rifiuto di informazioni e r. c. dell’intermediario Alla condotta richiesta agli operatori del mercato —chiamati ad osservare «un obbligo di conoscenza, che è più della semplice informazione, sui prodotti da loro offerti, conoscenza che si 26 Costanza 2000, 361-369. Longhini 2001, 347. 27 Trib. Genova, sez. I, 18.4.05, DResp, n. 6/2005, 608. 28 Art. 26, 1º co., lett. e), delib. intermediari. Per indicazioni dottrinali e giurisprudenziali relative all’ordinamento degli U. S. A. v. Sartori 2004, 3. 21 estende alla loro provenienza, alla situazione degli stessi nei mercati, alla loro destinazione tra il pubblico dei consumatori» (29), il tutto specificazione della correttezza e della buona fede — fa da contraltare il comportamento leale e corretto degli investitori. Finché sarà recepita la direttiva n. 2004/39/CE, tuttavia, non si potrà sostenere che l’investitore è venuto meno all’obbligo di collaborare lealmente con la controparte perché ha rifiutato di fornire le informazioni richieste dall’art. 28, 1º co., lett. a), delib. intermediari. Il rifiuto, infatti, costituisce (secondo la normativa attualmente vig.) una facoltà del risparmiatore. Non si può, dunque, sostenere che il rifiuto stesso sarebbe antigiuridico, con la conseguenza ulteriore di tenere l’intermediario immune dalla r. c. pur quando abbia realizzato investimenti rovinosi. I giudici sono, del resto, concordi con siffatto ragionamento, come risulta dalla motivazione secondo cui l’esito negativo dell’operazione [va addebitato all’intermediario] anche ove (come nel caso di specie) i clienti abbiano rifiutato di fornire le informazioni di cui all’art. 28, 1º co., lett. a), delib. intermediari. [Gli operatori del mercato mobiliare devono], in tal caso, tenere conto di tutte le informazioni comunque in suo possesso (ad esempio età, professione, presumibile propensione al rischio anche alla luce della pregressa ed abituale operatività, situazione del mercato […]): tanto si desume sia dai principi generali in tema di correttezza, diligenza e trasparenza dei comportamenti negoziali imposti dalla normativa generale e speciale (cfr. artt. 1175 e 1176, 2º co., c. c., 21, t. u. interm. fin.), ma anche dal testo dell’art. 29 del citato regolamento CONSOB che impone all’intermediario finanziario di astenersi dal compiere per conto degli investitori operazioni non adeguate e prevede che lo stesso utilizzi ogni altra informazione disponibile, anche diversa da quella fornita, EX art. 28, reg. cit., dai clienti, autorizzandolo solo in caso di conferma scritta dell’ordine d’acquisto a darvi (correttamente) esecuzione. La diversa regola contenuta nell’art. 19, 5º co., direttiva europea 2004/39/CE del 21.4.2004 non può trovare applicazione al caso di specie sia ratione temporis, sia perché le direttive non attuate — e purché ricorrano gli altri requisiti 29 Trib. Genova, sez. I, 18.4.05, DResp, n. 6/2005, 608. 22 — non hanno efficacia nei rapporti interprivati ( 30). Per non incorrere in valutazioni troppo complesse, come quelle richieste dall’apprezzare tutte le informazioni comunque esistenti sul cliente, gli intermediari solitamente sostengono di essere immuni da colpa per avere consegnato il «Documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari». Anche quest’ulteriore difesa è stata, tuttavia, giustamente respinta dai giudici con l’osservazione secondo cui quel documento contiene «indicazioni [a] carattere generale laddove, si ribadisce, la banca doveva fornire precise indicazioni circa la pericolosità di quell’investimento» 30 Comunicazione CONSOB 21.4.2000, n. DI/30396. Trib. Mantova, sez. II, 5.4.05, http://www.ilcaso.it. La nuova normativa europea, richiamata dal giudice mantovano, così recita: quando effettua consulenza in materia di investimenti o gestione di portafoglio, l'impresa di investimento ottiene le informazioni necessarie in merito alle conoscenze e esperienze del cliente o potenziale cliente, in materia di investimenti riguardo al tipo specifico di prodotto o servizio, alla situazione finanziaria e agli obiettivi di investimento per essere in grado di raccomandare i servizi di investimento e gli strumenti finanziari adatti al cliente o al potenziale cliente. Gli Stati membri si assicurano che, quando prestano servizi di investimento diversi da quelli [ricordati al capoverso immediatamente precedente], le imprese di investimento chiedano al cliente o potenziale cliente di fornire informazioni in merito alle sue conoscenze e esperienze in materia di investimenti riguardo al tipo specifico di prodotto o servizio proposto o chiesto, al fine di determinare se il servizio o il prodotto in questione è adatto al cliente (art. 19, §§4 e 5, direttiva 21.4.2004, n. 2004/39/CEE). [Si è trascritta anche la parte della disciplina comunitaria non direttamente pertinente al caso qui menzionato, al fine di renderla più comprensibile]. 23 (31). L’intermediario potrebbe replicare agli stringenti obblighi, posti a suo carico dalla giurisprudenza,che compiere indagini personalizzate sui clienti avrebbe costi insostenibili. Neppure quest’obiezione è fondata, in quanto si può superarla con due soluzioni alternative: porre, come già avviene per le gestioni individuali, alcuni «paletti» dimensionali del patrimonio. Quando esso non raggiunge entità, discrezionalmente giudicate congrue da ciascun intermediario, esso rifiuta di prestare il servizio. Si sconsiglia, peraltro, di generalizzare tale ipotesi, in quanto crea discriminazioni tra la clientela, favorendo quella più danarosa a scapito dei medio-piccoli investitori; realizzare questionari, dai quali desumere indici alla cui luce attribuire un «voto» ad ogni investitore, in modo da stabilire «a priori» il livello di informazione da fornirgli in relazione alla propria cultura finanziaria ed al livello di rischio prescelto dall’investitore stesso. Non agendo come sopra specificato, l’intermediario incorre nella nullità del contratto, ovvero in r. c.? Astrattamente sono possibili entrambe le soluzioni. Si potrebbe, infatti (ponendosi così ancora nel solco dell’invalidità contrattuale), sostenere che la violazione degli obblighi informativi determina la nullità «virtuale» del contratto, stante il carattere imperativo della normativa che li prevede. 31 Trib. Mantova, sez. II, 18.3.04, Soc, n. 9/2004, 1140. 24 La r. c., invece, discende: nella fase precontrattuale, dalla violazione del dovere di condurre le trattative secondo buona fede. Atteso che un contratto non c’è ancora, tale responsabilità è aquiliana; nella fase contrattuale, dall’inadempimento ad obblighi discendenti dal contratto, formato perché le trattative sono andate a buon fine. Si deve, allora, verificare la praticabilità della tutela fondata sulla responsabilità contrattuale 3.4. La tesi dell’inadempimento La tesi secondo cui i contratti realizzati in spregio alla disciplina primaria e/o secondaria dell’investimento sono nulli per contrarietà a disposizioni imperative è stata autorevolmente avversata sul piano sostanziale con importanti riflessi processuali. Nonostante il collegamento tra i vari piani sui quali gli investimenti non remunerativi possono essere studiati, esigenze espositive impongono la separata trattazione dei singoli aspetti. 