AA_001465_resource1_orig

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R.C. PER INVESTIMENTI NON REMUNERATIVI
Di Avv. Adolfo Tencati, Milano, [email protected]
Sommario:
1.
I protagonisti della ricerca ....................................................................................................1
2.
I principali casi di investimenti non remunerativi ...................................... 4
3.
La posizione degli intermediari ........................................................................................ 6
3.1.
La tesi della nullità «testuale» .....................................................6
3.2.
La tesi della nullità «virtuale» .....................................................9
3.2.1.
«Nullità virtuali» ed operazioni finanziarie ..........12
3.2.2.
«Nullità virtuali» ed investimenti infruttuosi ....17
3.3.
Gli
obblighi
informativi
hanno
struttura
bidirezionale ....................................................................................................................18
3.3.1.
r. c. per informazioni fuorvianti......................................19
3.3.2.
Rifiuto di informazioni e r. c. dell’intermediario
20
3.4.
3.4.1.
Profili sostanziali ...........................................................................24
3.4.2.
Profili processuali...........................................................................28
3.5.
4.
La tesi deLL’inadempimento ..............................................................24
Operazioni finanziarie ed attività pericolose ...............30
La posizione deLL’investitore ............................................................................................. 35
ii
5.
La posizione della CONSOB .........................................................................................................39
5.1.
Danno al risparmiatore ed intervento del g. o. .........39
5.2.
Il diritto soggettivo ad «investire informati» ..............41
5.2.1.
Il
risparmiatore
titolare
di
un
diritto
soggettivo ......................................................................................................................42
5.2.2.
5.3.
Il contenuto del diritto soggettivo ............................44
Risarcimento
CONSOB:
incentivo
ad
operazioni
spregiudicate? ..................................................................................................................46
6.
Valutazione conclusiva ...................................................................................................... 49
Legislazione: Cost. 10. – c. c. 1176, 2º co., 1337, 1418, 1453, 2043, 2050. – legge 7.6.1974, n. 216,
«miniriforma società», articolo 18. – l. 2.1.1991, n. 1, «l. SIM». – d. lg. 24.2.1998, n. 58, t. u. interm. fin., artt.
21, 23, 6º co. – d. lg. 31.3.1998, n. 80, d. giurisdizione amm., art. 33. – Deliberazione CONSOB 1.7.1998,
n. 11522, delib. intermediari, artt. 26, 1º co., lett. e), 27, 28, 29, 30, 1º co.
Bibliografia: Grassetti 1960. – Trimarchi 1961. – Portale 1982. – Ferrarini 1986. – Jaeger 1986. – Salvi
1988. – Alpa 1991. – Carbonetti 1992. – Torchia 1992. – Castronovo 1993. – Bianca 1994. – Maganza
1996. – Squillace 1996. – Girino 1998. – Giuliani 1998. – Lener 1998. – Monateri 1998. – Sanzo 1998. –
Lobuono 1999. – Topini 1999. –Tucci 1999. – Bruno 2000. – Costanza 2000. – Travi 2000. Anello e
Rizzini Bisinelli 2001. – Bernardo e Visentini 2001. Caranta 2001. – Cristiani e Dimundo 2001. – D’Auria
2001. – Giacalone 2001. – Girino 2001. – Ielo 2001. – Longhini 2001. – Palmieri 2001. – Rondinone 2001.
– Andò 2002. – De Biasi 2002. – Iannello 2002. – Maffeis 2002. – Visentini 2002. – Di Staso 2003. –
Guaccero 2003. – Nastasi 2003. – Onado 2003. – Adriani 2004. – Andò 2004. – Bochicchio 2004. – Di
Staso 2004. – Falcone, Greco e Rotondo 2004. – Fimmanò 2004. –Franzoni 2004. – Gaffuri 2004. –
Gioia 2004. – Lucchini Guastalla 2004. – Maffeis 2004. – Riimini 2004. – Russo 2004. – Salvatore 2004.
– Sartori 2004. – Sartori 2004ª. – Tuozzo 2004. – AA. VV. 2005. – Bersani 2005. – Caputi e Palmieri
iii
2005. – De Nova 2005. – Di Dio e Salerno 2005. – Maccaboni 2005. – Maffeis 2005. – Maffeis 2005ª. –
Roppo 2005. – Rordorf 2005. – Sartori 2005. – Sartori 2005ª. – Tomezzoli 2005.
L’art. 21, t. u. interm. fin. e gli artt. 26-30, delib. intermediari impongono agli intermediari mobiliari numerosi doveri a tutela degli investitori e del
mercato. La violazione di siffatti doveri implica r. c. (contrattuale od aquiliana, secondo le varie prospettazioni), o nullità dei contratti stipulati con i
risparmiatori? Giudici e scrittori sono discordi. Donde l’esigenza della ricerca, attenta alle posizioni dei contraenti e delle «Autorità vigilanti», nonché
ai profili comparatistici. Discostandosi dalla comune interpretazione, lo scrivente ritiene (sulla scorta di una tesi dottrinale minoritaria) l’intermediario
che opera investimenti rovinosi responsabile ex art. 2050, c. c.
1. I protagonisti della ricerca
I fatti gravissimi del crac Parmalat e altre inquietanti crisi finanziarie che lo hanno preceduto e seguito, da Bipop a
Finmatica, hanno messo a nudo i limiti del sistema di controlli interni ed esterni previsto dal nostro ordinamento a tutela
di chi investe nel capitale di rischio (azioni) o di debito (obbligazioni, bond) delle società che fanno appello al pubblico
risparmio. Com'era avvenuto negli Stati Uniti sull'onda del caso Enron, anche nel nostro Paese si è immediatamente
avvertita l'esigenza di porre mano a incisivi interventi legislativi volti a rafforzare la tutela dei risparmiatori e a limitare gli
effetti negativi inevitabilmente subiti, in termini di discredito, dal nostro mercato finanziario ( 1).
Negli U. S. A. questi «interventi legislativi» si sono realizzati con grande sollecitudine,
mentre in Italia il dibattito sulla normativa meglio rispondente alla tutela dei risparmiatori è ancora
in corso (2).
Si auspica, anzi, che le tempestose vicende finanziarie dell’estate 2005 stimolino a
concludere tale dibattito in tempi brevi e con esiti soddisfacenti per i risparmiatori.
Essi, tuttavia, non sono i soli a sentire incrinata la capacità di considerare i «mercati
finanziari» in termini non apocalittici. Il loro «grido di dolore» di fronte alle vicende poco sopra
ricordate è, infatti, pienamente condiviso dalla dottrina, la quale rileva giustamente che le
vicende [{…] stesse}, se da un lato non sono in grado in sé di generare squilibri all’assetto industriale del Paese né tanto
meno a quello bancario, dall’altro lato minano irreversibilmente [non solo la] fiducia degli investitori, [come sopra
evidenziato, ma pure quella] dei finanziatori che, in un mercato asimmetrico come quello finanziario basato su una
ricchezza invisibile, rappresenta la pietra angolare del sistema. Il crollo della fiducia, arretrata in poche settimane a livelli
della fine degli anni `80, allontana i risparmiatori dalle imprese, producendo di conseguenza una minore capacità di
1 Adriani 2004, 269.
2 Per un commento ai vari progetti di legge, attualmente pendenti in Parlamento riguardo
alla tutela del risparmio v. AA. VV. 2005,
AA. VV. 2005, 278-334. Di Dio e Salerno 2005, 3202-3209.
2
sviluppo e di investimento, con inevitabili effetti sistemici. Il premio al rischio su strumenti finanziari legati alle società
quotate italiane è inevitabilmente salito, in controtendenza rispetto agli altri paesi dell’Unione [Europea], con un effetto
negativo in termini di capitalizzazione di borsa per oltre 100 miliardi di euro. L’impatto non riguarda solo le società
quotate, in quanto l’effetto si ripercuote anche sulle piccole e medie imprese in termini di
credit crunch, ossia di
razionamento del credito da parte delle banche ( 3).
Passando dalle sterili lamentazioni sulla sfiducia dei risparmiatori e degli investitori in
genere al tentativo di apprestare loro strumenti protettivi, si condivide subito l’autorevole pensiero
secondo cui le riforme legislative sono certo necessarie, ma divengono inutili se manca la capacità
di farle effettivamente applicare (4).Con queste considerazioni si è già delineata la dialettica
attorno alla quale ruota la ricerca.
Gli investitori chiedono alle società emittenti la produzione di notizie vere ed affidabili sul
loro «stato di salute» finanziario. Gli intermediari mobiliari, in quanto «cinghia di trasmissione»
tra gli emittenti stessi ed gli acquirenti degli strumenti finanziari, sono dal canto loro tenuti a:
(a) comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, nell'interesse dei clienti e per l'integrità dei mercati;
(b) acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati;
(c) organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, in situazioni di conflitto, agire in modo
da assicurare comunque ai clienti trasparenza ed equo trattamento;
(d) disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l'efficiente svolgimento dei servizi;
3 Fimmanò 2004, 401-405.
4 In tal senso ancora Fimmanò 2004, 401.
3
(e) svolgere una gestione indipendente, sana e prudente e adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni
affidati agli intermediari stessi (5).
Sull’osservanza di siffatti doveri vigila la CONSOB, le cui funzioni sono state recentemente
irrobustite dalla normativa che ha attuato la direttiva sugli abusi di mercato (6).
5 Art. 21, 1º co., t. u. interm. fin.
Per approfondimenti sui problemi processuali v. Caputi e Palmieri 2005, 774-782.
Riguardo, invece, alla direttiva 2003/6/CE, sugli abusi di mercato, la dottrina sta riflettendo
con abbondanza di contributi. Tra questi i più coerenti al taglio della ricerca sono Rordorf
2005. Tomezzoli 2005.
4
2. I principali casi di investimenti non
remunerativi
Un’ampia brillante ricerca ha recentemente approfondito gli aspetti generali della r. c.
gravante sugli operatori mobiliari (7). Sperando di esserne degno continuatore, lo scrivente ritiene
di raggruppare in quattro grandi categorie l’ormai abbastanza vasta casistica giurisprudenziale
formatasi sulle pretese degli investitori delusi da investimenti non remunerativi. Tali gruppi
comprendono la cessione:
[1]
delle obbligazioni emesse dallo Stato argentino (8);
[2]
delle obbligazioni Cirio (9);
[3]
delle obbligazioni Parmalat (10);
[4]
di altri titoli con elevata componente speculativa (tra i quali possono ricordarsi le
obbligazioni «strutturate», i contratti derivati non stipulati per la copertura dei rischi
7 V. Falcone, Greco e Rotondo 2004, segnalato nel presente sito (porre collegamento
ipertestuale). Si rinvia alle indicazioni dottrinali e giurisprudenziali contenute nel predetto
volume per quanto non esposto nell’attuale lavoro.
8 Sul caso v.Gaffuri 2004, 1143-1145. Sartori 2005
9 Su questo caso v. Di Staso 2003. Onado 2003, 499-505.
10 Su questo caso v. Adriani 2004, 269. Di Staso 2004.
5
connessi all’attività imprenditoriale, swaps) (11).
Rinviando, per la dettagliata trattazione di questa casistica, all’ormai alquanto estesa
elaborazione dottrinale che la riguarda, la successiva trattazione riprenderà con il dovuto
approfondimento la dialettica accennata concludendo il § 1 più sopra; saranno, pertanto, analizzate
le responsabilità degli intermediari, dei risparmiatori e degli organi chiamati a vigilare sul corretto
funzionamento dei mercati mobiliari.
11 Soprattutto riguardo agli swaps il problema maggiore consiste nello stabilire se al
risparmiatore si addice il titolo di «operatore qualificato». Sul tema v. Rimini 2004, 532539. Sartori 2005ª.
6
3. La posizione degli intermediari
Quando un investimento non produce gli esiti sperati dal risparmiatore, costui dirige la
pretesa prima di tutto verso l’intermediario che ha proposto l’investimento stesso, perfezionato
mediante un contratto concluso in sede o tramite i promotori finanziari. Gli strumenti attraverso i
quali l’investitore può recuperare «il denaro malamente investito» sono consistiti in:

nullità per vizio di forma;

oppure nullità per contrasto con norme di ordine pubblico;

oppure annullamento per dolo;

oppure annullamento per errore [sulle qualità essenziali del prodotto finanziario o del servizio di
investimento acquistato];

oppure annullamento per conflitto di interessi;

oppure risoluzione per inadempimento;

oppure — senza attaccare il contratto — risarcimento a titolo di responsabilità precontrattuale ( 12).