3.4.1. Profili sostanziali Per contrastare la tesi della nullità si potrebbe, in primo luogo, osservare che la «prestazione di consulenza» del soggetto abilitato [alla prestazione dei servizi di investimento] non [è] distinta dall'analoga prestazione di consulenza che [caratterizza] l'attività di qualsivoglia altro professionista (medico, avvocato, notaio) che, ricevuto un incarico […], non fornisca al richiedente quelle informazioni grazie alle quali lo stesso può operare una scelta consapevole […]. Questa tesi, originale e suggestiva, si segnala per l'esito al quale conduce, che non è quello dell'accertamento della nullità, con conseguente restituzione dell'indebito, bensì quello della pronuncia della risoluzione del contratto per inadempimento, con conseguente risarcimento del danno ([in ogni caso] commisurato alla perdita rispetto al denaro investito, sempre con gli interessi da ciascun singolo versamento, ma con la rilevante differenza—specie se la sentenza interviene dopo un tempo apprezzabile—della rivalutazione monetaria sulla somma da corrispondere al cliente). Apparirebbe però scarsamente produttivo […], sul piano di un'indagine sistematica, accedere alla tesi che riporta il «dovere 25 di consulenza» di cui [si tratta] al normale contenuto di una prestazione professionale intellettuale. Sia perché, nelle materie dei servizi di investimento […], il dovere di consulenza non costituisce un semplice naturale negotii, bensì si traduce in un'articolata serie di previsioni normative, imperative testuali e severe; sia perché resterebbe da giustificare l'analogia fra quelle che sono tipiche prestazioni d'impresa—indirizzate al profitto—e la prestazione di un professionista intellettuale, caratterizzata, soprattutto per le prestazioni classiche, dall'esigenza di protezione della salute o delle garanzie di difesa dei diritti (32). In questa sede non sembra opportuno approfondire la distinzione tra le attività imprenditoriali e quelle professionali, dovendosi invece riscontrare la corrente giurisprudenziale minoritaria, secondo cui l’intermediario che non informa tempestivamente e correttamente il cliente sul conflitto d’interessi nell’operazione finanziaria consigliata, non ne spiega con chiarezza i rischi ed i costi, ovvero l’effettua malgrado la sua inadeguatezza per il cliente stesso, è inadempiente. Tale giurisprudenza critica ulteriormente la tesi della nullità sostenendo che le regole comportamentali stabilite dagli artt. 27, 28 e 29, delib. intermediari sono vaghe e, pertanto, aperte al soggettivo apprezzamento dell’interprete (33). Ed anche ammesso di concretizzare in modo univoco i generali criteri dettati da quelle norme, non necessariamente la nullità tutela al meglio il «contraente debole», ovvia l’investitore non professionale. Meglio, allora, invocare le disposizioni generali sull’inadempimento dei contratti, atteso che gli obblighi di non agire in conflitto di interessi, di somministrare alla controparte idonee informazioni, ovvero di non 32 Trib. Taranto, sez. III, 27.10.04, n. 2273, http://www.ipsoa.it/corrieregiuridicoonlineoccorre. A giudizio del magistrato pugliese, occorre, inoltre, fornire la prova «che investimenti finanziari alternativi avrebbero reso interessi superiori al tasso legale», ossia (attualmente) al 2,5% annuo: conseguentemente, non spetta al cliente la rivalutazione, in mancanza di prova del maggior danno. Il commento critico a queste osservazioni giurisprudenziali è di Maffeis 2005, 17. 33 Trib. Roma, sez. IX, 11.3.05, http://www.ilcaso.it. 26 effettuare operazioni inadeguate discendono dal contratto che lega l’intermediario mobiliare al suo cliente. Un precedente di legittimità suffraga, del resto queste affermazioni, pur non essendosi formato riguardo all’oggetto della presente ricerca. Controvertendosi sulla pretesa al pagamento di una compravendita, il sommo giudice ha addossato al venditore obbligazioni ulteriori rispetto a quelle di consegnare un bene. Infatti, nei contratti a prestazioni corrispettive il nesso d'interdipendenza che lega le contrapposte obbligazioni e prestazioni nell'ambito d'un rapporto sinallagmatico determina, secondo il principio interpretativo- integrativo, l'estensione dei doveri di correttezza, di buona fede, di diligenza — stabiliti dagli artt. 1337 e 1338, c. c. per la fase precontrattuale e della stipulazione e dagli artt. 1374 e 1375, c. c. per la fase dell'esecuzione, in armonia con quanto già prescritto per le obbligazioni in generale dall'art. 1175, c. c. — anche alle cosiddette obbligazioni collaterali di protezione, d'informazione, di collaborazione, che presuppongono e richiedono una capacità discretiva ed una disponibilità cooperativa dell'imprenditore nell'esercizio della sua professione e, quindi, nel tener conto delle motivazioni della controparte all'acquisto. Ond'è che detti doveri ed obblighi non possono non imporre ch'esso imprenditore, anzi tutto, si preoccupi dell'esatta specificazione, delle caratteristiche del bene compravenduto al momento della conclusione del contratto, rispondendo anche della negligenza dei propri agenti al riguardo, ed, in secondo luogo, che, nel caso la necessaria specificazione fosse stata omessa in tale occasione, ne faccia richiesta all'acquirente anzi di provvedere alla propria prestazione, astenendosi dal consegnare beni d'una species qualunque tra quelle appartenenti al genus prodotto o commerciato, diversamente rendendosi inadempiente alle indicate obbligazioni accessorie, che si pongono come precondizioni dell'obbligazione principale, e già sol per questo legittimando l'eccezione [di inadempimento], ex art. 1460, c. c. (34). Quando la compravendita riguarda i prodotti finanziari, il fatto che i doveri dell’intermediario sono canonizzati dal t. u. interm. fin. e dalle norme attuative consente un passo 34 (Cass., sez. II, 16.11.00, n. 14865, Ius & lex. 27 ulteriore. Le obbligazioni che Cass. n. 14865/00 ha qualificato «collaterali o di protezione» si trasformano in «obbligazioni di carattere primario, il cui adempimento deve essere valutato a stregua dell’art. 1176, 2º co., c. c. , nel quale è indicato il criterio di determinazione della specifica diligenza richiesta nell’adempimento da parte di chi svolge attività professionale» (35). Se, dunque, l’intermediario mobiliare non informa correttamente e tempestivamente il cliente «sui costi e sui rischi» dell’investimento, incorre in r. c. per inadempienza all’obbligo di agire con la diligenza richiesta dalle caratteristiche dell’attività svolta (art. 1176, 2º co., cit.). Per sovvertire queste considerazioni, facendo tornare in campo la dominante teoria della nullità «virtuale», non vale invocare la natura superindividuale degli interessi protetti dal t. u. interm. fin. e dalla relativa normazione attuativa, né tanto meno il fatto che l’art. 190,, 1º co., stesso t. u. introduce sanzioni amministrative per la violazione delle norme sui rapporti con la clientela. Le previsioni sanzionatorie indicano con sicurezza che il legislatore ha protetto interessi pubblici ma, «nel caso in esame, non pare che si possa parlare di vizio genetico, relativo alla conclusione del contratto, bensì di vizio funzionale, che inerisce al contratto oramai perfezionatosi, e cioè di difetto che riguarda le prestazioni che dovevano esser rese sulla base del negozio concluso» (36). 35 Trib. Roma, sez. IX, 8.10.04, http://www.ilcaso.it. Queste parole sono letteralmente ripetute, accanto al richiamo di Cass. n. 14865/00, da Trib. Genova, sez. I, 15.3.05, DResp, n. 6/2005, 611. 36 Trib. Taranto, sez. III, 27.10.04, n. 2273, http://www.ipsoa.it/corrieregiuridicoonline, le cui argomentazioni sono testualmente riprodotte da Trib. Genova, sez. I, 15.3.05, DResp, n. 6/2005, 611. 28 Quando il contratto ha ad oggetto la negoziazione, dalla sua risoluzione per inadempimento deriva pure lo scioglimento dei singoli atti negoziali mediante i quali gli investimenti rovinosi per il risparmiatore sono stati realizzati. Egli ottiene così la restituzione del maltolto (37). 3.4.2. Profili processuali «Nei contratti con prestazioni corrispettive, [come sono quelli diretti all’acquisto degli strumenti finanziari, od alla prestazione dei servizi di investimento], quando uno dei contraenti, [nel nostro caso l’intermediario mobiliare], non adempie le sue obbligazioni, l'altro, [ossia il risparmiatore], può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno» (art. 1453, 1º co., c. c.). La nascita dell’obbligazione risarcitoria perché la banca o la SIM non ha adempiuto al «dovere di protezione» verso il cliente rende applicabile all’operatore mobiliare la disposizione processuale in virtù della quale, «nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta » [art. 23, 6º co., t. u. interm. fin. (38)]. Ora, se la norma appena citata non sembra avere effetto dirompente sul concreto equilibrio delle posizioni economiche dell’investitore attore in giudizio e dell’impresa finanziaria convenuta, quando la pretesa risarcitoria è fondata sul titolo 37 Conf. Roppo 2005, 629. 38 Sui problemi processuali v. Topini 1999, 699. L’argomento sostanziale secondo cui sarebbe rimasto inadempiuto un «obbligo di protezione» verso il cliente è, viceversa, sostenuto da Lobuono 1999, 140. Maffeis 2002, 491. Sartori 2004, 369. 29 contrattuale39 — potendo al più valutarsi la disposizione quale specificazione del contenuto esclusivo della prova liberatoria — l’incidenza è maggiore laddove la si ritenga applicabile anche in ipotesi di responsabilità extracontrattuale, quale potrebbe essere quella da informazione. In tal caso, infatti, appare evidentemente alleggerito l’onere della prova a carico dell’attore che assuma di essere stato danneggiato dall’informazione falsa o incompleta resa dall’impresa bancaria o di investimento nella fase precontrattuale. Il che, se può ancora costituire un elemento differenziale, competitivamente rilevante, rispetto al regime operante per le imprese assicurative, in realtà trova una giustificazione nella più incisiva puntualizzazione degli obblighi informativi posti a carico delle banche e delle imprese di investimento. Queste, infatti, data la completa specificazione della produzione documentale che obbligatoriamente precede la conclusione del contratto d’investimento, possono con maggiore facilità produrre in giudizio la suddetta prova liberatoria (40). Sembrerebbe, quindi, sufficiente all’investitore, in quanto attore nel giudizio che lo contrappone all’intermediario, provare il pregiudizio subito perché l’operazione finanziaria non è andata a buon fine. Tale convincimento troverebbe conforto nell’affermazione giurisprudenziale secondo cui, essendo gli artt. 27, 28 e 29, delib. intermediari «esplicitamente [posti] nell’interesse del cliente, l’inadempimento è da porsi in relazione causale con l’evento dannoso . Ricade, [perciò], sull’intermediario l’onere di provare che tra la violazione ed il danno non vi è alcun nesso di causalità, dimostrando che il danno è derivato da eventi estranei alla sua sfera di azione» (41). L’argomento, peraltro, estende indebitamente l’inversione dell’onere probatorio 39 tonni, L’onere della prova nei giudizi di responsabilità per danni cagionati nello svolgimento dei servizi di investimento, in 1999, 699 ss.. 40 Guaccero 2003, 27. Sulle varie configurazioni della r. c. v. Portale 1982, 23. Ferrarini 1986, 108. Jaeger 1986, 154. Alpa 1991, 205. Carbonetti 1992, 68. Castronovo 1993, 326. Bianca 1994, 618. Bruno 2000, 109. 41 Trib. Roma, sez. IX, 8.10.04, http://www.ilcaso.it. Queste parole sono letteralmente ripetute, accanto al richiamo di Cass. n. 14865/00, da Trib. Genova, sez. I, 15.3.05, DResp, n. 6/2005, 611. 30 dall’impiego della «specifica diligenza richiesta» al legame causale tra il preteso illecito e le sue conseguenze pregiudizievoli; l’art. 23, 6º co., t. u. interm. fin. non favorisce l’investitore che si sente danneggiato fino a quest’estremo limite, sicché va respinta l’idea secondo cui esiste una presunzione relativa di sussistenza del nesso causale. Tale idea è stata, del resto, giustamente ripudiata dal Trib. Milano quando ha ritenuto «onere del danneggiato provare la sussistenza di un danno eziologicamente connesso, quale conseguenza immediata e diretta, al comportamento asseritamente lesivo» ( 42). Solo dopo che il preteso danneggiato ha assolto a tale onere, spetta all’intermediario dimostrare, come previsto dall’art. 23, 6º co., t. u. interm. fin., di «avere agito con la specifica diligenza richiesta». Nell’ambito processuale l’applicazione del cit. art. 23, 6º co. rende poi indifferente stabilire se l’intermediario mobiliare va soggetto alla responsabilità contrattuale od aquiliana, spettando in ogni caso a lui dimostrare la propria condotta diligente. Sul versante sostanziale, invece, le due categorie della responsabilità stessa restano nettamente difformi. Giova, conseguentemente, verificare se la banca o la SIM possono rispondere pure per la violazione del generico neminem lædere. 3.5. Operazioni finanziarie ed attività pericolose Finora le relazioni tra le parti sono state considerate come se a ciascun intermediario si contrapponesse il singolo investitore, legato al primo dal contratto per l’acquisto degli strumenti finanziari o per la prestazione dei servizi di investimento. 