3.1. La tesi della nullità «testuale»
Onde mantenere la trattazione entro accettabili dimensioni, si analizzeranno soltanto i
«rimedi contrattuali» consistenti nella dichiarazione di nullità, ovvero nella risoluzione per
12 L’elencazione si deve a Roppo 2005, 625.
7
inadempimento. La scelta, oltre che da esigenze espositive, è dettata dal fatto che, come si vedrà al
momento opportuno, qui si segue una prospettazione diversa, affidata alla responsabilità aquiliana
degli intermediari mobiliari. Il caso tipico dove appare l’insufficienza dei modelli ricostruttivi
ormai classici consiste nell’esecuzione
dell'ordine di borsa. [Esso] è il contratto atipico con il quale un soggetto conferisce ad un intermediario l'incarico di
concludere per suo conto ed in nome proprio un contratto di borsa: nella disciplina di tale contratto può essere fatta
applicazione, oltre che delle eventuali regole convenzionali, anche delle disposizioni che disciplinano materia simile o casi
analoghi, perchè il rapporto di collaborazione che si instaura fra il cliente e l'intermediario implica che per l'esecuzione del
contratto la parte a cui è stato dato l'ordine si obblighi a compiere uno o più atti giuridici per conto dell'ordinante ( 13).
È pacifico che la banca o la SIM stipulano un contratto quando assumono l’incarico di
acquistare/vendere strumenti finanziari per conto del loro cliente; viceversa, non è altrettanto
pacifico che si possa attribuire struttura contrattuale agli ordini mediante i quali gli strumenti
finanziari vengono fatti entrare/uscire dal patrimonio dell’investitore. Se gli ordini stessi non sono
impartiti per iscritto, sono «nulli per vizio di forma»?
Vig. la «l. SIM», una pronuncia di merito si espresse per l’affermativa, così motivando
per le società di intermediazione mobiliare la legge prescrive che nello svolgimento della loro attività esse debbano stabilire
i rapporti con il cliente stipulando un contratto scritto. La disciplina stabilita dalla «l. SIM», che ha riorganizzato l'attività
di intermediazione mobiliare, ha introdotto l'obbligo della forma scritta per il conferimento dell'incarico ad operare sul
mercato mobiliare. La forma scritta stabilita "per gli atti specialmente indicati dalla legge" costituisce elemento di validità
13 Trib. Milano 6.2.97, GI, 1998, I, 2, 302. Sulla sentenza v. Sanzo 1998, 303.
8
del contratto sotto pena di nullità (14).
Leggendo questo passo isolato dal resto della pronuncia, si potrebbe riferire l’obbligo della
forma scritta tanto al «contratto quadro che legittima l’intermediario alla negoziazione, quanto al
singolo ordine di borsa.
Collegando, viceversa, il brano testé riferito all’insieme delle argomentazioni svolte dai
giudici milanesi, emerge che il requisito formale è stato dagli stessi riferito al singolo
acquisto/vendita degli strumenti finanziari.
Esso può, peraltro, considerarsi nullo per ragioni diverse dal vizio formale. Uno tra i
maggiori civilisti italiani, infatti, ha giustamente fondato tale conclusione sull’art. 30, 1º co., delib.
intermediari. Tale norma obbliga gli intermediari mobiliari a fornire i propri servizi previa la
conclusione di «un apposito contratto scritto», nel quale ravvisare il «quadro giuridico» che fa da
sfondo alle singole negoziazioni. Conseguentemente: la citata norma del Regolamento CONSOB
individua nella previa conclusione di apposito contratto quadro un requisito di legittimazione
dell’intermediario a fornire servizi di investimento ai propri clienti;
 la citata norma del Regolamento CONSOB individua nella previa conclusione di apposito contratto quadro un requisito
di legittimazione dell’intermediario a fornire servizi di investimento ai propri clienti;
 la conclusione col cliente di un contratto per la vendita di titoli (mediante accettazione ed esecuzione del relativo ordine)
14 Trib. Milano 6.2.97, n. 1489, Contr, n. 4/1997, 392. Sulla sentenza v. Girino 1997, 397.
9
è, precisamente, fornitura di un servizio di investimento (di negoziazione o raccolta ordini);
 in mancanza del contratto quadro, la banca non era quindi legittimata (forse può dirsi: era priva di capacità giuridica) ad
accettare ed eseguire l’ordine di acquisto del cliente, concludendo con lui il relativo contratto;
 pertanto, il singolo contratto di acquisto dei titoli in mancanza di contratto quadro è nullo.
Ma allora la nullità, propriamente, deriva non già da violazione del requisito di forma dell’art. 23, t. u. interm. fin., bensì
dal contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 30, 1º co., delib. intermediari (15).
A questo punto sorge spontanea un’obiezione: non è scritto da nessuna parte che la
violazione della normativa regolamentare è sanzionata dalla nullità.
Ma l’ampia formula normativa secondo cui «il contratto è altresì nullo negli altri casi
stabiliti dalla legge» (art. 1418, 3º co., c. c.) legittima tale conclusione, ancorché fondandola sulla
nullità «virtuale» piuttosto che su quella «testuale», così chiamata perché prevista espressamente
come sanzione da un’espressa norma (16).
3.2. La tesi della nullità «virtuale»
Presso i giudici prevale l’opinione secondo cui i contratti conclusi in violazione dell’art. 21,
15 Roppo 2005, 625.
16 È favorevole alla nullità dei contratti contrari alla normativa regolamentare emanata
dalla CONSOB Bersani 2005.
10
t. u. interm. fin. e della normativa secondaria emanata dalla CONSOB sono affetti dalla nullità
«virtuale», così chiamata perché è l’interpreta a desumerla dai principi generali dell’ordinamento,
mancando l’espressa dichiarazione dell’invalidità negoziale.
Senza, ovviamente, la pretesa di elencare tutti i precedenti giurisprudenziali fedeli a siffatta
opinione, possono ricordarsi quelli appresso menzionati.
Tabella 1 Sentenze che hanno affermato la nullità «virtuale»
Organo
Luogo
Data
Pubblicazione
Trib.
Mantova, sez. II
18.3.04
Soc, n. 9/2004, 1139
Trib.
Venezia, sez. II
22.11.04, n. 2253
Contr, n. 1/2005, 5;
giudicante
DResp, n. 6/2005, 613
Trib.
Mantova, sez. II
12.11.04
http://www.ilcaso.it
Trib.
Mantova, sez. II
1.12.04
DResp, n. 6/2005,
613
Trib.
Palermo, sez. III
17.1.05
http://www.ilcaso.it
Trib.
Brindisi
21.1.05
http://www.ilcaso.it
11
Trib.
Ferrara
25.2.05, n. 216
http://www.ilcaso.it
Trib.
Mantova, sez. II
5.4.05
http://www.ilcaso.it
Trib.
Genova, sez. I
18.4.05
DResp, n. 6/2005,
604
Le sentenze appena ricordate non hanno, peraltro, affermato un principio assolutamente
innovatore. A distanza abbastanza breve dall’introduzione della più remota disciplina
sull’intermediazione mobiliare, infatti, il Trib. Milano affermava che
Le norme previste dalla «l. SIM», all'art. 6, 1º co., lett. (c) (obbligo di stipulare un contratto scritto), lett. (e) (obbligo di
operare informando adeguatamente il cliente sui rischi e [sulla] natura delle operazioni), e lett. (g) (divieto per gli
intermediari autorizzati di effettuare, salvo preventiva autorizzazione del cliente, operazioni in conflitto di interessi con
quest'ultimo) sono da considerarsi imperative — in quanto, oltre a tutelare l'interesse dei singoli contraenti a ricevere una
corretta e completa informazione, e quindi alla produzione di un corretto processo formativo della volontà, presiedono allo
svolgimento di attività economiche rilevanti secondo regole tali da salvaguardarne e consentirne la corretta e regolare
esecuzione — per cui devono considerarsi nulli gli atti che violano le stesse norme (17).
Pochi anni dopo quest’argomentazione era ripresa ed approfondita dai giudici torinesi di
merito, ad avviso dei quali
17 Trib. Milano 11.5.95, GCo, 1996, II, 79; BBTC, 1996, II, 442. Sulla sentenza v. Squillace
1996, 85-97.
12
l'art. 6, «l. SIM», che detta la disciplina cui deve attenersi una società di intermediazione mobiliare nello svolgimento della
sua attività con la clientela, è norma imperativa ex art. 1418, 1º co., c. c. Ciò in considerazione:
(f) degli interessi da essa tutelati (trasparenza e correttezza dei mercati finanziari, sicurezza degli scambi negoziali);
(g) del carattere generale di tali interessi (che trascendono dall'interesse del singolo contraente);
(h) del contenuto di doverosità della norma (che esprime un obbligo non derogabile neppure con il consenso del cliente).
Pertanto il mancato rispetto dell'art. 6, «l. n. SIM» determina la nullità assoluta dei rapporti giuridici posti in essere tra la
SIM e il proprio cliente (18).
Questi precedenti non sono stati richiamati solo per documentare la continuità tra essi e
quelli formatisi sulla casistica ricordata al § 2 più sopra, né tanto meno per soddisfare la curiosità
degli eruditi. Considerando la sostanziale continuità tra il t. u. interm. fin. e la normativa che l’ha
preceduto, gli interventi dei giudici milanesi e torinesi offrono una valida base alla prosecuzione
della ricerca.
3.2.1.
«Nullità virtuali» ed operazioni finanziarie
I giudici di merito non sono rimasti soli nel sostenere la nullità, per contrarietà alla relativa
disciplina, dei contratti che legano gli intermediari mobiliari ai propri clienti. La tesi prospettata
dai giudici di Milano e di Torino negli anni `90 ha trovato autorevole conferma presso la S. C.
quando ha analizzato la casistica relativa, parimenti alle vicende giudicate dalla Magistratura di
18 Trib. Torino 19.4.98, FP, 1998, I, 387. Sulla sentenza v. Giuliani 1998, 391-399.
13
merito, agli swaps. Premessa la definizione di tali contratti , peraltro desunta dall’elaborazione
dottrinale e dalla giurisprudenza, il sommo giudice ha demolito la tesi del ricorrente (19). A suo
avviso uno swap, stipulato con un intermediario non iscritto all’Albo delle SIM, non sarebbe stato
nullo perché nessuna disposizione espressamente sanciva la nullità delle operazioni intercorse con
soggetti non autorizzati. In ogni caso, sempre ad avviso del ricorrente, ferma restando l’illiceità
dell’attività svolta dalla controparte, il singolo atto negoziale sarebbe stato valido. Il sommo
giudice ha respinto entrambe queste prospettazioni proponendo la corretta interpretazione dell’art.
19 Secondo la dottrina, con l’espressione contratti di swap si contraddistinguono alcuni
contratti, alquanto diversi fra loro, attraverso i quali le parti contraenti convengono di
scambiarsi un determinato bene (in genere denaro) in unica o più soluzioni, ad una certa
data calcolando la quantità da scambiare in relazione ad uno o più indici assunti come
riferimento al momento della conclusione del contratto. Le parti possono anche convenire di
scambiarsi alla data prestabilita non i reciproci ammontari, ma soltanto il saldo netto
dovuto (c.d. accordo di netting). Gli swap sono, quindi, caratterizzati dall’obbligo delle parti di
corrispondersi una prestazione la cui esatta determinazione ed esigibilità diviene conosciuta
ed attuale con il verificarsi di un evento, futuro ma certo, quale, secondo i casi, ad
esempio, la variazione del rapporto di cambio fra valute, ovvero la fluttuazione dei tassi di
interesse. In conseguenza del verificarsi dell’evento una parte dovrà adempiere
all’obbligazione nella misura, più o meno ampia, che risulterà determinata in funzione
dell’indice concordato tra le parti e dell’entità della variazione dello stesso. Ciò che le parti
di un contratto derivato “comprano” non è il bene, bensì la “differenza di valore”. In
assenza di questa specifica componente, desumibile dal tenore della stipulazione, il derivato
non è più tale, bensì diviene (o meglio rimane) un semplice contratto a termine, il cui
oggetto e la cui causa restano sempre la compravendita di un bene (Girino 2001, 7).