42 Trib. Milano 9.3.05, http://www.ilcaso.it. 31 Le fattispecie ricordate al § 2 più sopra, invece, dimostrano la necessità di ragionare con l’ottica «di massa», stante il gran numero di soggetti coinvolti in quelle tristi vicende. Se le stesse possono poi, sul versante processuale, portare alimento al dibattito, attualmente in corso, sull’introduzione in Italia della class action, la riflessione di natura sostanziale porta in campo la r. c. aquiliana; gli intermediari mobiliari, infatti, avrebbero violato il generico neminem lædere, anziché non adempiere alle loro obbligazioni (43). L’applicazione al caso ora esaminato dell’art. 2043, c. c. implica, tuttavia, che l’operatore mobiliare non è responsabile se dimostra che non è in colpa e che il comportamento del risparmiatore ha interrotto il legame causale tra la condotta colpevole dell’operatore mobiliare e le conseguenze patrimoniali negative per il cliente. Costui, quand’anche consigliato dall’intermediario su quali prodotti/servizi indirizzare la preferenza, ha pur sempre seguito i consigli della controparte perché, con ragionamento autonomo, ha deciso l’operazione; tanto, sempre secondo la linea difensiva dell’intermediario, romperebbe il nesso causale lo scagionerebbe da ogni responsabilità verso l’investitore. Ma contro siffatta prospettazione interviene la condivisa idea di far operare l’art. 2050, c. c., con le conseguenze: (I) è «di configurare una responsabilità oggettiva per danno evitabile» (44) che sussiste 43 Maccaboni 2005 discute la possibilità dell’azione collettiva, mutuata dal sistema statunitense, rispetto al quale presenta pure utili argomenti ed indicazioni bibliografiche. L’a. si intrattiene pure sui criteri per la liquidazione del danno non patrimoniale cagionato al risparmiatore da investimenti rovinosi. 44 Trimarchi1961, 48. 32 qualora l’imprenditore non provi di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno: quel che conta è il fatto oggettivo che non sono state adottate tali misure, non la colpa o meno dell’imprenditore nel non averle adottate (45); (II) l’ingiustizia del danno è in re ipsa (46); (III) la prevedibilità del danno è in re ipsa (47); (IV) è sufficiente provare un nesso di causalità generico fra attività ed evento dannoso ( 48); (V) il principio del concorso di colpa ex art. 1227, c. c. è considerato applicabile (49), ma viene interpretato in modo restrittivo (50). 45 Trimarchi1961, 277. 46 Rondinone 2001, 349. 47 Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice civile, § 795. Grassetti1960, III, 50. 48 Franzoni 2004, 370. 49 «In materia di responsabilità civile, il limite della responsabilità per l'esercizio di attività pericolose ex art. 2050, c. c. risiede nell'intervento di un fattore esterno, il caso fortuito, il quale attiene non già ad un comportamento del responsabile, ma alle modalità di causazione del danno, che può consistere anche nel fatto dello stesso danneggiato recante i caratteri dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità. Peraltro, quando il comportamento colposo del danneggiato non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta del danneggiante ed il danno, esso può, tuttavia, integrare un concorso colposo ai sensi dell'art. 1227, 1º co., c. c. — espressione del principio che esclude la possibilità di considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso — con conseguente diminuzione del risarcimento dovuto dal danneggiante in relazione all'incidenza della colpa del danneggiato» ¥ Cass., sez. III, 8.5.03, n. 6988, MGI, 2003. 50 Monateri 1998, 283: «Non può essere ascritto a colpa concorrente dello stesso danneggiato il non aver sopperito con personali cautele ed autonome iniziative al difetto in 33 Non si dica che l’art. 2050, c. c. sarebbe inapplicabile perché l’attività dell’intermediario si è conclusa quando il pregiudizio si verifica. A disattendere tale eccezione basta, invero, l’argomento secondo cui, nono stante la produzione del bene pericoloso sia ormai terminata, l’art. 2050, c. c. entra in scena perché il « pericolo [è] insito nella cosa [e deriva] da quella attività» ( 51). Per applicare l’art. 2050, c. c. alla presente materia occorre, inoltre, qualificare «pericolosa» l’attività dell’intermediario mobiliare. Verrebbe voglia di sostenere che non esiste pericolo nel diffondere tra il pubblico prodotti/servizi finanziari. La giurisprudenza, del resto, sarebbe in tal senso, non avendo qualificato pericolosa l’affine attività bancaria (52). Ma leggendo le sentenze nel loro reale contenuto, piuttosto che nelle massime dalle stesse estrapolate, emerge il riferimento «non all’esercizio tipico dell’attività bancaria, bensì a danni ai clienti in occasione di rapine» (53). Ma l’art. 2050, c. c. sarebbe applicabile all’intermediario mobiliare anche se si accogliesse il suggerimento di quella giurisprudenza e si giudicasse, conseguentemente, non pericolosa la sua cui sia incorso l’esercente di una attività pericolosa con l’omessa adozione di tutte le misure idonee ad evitare il danno». 51 Franzoni 2004, 374. 52 App. Genova 21.2.80, BBTC, 1980, II, 465; GI, 1981, I, 2, 160. Cass., sez. III, 2.2.83, n. 908, BBTC, 1984, II, 459; GI, 1985, I, 1, 527. Trib. Napoli 5.3.85, DG, 1985, 712. Quest’ultima sentenza è stata confermata da Cass., sez. III, 11.3.91, n. 2555, FI, 1991, I, 2802. Per un complessivo commento a questa giurisprudenza, nonché per altre indicazioni, v. Maganza 1996, 195. 53 De Nova 2005, 711. 34 attività. La norma, infatti, dichiara responsabile chi non adotta le cautele idonee ad evitare il danno che potrebbe derivare da un’attività pericolosa in se stessa, ovvero per la natura dei mezzi utilizzati. Nel caso qui discusso, tali mezzi consistono nei prodotti/servizi non adeguati al risparmiatore che lamenta il danno. 35 4. La posizione dell’investitore La tesi secondo cui l’intermediario mobiliare è responsabile ex art. 2050, c. c. consente di valutare la pericolosità del prodotto/servizio sia in quanto tale sia rispetto al soggetto concretamente rivoltosi alla banca od alla SIM. Il caso tipico consiste nei prodotti derivati; essi, in astratto, non determinano problemi, ma possono rivelarsi un investimento disastroso se maneggiati da investitori inesperti (54). Giova, quindi, una valutazione personalizzata, nel corso della quale «considerando per ciascun caso il livello di consapevolezza del cliente circa il profilo di rischio dell’operazione» (55). Il risarcimento, ovviamente, è negato quando: l’interessato è un «operatore qualificato» per sua espressa dichiarazione scritta. Poiché la relativa nozione sta per mutare, stante la prossima attuazione della direttiva n. 2004/39/CE, si ritiene opportuna la semplice menzione di tale figura; ovvero risulta l’insistenza del cliente nel compiere un’operazione inadeguata, come testimoniato dal suo ordine impartito per iscritto; in tale evenienza, infatti, l’investitore è 54 Si trasferisce al settore in esame quanto concluso dai giudici che hanno analizzato i danni subiti nei maneggi di cavalli. Quell’attività, in sé considerata, non è pericolosa. Non lo è neppure se l’animale è affidato ad un cavallerizzo provetto. Viceversa, si rientra nell’attività pericolosa quando il cavallo è montato «da un bambino o da un principiante». Tra le molte pronunce con cui il S. C. ha dato vita a quest’orientamento v. Cass. 4.12.98, n. 12307, FI, 1999, I, 1938. 55 Bond Cirio: protocollo tra Unicredito Italiano e Associazioni Consumatori in data 19 dicembre 2003. 36 perfettamente consapevole dei rischi. Se, quindi, l’investimento si risolve in una perdita, la vittima pianga se stessa. Tale insistenza si è concretamente verificata in un caso giunto dinanzi ai giudici di merito, nel quale l’investitore (che aveva speculato sull’andamento dei titoli sottostanti ad alcuni contratti derivati) chiedeva la revoca del d. ingiuntivo, ottenuto dalla banca nei suoi confronti per il recupero dei margini di garanzia. Respingendo la tesi dell’opponente, il giudice ha giustamente sostenuto che In materia di diritti disponibili, come quelli di carattere patrimoniale, la scriminante del consenso dell'avente diritto, canonizzata all'art. 50, c. p., rientra […] tra le cause giustificative che escludono, anche rispetto agli illeciti civili, la sussistenza di un danno prodotto non iure, sicché l'azione risarcitoria non compete al cliente che persiste nel proposito di compiere operazioni azzardate pur se la banca l'ha sconsigliato dall'effettuarle e non si è attenuta al regolamento CONSOB per aver omesso di esercitare il potere-dovere di pretendere l'adeguamento dei margini di garanzia (56). La scorrettezza del cliente prevale, dunque, su quella dell’intermediario mobiliare, con la conseguente applicabilità dell’art. 1227, c. c. Il giudice mantovano non richiama espressamente tale norma, ma il suo fantasma aleggia tra le righe della pronuncia. Quando, invece, l’investitore predilige i titoli esteri, la pretesa non necessariamente si indirizza all’intermediario tramite il quale l’investimento è stato perfezionato. In una recente vicenda giudiziaria, infatti, l’investitore aveva operato direttamente sul mercato estero, dov’erano stati acquistati i famigerati tango bonds. La Repubblica Argentina è stata chiamata all’immediato pagamento degli interessi su quelle obbligazioni perché (a dire dell’investitore) il default di quello 56 Trib. Mantova, sez. II, 12.4.04, http://www.ilcaso.it. 37 Stato, previsto dagli appositi provvedimenti dichiarativi dell’«emergenza pubblica in materia economica e sociale», l’avrebbero fatto decadere dal beneficio del termine ex art. 1186, c. c.; lo Stato sudamericano ha eccepito vittoriosamente il proprio difetto di giurisdizione, riconosciuto dalla S. C. in base al proprio orientamento che esenta dal potere giurisdizionale italiano gli Stati esteri quando la pretesa a carattere economico può essere accolta solo previo il sindacato dei provvedimenti adottati dallo Stato stesso quale ente sovrano (57). Così argomentando, il sommo giudice ha, quindi, applicato il principio di diritto consuetudinario internazionale, recepito dall'ordinamento italiano in virtù di richiamo dell'art. 10, Cost.: principio, c.d. della "immunità ristretta o relativa", in virtù del quale l'esenzione degli Stati stranieri dalla giurisdizione civile è limitata agli atti iure imperii (a quegli atti, cioè, attraverso i quali si esplica l'esercizio delle funzioni pubbliche statali) e non si estende, invece, agli atti iure gestionis o iure privatorum (ossia agli atti aventi carattere privatistico, che lo Stato straniero ponga in essere, indipendentemente dal suo potere sovrano, alla stregua di un privato 57 Si veda in tal senso la motivazione così formulata: «il giudice italiano difetta di giurisdizione in relazione alla controversia promossa da un dipendente della Kuna - Kuwait News Agency, agenzia di stampa del Kuwait, al fine di ottenere, previa declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli dalla suddetta agenzia, la reintegrazione nel posto di lavoro e il pagamento di quanto dovuto in conseguenza di tale statuizione, tenuto conto che, alla stregua dell'ordinamento dello Stato di appartenenza, la Kuna deve considerarsi ente pubblico, dovendosi pertanto qualificare come rapporto di pubblico impiego il dedotto rapporto di lavoro, e che l'esenzione dalla giurisdizione italiana opera non solo quando parte in causa sia uno Stato estero, ma anche un ente pubblico attraverso il quale il suddetto Stato opera per perseguire in maniera indiretta i propri fini collettivi, a nulla rilevando che in corso di causa il lavoratore abbia optato per il risarcimento in luogo della reintegrazione originariamente richiesta (e ciò a prescindere dalla ritualità di una opzione formulata prima della decisione sulla originaria domanda), giacché la domanda, pur limitata a pretese a contenuto patrimoniale, richiede pur sempre una valutazione del comportamento datoriale, ostativa dell'esercizio della giurisdizione» (Cass., Sez. U, 12.6.99, n. 331, Ius & lex). 38 cittadino […]. Il che equivale a dire che, al fine dell'esenzione dalla giurisdizione del giudice nazionale, è richiesto che l'esame e l'indagine sulla fondatezza della domanda, a questi proposta, comporti apprezzamenti, indagini o statuizioni che possano incidere o interferire sugli atti o comportamenti dello Stato estero […], che siano espressione dei suoi poteri sovrani. Con l'ulteriore limite (di recente, per altro, evidenziato, in ragione del valore di principio fondamentale dell’ordinamento internazionale assunto dall'obbligo di rispetto dei diritti inviolabili della persona umana) per cui conviene che anche l'esercizio della sovranità non resti coperto dalla immunità quando si risolva in comportamenti dello Stato estero lesivi, appunto, di quei valori universali di rispetto della dignità umana che trascendono gli interessi delle singole comunità statuali (58). Poiché le disposizioni con le quali la Repubblica Argentina ha differito il rimborso del proprio debito pubblico, ivi compreso quello contratto con «investitori esteri» sicuramente non contrastano con fondamentali diritti individuali, l’affermazione del sommo giudice merita condivisione, prestandosi anzi ad essere generalizzata. In altri termini, quando uno Stato estero emette strumenti finanziari opera «alla stregua di un privato cittadino»; conseguentemente, esiste la giurisdizione italiana sulle pretese del risparmiatore. Ma quando, come nel caso dell’Argentina, sono adottati provvedimenti che, pur attenendo al rimborso dei titoli, ovvero ad altre posizioni patrimoniali connesse ai medesimi,consentono la «sopravvivenza economica» dello Stato dove i suddetti titoli sono emessi, il magistrato nazionale difetta della potestas iudicandi. 58 Cass., Sez. U., 27.5.05, n. 11225, pubblicata nel presente sito (porre collegamento ipertestuale). Per i rapporti con i diritti umani v., invece, Cass., 2004, n. 5044. 39 5. La posizione della CONSOB Il caso tipico in cui l’investitore non può recuperare il «denaro malamente investito» per suo conto si verifica quando l’intermediario è sottoposto alle procedure concorsuali, come concretamente avvenuto da ultimo quando il Trib. Roma ha riconosciuto che il corretto esercizio, da parte della CONSOB, del potere-dovere di vigilanza sul mercato mobiliare avrebbe impedito sin dall’inizio un’operazione di sollecitazione del pubblico risparmio, nel cui contesto la raccolta di denaro era stata effettuata anche da società non autorizzate, poi assoggettate a procedure concorsuali. [In tal caso] non può disconoscersi a chi abbia documentato le perdite subite in virtù dei rapporti di intermediazione mobiliare intrattenuti con tali società, dichiarando di non aver recuperato alcunché dall’insinuazione dei propri crediti al passivo, il diritto di ottenere dalla CONSOB il risarcimento del danno derivante dalla violazione degli obblighi ad essa incombenti, commisurato alle somme investite È stata così sconfitta la linea difensiva dell’Autorità convenuta, ad avviso della quale il g. o. non avrebbe potuto giudicare e, comunque, il danno non sarebbe stato risarcibile. 