Identica è la definizione della fattispecie offerta dai giudici. Essi, infatti, definiscono il
contratto di swap [come] l'accordo con cui due parti si obbligano reciprocamente a
corrispondere, alla scadenza di un termine prefissato, una somma di denaro in moneta
nazionale di ammontare pari alla differenza tra […] il valore in lire [oggi in euro] di una
somma di valuta estera [appartenente a Paesi non euro], al tempo della conclusione del
contratto, e[…] il valore in lire [oggi in euro] della stessa somma di valuta estera
[appartenente ai medesimi Paesi non euro], ad una scadenza predeterminata (Trib. Milano
20.2.97, Gius, 1997, 1263).
14
1418, c. c. Il 3º co. di quella norma dichiara il contratto (nella specie sottoscritto per la
movimentazione del patrimonio mobiliare) nullo «negli altri casi stabiliti dalla legge».
Ma poiché non sempre il legislatore si esprime con chiarezza tale da far comprendere
quando le private pattuizioni sono invalide, nonostante l’assenza di espresse previsioni, occorre
impiegare
come criterio di individuazione la natura degli interessi tutelati, nel quadro dei valori dell'ordinamento, progressivamente
ampliato dai nuovi interessi che tendono a realizzarsi secondo diritto e che meritano di essere protetti in modo maggiore o
minore, a seconda che corrispondano o meno agli interessi generali della collettività. La nullità, pertanto, diventa […] uno
strumento di controllo normativo utile, insieme ad altri, a non ammettere alla tutela giuridica interessi in contrasto con i
valori fondamentali del sistema e si differenzia dalla annullabilità non solo perché l'atto è difforme dallo schema legale e
pregiudica gli interessi del suo autore, ma perché mette a rischio i valori preminenti della comunità, il cui contrasto
costituisce la ragione dell'impedimento che l'ordinamento oppone alla efficacia giuridica tipica degli atti. Superata la
concezione individualistica, fondata esclusivamente sul valore della autonomia privata, la valutazione della nullità del
negozio si è così giovata del criterio del riscontro della utilità sociale, influenzato da scelte sociopolitiche, che è diventato
indice del giudizio di meritevolezza degli interessi delle parti, rispetto ai valori perseguiti dalla comunità, al punto che
l'ordinamento, ove quel riscontro sia negativo, non assegna ad essi alcuna tutela ed anzi assoggetta alla sanzione della nullità
l'atto compiuto per realizzarli. In sostanza elemento qualificante della validità non è più la tutela dell'interesse del
contraente, ma quella degli interessi generali, che vengono preservati anche dalle iniziative individuali, al punto da
prescindere dalle posizioni che in riferimento all'atto assume la parte — che pure la norma intende proteggere — in nome
della equità, correttezza e stabilità dei rapporti sociali. E la circostanza che siano sempre maggiori le sollecitazioni in tal
senso della collettività finisce per accrescere le ipotesi della nullità dei negozi, progressivamente riducendo lo spazio della
autonomia privata (20).
20 Cass., sez. I, 7.3.01, n. 3272, Fa, n. 4/2002, 379. La sentenza analizza pure il
problema se il giudice delegato al fallimento possa legittimamente appartenere al Collegio
15
L’art. 1418, 3º co., c. c., sempre secondo l’insegnamento del sommo giudice, sponsorizza le
considerazioni che precedono, in quanto il
diritto oggettivo a stabilire, anche in situazioni di contrasto con norme imperative, se assegnare tutela ed efficacia a
fattispecie difformi dallo schema legale, sebbene in tal caso la sanzione, derivando automaticamente dalla previsione
normativa, necessiti di una disposizione contraria perché resti inattuata. A tale stregua il compimento dell'atto contro il
divieto legale genera ipotesi di nullità c.d. virtuali, proprio perché non necessitano di espresse comminatorie di legge — a
fronte di quelle testuali dei commi I e II dell'art. 1418, c. c. — sempreché il controllo della natura della disposizione
violata porti a verificare che l'interesse sotteso sia pubblico e non privato […]; da un lato ciò corrispondendo al principio
che la violazione di una norma positiva, anche se sanzionata penalmente, non dà luogo necessariamente a nullità del
contratto compiuto, per via dell'inciso "salvo che la legge disponga diversamente", il quale lascia margine a meccanismi
positivamente introdotti per realizzare egualmente gli effetti del negozio, in considerazione degli apprezzamenti,
discrezionalmente compiuti dal legislatore, dei valori tutelabili; e dall'altro al dato positivo espresso dal combinato disposto
del primo e del terzo comma dell'art. 1418, c. c., secondo cui la mancanza di una espressa sanzione di nullità dell'atto
negoziale, in conflitto con il divieto, non è rilevante ai fini della nullità, sopperendovi la norma predetta, che rappresenta un
principio generale rivolto a prevedere e disciplinare proprio quei casi in cui alla violazione dei precetti imperativi assoluti
non si accompagna una previsione di nullità (21).
giudicante sull’opposizione allo stato passivo, pur avendolo dichiarato esecutivo. Secondo la
S. C. non possono estendersi all’ambito civilistico le incompatibilità disposte dall’art. 34, c.
p. p. come manipolato dalla Consulta. Sempre secondo il giudice di legittimità, l’unico limite
al potere del magistrato consiste nel giudicare in causa propria. In tal caso,il solo rimedio
consiste nell’astensione o nella ricusazione. Stante l’estraneità al tema, si rinvia al bel
commento di Iannello 2002, 379.
21 Cass., sez. I, 7.3.01, n. 3272, Fa,n. 4/2002, 378. La S. C. ha analizzato una vicenda
simile nello stesso 2001, giungendo a conclusioni identiche. Ha, infatti, giudicato
i contratti di […] domestic indexed lire swap, stipulati dopo l'entrata in vigore della «l.
SIM» da soggetto diverso dalle SIM (società di intermediazione mobiliare), essendo contrari
a norme da ritenersi imperative, perchè dirette a tutelare interessi di carattere generale
16
L’illiceità dell’attività, in quanto confliggente con i superiori interessi collettivi, determina
pure la nullità «virtuale» degli atti negoziali destinati a realizzarla, non essendo possibile che i
privati «conservino gli effetti delle loro pattuizioni», quand’anche queste raggiungano fini sgraditi
all’ordinamento. Ricordando che ogni forma di risparmio e l’investimento nei grandi complessi
imprenditoriali del Paese sono tutelati ed incoraggiati dallo Stato in base all’art. 47, Cost., non si
tarda a comprendere che gli interessi protetti dal t. u. interm. fin. e dalla normativa che lo attua
sono «di carattere generale». Si spazia, infatti,
dalla tutela dei risparmiatori uti singuli a quella del risparmio pubblico, come elemento di valore della economia nazionale,
a quella della stabilità del sistema finanziario, come considerata dalla direttiva 93/22 CEE del 10.5.1993; alla esigenza di
preservare il mercato da inquinamenti derivanti dall'impiego di risorse provenienti da circuiti illegali, a quella di rendere
efficiente il mercato dei valori mobiliari, con vantaggi per le imprese e per la economia pubblica, interessi tutti chiaramente
prevalenti su quelli del privato, che pure di riflesso ne rimane tutelato, e che attribuiscono alla iscrizione nell'albo, alla
autorizzazione, ai successivi controlli una valenza che trascende la formale e ordinata gestione dell'attività ed investe l'atto
in cui essa si sostanzia, essendo interesse dell'ordinamento rimuoverlo, per le turbative che crea sul sistema finanziario
(alla regolarità dei mercati ed alla stabilità del sistema finanziario), […] affetti da nullità
assoluta. Detti contratti, se stipulati prima della entrata in vigore della citata «l. SIM»,
devono, invece, ritenersi validi, atteso che il contrasto con la normativa sopravvenuta a
rapporto instaurato non può più incidere direttamente sulla validità dell'atto. Tale contrasto,
però, determinando un arresto della funzione negoziale dell'atto, ne pregiudica la
produzione di ulteriori effetti, con la conseguenza che non possono essere pretesi crediti,
che si assumono derivati da detti ultimi contratti, ove il momento della loro insorgenza sia
collocabile in un tempo successivo alla entrata in vigore della citata normativa.
(Cass., sez. I, 05.4.01, n. 5052, DBMF, n. 1/2002, 97. Sulla sentenza v. De Biasi
2002108-115.
17
generale (22).
3.2.2.
«Nullità virtuali» ed investimenti infruttuosi
Gli investimenti non remunerativi giunti dinanzi ai giudici negli ultimi anni erano stati tutti
conclusi con intermediari regolarmente autorizzati, diversamente da quanto avvenuto (come sopra
ricordato) nel caso deciso da Cass. n. 3272/01
.
Tale circostanza, peraltro, non ha precluso ai giudici di merito la statuizione secondo cui le
norme (legislative e regolamentari, in quanto costituenti un tessuto normativo unitario con le
prime), che disciplinano i contratti stipulati dagli intermediari mobiliari sono «di ordine pubblico»
(23).
Ne è indice inequivoco la loro vocazione ad incidere in un settore caratterizzato da una elevata prevalenza dell’interesse
pubblico e dalla natura, pubblica e generale, degli interessi garantiti dalle predette norme, che concernono la tutela dei
risparmiatori uti singuli e quella del risparmio pubblico come elemento di valore della economia nazionale. [Tutte le]
disposizioni che presiedono all'attività di intermediazione finanziaria, dunque, devono ritenersi imperative, perché dirette a
tutelare interessi di carattere generale (alla regolarità dei mercati ed alla stabilità del sistema finanziario), come, peraltro, ha
ritenuto la giurisprudenza di legittimità nel caso di violazione delle norme relative al funzionamento delle Società
22 Cass., sez. I, 7.3.01, n. 3272, . La direttiva n. 93/22/CEE, menzionata dal giudice di
legittimità, è stata sostituita dalla direttiva n. 2004/39/CE, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale
dell’Unione Europea, del 30.4.04, n. 145/L. In base all’art. 69 della predetta direttiva n.
2004/39/CE, la ricordata direttiva n. 93/22/CEE ‘ abrogata 24 mesi dopo l’entrata in vigore
delle nuove disposizioni, ossia dal 30.4.06. Attualmente, pertanto, il riferimento va ancora
alla normativa soprannazionale invocata dalla S. C.
23 Trib. Monza, sez. I, 16.12.04, http://www.ilcaso.it.
18
d'intermediazione mobiliare. {[…] Pertanto}, ben può dirsi che i contratti conclusi in violazione del complesso di norme
sopra richiamato siano suscettibili di declaratoria di nullità, ove non siano stati in concreto rispettati gli specifici obblighi
imposti agli intermediari finanziari, ovvero ove questi ultimi non siano in grado di provare di averli rispettati ( 24).
Essendo la nullità una sanzione particolarmente grave, essa va applicata solo se le norme a
cui presidio si pone sono sufficientemente dettagliate, come concretamente avviene avendo
presenti gli artt. 27, 28 e 29 delib. intermediari,rispettivamente concernenti i conflitti di interessi,
le informazioni tra intermediari ed investitori, nonché le operazioni non adeguate ( 25). Ragionare
in contrario significherebbe, invero, «violare il principio di legalità», costituente ill cardine
dell’ordinamento sanzionatorio. Tale principio è, in realtà, fissato per le sanzioni amministrative,
ma pure il civilista può valersene per interpretare le norme esistenti nel proprio settore.
3.3. Gli obblighi informativi hanno struttura bidirezionale
Un rimedio parallelo alla dichiarazione della nullità contrattuale consiste nell’affermare la r.
c. degli intermediari mobiliari, salvo poi analizzare distintamente la responsabilità precontrattuale
da quella contrattuale.