5.1. Danno al risparmiatore ed intervento del g. o. L’intervento del g. o. in soccorso del risparmiatore danneggiato non sembra posto in discussione dalla riscrittura della normativa processuale, dovuta all’art. 7, 1º co., lett. a), l. proc. Amm., nonché ad alcuni recenti interventi della Corte cost. Dalle revisioni normative e dalle pronunce di incostituzionalità la disciplina che così recita: «sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo 40 nei confronti del gestore, nonché ai servizi di pubblica utilità»(59). Le ultime innovazione della normativa, pertanto, confermano il trend inaugurato dalla «pronuncia della Corte cost. n. 292/00. [Essa, infatti], non può essere interpretata come se comportasse un’estensione della giurisdizione esclusiva [alle controversie meramente risarcitorie, come quelle ora esaminate]: l’illegittimità costituzionale deriva proprio dalla […] eccessiva estensione [della giurisdizione stessa]» (60). Quando chiede il risarcimento alla CONSOB per «omessa vigilanza», il risparmiatore «risulta titolare, nei confronti dell’amministrazione, di una pretesa diversa da quella che può condurre all’impugnazione di provvedimenti» (61). È, dunque, corretta la pronuncia che ha attribuito la giurisdizione al giudice amministrativo perché l’interessato censurava «le comunicazioni […] emanate dalla CONSOB [le quali, essendo] estrinsecazione del potere di vigilanza sul mercato mobiliare ad essa confidato, {[…] costituiscono} provvedimenti amministrativi. Pertanto, come tali, gli stessi sono immediatamente 59 Art. 33, d. giurisdizione amm., come da ultimo corretto da Corte cost. 6.7.04, n. 204. 60 Travi 2000, 2399. Con questo contributo l’a. commenta Corte cost 17.7.00, n. 292, FI, 2000, I, 2393, che dichiarò costituzionalmente illegittimo l’art. 33, d. giurisdizione amm. Nella sua originaria stesura perché il Governo aveva ecceduto dalla delega. 61 Travi 2000, 2399. Con questo contributo l’a. commenta Corte cost 17.7.00, n. 292, FI, 2000, I, 2393, che dichiarò costituzionalmente illegittimo l’art. 33, d. giurisdizione amm. Nella sua originaria stesura perché il Governo aveva ecceduto dalla delega. 41 impugnabili in via giurisdizionale» (62). Le considerazioni sulla natura provvedimentale dell’atto emanato dalla CONSOB rappresentano il presupposto in base al quale considerare «l’investitore mobiliare — che si ritenga danneggiato dai provvedimenti della CONSOB, in ordine ad una mutazione di indirizzo successiva a determinate operazioni effettuate sulla base di una precedente contraria determinazione — […] legittimato ad impugnare in sede giurisdizionale i provvedimenti stessi» (63). Gli stessi soggetti potenzialmente abilitati a promuovere una domanda risarcitoria verso la CONSOB secondo i principi già enunciati dalla giurisprudenza civile […] devono, difatti, ritenersi abilitati ad agire in sede impugnatoria allorché siano in condizione di prospettare, oltre alla titolarità di una posizione di socio [dell’ente al quale si dirigeva il provvedimento censurato dinanzi al T. A. R., posizione] connotata [come interesse legittimo], e perciò una veste già in fatto differenziata rispetto a quella di un quivis de populo, l’elemento giuridico dell’immanente attualità di una lesione patrimoniale in proprio danno (64). 5.2. Il diritto soggettivo ad «investire informati» La particolarità del caso giudicato da T. A. R. Lazio n. 10709/02 spiega perché i giudici amministrativi hanno opinato in senso opposto alla prevalente giurisprudenza ordinaria. 62 T. A. R. Lazio, sez. I, 26.11.02, n. 10709, FA, TAR, n. 11/2002, 3667 63 T. A. R. Lazio, sez. I, 26.11.02, n. 10709, FA, TAR, n. 11/2002, 3667. 64 T. A. R. Lazio, sez. I, 26.11.02, n. 10709, FA, TAR, n. 11/2002, 3668. 42 5.2.1. Il risparmiatore titolare di un diritto soggettivo Nella fattispecie decisa dal T. A. R. Lazio n. 10709/02 la CONSOB aveva «comunque esercitato la propria attività di vigilanza». Pertanto, non sussiste l'obbligo del risarcimento del danno in capo alla stessa [Autorità, nonostante abbia posto] in essere un provvedimento illegittimo per carenza di istruttoria, [consistente nel ritenere], senza il sopravvenire di elementi sostanzialmente diversi, non più sussistente un patto di sindacato, in presenza del quale sarebbe stato necessario procedere, per l'acquisizione di azioni, mediante un'offerta pubblica di acquisto (OPA). Ciò perchè, in mancanza dell'elemento psicologico della colpa, non può rinvenirsi un danno che possa considerarsi ingiusto ( 65). Non è, perciò, condivisibile la pur autorevole affermazione secondo cui «i giudici amministrativi, nell’unica occasione in cui — a quanto consta — hanno avuto modo di pronunciarsi sulla responsabilità della CONSOB, si sono mostrati indulgenti» (66). Giova, infatti, ribadire che, nel caso giudicato dal T. A. R. Lazio,la p. a. ha esercitato il proprio potere discrezionale, seppure in modo scorretto. Invece quel potere non è stato esercitato nei casi finora giunti al vaglio del g. o., mentre l'omissione di alcuna iniziativa funzionale allo scopo assegnato [dall’ordinamento agli interventi della CONSOB] non può trovare esimente nell'appartenenza anche di tale omissione all'ambito della funzione [amministrativa], tale funzione avendo 65 T. A. R. Lazio, sez. I, 26.11.02, n. 10709, FA, TAR, n. 11/2002, 3669. Sulla pronuncia v. Manfreda 2002, 3988. 66 Caputi e Palmieri 2005, 780. 43 oltre i noti limiti esterni della imparzialità, correttezza e buona amministrazione, il vincolo interno costituito dall'attivazione della vigilanza nell'interesse pubblico, quello che questa Corte ha già avuto occasione di definire come l'interesse alla trasparenza del mercato dei valori mobiliari ( 67). Trova così smentita la tesi per cui non solo la scelta relativa al quid ed al quomodo dell’azione amministrativa con strumenti «di natura ispettiva, informativa o repressiva», ma anche l’inerzia della CONSOB, pur dinanzi ad eclatanti falsità o lacune dei documenti ricevuti, sarebbe rientrata nella discrezionalità della p. a. convenuta. Il privato avrebbe, dunque, vantato soltanto un interesse legittimo al corretto impiego della discrezionalità stessa, il cui distorto esplicarsi non avrebbe prodotto pregiudizi risarcibili (68). Ma la tutela del risparmiatore non risulterebbe affievolita neppure seguendo, per mera denegata ipotesi, la tesi prospettata dall’Autorità convenuta; in suffragio del risparmiatore stesso interverrebbe, infatti, «l'incontrastata star nel firmamento giurisprudenziale di fine secolo, [ossia] 67 Cass., sez. I, 3.3.01, n. 3132, Soc, n. /2001, 565; DForm, 2001, 297; GC, 2001, I, 907; RCP, 2001, 562; DResp, n. 2001, 505; DPS, n. 7/2001, 46; FI, 2001, I, 1139; GI, 2001, 2269. Questa pronuncia è stata ampiamente commentate dalla dottrina. Senza pretendere la costruzione di un’esauriente bibliografia, si vedano: Anello e Rizzini Bisinelli 2001, 576. Caranta 2001, 571. Cristiani e Dimundo 2001, 509. D’Auria 2001, 2269. Giacalone 2001, 907. Ielo 2001, 300. Palmieri 2001, 1141. La S. C. ha annullato la sentenza impugnata con rinvio ad altro giudice del merito. La nuova pronuncia sul caso si deve ad App. Milano 21.10.03, GCo, n. 6/2004, II, 653; NGCC, n. 2/2004, I, 203, sulla quale v. Lucchini Guastalla 2004, 213. Russo 2004, 659. Riguardo, invece, alla r. c. della CONSOB considerata sul piano generale v. Tuozzo 2004, 590. 68 Alcuni prodotti assicurativi presentano caratteristiche simili ai corrispondenti prodotti finanziari. Eppure l’ISVAP, diversamente dalla CONSOB, non riceve nessuna preventiva informazione, anche solo lontanamente paragonabile al prospetto informativo. In tal modo si crea un’ingiustificata disparità tra strumenti/servizi fra loro competitivi. In tal senso Guaccero 2003, 28. 44 la sentenza delle Sez. U. 22.7.99, n. 500» (69). 5.2.2. Il contenuto del diritto soggettivo Prima di Cass., Sez. U., n. 500/99 l’individuazione di un diritto soggettivo mirava a superare le obiezioni poste da «una giurisprudenza pietrificata» alla risarcibilità delle lesioni agli interessi legittimi. Successivamente alla pietra miliare posta da quella pronuncia, l’interprete (finalmente libero da pastoie dogmatiche) può addebitare alla CONSOB «la violazione del diritto soggettivo all'integrità del patrimonio e alla libertà negoziale» Si introduce così un concetto che non è certo una novità nel panorama giurisprudenziale italiano. […] Peraltro [possono nutrirsi] dubbi sulla configurabilità nell'ordinamento di un diritto siffatto. La critica più ricorrente che viene mossa all'impiego di questa figura fa leva [sul fatto che, parlando di] “integrità patrimoniale", è al di fuori dello schema del diritto soggettivo, se a tale termine si vuol dare un significato dotato di una qualche consistenza tecnica. [L’integrità del patrimonio] non sarebbe, infatti, [altro] che la sintesi del complesso dei diritti di carattere economico riferibili ad una persona fisica, dotati di rilevanza e dunque 69«In presenza di un atto illegittimo della p. a., che sia stato posto in essere con dolo o colpa e che sia stato causa di danno ingiusto — diretta conseguenza del provvedimento — il suo destinatario ha titolo al risarcimento dei danni, anche se titolare non di un diritto soggettivo, ma di un interesse giuridicamente rilevante (diverso dalla mera aspettativa), tenuto presente che ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, essendo la tutela risarcitoria assicurata esclusivamente in relazione all'ingiustizia del danno. La relativa controversia, ove non riguardi materia devoluta, per legge, alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi, è di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria, la quale può pronunciarsi sulla domanda senza attendere l'esito del giudizio di annullamento dell'atto, di competenza della giurisdizione amministrativa di legittimità» ¥ Cass., Sez. U, 22.7.99, n. 500, GP, 1999, II, 569; MGL, 1999, 1272; FI, 1999, I, 2487. La condivisa definizione riferita nel testo appartiene a Palmieri 2001, 1142. 45 suscettibili di tutela. La creazione d'un diritto ad hoc non sarebbe che un modo attraverso cui troverebbe ingresso il risarcimento di un danno meramente patrimoniale precludendo l'operatività del filtro selettivo rappresentato dal "danno ingiusto" di cui all'art. 2043, c. c. Il formale omaggio reso alla tradizione attraverso l'affermazione dell'esistenza d'un diritto all'integrità del patrimonio in realtà maschererebbe la sostanziale adesione all'orientamento opposto, che individua nella norma dell’art. 2043, c. c. una clausola generale, a fronte della quale esclusivo autore del giudizio d'ingiustizia sarebbe il giudice. […]Sembra, [allora], forzata la costruzione di un diritto soggettivo all'integrità del patrimonio (70). Per impedire la forzatura giustamente evidenziata dall’opinione testé riferita giova individuare il diritto, leso dall’inerzia dell’organo vigilante, in quello «ad investire informati». In altre parole, ciascun risparmiatore, infatti —attraverso l’azione risarcitoria contro la CONSOB —, avanza la pretesa di poter effettuare le proprie scelte d'investimento sulla base di informazioni non solo complete, ma anche veritiere, se non in ogni singolo elemento, cosa che presupporrebbe una verifica capillare e pressoché impossibile, quantomeno nel complesso. Questo, sul presupposto che la decisione d'investimento richiede disponibilità d'informazioni che sarebbe impossibile affidare all'iniziativa individuale nei rapporti con gli emittenti (71). Ma perché si passi dall’astratta affermazione che il diritto, configurato in questi termini, è stato leso alla concreta condanna al risarcimento per «omessa vigilanza» occorre dimostrare [accanto alla colpa (72)] il nesso causale. 70 Andò 2002, 165. Per ulteriori critiche alla tesi dell’integrità patrimoniale come diritto soggettivo v. Salvi 1988, 1216. 71 Bernardo e Visentini 2001, 889. 72 La colpa sarebbe però presunta se si configurasse come contrattuale la r. c. della CONSOB. Omettendo la vigilanza, tale Autorità, in altri termini, avrebbe violato un «obbligo 46 Riguardo alla dimostrazione della causalità un contributo alla tutela del risparmiatore proviene dall’applicazione all’ambito civilistico dell’art. 40, 2º co., c. p.; poiché, in altri termini, la CONSOB è tenuta ad operare per prevenire il danno, essere rimasta inerte «equivale a cagionarlo». La condotta negligente dell’Autorità convenuta costituisce però una semplice concausa del pregiudizio; in base all’art. 41, c. p., anch’esso applicabile alla materia civilistica, tale condotta, pertanto, equivale a tutte le altre circostanze che hanno accompagnato il prodursi del danno (73). Per seguire completamente il ragionamento si dovrebbe spostare il discorso sul piano fattuale, appannaggio del giudice di merito se motiva in modo logico ed immune da errori giuridici. Senza scendere ad ulteriori considerazioni su singole vicende, si ritiene di aver posto principi utili al lavoro di quel giudice. 5.3. Risarcimento CONSOB: incentivo ad operazioni spregiudicate? È utile analizzare i riflessi della giurisprudenza prevalente (e condivisa) sulle scelte dei risparmiatori (74). di protezione» verso i risparmiatori. Da ciò conseguirebbe la responsabilità per inadempimento; spetterebbe, dunque, all’Amministrazione convenuta provare l’impossibilità di intervenire per motivi ad essa non imputabili. In tal senso, seppure dubitativamente, Andò 2002, 165. 73 Sul rapporto causale v. Andò 2004, 223. 