24 Trib. Monza, sez. I, 16.12.04.
Sul conflitto di interessi tra gli intermediari mobiliari ed i loro clienti v. le belle
considerazioni di Maffeis 2005, 11-18. Sempre sul conflitto di interessi nell’ambito
finanziario si leggano le ulteriori condivise osservazioni di Maffeis 2005ª. Si rinvia a quelle
osservazioni pure per i profili del predetto conflitto estranei alla ricerca. Il più completo
studio in argomento resta, tuttavia, quello di
19
3.3.1.
r. c. per informazioni fuorvianti
Le trattative sono il luogo privilegiato dove le parti devono collaborare per l’ottimale riuscita
dell’ancora futuro regolamento contrattuale. L’investitore — sostenendo di aver esaurientemente
informato la controparte sulle sue condizioni finanziarie, sugli obiettivi di investimento e sulla
propensione al rischio — afferma che il suo risparmio non ha prodotti i profitti sperati perché
l’intermediario mobiliare, «nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, [non
si sarebbe comportato] secondo buona fede» (art. 1337, c. c.). Ciò perché la banca o la SIM
avrebbero taciuto, o comunque rappresentato in modo distorto, circostanze fondamentali nel
«processo formativo della volontà» di investire sullo strumento finanziario concretamente
prescelto.
L’art. 1337, c. c. non è, tuttavia, la sola norma dalla quale scaturiscono gli obblighi
informativi gravanti sugli intermediari mobiliari. Tali obblighi, infatti, discendono pure dai
contratti ormai perfezionati, che si pongono in ideale continuità con le trattative durante le quali le
necessarie informazioni sarebbero state occultate. Questi contratti,
sotto il profilo dell’informazione, vengono distinti in contratti di investimento, stipulati nell’ambito di una sollecitazione
del pubblico risparmio, in contratti di intermediazione, stipulati dal risparmiatore con un intermediario, a prescindere dal
fatto che vi sia stata una sollecitazione del pubblico risparmio ed in contratti di gestione di portafogli. Questi ultimi sono
da inquadrarsi nella categoria dei contratti normativi nominati a carattere sinallagmatico e sono incentrati sullo strumento
giuridico del mandato, utilizzabile anche nella forma del mandato senza rappresentanza. In realtà si tratta di un insieme
complesso di mandati che potrebbe indurre a far ritenere nata una nuova tipologia che supera il mero schema del deposito
20
in amministrazione (26).
Le caratteristiche delle singole fattispecie non possono essere qui approfondite; si deve,
comunque, precisare che gli obblighi informativi, giustamente evidenziati come filo conduttore
della classificazione, hanno la struttura bidirezionale fotografata da un giudice con le seguenti
condivise parole: «i doveri imposti alla banca si sostanziano essenzialmente [in quelli] di
informarsi e […] di informare» (27).
L’intermediario mobiliare, in altri termini, deve somministrare alla clientela le
informazioni sui prodotti finanziari oggetto della [contrattazione] (c.d.
know your merchandise
rule). In
merito, la CONSOB ha stabilito […] che “gli intermediari autorizzati, nell’interesse degli investitori e dell’integrità del
mercato mobiliare […] acquisiscono una conoscenza degli strumenti finanziari, dei servizi nonché dei prodotti diversi dai
servizi di investimento, propri o di terzi, da essi stessi offerti, adeguata al tipo di operazione da fornire” (28).
3.3.2.
Rifiuto di informazioni e r. c. dell’intermediario
Alla condotta richiesta agli operatori del mercato —chiamati ad osservare «un obbligo di
conoscenza, che è più della semplice informazione, sui prodotti da loro offerti, conoscenza che si
26 Costanza 2000, 361-369. Longhini 2001, 347.
27 Trib. Genova, sez. I, 18.4.05, DResp, n. 6/2005, 608.
28 Art. 26, 1º co., lett. e), delib. intermediari. Per indicazioni dottrinali e giurisprudenziali
relative all’ordinamento degli U. S. A. v. Sartori 2004, 3.
21
estende alla loro provenienza, alla situazione degli stessi nei mercati, alla loro destinazione tra il
pubblico dei consumatori» (29), il tutto specificazione della correttezza e della buona fede — fa da
contraltare il comportamento leale e corretto degli investitori.
Finché sarà recepita la direttiva n. 2004/39/CE, tuttavia, non si potrà sostenere che
l’investitore è venuto meno all’obbligo di collaborare lealmente con la controparte perché ha
rifiutato di fornire le informazioni richieste dall’art. 28, 1º co., lett. a), delib. intermediari. Il
rifiuto, infatti, costituisce (secondo la normativa attualmente vig.) una facoltà del risparmiatore.
Non si può, dunque, sostenere che il rifiuto stesso sarebbe antigiuridico, con la conseguenza
ulteriore di tenere l’intermediario immune dalla r. c. pur quando abbia realizzato investimenti
rovinosi. I giudici sono, del resto, concordi con siffatto ragionamento, come risulta dalla
motivazione secondo cui l’esito negativo
dell’operazione [va addebitato all’intermediario] anche ove (come nel caso di specie) i clienti abbiano rifiutato di fornire le
informazioni di cui all’art. 28, 1º co., lett. a), delib. intermediari. [Gli operatori del mercato mobiliare devono], in tal caso,
tenere conto di tutte le informazioni comunque in suo possesso (ad esempio età, professione, presumibile propensione al
rischio anche alla luce della pregressa ed abituale operatività, situazione del mercato […]): tanto si desume sia dai principi
generali in tema di correttezza, diligenza e trasparenza dei comportamenti negoziali imposti dalla normativa generale e
speciale (cfr. artt. 1175 e 1176, 2º co., c. c., 21, t. u. interm. fin.), ma anche dal testo dell’art. 29 del citato regolamento
CONSOB che impone all’intermediario finanziario di astenersi dal compiere per conto degli investitori operazioni non
adeguate e prevede che lo stesso utilizzi ogni altra informazione disponibile, anche diversa da quella fornita, EX art. 28,
reg. cit., dai clienti, autorizzandolo solo in caso di conferma scritta dell’ordine d’acquisto a darvi (correttamente)
esecuzione. La diversa regola contenuta nell’art. 19, 5º co., direttiva europea 2004/39/CE del 21.4.2004 non può trovare
applicazione al caso di specie sia ratione temporis, sia perché le direttive non attuate — e purché ricorrano gli altri requisiti
29 Trib. Genova, sez. I, 18.4.05, DResp, n. 6/2005, 608.
22
— non hanno efficacia nei rapporti interprivati ( 30).
Per non incorrere in valutazioni troppo complesse, come quelle richieste dall’apprezzare
tutte le informazioni comunque esistenti sul cliente, gli intermediari solitamente sostengono di
essere immuni da colpa per avere consegnato il «Documento sui rischi generali degli investimenti
in strumenti finanziari».
Anche quest’ulteriore difesa è stata, tuttavia, giustamente respinta dai giudici con
l’osservazione secondo cui quel documento contiene «indicazioni [a] carattere generale laddove, si
ribadisce, la banca doveva fornire precise indicazioni circa la pericolosità di quell’investimento»
30 Comunicazione CONSOB 21.4.2000, n. DI/30396. Trib. Mantova, sez. II, 5.4.05,
http://www.ilcaso.it. La nuova normativa europea, richiamata dal giudice mantovano, così
recita:
quando effettua consulenza in materia di investimenti o gestione di portafoglio, l'impresa
di investimento ottiene le informazioni necessarie in merito alle conoscenze e esperienze
del cliente o potenziale cliente, in materia di investimenti riguardo al tipo specifico di
prodotto o servizio, alla situazione finanziaria e agli obiettivi di investimento per essere in
grado di raccomandare i servizi di investimento e gli strumenti finanziari adatti al cliente o
al potenziale cliente.
Gli Stati membri si assicurano che, quando prestano servizi di investimento diversi da
quelli [ricordati al capoverso immediatamente precedente], le imprese di investimento
chiedano al cliente o potenziale cliente di fornire informazioni in merito alle sue conoscenze
e esperienze in materia di investimenti riguardo al tipo specifico di prodotto o servizio
proposto o chiesto, al fine di determinare se il servizio o il prodotto in questione è adatto al
cliente
(art. 19, §§4 e 5, direttiva 21.4.2004, n. 2004/39/CEE).
[Si è trascritta anche la parte della disciplina comunitaria non direttamente pertinente al
caso qui menzionato, al fine di renderla più comprensibile].
23
(31).
L’intermediario potrebbe replicare agli stringenti obblighi, posti a suo carico dalla
giurisprudenza,che compiere indagini personalizzate sui clienti avrebbe costi insostenibili.
Neppure quest’obiezione è fondata, in quanto si può superarla con due soluzioni alternative:

porre, come già avviene per le gestioni individuali, alcuni «paletti» dimensionali del
patrimonio. Quando esso non raggiunge entità, discrezionalmente giudicate congrue da
ciascun intermediario, esso rifiuta di prestare il servizio. Si sconsiglia, peraltro, di
generalizzare tale ipotesi, in quanto crea discriminazioni tra la clientela, favorendo quella
più danarosa a scapito dei medio-piccoli investitori;

realizzare questionari, dai quali desumere indici alla cui luce attribuire un «voto» ad ogni
investitore, in modo da stabilire «a priori» il livello di informazione da fornirgli in
relazione alla propria cultura finanziaria ed al livello di rischio prescelto dall’investitore
stesso.
Non agendo come sopra specificato, l’intermediario incorre nella nullità del contratto,
ovvero in r. c.? Astrattamente sono possibili entrambe le soluzioni. Si potrebbe, infatti (ponendosi
così ancora nel solco dell’invalidità contrattuale), sostenere che la violazione degli obblighi
informativi determina la nullità «virtuale» del contratto, stante il carattere imperativo della
normativa che li prevede.
31 Trib. Mantova, sez. II, 18.3.04, Soc, n. 9/2004, 1140.
24
La r. c., invece, discende:

nella fase precontrattuale, dalla violazione del dovere di condurre le trattative secondo
buona fede. Atteso che un contratto non c’è ancora, tale responsabilità è aquiliana;

nella fase contrattuale, dall’inadempimento ad obblighi discendenti dal contratto, formato
perché le trattative sono andate a buon fine. Si deve, allora, verificare la praticabilità della
tutela fondata sulla responsabilità contrattuale
3.4. La tesi dell’inadempimento
La tesi secondo cui i contratti realizzati in spregio alla disciplina primaria e/o secondaria
dell’investimento sono nulli per contrarietà a disposizioni imperative è stata autorevolmente
avversata sul piano sostanziale con importanti riflessi processuali. Nonostante il collegamento tra i
vari piani sui quali gli investimenti non remunerativi possono essere studiati, esigenze espositive
impongono la separata trattazione dei singoli aspetti.
3.4.1.
Profili sostanziali
Per contrastare la tesi della nullità si potrebbe, in primo luogo, osservare che
la «prestazione di consulenza» del soggetto abilitato [alla prestazione dei servizi di investimento] non [è] distinta
dall'analoga prestazione di consulenza che [caratterizza] l'attività di qualsivoglia altro professionista (medico, avvocato,
notaio) che, ricevuto un incarico […], non fornisca al richiedente quelle informazioni grazie alle quali lo stesso può operare
una scelta consapevole […]. Questa tesi, originale e suggestiva, si segnala per l'esito al quale conduce, che non è quello
dell'accertamento della nullità, con conseguente restituzione dell'indebito, bensì quello della pronuncia della risoluzione del
contratto per inadempimento, con conseguente risarcimento del danno ([in ogni caso] commisurato alla perdita rispetto al
denaro investito, sempre con gli interessi da ciascun singolo versamento, ma con la rilevante differenza—specie se la
sentenza interviene dopo un tempo apprezzabile—della rivalutazione monetaria sulla somma da corrispondere al cliente).
Apparirebbe però scarsamente produttivo […], sul piano di un'indagine sistematica, accedere alla tesi che riporta il «dovere
25
di consulenza» di cui [si tratta] al normale contenuto di una prestazione professionale intellettuale. Sia perché, nelle materie
dei servizi di investimento […], il dovere di consulenza non costituisce un semplice naturale negotii, bensì si traduce in
un'articolata serie di previsioni normative, imperative testuali e severe; sia perché resterebbe da giustificare l'analogia fra
quelle che sono tipiche prestazioni d'impresa—indirizzate al profitto—e la prestazione di un professionista intellettuale,
caratterizzata, soprattutto per le prestazioni classiche, dall'esigenza di protezione della salute o delle garanzie di difesa dei
diritti (32).