74 I giudici, invero, non sono schierati nella loro totalità a favore dei risparmiatori. Con riguardo al «caso FERFIN – Montedison», ritenuta la giurisdizione del g. o. perché la pretesa condotta colpevole della CONSOB avrebbe leso «l’integrità del patrimonio e, più specificamente, il diritto di determinarsi liberamente nello svolgimento dell'attività negoziale relativa al patrimonio, […] la domanda [risarcitoria nei confronti della CONSOB è 47 Essi, invero, possono vedere «falsata la percezione del rischio connesso all’operazione» se la CONSOB diventa «un assicuratore che copre illimitatamente le perdite registrate dagli investitori. […] La prospettiva di una garanzia di recupero del capitale può creare incentivi anomali rispetto alla propensione individuale all’investimento» (75). Diversamente dalle comuni polizze assicurative, inoltre, il risparmiatore non è neppure tenuto a corrispondere un premio. Sarebbe, quindi, immaginabile un soggetto che agisse sul mercato in maniera spregiudicata, contando sul risarcimento da parte della CONSOB, in aggiunta a quello eventualmente dovuto dai Fondi di garanzia degli investitori. Ma in tal modo si rischia la creazione di un sistema lontano dai modelli esistenti nei restanti Paesi ad economia finanziaria sviluppata. Ed anche non volendo scendere a raffronti comparatistici, ai quali non si è preparati, l’indiscriminata soggezione della CONSOB alla r. c. fa dimenticare che stata ritenuta] infondata. È […] da escludere, infatti, che l'attore possa basare una pretesa risarcitoria […] sul comunicato diffuso alle agenzie di stampa […] ovvero sul fatto, in sé e per sé considerato, della mancata promozione dell'OPA obbligatoria. Tale comunicato, invero, altro non è che l'espressione di un giudizio — sia pure autorevole ed influente — emanato dall'organo di vigilanza circa l'insussistenza delle condizioni per la promozione dell'OPA, inidoneo in ogni caso a far venir meno l'obbligo di darvi corso qualora le relative condizioni fossero effettivamente sussistite. La CONSOB ha ritenuto che tali condizioni non ricorressero in concreto, motivando il proprio convincimento con una serie di considerazioni» ¥ Trib. Milano 23.6.97, Soc, n. 3/1998, 303. Sulla sent. v. Lener 1998, 305. La pronuncia è stata confermata da App. Milano 27.11.98, FI, 1999, I, 2712; Soc, n. 3/1999, 316. Su quest’ultimo precedente si consulti Tucci 1999, 320. 75 Caputi e Palmieri 2005, 781. 48 chi investe può al limite (ma non necessariamente) essere sprovvisto delle capacità e dei requisiti per valutare ex ante con una certa attendibilità rischi e possibilità di guadagno, ma la sua scelta […] non è aliena da motivazioni speculative. Se egli decide, dunque, di andare allo sbaraglio e di affidarsi al «mercato» (e non è vittima di comportamenti fraudolenti, dei quali andrebbero chiamati a rispondere i rispettivi artefici), sarà al mercato, con tutte le sue vicissitudini e le sue imperfezioni, che dovrà, a seconda dei casi, rendere omaggio o rivolgere i suoi strali. Finché durerà il mercato, la protezione dell’investitore sarà limitata (76). Purtroppo non esistono criteri di facile applicazione per stabilire dove terminano le avverse congiunture economiche e dove, viceversa, iniziano i comportamenti colpevoli degli intermediari, dell’Autorità e degli stessi investitori, «inerti anche di fronte ad inquietanti segnali d’allarme». Donde un vasto spazio per il sapiente apprezzamento del giudice del merito. 76 Caputi e Palmieri 2005, 782 dove, alla nota 57, citazioni di conf. dottrina statunitense 49 6. Valutazione conclusiva Se, in conclusione, va scoraggiata la tentazione di vedere nella CONSOB la «tasca profonda», dalla quale attingere sempre e comunque il risarcimento perché l’investimento non è andato a buon fine, la r. c. dell’Autorità di vigilanza ha una funzione positiva. Essa, come giustamente rilevato in dottrina, consiste nel realizzare un controllo sull'impresa finanziaria, quale base del sistema economico tout court; [il che] richiede un approccio all'economia in termini di regolamentazione non neutra di mera fissazione di regole oggettive, vane di fronte al dinamismo imprenditoriale, ma di riconoscimento di un ruolo ambivalente dell'impresa. [Esso] si contraddistingue da un lato in termini di valorizzazione dell'impulso individuale, insostituibile almeno allo stato nell'economia, e di misurazione dell'efficienza, ma anche per la tendenza—creatrice ma anche distruttrice propria dell'accumulazione capitalistica—a strumentalizzare gli altri fattori alle proprie esigenze, anche a prescindere da una valorizzazione delle [altrui] esigenze fondamentali, in un'ottica che non si deve aver timore a definire quale di vera e propria sopraffazione. La valorizzazione dell'uno a scapito dell'altra si rivela pertanto il vero nodo dei controlli ( 77). In termini prettamente giuridici, la responsabilità dell'impresa deve rivelarsi lo strumento di elevamento delle prestazioni dell'impresa [stessa], senza interventi repressivi al di fuori di una correlazione con lo statuto comportamentale e senza interventi di consumerismo indiscriminato, che nient'altro significherebbero che il ritorno ad una logica assistenziale ( 78). La r. c. — indipendentemente dalla sua configurazione precontrattuale, contrattuale od aquiliana — assolve, tuttavia, alla funzione positiva giustamente evidenziata dagli scrittori solo se contenuta entro accettabili confini. Occorre, allora, equilibrare la tutela degli investitori dalla mala 77 Torchia 1992, passim propende, invece, per «una visione del controllo in termini di mera regolarità». 78 Bochicchio 2004, 668. V. amplius Salvatore 2004, passim. 50 gestio del loro patrimonio (fenomeno che si ritiene percentualmente limitato, nonostante il grande numero assoluto dei soggetti coinvolti negli scandali dai quali la ricerca ha preso spunto) ed il libero dinamismo delle forze imprenditoriali. Raggiungere tale risultato è certo difficile, ma lo sforzo degli operatori dovrebbe alleggerirsi dopo questa ricerca (79). La normativa, dal canto suo, indica i comportamenti da adottare per non incorrere in responsabilità apparentemente schiaccianti. 79 Gioia 2004, 63, invece, insiste sulle «difficoltà di giungere ad una vera ed effettiva tutela del risparmiatore». Indicazioni bibliografiche 1°. 2°. AA. VV. 3°. 2005 La tutela del risparmio: l'efficienza del sistema, atti del Convegno di Alba, 20.11.04, in Soc, n. 3, 278-334. 4°. Abriani N. 5°. 2004 6°. Alpa G. 7°. 1991 8°. Andò B. 9°. 2002 Dal caso Parmalat alle nuove regole a tutela del risparmio, in Soc, n. 3, 269-271. La legge sulle SIM e i contratti con i « clienti », in BIS, 205-220. Responsabilità della CONSOB per inadeguato controllo di prospetto falso alla luce della legge n. 216/74, in NGCC, n. 1-2, I, 161-168. 10°. 2004 Nesso di causalità fra omessa vigilanza e danno risentito dagli investitori. Criteri di quantificazione del danno, in NGCC, n. 2, I, 223-230. 11°. 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