In questa sede non sembra opportuno approfondire la distinzione tra le attività
imprenditoriali e quelle professionali, dovendosi invece riscontrare la corrente giurisprudenziale
minoritaria, secondo cui l’intermediario che non informa tempestivamente e correttamente il
cliente sul conflitto d’interessi nell’operazione finanziaria consigliata, non ne spiega con chiarezza
i rischi ed i costi, ovvero l’effettua malgrado la sua inadeguatezza per il cliente stesso, è
inadempiente. Tale giurisprudenza critica ulteriormente la tesi della nullità sostenendo che le
regole comportamentali stabilite dagli artt. 27, 28 e 29, delib. intermediari sono vaghe e, pertanto,
aperte al soggettivo apprezzamento dell’interprete (33). Ed anche ammesso di concretizzare in
modo univoco i generali criteri dettati da quelle norme, non necessariamente la nullità tutela al
meglio il «contraente debole», ovvia l’investitore non professionale. Meglio, allora, invocare le
disposizioni generali sull’inadempimento dei contratti, atteso che gli obblighi di non agire in
conflitto di interessi, di somministrare alla controparte idonee informazioni, ovvero di non
32 Trib. Taranto, sez. III, 27.10.04, n. 2273,
http://www.ipsoa.it/corrieregiuridicoonlineoccorre. A giudizio del magistrato pugliese,
occorre, inoltre, fornire la prova «che investimenti finanziari alternativi avrebbero reso
interessi superiori al tasso legale», ossia (attualmente) al 2,5% annuo: conseguentemente,
non spetta al cliente la rivalutazione, in mancanza di prova del maggior danno. Il
commento critico a queste osservazioni giurisprudenziali è di Maffeis 2005, 17.
33 Trib. Roma, sez. IX, 11.3.05, http://www.ilcaso.it.
26
effettuare operazioni inadeguate discendono dal contratto che lega l’intermediario mobiliare al suo
cliente. Un precedente di legittimità suffraga, del resto queste affermazioni, pur non essendosi
formato riguardo all’oggetto della presente ricerca. Controvertendosi sulla pretesa al pagamento di
una compravendita, il sommo giudice ha addossato al venditore obbligazioni ulteriori rispetto a
quelle di consegnare un bene. Infatti,
nei contratti a prestazioni corrispettive il nesso d'interdipendenza che lega le contrapposte obbligazioni e prestazioni
nell'ambito d'un rapporto sinallagmatico determina, secondo il principio interpretativo- integrativo, l'estensione dei doveri
di correttezza, di buona fede, di diligenza — stabiliti dagli artt. 1337 e 1338, c. c. per la fase precontrattuale e della
stipulazione e dagli artt. 1374 e 1375, c. c. per la fase dell'esecuzione, in armonia con quanto già prescritto per le
obbligazioni in generale dall'art. 1175, c. c. — anche alle cosiddette obbligazioni collaterali di protezione, d'informazione,
di collaborazione, che presuppongono e richiedono una capacità discretiva ed una disponibilità cooperativa
dell'imprenditore nell'esercizio della sua professione e, quindi, nel tener conto delle motivazioni della controparte
all'acquisto. Ond'è che detti doveri ed obblighi non possono non imporre ch'esso imprenditore, anzi tutto, si preoccupi
dell'esatta specificazione, delle caratteristiche del bene compravenduto al momento della conclusione del contratto,
rispondendo anche della negligenza dei propri agenti al riguardo, ed, in secondo luogo, che, nel caso la necessaria
specificazione fosse stata omessa in tale occasione, ne faccia richiesta all'acquirente anzi di provvedere alla propria
prestazione, astenendosi dal consegnare beni d'una species qualunque tra quelle appartenenti al genus prodotto o
commerciato, diversamente rendendosi inadempiente alle indicate obbligazioni accessorie, che si pongono come
precondizioni dell'obbligazione principale, e già sol per questo legittimando l'eccezione [di inadempimento], ex art. 1460,
c. c. (34).
Quando la compravendita riguarda i prodotti finanziari, il fatto che i doveri
dell’intermediario sono canonizzati dal t. u. interm. fin. e dalle norme attuative consente un passo
34 (Cass., sez. II, 16.11.00, n. 14865, Ius & lex.
27
ulteriore. Le obbligazioni che Cass. n. 14865/00 ha qualificato «collaterali o di protezione» si
trasformano in «obbligazioni di carattere primario, il cui adempimento deve essere valutato a
stregua dell’art. 1176, 2º co., c. c. , nel quale è indicato il criterio di determinazione della specifica
diligenza richiesta nell’adempimento da parte di chi svolge attività professionale» (35).
Se, dunque, l’intermediario mobiliare non informa correttamente e tempestivamente il
cliente «sui costi e sui rischi» dell’investimento, incorre in r. c. per inadempienza all’obbligo di
agire con la diligenza richiesta dalle caratteristiche dell’attività svolta (art. 1176, 2º co., cit.).
Per sovvertire queste considerazioni, facendo tornare in campo la dominante teoria della
nullità «virtuale», non vale invocare la natura superindividuale degli interessi protetti dal t. u.
interm. fin. e dalla relativa normazione attuativa, né tanto meno il fatto che l’art. 190,, 1º co.,
stesso t. u. introduce sanzioni amministrative per la violazione delle norme sui rapporti con la
clientela. Le previsioni sanzionatorie indicano con sicurezza che il legislatore ha protetto interessi
pubblici ma, «nel caso in esame, non pare che si possa parlare di vizio genetico, relativo alla
conclusione del contratto, bensì di vizio funzionale, che inerisce al contratto oramai perfezionatosi,
e cioè di difetto che riguarda le prestazioni che dovevano esser rese sulla base del negozio
concluso» (36).
35 Trib. Roma, sez. IX, 8.10.04, http://www.ilcaso.it. Queste parole sono letteralmente
ripetute, accanto al richiamo di Cass. n. 14865/00, da Trib. Genova, sez. I, 15.3.05, DResp,
n. 6/2005, 611.
36 Trib. Taranto, sez. III, 27.10.04, n. 2273, http://www.ipsoa.it/corrieregiuridicoonline,
le cui argomentazioni sono testualmente riprodotte da Trib. Genova, sez. I, 15.3.05, DResp,
n. 6/2005, 611.
28
Quando il contratto ha ad oggetto la negoziazione, dalla sua risoluzione per inadempimento
deriva pure lo scioglimento dei singoli atti negoziali mediante i quali gli investimenti rovinosi per
il risparmiatore sono stati realizzati. Egli ottiene così la restituzione del maltolto (37).
3.4.2.
Profili processuali
«Nei contratti con prestazioni corrispettive, [come sono quelli diretti all’acquisto degli
strumenti finanziari, od alla prestazione dei servizi di investimento], quando uno dei contraenti,
[nel nostro caso l’intermediario mobiliare], non adempie le sue obbligazioni, l'altro, [ossia il
risparmiatore], può a sua scelta chiedere l'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in
ogni caso, il risarcimento del danno» (art. 1453, 1º co., c. c.). La nascita dell’obbligazione
risarcitoria perché la banca o la SIM non ha adempiuto al «dovere di protezione» verso il cliente
rende applicabile all’operatore mobiliare la disposizione processuale in virtù della quale, «nei
giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento
e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica
diligenza richiesta » [art. 23, 6º co., t. u. interm. fin. (38)].
Ora, se la norma appena citata non sembra avere effetto dirompente sul concreto equilibrio delle posizioni economiche
dell’investitore attore in giudizio e dell’impresa finanziaria convenuta, quando la pretesa risarcitoria è fondata sul titolo
37 Conf. Roppo 2005, 629.
38 Sui problemi processuali v. Topini 1999, 699. L’argomento sostanziale secondo cui
sarebbe rimasto inadempiuto un «obbligo di protezione» verso il cliente è, viceversa,
sostenuto da Lobuono 1999, 140. Maffeis 2002, 491. Sartori 2004, 369.
29
contrattuale39 — potendo al più valutarsi la disposizione quale specificazione del contenuto esclusivo della prova
liberatoria — l’incidenza è maggiore laddove la si ritenga applicabile anche in ipotesi di responsabilità extracontrattuale,
quale potrebbe essere quella da informazione. In tal caso, infatti, appare evidentemente alleggerito l’onere della prova a
carico dell’attore che assuma di essere stato danneggiato dall’informazione falsa o incompleta resa dall’impresa bancaria o di
investimento nella fase precontrattuale. Il che, se può ancora costituire un elemento differenziale, competitivamente
rilevante, rispetto al regime operante per le imprese assicurative, in realtà trova una giustificazione nella più incisiva
puntualizzazione degli obblighi informativi posti a carico delle banche e delle imprese di investimento. Queste, infatti, data
la completa specificazione della produzione documentale che obbligatoriamente precede la conclusione del contratto
d’investimento, possono con maggiore facilità produrre in giudizio la suddetta prova liberatoria (40).
Sembrerebbe, quindi, sufficiente all’investitore, in quanto attore nel giudizio che lo
contrappone all’intermediario, provare il pregiudizio subito perché l’operazione finanziaria non è
andata a buon fine. Tale convincimento troverebbe conforto nell’affermazione giurisprudenziale
secondo cui, essendo gli artt. 27, 28 e 29, delib. intermediari «esplicitamente [posti] nell’interesse
del cliente, l’inadempimento è da porsi in relazione causale con l’evento dannoso . Ricade,
[perciò], sull’intermediario l’onere di provare che tra la violazione ed il danno non vi è alcun nesso
di causalità, dimostrando che il danno è derivato da eventi estranei alla sua sfera di azione» (41).
L’argomento,
peraltro,
estende
indebitamente
l’inversione
dell’onere
probatorio
39 tonni, L’onere della prova nei giudizi di responsabilità per danni cagionati nello
svolgimento dei servizi di investimento, in 1999, 699 ss..
40 Guaccero 2003, 27. Sulle varie configurazioni della r. c. v. Portale 1982, 23. Ferrarini
1986, 108. Jaeger 1986, 154. Alpa 1991, 205. Carbonetti 1992, 68. Castronovo 1993, 326.
Bianca 1994, 618. Bruno 2000, 109.
41 Trib. Roma, sez. IX, 8.10.04, http://www.ilcaso.it. Queste parole sono letteralmente
ripetute, accanto al richiamo di Cass. n. 14865/00, da Trib. Genova, sez. I, 15.3.05, DResp,
n. 6/2005, 611.
30
dall’impiego della «specifica diligenza richiesta» al legame causale tra il preteso illecito e le sue
conseguenze pregiudizievoli; l’art. 23, 6º co., t. u. interm. fin. non favorisce l’investitore che si
sente danneggiato fino a quest’estremo limite, sicché va respinta l’idea secondo cui esiste una
presunzione relativa di sussistenza del nesso causale.
Tale idea è stata, del resto, giustamente ripudiata dal Trib. Milano quando ha ritenuto «onere
del danneggiato provare la sussistenza di un danno eziologicamente connesso, quale conseguenza
immediata e diretta, al comportamento asseritamente lesivo» ( 42). Solo dopo che il preteso
danneggiato ha assolto a tale onere, spetta all’intermediario dimostrare, come previsto dall’art. 23,
6º co., t. u. interm. fin., di «avere agito con la specifica diligenza richiesta».
Nell’ambito processuale l’applicazione del cit. art. 23, 6º co. rende poi indifferente stabilire
se l’intermediario mobiliare va soggetto alla responsabilità contrattuale od aquiliana, spettando in
ogni caso a lui dimostrare la propria condotta diligente.
Sul versante sostanziale, invece, le due categorie della responsabilità stessa restano
nettamente difformi. Giova, conseguentemente, verificare se la banca o la SIM possono rispondere
pure per la violazione del generico neminem lædere.
3.5. Operazioni finanziarie ed attività pericolose
Finora le relazioni tra le parti sono state considerate come se a ciascun intermediario si
contrapponesse il singolo investitore, legato al primo dal contratto per l’acquisto degli strumenti
finanziari o per la prestazione dei servizi di investimento.
42 Trib. Milano 9.3.05, http://www.ilcaso.it.
31
Le fattispecie ricordate al § 2 più sopra, invece, dimostrano la necessità di ragionare con
l’ottica «di massa», stante il gran numero di soggetti coinvolti in quelle tristi vicende. Se le stesse
possono poi, sul versante processuale, portare alimento al dibattito, attualmente in corso,
sull’introduzione in Italia della class action, la riflessione di natura sostanziale porta in campo la r. c.
aquiliana; gli intermediari mobiliari, infatti, avrebbero violato il generico neminem lædere, anziché
non adempiere alle loro obbligazioni (43).
L’applicazione al caso ora esaminato dell’art. 2043, c. c. implica, tuttavia, che l’operatore
mobiliare non è responsabile se dimostra che non è in colpa e che il comportamento del
risparmiatore ha interrotto il legame causale tra la condotta colpevole dell’operatore mobiliare e le
conseguenze
patrimoniali
negative
per
il
cliente.
Costui,
quand’anche
consigliato
dall’intermediario su quali prodotti/servizi indirizzare la preferenza, ha pur sempre seguito i
consigli della controparte perché, con ragionamento autonomo, ha deciso l’operazione;
tanto, sempre secondo la linea difensiva dell’intermediario, romperebbe il nesso causale lo
scagionerebbe da ogni responsabilità verso l’investitore.
Ma contro siffatta prospettazione interviene la condivisa idea di far operare l’art. 2050, c. c.,
con le conseguenze:
(I)
è «di configurare una responsabilità oggettiva per danno evitabile» (44) che sussiste
43 Maccaboni 2005 discute la possibilità dell’azione collettiva, mutuata dal sistema
statunitense, rispetto al quale presenta pure utili argomenti ed indicazioni bibliografiche.
L’a. si intrattiene pure sui criteri per la liquidazione del danno non patrimoniale cagionato al
risparmiatore da investimenti rovinosi.
44 Trimarchi1961, 48.
32
qualora l’imprenditore non provi di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il
danno: quel che conta è il fatto oggettivo che non sono state adottate tali misure, non
la colpa o meno dell’imprenditore nel non averle adottate (45);
(II) l’ingiustizia del danno è in re ipsa (46);
(III) la prevedibilità del danno è in re ipsa (47);
(IV) è sufficiente provare un nesso di causalità generico fra attività ed evento dannoso ( 48);
(V) il principio del concorso di colpa ex art. 1227, c. c. è considerato applicabile (49), ma
viene interpretato in modo restrittivo (50).
45 Trimarchi1961, 277.
46 Rondinone 2001, 349.
47 Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice civile, § 795. Grassetti1960, III, 50.
48 Franzoni 2004, 370.
49 «In materia di responsabilità civile, il limite della responsabilità per l'esercizio di attività
pericolose ex art. 2050, c. c. risiede nell'intervento di un fattore esterno, il caso fortuito, il
quale attiene non già ad un comportamento del responsabile, ma alle modalità di
causazione del danno, che può consistere anche nel fatto dello stesso danneggiato recante i
caratteri dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità. Peraltro, quando il comportamento colposo
del danneggiato non è idoneo da solo ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta del
danneggiante ed il danno, esso può, tuttavia, integrare un concorso colposo ai sensi
dell'art. 1227, 1º co., c. c. — espressione del principio che esclude la possibilità di
considerare danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso — con conseguente
diminuzione del risarcimento dovuto dal danneggiante in relazione all'incidenza della colpa
del danneggiato» ¥ Cass., sez. III, 8.5.03, n. 6988, MGI, 2003.
50 Monateri 1998, 283: «Non può essere ascritto a colpa concorrente dello stesso
danneggiato il non aver sopperito con personali cautele ed autonome iniziative al difetto in
33
Non si dica che l’art. 2050, c. c. sarebbe inapplicabile perché l’attività dell’intermediario si è
conclusa quando il pregiudizio si verifica.
A disattendere tale eccezione basta, invero,
l’argomento secondo cui, nono stante la produzione del bene pericoloso sia ormai terminata, l’art.
2050, c. c. entra in scena perché il « pericolo [è] insito nella cosa [e deriva] da quella attività» ( 51).
Per applicare l’art. 2050, c. c. alla presente materia occorre, inoltre, qualificare «pericolosa»
l’attività dell’intermediario mobiliare. Verrebbe voglia di sostenere che non esiste pericolo nel
diffondere tra il pubblico prodotti/servizi finanziari. La giurisprudenza, del resto, sarebbe in tal
senso, non avendo qualificato pericolosa l’affine attività bancaria (52).
Ma leggendo le sentenze nel loro reale contenuto, piuttosto che nelle massime dalle stesse
estrapolate, emerge il riferimento «non all’esercizio tipico dell’attività bancaria, bensì a danni ai
clienti in occasione di rapine» (53).
Ma l’art. 2050, c. c. sarebbe applicabile all’intermediario mobiliare anche se si accogliesse il
suggerimento di quella giurisprudenza e si giudicasse, conseguentemente, non pericolosa la sua
cui sia incorso l’esercente di una attività pericolosa con l’omessa adozione di tutte le misure
idonee ad evitare il danno».
51 Franzoni 2004, 374.
52 App. Genova 21.2.80, BBTC, 1980, II, 465; GI, 1981, I, 2, 160. Cass., sez. III, 2.2.83,
n. 908, BBTC, 1984, II, 459; GI, 1985, I, 1, 527. Trib. Napoli 5.3.85, DG, 1985, 712.
Quest’ultima sentenza è stata confermata da Cass., sez. III, 11.3.91, n. 2555, FI, 1991, I,
2802. Per un complessivo commento a questa giurisprudenza, nonché per altre indicazioni,
v. Maganza 1996, 195.
53 De Nova 2005, 711.
34
attività. La norma, infatti, dichiara responsabile chi non adotta le cautele idonee ad evitare il danno
che potrebbe derivare da un’attività pericolosa in se stessa, ovvero per la natura dei mezzi
utilizzati. Nel caso qui discusso, tali mezzi consistono nei prodotti/servizi non adeguati al
risparmiatore che lamenta il danno.
35
4. La posizione dell’investitore
La tesi secondo cui l’intermediario mobiliare è responsabile ex art. 2050, c. c. consente di
valutare la pericolosità del prodotto/servizio sia in quanto tale sia rispetto al soggetto
concretamente rivoltosi alla banca od alla SIM. Il caso tipico consiste nei prodotti derivati; essi, in
astratto, non determinano problemi, ma possono rivelarsi un investimento disastroso se maneggiati
da investitori inesperti (54). Giova, quindi, una valutazione personalizzata, nel corso della quale
«considerando per ciascun caso il livello di consapevolezza del cliente circa il profilo di rischio
dell’operazione» (55).
Il risarcimento, ovviamente, è negato quando:

l’interessato è un «operatore qualificato» per sua espressa dichiarazione scritta. Poiché la
relativa nozione sta per mutare, stante la prossima attuazione della direttiva n. 2004/39/CE,
si ritiene opportuna la semplice menzione di tale figura;

ovvero risulta l’insistenza del cliente nel compiere un’operazione inadeguata, come
testimoniato dal suo ordine impartito per iscritto; in tale evenienza, infatti, l’investitore è
54 Si trasferisce al settore in esame quanto concluso dai giudici che hanno analizzato i
danni subiti nei maneggi di cavalli. Quell’attività, in sé considerata, non è pericolosa. Non lo
è neppure se l’animale è affidato ad un cavallerizzo provetto. Viceversa, si rientra
nell’attività pericolosa quando il cavallo è montato «da un bambino o da un principiante».
Tra le molte pronunce con cui il S. C. ha dato vita a quest’orientamento v. Cass. 4.12.98,
n. 12307, FI, 1999, I, 1938.
55 Bond Cirio: protocollo tra Unicredito Italiano e Associazioni Consumatori in data 19
dicembre 2003.
36
perfettamente consapevole dei rischi. Se, quindi, l’investimento si risolve in una perdita, la
vittima pianga se stessa.
Tale insistenza si è concretamente verificata in un caso giunto dinanzi ai giudici di merito,
nel quale l’investitore (che aveva speculato sull’andamento dei titoli sottostanti ad alcuni contratti
derivati) chiedeva la revoca del d. ingiuntivo, ottenuto dalla banca nei suoi confronti per il
recupero dei margini di garanzia. Respingendo la tesi dell’opponente, il giudice ha giustamente
sostenuto che
In materia di diritti disponibili, come quelli di carattere patrimoniale, la scriminante del consenso dell'avente diritto,
canonizzata all'art. 50, c. p., rientra […] tra le cause giustificative che escludono, anche rispetto agli illeciti civili, la
sussistenza di un danno prodotto non iure, sicché l'azione risarcitoria non compete al cliente che persiste nel proposito di
compiere operazioni azzardate pur se la banca l'ha sconsigliato dall'effettuarle e non si è attenuta al regolamento CONSOB
per aver omesso di esercitare il potere-dovere di pretendere l'adeguamento dei margini di garanzia (56).
La scorrettezza del cliente prevale, dunque, su quella dell’intermediario mobiliare, con la
conseguente applicabilità dell’art. 1227, c. c. Il giudice mantovano non richiama espressamente
tale norma, ma il suo fantasma aleggia tra le righe della pronuncia.
Quando, invece, l’investitore predilige i titoli esteri, la pretesa non necessariamente si
indirizza all’intermediario tramite il quale l’investimento è stato perfezionato. In una recente
vicenda giudiziaria, infatti, l’investitore aveva operato direttamente sul mercato estero, dov’erano
stati acquistati i famigerati tango bonds. La Repubblica Argentina è stata chiamata all’immediato
pagamento degli interessi su quelle obbligazioni perché (a dire dell’investitore) il default di quello
56 Trib. Mantova, sez. II, 12.4.04, http://www.ilcaso.it.
37
Stato, previsto dagli appositi provvedimenti dichiarativi dell’«emergenza pubblica in materia
economica e sociale», l’avrebbero fatto decadere dal beneficio del termine ex art. 1186, c. c.; lo
Stato sudamericano ha eccepito vittoriosamente il proprio difetto di giurisdizione, riconosciuto
dalla S. C. in base al proprio orientamento che esenta dal potere giurisdizionale italiano gli Stati
esteri quando la pretesa a carattere economico può essere accolta solo previo il sindacato dei
provvedimenti adottati dallo Stato stesso quale ente sovrano (57).
Così argomentando, il sommo giudice ha, quindi, applicato il
principio di diritto consuetudinario internazionale, recepito dall'ordinamento italiano in virtù di richiamo dell'art. 10,
Cost.: principio, c.d. della "immunità ristretta o relativa", in virtù del quale l'esenzione degli Stati stranieri dalla
giurisdizione civile è limitata agli atti iure imperii (a quegli atti, cioè, attraverso i quali si esplica l'esercizio delle funzioni
pubbliche statali) e non si estende, invece, agli atti iure gestionis o iure privatorum (ossia agli atti aventi carattere
privatistico, che lo Stato straniero ponga in essere, indipendentemente dal suo potere sovrano, alla stregua di un privato
57 Si veda in tal senso la motivazione così formulata: «il giudice italiano difetta di
giurisdizione in relazione alla controversia promossa da un dipendente della Kuna - Kuwait
News Agency, agenzia di stampa del Kuwait, al fine di ottenere, previa declaratoria di
illegittimità del licenziamento intimatogli dalla suddetta agenzia, la reintegrazione nel posto
di lavoro e il pagamento di quanto dovuto in conseguenza di tale statuizione, tenuto conto
che, alla stregua dell'ordinamento dello Stato di appartenenza, la Kuna deve considerarsi
ente pubblico, dovendosi pertanto qualificare come rapporto di pubblico impiego il dedotto
rapporto di lavoro, e che l'esenzione dalla giurisdizione italiana opera non solo quando
parte in causa sia uno Stato estero, ma anche un ente pubblico attraverso il quale il
suddetto Stato opera per perseguire in maniera indiretta i propri fini collettivi, a nulla
rilevando che in corso di causa il lavoratore abbia optato per il risarcimento in luogo della
reintegrazione originariamente richiesta (e ciò a prescindere dalla ritualità di una opzione
formulata prima della decisione sulla originaria domanda), giacché la domanda, pur limitata
a pretese a contenuto patrimoniale, richiede pur sempre una valutazione del
comportamento datoriale, ostativa dell'esercizio della giurisdizione» (Cass., Sez. U,
12.6.99, n. 331, Ius & lex).
38
cittadino […]. Il che equivale a dire che, al fine dell'esenzione dalla giurisdizione del giudice nazionale, è richiesto che
l'esame e l'indagine sulla fondatezza della domanda, a questi proposta, comporti apprezzamenti, indagini o statuizioni che
possano incidere o interferire sugli atti o comportamenti dello Stato estero […], che siano espressione dei suoi poteri
sovrani. Con l'ulteriore limite (di recente, per altro, evidenziato, in ragione del valore di principio fondamentale
dell’ordinamento internazionale assunto dall'obbligo di rispetto dei diritti inviolabili della persona umana) per cui conviene
che anche l'esercizio della sovranità non resti coperto dalla immunità quando si risolva in comportamenti dello Stato estero
lesivi, appunto, di quei valori universali di rispetto della dignità umana che trascendono gli interessi delle singole comunità
statuali (58).
Poiché le disposizioni con le quali la Repubblica Argentina ha differito il rimborso del
proprio debito pubblico, ivi compreso quello contratto con «investitori esteri» sicuramente non
contrastano con fondamentali diritti individuali, l’affermazione del sommo giudice merita
condivisione, prestandosi anzi ad essere generalizzata. In altri termini, quando uno Stato estero
emette strumenti finanziari opera «alla stregua di un privato cittadino»; conseguentemente, esiste
la giurisdizione italiana sulle pretese del risparmiatore.
Ma quando, come nel caso dell’Argentina, sono adottati provvedimenti che, pur attenendo al
rimborso dei titoli, ovvero ad altre posizioni patrimoniali connesse ai medesimi,consentono la
«sopravvivenza economica» dello Stato dove i suddetti titoli sono emessi, il magistrato nazionale
difetta della potestas iudicandi.
58 Cass., Sez. U., 27.5.05, n. 11225, pubblicata nel presente sito (porre collegamento
ipertestuale). Per i rapporti con i diritti umani v., invece, Cass., 2004, n. 5044.
39
5. La posizione della CONSOB
Il caso tipico in cui l’investitore non può recuperare il «denaro malamente investito» per suo
conto si verifica quando l’intermediario è sottoposto alle procedure concorsuali, come
concretamente avvenuto da ultimo quando il Trib. Roma ha riconosciuto
che il corretto esercizio, da parte della CONSOB, del potere-dovere di vigilanza sul mercato mobiliare avrebbe impedito
sin dall’inizio un’operazione di sollecitazione del pubblico risparmio, nel cui contesto la raccolta di denaro era stata
effettuata anche da società non autorizzate, poi assoggettate a procedure concorsuali. [In tal caso] non può disconoscersi a
chi abbia documentato le perdite subite in virtù dei rapporti di intermediazione mobiliare intrattenuti con tali società,
dichiarando di non aver recuperato alcunché dall’insinuazione dei propri crediti al passivo, il diritto di ottenere dalla
CONSOB il risarcimento del danno derivante dalla violazione degli obblighi ad essa incombenti, commisurato alle somme
investite
È stata così sconfitta la linea difensiva dell’Autorità convenuta, ad avviso della quale il g. o.
non avrebbe potuto giudicare e, comunque, il danno non sarebbe stato risarcibile.
5.1. Danno al risparmiatore ed intervento del g. o.
L’intervento del g. o. in soccorso del risparmiatore danneggiato non sembra posto in
discussione dalla riscrittura della normativa processuale, dovuta all’art. 7, 1º co., lett. a), l. proc.
Amm., nonché ad alcuni recenti interventi della Corte cost. Dalle revisioni normative e dalle
pronunce di incostituzionalità la disciplina che così recita: «sono devolute alla giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relative a
concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi,
ovvero relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un
pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n.
241, ovvero ancora relative all'affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo
40
nei confronti del gestore, nonché ai servizi di pubblica utilità»(59).
Le ultime innovazione della normativa, pertanto, confermano il trend inaugurato dalla
«pronuncia della Corte cost. n. 292/00. [Essa, infatti], non può essere interpretata come se
comportasse un’estensione della giurisdizione esclusiva [alle controversie meramente risarcitorie,
come quelle ora esaminate]: l’illegittimità costituzionale deriva proprio dalla […] eccessiva
estensione [della giurisdizione stessa]» (60).
Quando chiede il risarcimento alla CONSOB per «omessa vigilanza», il risparmiatore
«risulta titolare, nei confronti dell’amministrazione, di una pretesa diversa da quella che può
condurre all’impugnazione di provvedimenti» (61).
È, dunque, corretta la pronuncia che ha attribuito la giurisdizione al giudice amministrativo
perché l’interessato censurava «le comunicazioni […] emanate dalla CONSOB [le quali, essendo]
estrinsecazione del potere di vigilanza sul mercato mobiliare ad essa confidato, {[…]
costituiscono} provvedimenti amministrativi. Pertanto, come tali, gli stessi sono immediatamente
59 Art. 33, d. giurisdizione amm., come da ultimo corretto da Corte cost. 6.7.04, n. 204.
60 Travi 2000, 2399. Con questo contributo l’a. commenta Corte cost 17.7.00, n. 292, FI,
2000, I, 2393, che dichiarò costituzionalmente illegittimo l’art. 33, d. giurisdizione amm.
Nella sua originaria stesura perché il Governo aveva ecceduto dalla delega.
61 Travi 2000, 2399. Con questo contributo l’a. commenta Corte cost 17.7.00, n. 292, FI,
2000, I, 2393, che dichiarò costituzionalmente illegittimo l’art. 33, d. giurisdizione amm.
Nella sua originaria stesura perché il Governo aveva ecceduto dalla delega.
41
impugnabili in via giurisdizionale» (62).
Le considerazioni sulla natura provvedimentale dell’atto emanato dalla CONSOB
rappresentano il presupposto in base al quale considerare «l’investitore mobiliare — che si ritenga
danneggiato dai provvedimenti della CONSOB, in ordine ad una mutazione di indirizzo successiva
a determinate operazioni effettuate sulla base di una precedente contraria determinazione — […]
legittimato ad impugnare in sede giurisdizionale i provvedimenti stessi» (63).
Gli stessi soggetti potenzialmente abilitati a promuovere una domanda risarcitoria verso la CONSOB secondo i principi già
enunciati dalla giurisprudenza civile […] devono, difatti, ritenersi abilitati ad agire in sede impugnatoria allorché siano in
condizione di prospettare, oltre alla titolarità di una posizione di socio [dell’ente al quale si dirigeva il provvedimento
censurato dinanzi al T. A. R., posizione] connotata [come interesse legittimo], e perciò una veste già in fatto differenziata
rispetto a quella di un quivis de populo, l’elemento giuridico dell’immanente attualità di una lesione patrimoniale in proprio
danno (64).
5.2. Il diritto soggettivo ad «investire informati»
La particolarità del caso giudicato da T. A. R. Lazio n. 10709/02 spiega perché i giudici
amministrativi hanno opinato in senso opposto alla prevalente giurisprudenza ordinaria.
62 T. A. R. Lazio, sez. I, 26.11.02, n. 10709, FA, TAR, n. 11/2002, 3667
63 T. A. R. Lazio, sez. I, 26.11.02, n. 10709, FA, TAR, n. 11/2002, 3667.
64 T. A. R. Lazio, sez. I, 26.11.02, n. 10709, FA, TAR, n. 11/2002, 3668.
42
5.2.1.
Il risparmiatore titolare di un diritto soggettivo
Nella fattispecie decisa dal T. A. R. Lazio n. 10709/02 la CONSOB aveva «comunque
esercitato la propria attività di vigilanza». Pertanto,
non sussiste l'obbligo del risarcimento del danno in capo alla stessa [Autorità, nonostante abbia posto] in essere un
provvedimento illegittimo per carenza di istruttoria, [consistente nel ritenere], senza il sopravvenire di elementi
sostanzialmente diversi, non più sussistente un patto di sindacato, in presenza del quale sarebbe stato necessario procedere,
per l'acquisizione di azioni, mediante un'offerta pubblica di acquisto (OPA). Ciò perchè, in mancanza dell'elemento
psicologico della colpa, non può rinvenirsi un danno che possa considerarsi ingiusto ( 65).
Non è, perciò, condivisibile la pur autorevole affermazione secondo cui «i giudici
amministrativi, nell’unica occasione in cui — a quanto consta — hanno avuto modo di
pronunciarsi sulla responsabilità della CONSOB, si sono mostrati indulgenti» (66).
Giova, infatti, ribadire che, nel caso giudicato dal T. A. R. Lazio,la p. a. ha esercitato il
proprio potere discrezionale, seppure in modo scorretto.
Invece quel potere non è stato esercitato nei casi finora giunti al vaglio del g. o., mentre
l'omissione di alcuna iniziativa funzionale allo scopo assegnato [dall’ordinamento agli interventi della CONSOB] non può
trovare esimente nell'appartenenza anche di tale omissione all'ambito della funzione [amministrativa], tale funzione avendo
65 T. A. R. Lazio, sez. I, 26.11.02, n. 10709, FA, TAR, n. 11/2002, 3669. Sulla pronuncia
v. Manfreda 2002, 3988.
66 Caputi e Palmieri 2005, 780.
43
oltre i noti limiti esterni della imparzialità, correttezza e buona amministrazione, il vincolo interno costituito
dall'attivazione della vigilanza nell'interesse pubblico, quello che questa Corte ha già avuto occasione di definire come
l'interesse alla trasparenza del mercato dei valori mobiliari ( 67).
Trova così smentita la tesi per cui non solo la scelta relativa al quid ed al quomodo dell’azione
amministrativa con strumenti «di natura ispettiva, informativa o repressiva», ma anche l’inerzia
della CONSOB, pur dinanzi ad eclatanti falsità o lacune dei documenti ricevuti, sarebbe rientrata
nella discrezionalità della p. a. convenuta. Il privato avrebbe, dunque, vantato soltanto un interesse
legittimo al corretto impiego della discrezionalità stessa, il cui distorto esplicarsi non avrebbe
prodotto pregiudizi risarcibili (68).
Ma la tutela del risparmiatore non risulterebbe affievolita neppure seguendo, per mera
denegata ipotesi, la tesi prospettata dall’Autorità convenuta; in suffragio del risparmiatore stesso
interverrebbe, infatti, «l'incontrastata star nel firmamento giurisprudenziale di fine secolo, [ossia]
67 Cass., sez. I, 3.3.01, n. 3132, Soc, n. /2001, 565; DForm, 2001, 297; GC, 2001, I, 907;
RCP, 2001, 562; DResp, n. 2001, 505; DPS, n. 7/2001, 46; FI, 2001, I, 1139; GI, 2001, 2269.
Questa pronuncia è stata ampiamente commentate dalla dottrina. Senza pretendere la
costruzione di un’esauriente bibliografia, si vedano: Anello e Rizzini Bisinelli 2001, 576.
Caranta 2001, 571. Cristiani e Dimundo 2001, 509. D’Auria 2001, 2269. Giacalone 2001,
907. Ielo 2001, 300. Palmieri 2001, 1141. La S. C. ha annullato la sentenza impugnata con
rinvio ad altro giudice del merito. La nuova pronuncia sul caso si deve ad App. Milano
21.10.03, GCo, n. 6/2004, II, 653; NGCC, n. 2/2004, I, 203, sulla quale v. Lucchini Guastalla
2004, 213. Russo 2004, 659. Riguardo, invece, alla r. c. della CONSOB considerata sul
piano generale v. Tuozzo 2004, 590.
68 Alcuni prodotti assicurativi presentano caratteristiche simili ai corrispondenti prodotti
finanziari. Eppure l’ISVAP, diversamente dalla CONSOB, non riceve nessuna preventiva
informazione, anche solo lontanamente paragonabile al prospetto informativo. In tal modo
si crea un’ingiustificata disparità tra strumenti/servizi fra loro competitivi. In tal senso
Guaccero 2003, 28.
44
la sentenza delle Sez. U. 22.7.99, n. 500» (69).
5.2.2.
Il contenuto del diritto soggettivo
Prima di Cass., Sez. U., n. 500/99 l’individuazione di un diritto soggettivo mirava a superare
le obiezioni poste da «una giurisprudenza pietrificata» alla risarcibilità delle lesioni agli interessi
legittimi. Successivamente alla pietra miliare posta da quella pronuncia, l’interprete (finalmente
libero da pastoie dogmatiche) può addebitare alla CONSOB «la violazione del diritto soggettivo
all'integrità del patrimonio e alla libertà negoziale» Si introduce così un concetto che
non è certo una novità nel panorama giurisprudenziale italiano. […] Peraltro [possono nutrirsi] dubbi sulla configurabilità
nell'ordinamento di un diritto siffatto. La critica più ricorrente che viene mossa all'impiego di questa figura fa leva [sul
fatto che, parlando di] “integrità patrimoniale", è al di fuori dello schema del diritto soggettivo, se a tale termine si vuol
dare un significato dotato di una qualche consistenza tecnica. [L’integrità del patrimonio] non sarebbe, infatti, [altro] che la
sintesi del complesso dei diritti di carattere economico riferibili ad una persona fisica, dotati di rilevanza e dunque
69«In presenza di un atto illegittimo della p. a., che sia stato posto in essere con dolo o
colpa e che sia stato causa di danno ingiusto — diretta conseguenza del provvedimento — il
suo destinatario ha titolo al risarcimento dei danni, anche se titolare non di un diritto
soggettivo, ma di un interesse giuridicamente rilevante (diverso dalla mera aspettativa),
tenuto presente che ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume
rilievo la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, essendo la
tutela risarcitoria assicurata esclusivamente in relazione all'ingiustizia del danno. La relativa
controversia, ove non riguardi materia devoluta, per legge, alla giurisdizione esclusiva dei
giudici amministrativi, è di competenza dell'autorità giudiziaria ordinaria, la quale può
pronunciarsi sulla domanda senza attendere l'esito del giudizio di annullamento dell'atto, di
competenza della giurisdizione amministrativa di legittimità» ¥ Cass., Sez. U, 22.7.99, n.
500, GP, 1999, II, 569; MGL, 1999, 1272; FI, 1999, I, 2487. La condivisa definizione riferita
nel testo appartiene a Palmieri 2001, 1142.
45
suscettibili di tutela. La creazione d'un diritto ad hoc non sarebbe che un modo attraverso cui troverebbe ingresso il
risarcimento di un danno meramente patrimoniale precludendo l'operatività del filtro selettivo rappresentato dal "danno
ingiusto" di cui all'art. 2043, c. c. Il formale omaggio reso alla tradizione attraverso l'affermazione dell'esistenza d'un
diritto all'integrità del patrimonio in realtà maschererebbe la sostanziale adesione all'orientamento opposto, che individua
nella norma dell’art. 2043, c. c. una clausola generale, a fronte della quale esclusivo autore del giudizio d'ingiustizia sarebbe
il giudice. […]Sembra, [allora], forzata la costruzione di un diritto soggettivo all'integrità del patrimonio (70).
Per impedire la forzatura giustamente evidenziata dall’opinione testé riferita giova
individuare il diritto, leso dall’inerzia dell’organo vigilante, in quello «ad investire informati». In
altre parole, ciascun risparmiatore, infatti —attraverso l’azione risarcitoria contro la CONSOB —,
avanza
la pretesa di poter effettuare le proprie scelte d'investimento sulla base di informazioni non solo complete, ma anche
veritiere, se non in ogni singolo elemento, cosa che presupporrebbe una verifica capillare e pressoché impossibile,
quantomeno nel complesso. Questo, sul presupposto che la decisione d'investimento richiede disponibilità d'informazioni
che sarebbe impossibile affidare all'iniziativa individuale nei rapporti con gli emittenti (71).
Ma perché si passi dall’astratta affermazione che il diritto, configurato in questi termini, è
stato leso alla concreta condanna al risarcimento per «omessa vigilanza» occorre dimostrare
[accanto alla colpa (72)] il nesso causale.
70 Andò 2002, 165. Per ulteriori critiche alla tesi dell’integrità patrimoniale come diritto
soggettivo v. Salvi 1988, 1216.
71 Bernardo e Visentini 2001, 889.
72 La colpa sarebbe però presunta se si configurasse come contrattuale la r. c. della
CONSOB. Omettendo la vigilanza, tale Autorità, in altri termini, avrebbe violato un «obbligo
46
Riguardo alla dimostrazione della causalità un contributo alla tutela del risparmiatore
proviene dall’applicazione all’ambito civilistico dell’art. 40, 2º co., c. p.; poiché, in altri termini, la
CONSOB è tenuta ad operare per prevenire il danno, essere rimasta inerte «equivale a cagionarlo».
La condotta negligente dell’Autorità convenuta costituisce però una semplice concausa del
pregiudizio; in base all’art. 41, c. p., anch’esso applicabile alla materia civilistica, tale condotta,
pertanto, equivale a tutte le altre circostanze che hanno accompagnato il prodursi del danno (73).
Per seguire completamente il ragionamento si dovrebbe spostare il discorso sul piano fattuale,
appannaggio del giudice di merito se motiva in modo logico ed immune da errori giuridici. Senza
scendere ad ulteriori considerazioni su singole vicende, si ritiene di aver posto principi utili al
lavoro di quel giudice.
5.3. Risarcimento CONSOB: incentivo ad operazioni spregiudicate?
È utile analizzare i riflessi della giurisprudenza prevalente (e condivisa) sulle scelte dei
risparmiatori (74).
di protezione» verso i risparmiatori. Da ciò conseguirebbe la responsabilità per
inadempimento; spetterebbe, dunque, all’Amministrazione convenuta provare
l’impossibilità di intervenire per motivi ad essa non imputabili. In tal senso, seppure
dubitativamente, Andò 2002, 165.
73 Sul rapporto causale v. Andò 2004, 223.
74 I giudici, invero, non sono schierati nella loro totalità a favore dei risparmiatori. Con
riguardo al «caso FERFIN – Montedison», ritenuta la giurisdizione del g. o. perché la
pretesa condotta colpevole della CONSOB avrebbe leso «l’integrità del patrimonio e, più
specificamente, il diritto di determinarsi liberamente nello svolgimento dell'attività
negoziale relativa al patrimonio, […] la domanda [risarcitoria nei confronti della CONSOB è
47
Essi, invero, possono vedere «falsata la percezione del rischio connesso all’operazione» se la
CONSOB diventa «un assicuratore che copre illimitatamente le perdite registrate dagli investitori.
[…] La prospettiva di una garanzia di recupero del capitale può creare incentivi anomali rispetto
alla propensione individuale all’investimento» (75).
Diversamente dalle comuni polizze assicurative, inoltre, il risparmiatore non è neppure
tenuto a corrispondere un premio. Sarebbe, quindi, immaginabile un soggetto che agisse sul
mercato in maniera spregiudicata, contando sul risarcimento da parte della CONSOB, in aggiunta
a quello eventualmente dovuto dai Fondi di garanzia degli investitori.
Ma in tal modo si rischia la creazione di un sistema lontano dai modelli esistenti nei restanti
Paesi ad economia finanziaria sviluppata.
Ed anche non volendo scendere a raffronti comparatistici, ai quali non si è preparati,
l’indiscriminata soggezione della CONSOB alla r. c. fa dimenticare che
stata ritenuta] infondata. È […] da escludere, infatti, che l'attore possa basare una pretesa
risarcitoria […] sul comunicato diffuso alle agenzie di stampa […] ovvero sul fatto, in sé e
per sé considerato, della mancata promozione dell'OPA obbligatoria. Tale comunicato,
invero, altro non è che l'espressione di un giudizio — sia pure autorevole ed influente —
emanato dall'organo di vigilanza circa l'insussistenza delle condizioni per la promozione
dell'OPA, inidoneo in ogni caso a far venir meno l'obbligo di darvi corso qualora le relative
condizioni fossero effettivamente sussistite. La CONSOB ha ritenuto che tali condizioni non
ricorressero in concreto, motivando il proprio convincimento con una serie di
considerazioni» ¥ Trib. Milano 23.6.97, Soc, n. 3/1998, 303. Sulla sent. v. Lener 1998, 305.
La pronuncia è stata confermata da App. Milano 27.11.98, FI, 1999, I, 2712; Soc, n. 3/1999,
316. Su quest’ultimo precedente si consulti Tucci 1999, 320.
75 Caputi e Palmieri 2005, 781.
48
chi investe può al limite (ma non necessariamente) essere sprovvisto delle capacità e dei requisiti per valutare ex ante con
una certa attendibilità rischi e possibilità di guadagno, ma la sua scelta […] non è aliena da motivazioni speculative. Se egli
decide, dunque, di andare allo sbaraglio e di affidarsi al «mercato» (e non è vittima di comportamenti fraudolenti, dei quali
andrebbero chiamati a rispondere i rispettivi artefici), sarà al mercato, con tutte le sue vicissitudini e le sue imperfezioni,
che dovrà, a seconda dei casi, rendere omaggio o rivolgere i suoi strali. Finché durerà il mercato, la protezione
dell’investitore sarà limitata (76).
Purtroppo non esistono criteri di facile applicazione per stabilire dove terminano le avverse
congiunture economiche e dove, viceversa, iniziano i comportamenti colpevoli degli intermediari,
dell’Autorità e degli stessi investitori, «inerti anche di fronte ad inquietanti segnali d’allarme».
Donde un vasto spazio per il sapiente apprezzamento del giudice del merito.
76 Caputi e Palmieri 2005, 782 dove, alla nota 57, citazioni di conf. dottrina statunitense
49
6. Valutazione conclusiva
Se, in conclusione, va scoraggiata la tentazione di vedere nella CONSOB la «tasca
profonda», dalla quale attingere sempre e comunque il risarcimento perché l’investimento non è
andato a buon fine, la r. c. dell’Autorità di vigilanza ha una funzione positiva. Essa, come
giustamente rilevato in dottrina, consiste nel realizzare
un controllo sull'impresa finanziaria, quale base del sistema economico
tout court; [il che] richiede un approccio
all'economia in termini di regolamentazione non neutra di mera fissazione di regole oggettive, vane di fronte al dinamismo
imprenditoriale, ma di riconoscimento di un ruolo ambivalente dell'impresa. [Esso] si contraddistingue da un lato in
termini di valorizzazione dell'impulso individuale, insostituibile almeno allo stato nell'economia, e di misurazione
dell'efficienza, ma anche per la tendenza—creatrice ma anche distruttrice propria dell'accumulazione capitalistica—a
strumentalizzare gli altri fattori alle proprie esigenze, anche a prescindere da una valorizzazione delle [altrui] esigenze
fondamentali, in un'ottica che non si deve aver timore a definire quale di vera e propria sopraffazione. La valorizzazione
dell'uno a scapito dell'altra si rivela pertanto il vero nodo dei controlli ( 77). In termini prettamente giuridici, la
responsabilità dell'impresa deve rivelarsi lo strumento di elevamento delle prestazioni dell'impresa [stessa], senza interventi
repressivi al di fuori di una correlazione con lo statuto comportamentale e senza interventi di consumerismo indiscriminato,
che nient'altro significherebbero che il ritorno ad una logica assistenziale ( 78).
La r. c. — indipendentemente dalla sua configurazione precontrattuale, contrattuale od
aquiliana — assolve, tuttavia, alla funzione positiva giustamente evidenziata dagli scrittori solo se
contenuta entro accettabili confini. Occorre, allora, equilibrare la tutela degli investitori dalla mala
77 Torchia 1992, passim propende, invece, per «una visione del controllo in termini di
mera regolarità».
78 Bochicchio 2004, 668. V. amplius Salvatore 2004, passim.
50
gestio del loro patrimonio (fenomeno che si ritiene percentualmente limitato, nonostante il grande
numero assoluto dei soggetti coinvolti negli scandali dai quali la ricerca ha preso spunto) ed il
libero dinamismo delle forze imprenditoriali. Raggiungere tale risultato è certo difficile, ma lo
sforzo degli operatori dovrebbe alleggerirsi dopo questa ricerca (79). La normativa, dal canto suo,
indica i comportamenti da adottare per non incorrere in responsabilità apparentemente
schiaccianti.
79 Gioia 2004, 63, invece, insiste sulle «difficoltà di giungere ad una vera ed effettiva
tutela del risparmiatore».
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